XIX. LA TOMBA VUOTA
XIX.1. E’ davvero sorprendente che Gesù possa essere stato processato e condannato a morte in quel così esiguo lasso di tempo che va dal giorno della Pasqua (14 o 15 Nisan, secondo il computo dei diversi calendari in uso), durante il quale venne celebrata “l’ultima cena” secondo il rito essendo, fino alla conclusione del periodo dei ‘sette giorni’ della festa degli Azzimi, poi divenuta la ‘settimana santa’. Gesù aveva detto ai discepoli di andare a Gerusalemme dove avrebbero incontrato un uomo con una brocca d’acqua. Dovevano seguirlo, e vedere in quale casa entrava. Al padrone della casa dovevano dire che il <<maestro>> (sic) avrebbe usato la stanza superiore per la sua cena pasquale. Allora i discepoli <<prepararono per la Pasqua>> (vedi Mc 14,12-16 e paralleli), nel senso che forse portarono un agnello che avevano ucciso nel Tempio e avevano messo su uno spiedo ad arrostire (vedi Sanders, op. cit.). Flavio Giuseppe ci fa sapere che i Giudei arrivavano a Gerusalemme una settimana prima, ma non dice cosa facevano durante questi giorni (Guerra Giudaica: 6, 290). Poi gli eventi precipitarono. Gesù viene arrestato di notte, riconosciuto da Giuda con un bacio sulla guancia (altra cosa poco chiara). Strano assai che Giovanni e Pietro possano assistere all’immediato processo notturno, subito seguito, addirittura nella casa stessa del sommo sacerdote. Straordinarie ed inesplicabili le ragioni, e le stesse circostanze ‘evangeliche’, del tradimento di Giuda iscariota, appunto il Sicario, e tutto il successivo contorno dei rapidissimi accadimenti, fino al processo romano, e all’esecuzione della condanna a morte. In questo brevissimo lasso temporale, dal mercoledì santo (o se si vuole dal martedì in cui si sarebbe celebrata la pasqua secondo il rito esseno), si passa da un Gesù vivo tra la folla inneggiante dei fedeli, ai processi, al cadavere deposto, e infine alla resurrezione. C’è poi quel ‘Bar-Abba’ (Figlio del Padre) in alternativa a Gesù, e perciò il mistero di questa doppiezza: o l’uno o l’altro; ma sembrano davvero la medesima persona (malgrado l’omonimo romanzo del premio Nobel per la letteratura, P.F. Lagerkvist). E non bastando questo, c’è un Simone di Cirene, di cui gli Atti riportano, sorprendentemente, il nome dei ‘due’ figli, dei quali sarebbe stata addirittura ritrovata dagli archeologi la tomba a Gerusalemme. La leggenda ha poi aggiunto la “Veronica” (‘vera-immagine’), e il ‘fazzoletto’ col quale venne asciugato il sudore di Gesù, anch’esso donato a re Abgar di Edessa. C’è poi il pentimento di Pilato, e quant’altro si accompagna a questa pia leggenda assolutrice dell’avidissimo procuratore romano di origini italiche, compreso il “laghetto di Pilato”, sui monti Sibillini, che ne porta ancora il nome. Ma su un punto i Vangeli hanno certamente ragione. Pilato rivestiva esattamente la carica indicata. Le fonti cristiane del secondo secolo, Giustino (cfr. Apologia, I, 35 e 38, nell’edizione Città Nuova, 2001) e Tertulliano (cfr. Apologeticum V, 2 e XXI, 24 nell’edizione Rizzoli, 1984), accennano ad una <<relazione>>, inviata a Tiberio da Ponzio Pilato sulla vicenda di Gesù. Eusebio data l’informativa all’anno 34. Questa “relazione” è considerata dagli storici (M. Sordi) del tutto plausibile, e peraltro da connettere con l’esecuzione del protomartire Stefano, e della conseguente punizione di questo abuso, consumato dal Sinedrio, da parte dei Romani nell’anno 36-37. Secondo Tertulliano, Pilato era <<già in sua coscienza cristiano>>. E’ decisamente troppo. Ma è storicamente provato che il cristianesimo era precocemente entrato addirittura nella <<casa di Cesare>>. Nella Storia della grande Armenia di Mosè di Korene, che scrive nel V secolo, viene riferito, ancora una volta, lo scambio di lettere tra Gesù (<<la cui fama si era sparsa in tutta la Siria>>, come riporta il Vangelo) e re Abgar, il toparca di Edessa dal 13 al 50 d.C. Paradossalmente coloro che ammettono la veridicità della Sindone in realtà sostengono implicitamente che Gesù non è risorto, per quanto il ‘lenzuolo’ fu trovato ripiegato, in modo assai singolare e del tutto fuori dell’ordinario, avvoltolato accanto al sepolcro vuoto. Quel sudario funebre, trovato accuratamente ripiegato in un certo modo, sarebbe stato appunto la ‘Sindone’, letteralmente “una veste di lino” usata soltanto da persone facoltose stando a letto (cfr. Erodoto, Storie, II, 95 ed Eusebio, Storia ecclesiastica, VI, 40,7). Una ‘sindone’ simile la indossava, sul corpo nudo, il giovinetto dell’orto del Gethsemani, la notte stessa dell’arresto di Gesù. Secondo Giuseppe Ricciotti (Vita di Gesù Cristo, op. cit., par. 561), si può supporre <<che terminata l’ultima cena, egli per simpatia avesse seguito la comitiva di Gesù>> e si fosse intrattenuto al Gethsemani per qualche tempo <<con gli otto Apostoli>> (quanti quelli presenti nel monumento funebre di Giovanni di Brienne!) ricoverati nella casupola o grotta, e che <<dopo un certo tempo, anch’egli si fosse messo a dormire>>. I ‘fatti’ narrati dagli evangelisti non possono fornire alcuna spiegazione della formazione dell’immagine della Sindone, non potendo “aloe e mirra” (molti chilogrammi) spiegare di per sé lo straordinario fenomeno dell’immagine impressa sulle fibre del tessuto a contatto col cadavere. Del resto, la ‘falsificazione’ scientifica della Sindone in base alla radiodatazione al carbonio 14 lascerebbe perfettamente intatto il grande mistero della resurrezione. Una Sindone ‘autentica’ è invece paradossalmente scomoda. Essa proverebbe soltanto l’evento morte e non la proclamata resurrezione. Tra coloro che negano l’autenticità della Sindone, figurano pure il Prof. Piergiorgio Odifreddi (che prese parte alla trasmissione televisiva sul mistero di Gesù) e il Prof. Umberto Bartocci, due illustri matematici sulle cui eccezionali capacità logiche non si può certo discutere. Odifreddi, dal canto suo, fa osservare che sui risultati della ‘datazione al carbonio 14′ non possono esservi dubbi, e che si tratta, per di più, di un’impronta, che non può essere lasciata da un cadavere, in quanto le due immagini, quella frontale e quella dorsale, differiscono di ben quattro centimetri, ed hanno, tra l’altro, la stessa intensità, oltreché presentare alcune altre anomalie che ne compromettono serissimamente l’autenticità. Abbiamo in precedenza detto che il Prof. Bartocci ha invece avuto modo di esprimersi sulla Sindone, con la chiarezza che lo contraddistingue, recensendo (cfr. Episteme n. 4, pagg. 329-33) il libro sulla Sindone del giornalista perugino Carlo Giacchè, il quale sostiene che l’immagine impressa sul telo sia quella del Gran Maestro templare Guglielmo di Beaujeu (1273-1291), mentre i già citati C. Knight e R. Lomas (Il secondo messia) sostengono trattarsi del successore di questi, Jacques de Molay (1294-18 marzo 1314), l’ultimo Grande Maestro del Tempio prima dell’estinzione dell’Ordine. Le fattezze dell’uomo della Sindone richiamerebbero direttamente la possanza fisica d’un guerriero templare, ben esercitato nelle armi, piuttosto che quelle di un ‘rabbi’, d’un predicatore errante abituato ai digiuni.
XIX.2. Non staremo a ripercorrere la storia della Sindone. E’ sufficiente ricordare che sarebbe pervenuta in mano ai Templari nell’aprile del 1204, secondo la precisa testimonianza del cronista francese Robert de Clary, il cui manoscritto è conservato nella biblioteca di Copenaghen, per riapparire poi, quasi due secoli dopo a Lirey, una località non lontana da Troyes, nella Champagne, dove San Francesco si recava a mercanteggiare con suo padre, e dove erano sorte le leggende del Graal. Nel 1349, Geoffroy de Charny – già gran cavaliere templare e marito di Jeanne de Vergy, il cui casato apparteneva a quello di Othon de la Roche, il predatore della Sindone, conservata a Costantinopoli nel palazzo di Blachernae – aveva chiesto al papa avignonese Clemente VI <<indulgenze e privilegi>> per la chiesa del suo feudo di Lirey, annunciando che avrebbe esposto <<quondam figura sive representationem Sudarii Domini Nostri Jesu Christi>>. Così ricomparve, due secoli dopo, proprio in terra catara, il telo sindonico, col suo mistero durato fino ai giorni nostri. Questo lenzuolo miracoloso, che si è salvato, ancora una volta, da un ultimo terribile incendio grazie all’indomito coraggio dei pompieri di Torino, mostra un Volto straordinario, inquietante al massimo, con la palpebre fortemente appesantite dalla morte, e una ieraticità sacra, assolutamente sorprendente anche per gli scettici e i non credenti. Alla Sindone (definita un “falso copto”) ha dedicato un eccellente ed esaustivo lavoro Antonio Lombatti, nel quale vengono ripercorse tutte le citazioni ‘antiche’ a proposito del lenzuolo, che, come ad es. riporta il Venerabile Beda, verso il 750 d.C. era ancora conservato a Gerusalemme come <<sudarium capitis Domini>>. Ma nessuno, fino ad oggi, ha pensato che certi passi, contenuti in diversi testi risalenti alle origini del cristianesimo, possano essere letti come ‘allusioni criptiche’ alla Sindone, e al mistero che la circonda, sempre gelosamente conservato. L’idea di riportarne un florilegio, a nostro giudizio assai interessante, sarebbe dunque un’autentica novità, anche se non ci aspettiamo riconoscimenti in questo senso. E si tratterebbe di una novità tale da fare a meno di tutte le testimonianze di tipo ‘storico’, in quanto direttamente riferita all’immagine sindonica, tal quale ci si presenta sotto nostri stessi occhi. La singolarità delle allegorie sindoniche, dettagliatamente contenute seppure in forma criptica, ma sempre altamente evocativa, in questi ed altri passi ancora di antichi testi, siano essi le scritture canoniche che i libri apocrifi, alimenta il fondato sospetto di una pista consistente, per nulla inventata oppure costruita sull’effetto di una suggestione soggettiva. Ciò che in effetti sorprende non poco è il coincidente e pressoché identico richiamo alla duplice immagine impressa nel lino, essendo questa la particolarità assolutamente caratteristica della Sindone, quale misterioso reperto.
XIX.3. Il Prof. Pierluigi Baima Bollone è dei più illustri sindonologi. I suoi studi ed i suoi libri risultano senza dubbio avvincentissimi ed altamente informati. Accanto a lui vanno annoverati tanti altri agguerriti studiosi italiani e stranieri, che in questi ultimi anni hanno prodotto ricerche e lavori di pregio, soprattutto diretti a contrastare la radiodatazione al carbonio isotopico 14, che falsificherebbe scientificamente il lenzuolo come contraffazione medievale ricompresa entro due date di oscillazione limite, che non superano neppure l’età francescana. Tralasciando ogni richiamo e dettaglio, ciò che ha sempre colpito l’autore del presente articolo, è la singolare, perfetta coincidenza dei ‘segni’ del ‘martirio’ di Gesù, desumibili dai Vangeli, con quelli risultanti dall’esame ispettivo della Sindone (famosi, al riguardo, gli studi di G.B Judica Cordiglia, senza sottrarre nulla a Baima Bollone e agli altri studiosi italiani e stranieri che si sono occupati di questo importantissimo aspetto). Si può essere, a buona ragione, scettici quanto si vuole, ma la Sindone possiede un ‘fascino tale’ da inquietare fortemente la ‘ragione’stessa. Se non è quello il Volto di Gesù, a chi mai può appartenere quell’espressione regale e sublime, fortemente umana, e allo stesso tempo ‘superumana’, e, addirittura, ‘sovrumana’? Abbiamo accennato a coloro che propendono per l’immagine di un guerriero, di un templare, e la radiodatazione darebbe loro perfettamente ragione. Provi però il lettore ad eseguire un semplicissimo esperimento di diffrazione luminosa attraverso le ciglia, fissando, ad occhi leggermente strizzati, l’immagine del Volto della Sindone. Con meraviglia vedrà ancor più chiaramente stagliarsi il viso ‘umano’ di Gesù, reso più dolce ed attendibile rispetto al ‘rigor mortis’ da questa possibilità ricostruttiva dell’onda luminosa. Osserverà quasi un Cristo vivo, ad occhi chiusi, nell’ombra, assorbito nel mistero della morte, <<chè la secunda nol farà male>> come affermò poeticamente Francesco d’Assisi, nel Cantico delle Creature, rifacendosi in questo caso all’Apocalisse. Questo volto addolcito somiglia moltissimo a quello di Gesù secondo l’iconografia edulcorata delle immagini del Sacro Cuore.
XIX.4. <<Eravamo due separati, eppure ancora uno nella forma. E l’immagine del re dei re era raffigurata dappertutto su di se stesso>>. E’ questo l’ <<ADAMO-LUCE>> della Sindone, in attesa del “punto Omega”? <<Vengo incontro alla mia immagine / e la mia immagine viene incontro a me>>. Così fu ‘fabbricata’ la Sindone. Ce lo suggeriscono questi, ed altri passi ancora, degli antichi scritti cristiani. Nel 1978, il farmacista di Stradella Pietro Ugolotti, affermò di aver individuato, negli ingrandimenti fotografici di Judica Cordiglia, fatti nel 1969 e trattati, in quest’ultima occasione con filtri colorati, la scritta <<Nazarenu>>, proprio sopra l’arcata sopracciliare sinistra. Successivamente il Prof. Aldo Marastoni dell’Università Cattolica di Milano, sacerdote e importante filologo, affermò di aver letto “alcune lettere dell’alfabeto quadrato ebraico” al di sopra del sopracciglio destro: un <<tau>>, una <<wau>> e una <<iod>>, che sarebbero caratteri di fine parola. Si tratterebbe, cioè, di una scritta tracciata con un pennello in un cappuccio d’infamia o mitra, che sarebbe poi trapassata al lenzuolo. Al centro della fronte crede di poter leggere <<iber>> al di sopra, e <<ib>> al di sotto. Egli vede inoltre caratteri latini con base verso il lato lungo del lenzuolo, paralleli alla metà destra del volto. Qui legge, dal basso in alto, la scritta <<innece>>, interpretabile come <<in necem>>, vale a dire ‘a morte’. Sulle foto di Ugolotti e quelle di Tamburelli, realizzate con tecnica tridimensionale, Marastoni legge <<Neazare>>, residuo di ‘Nazarenus’: il dittongo ‘ae’ rivelerebbe l’incertezza grafica nel rendere la pronuncia semitica. Egli osserva pure, nel quadrante inferiore sinistro del volto, una <<T>>, in carattere romano lapidario, con base verso l’interno del lenzuolo. Al proposito non viene avanzata alcuna ipotesi. Sul negativo delle foto scattate nel 1931 da Giuseppe Enrie (si trattava di “un noto fotografo torinese, titolare di un grande studio fotografico cittadino, frequentato dalla società bene dell’epoca, e direttore di una rivista specializzata in fotografia”, tra i maggiori estimatori di Secondo Pia, che fu il primo a fotografare il sacro lenzuolo nel 1898), Marastoni rileva, poco sopra il ginocchio destro, una scritta a penna in caratteri pregotici (impiegati nell’area gallica fino all’XI secolo) intorno a due linee a croce, che dai frammenti che apparirebbero, viene così ricostruita: <<Sanctissime Jesy misere nostri>>. Nel 1983, dall’elaborazione elettronica delle immagini sindoniche, sarebbe stata rilevata l’impronta d’un filatterio, cioè un contenitore di passi della Legge, che gli ebrei legavano alla fronte o al braccio sinistro, con strisce di tessuto o di cuoio anch’esse recanti scritte religiose. Nel 1988 Oswald Scheuermann avrebbe rilevato sul telo l’impronta di un amuleto con la scritta <<Marà(dak)ran i>>, cioè <<Signore ricordati di me>>. Il problema dei caratteri ebraici sulla fronte è stato riesaminato dal medico legale Roberto Messina e dall’esperto di lingue semitiche Carlo Orecchia dell’Università di Milano. A loro avviso la scritta ‘quadrato ebraica’ che vi si leggerebbe: <<milk hw’ hyhwdym>> oppure <<mich dy hyhwdyn>>, in entrambi i casi significherebbe <<Questo è il Re dei Giudei>>. Ci sono poi le due monetine, del diametro di 1,5 centimetri e del peso di 1,5 grammi, che chiudono le palpebre di Gesù morto. Sono di Tiberio Cesare (in greco ‘Tiberiou Kaicaros’). Queste monetine romane, con l’immagine di un ‘lituo’ (messa in evidenza dai fortissimi ingrandimenti eletronici), furono ritrovate, in antiquariato, proprio da Ian Wilson e dal Prof. F.L. Filas, un gesuita dell’Università di Chicago. Che si tratti forse di abbagli, di miraggi della mente, di immaginarie ‘macchie di Rorschach’? Trascuriamo pollini vari, grumi di sangue, esame del lino (in tessitura ‘tre su uno’), radiodatazione al carbonio e quant’altro, rinviando agli accuratissimi testi di Baima Bollone, di G. Fanti ed E. Marinelli, nonché di A. Lombatti e di M.G. Siliato (siano essi a favore della Sindone, o contro come Lombatti). Occorre però sottolineare quanto esattissimamente affermato dal Prof. Adalberto Piazzoli, ordinario di fisica generale all’Università di Pavia. <<L’immagine della Sindone di Torino non può essere stata provocata da un corpo avvolto, né morto né vivo, né sudato né spalmato né dipinto, né emanante qualunque forma di un’improbabile radiazione. E ciò per una semplice ragione di geometria euclidea: l’impronta del volto (limitiamoci a questo) stesa su un piano apparirebbe deformata, poiché il modello non era piano>> (riportato da Lombatti, in Sfida alla Sindone, op. cit., pag. 31). Tra i vari tentativi volti a riprodurre la Sindone (tutti falliti), va segnalato quello del Prof. Nicholas Allen, con la modalità di proiezione dell’immagine verticale d’un uomo appeso, attraverso lenti di cristallo di rocca già conosciute in età alessandrina (si noti la costante ‘egiziana’ della Sindone), fatta passare in camera oscura dove era stato preparato un telo di lino pretrattato, e cioè spalmato di un sottilissimo strato di certe sostanze naturali. Il Prof. Alan Mills (cfr. C. Knigth e R. Lomas, op. cit, Appendice 3, pag. 276-282) ha poi messo in luce la possibilità ‘chimica’ di zone di impressione più o meno marcate delle fibre superficiali del lino sindonico, in base al fattore distanza del telo, perfettamente teso in orizzontale appena sopra al cadavere, ma non a diretto contatto (tranne la nuca e la punta del naso). L’annerimento micrometrico (per ossidazione) delle fibre vegetali del lino, dipendendo da minime distanze, è tale da poter essere notato sultanto nel suo insieme, e ad una distanza non inferiore a circa quattro metri. Il contrasto si sarebbe attenuato con i secoli, ed era perciò, in origine, molto più marcato ed evidente. Sul telo sono state trovate tracce di sostanze organiche e minerali. Non siamo degli scienziati, ma ad ipotesi affini eravamo arrivati anche noi, proprio sulla scorta dei passi già riportati, ed avevamo abbozzato il seguente scenario: Gesù morto viene prelevato dai alcuni membri della setta dei Terapeuti presenti a Gerusalemme, alla quale appartenevano Gesù, Nicodemo, Giuseppe di Arimatea e vari altri. Gesù è il Salvatore del mondo. Possiede poteri eccezionali e una straordinaria conoscenza delle scritture. E’ il Cristo-Messia e al tempo stesso il Re dei Giudei di discendenza davidica e sacerdotale. E’ il vero Messia predetto dalle profezie. I Terapeuti, nella cui setta era stato educato, lo avevano pienamente riconosciuto come ‘maestro’ e ‘messia’, e ne appoggiavano la missione rivoluzionaria di pace, rivolta al mondo intero, anziché ai soli Giudei. Gesù morto viene letteralmente ‘imbalsamato’ in una veste simbolica e sacra di Luce Eterna, del tutto degna del Regno del Padre celeste. Si tratta dello stesso lino immacolato della veste, regale e sacra ad un tempo, da Re dei Giudei e di Sommo Sacerdote: ed è appunto il lino della Sindone, che corrisponde, del resto, ai simboli stessi dell’altare cristiano, con la tovaglia bianca, il calice e la patera. Il cadavere di Cristo, trattato con sostanze reagenti, venne tenuto in posizione verticale (malgrado le monetine sulle palpebre, evidentemente incollate, e le braccia incrociate sul pube, evidentemente trattenute), entro una specie di contenitore o ingabbiatura di legno a tenuta d’aria, sulla quale era stato passato il telo teso, davanti e di dietro, quasi a stretto contatto del corpo. In un ambiente chiuso e surriscaldato, la sostanze volatili, spalmate sul corpo di Gesù, ed anche quelle di cui era stata appositamente impregnata la parte interna del telo, pretrattandone le fibre superficiali, avevano creato una miscela gassosa omogenea, che si mantenne in sospensione per un certo tempo entro il contenitore riposto in una grotta o messo al riparo. Poi, all’improvviso, facendo passare un fiotto di luce attraverso la trasparenza del lino, ed anche una forte corrente di aria fredda (si deve immaginare la scena di primissimo mattino, allo spuntare del sole), la miscela di gas saturi, presente nell’ambiente surriscaldato, ebbe a subire un rapidissimo collasso, sia per effetto dell’aria fredda, che per quello fotochimico, altrettanto improvviso, della luce, separandosi in due: una parte ossidante, che reagì col lino pretrattato, e l’altra che ricadde inerte sul corpo di Gesù. La reazione traformò chimicamente in due sostanze diverse la medesima miscela gassosa, con un effetto quasi esplosivo, e cioè piuttosto rapido. L’operazione venne ripetuta due volte di seguito, per impressionare il lino davanti e di dietro. Gesù tiene la mani incrociate sul pube, nella posizione tipica di un certo tipo di sepoltura, a quanto pare praticata soltanto dagli Esseni, ma i Terapeuti erano una sétta affine anche se distinta, con molteplici tratti rituali in comune, seppure caratterizzata da una diversa apertura ideologica. Il corpo è sostenuto in verticale con qualche accorgimento, e le mani pure, incrociate verso il basso nel ‘rigor mortis’. Le monetine sugli occhi sono mantenute in posizione da sostanze adesive. La differenza di lunghezza delle due immagini, sottolineata da Odifreddi, dipende da un certo cedimento verticale del corpo nella ripetizione delle due operazioni del tutto simili tra loro, ma ovviamente non identiche perché realizzate in momenti diversi, ripetendo lo stesso procedimento chimico-alchimistico che certamente richiese qualche giorno di preparazione (i tre giorni di Giona) per essere portato a compimento. Per questo stesso motivo anche il Volto Santo di Borgo Sansepolcro viene rappresentato fortemente proteso in avanti. La grande <<M>> che si vede sul petto di quest’opera lignea di antichissima fattura, sicuramente realizzata in oriente, potrebbe essere benissimo una stola sacerdotale, con Gesù ‘sommo sacerdote’(si intende anche Re degli Ebrei). La posizione verticale di Gesù non era perfettamente eretta, forse anche perché raccolto nello spasmo e nella torsione stessa della morte, che l’aveva colto sulla croce. Il cadavere reca tutti i possibili segni della sua identificazione, e le monetine, come le scritte varie che ancora si possono leggere nell’immagine sindonica, erano rivolte a trasferirne l’identità nel mistero stesso dell’impressione luminosa, con la riconsegna a Dio Signore della Luce, nel Regno celeste del Padre. La luce, filtrando attraverso la trasparenza del lino, è il fattore determinante della reazione chimica di ‘impressione’, che ha permesso la esatta riproduzione delle fattezze di Gesù, invertite in chiaroscuro, mentre non si è avuta nessuna inversione ottica o speculare, come invece nelle moderne fotografie. E’ stato in ragione della distanza (calcolabile in pochi millimetri di scarto differenziale) che il telo sindonico, reagendo chimicamente, si è impressionato proprio come una lastra fotografica, impregnandosi anche di sostanze (sangue compreso) presenti sul cadavere, trasportate sulla stoffa dalla reazione improvvisa. Questo sangue non si è annerito in quanto la reazione chimica lo ha subito alterato. In questo modo è stata ottenuta un’immagine ‘negativa’, che come un calco chiaroscurale, riflette la sottostante profondità millimetrica, rispetto ai vari punti, più o meno vicini, del corpo, alcuni anche a contatto col lenzuolo. La luminosità ha seguito una legge di ossidazione-annerimento, esattamente proporzionale alla distanza. La Sindone è un manufatto acheirotipo, realizzato cioè senza intervento umano diretto sul pezzo di lino come ad esempio una pittura o altro ancora. Le modalità d’impressionamento del telo esigono la verticalità della posizione del corpo in luogo di quella supina che avrebbe ostacolato la formazione dell’immagine posteriore. Di necessità, la procedura è stata ripetute due volte, nelle medesime condizioni. La reazione chimica non poteva avvenire che per collasso di una miscela gassosa, cioè per rapida decomposizione in due diverse sostanze, una delle quali ha reagito con la superficie interna del telo pretrattato, provocandone l’impressionamento per ossidazione delle fibre superficiali appena imbevute di un particolare reagente. L’immagine posteriore è stata ottenuta allo stesso modo, ripetendo la procedura. La zona di contatto tra le due distinte immagini presenta naturalmente alcuni inconvenienti dovuti allo spessore del capo. Tutte le operazioni si sono svolte a Gerusalemme, e sicuramente trascorsero molti giorni tra l’arresto di Gesù, i due distinti processi, e il momento dell’esecuzione. Nel frattempo la comunità dei Terapeuti potè attrezzarsi per realizzare l’immagine sindonica sul cadavere, alla quale fu effettivamente assegnata la valenza, sacra e misterica, di una simbolica, ma altresì autentica, forma di resurrezione. Quella resurrezione dai morti alla quale credette, con fede sincera, tutta la più larga comunità dei seguaci di Gesù, che erano abbastanza all’oscuro del radicamento iniziatico del suo messianismo. Gli gnostici, più al dentro del mistero Gesù, ne rappresentano l’aspetto e la versione esoterica, rispetto alla versione (peraltro fedele) della diffusione del suo universale messaggio di pace, da parte degli apostoli Pietro e Paolo.
XIX.5. I “Terapeuti” avevano acquisito notevoli conoscenze chimiche, che erano state affinate ad Alessandria d’Egitto, durante l’epoca dell’età alessandrina, nel campo pratico della tintura di stoffe e della produzione di coloranti. Erano insomma degli ‘alchimisti’ veri e propri. Sull’alchimia antica rimandiamo ai testi già citati di L. Russo (pag. 174 ss.) e di G. Luck (pag. 406 ss.), ormai due classici nel loro genere. Gli ebrei aborrivano invero dalle rappresentazioni iconografiche, ma nel caso di Gesù si tratta di una volontaria inversione di tendenza, determinata dall’eccezionalità assoluta della figura Messia, mandato crudelmente a morte. Tale avversione riapparve nella lotta iconoclasta bizantina, ma fu respinta nella chiesa d’occidente con la grande e progressiva diffusione delle immagini sacre, secondo lo stesso costume pagano, che porterà ai grandi mosaici bizantini di Ravenna o alle analoghe opere artistiche romane. Il mistero della fabbricazione della Sindone non appartenne ovviamente a coloro che proclamarono l’avvenuta resurrezione dai morti di Gesù, rimanendo invece ristretto all’interno della sétta degli iniziati, con la quale può essere identificata la primitiva comunità o chiesa di Gerusalemme, prima dell’avvento di San Paolo. Ma la Sindone fu sempre custodita e gelosamente preservata, e nessuno com’è evidente, ha potuto sbarazzarsene o distruggerla in tutti questi secoli. Si è tentato, con la radiodatazione, di falsificarne la genuinità e la provenienza, ma l’operazione “scientifica” non sembra perfettamente riuscita. Essa viene infatti contrastata da forti obiezioni di ordine tecnico-scientifico, e, ancora una volta, appare avversata dall’intrinseca memoria storica e allusiva che si è potuta conservare in certi scritti, che risalgono quasi all’epoca stessa di Gesù. Secondo noi la prova più convincente della genuinità della Sindone sta proprio nelle stesse criptiche menzioni neotestamentarie, e nei richiami, ancora più espliciti, di altri passi degli scritti apocrifi o nelle citazioni di testi antichi, che vi fanno inequivocabilmente riferimento. Un argomento, questo, assai solido, mai prima d’ora preso in considerazione, che sembra possedere una valenza probatoria, a nostro avviso determinante, in quanto del tutto coerente e perfettamente adesivo al reperto. La gelosa ma attentissima custodia del lenzuolo, che di fatto ne ha permesso la conservazione nel primo millennio, deriva dalla frattura verificatasi tra le varie componenti in cui si articolò il cristianesimo primitivo, soprattutto a seguito del successo della predicazione paolino-pietrina, che faceva benissimo a meno della Sindone, con una completa perdita di memoria. Ma i veri custodi del lenzuolo sacro, i Terapeuti e le loro diramazioni nelle vicissitudini secolari (dovute anche allo scontro tra cristiani romani ed eredi del platonismo, ad Alessandria d’Egitto, nel IV secolo d.C., culminato con l’assassinio di Ipazia), ne curarono la perfetta conservazione, pur non avendo elevato un vero e proprio culto a quest’immagine, che rifletteva soltanto la venuta del Cristo.
XIX.6. Vale ora la pena d’osservare che Ruggero Bacone era a conoscenza di alcuni metodi ‘chimici’ compresa la polvere da sparo, e che diversi francescani si segnalarono proprio per le loro attività alchimistiche (vedi ad es. P. Marshall, I segreti dell’alchimia, Corbaccio, 2001, e P. Cortesi, Pietra filosofale, Newton e Compton, 2002 – quest’ultimo testo è stato presentato nel n. 6 di Episteme). E’ altresì nota la stretta relazione tra ‘alchimia’ e ‘cattedrali medievali’ (es. Chartres) secondo lo spirito dei “costruttori” di templi, al cui novero, molto probabilmente, apparteneva Giuseppe, sposo di Maria, la madre di Gesù. E’ tutto un filone sotterraneo, che finalmente riaffiora col suo profilo indiziario, mai in precedenza preso in considerazione sotto questo particolare aspetto. E’ in effetti la chartula di San Francesco a fra’ Leone, nel contesto stigmatico della Verna, a fondare la possibilità di un percorso del genere, che non può essere facilmente smontato dal punto di vista logico e indiziario, per quanto appaia piuttosto incredibile, se non addirittura fantasioso. Noi stessi ne siamo rimasti sorpresi, e tuttavia folgorati dalla semplicissima evidenza che ci si è posta dinanzi, e che la nostra ‘ragionevolezza’ non riesce ad eliminare per quanto si renda conto dell’azzardo di questa singolarissima ricostruzione, decisamente fuori dai canoni. Giudicheranno gli agguerriti lettori di Episteme la debolezza dei nostri argomenti, facendoci cosa grata nel segnalarci le loro obiezioni. Da parte nostra abbiamo tentato di percorrere una via inusitata, sfidando l’ufficialità, per incamminarci sugli strettissimi sentieri che non appartenendo all’ortodossia, sono di difficilissimo transito. Che si debba severamente dubitare delle piste alternative ci sembra cosa altrettanto ovvia, come anche della certezza di certe ‘versioni ufficiali’, fatte passare per assoluta verità. Abbiamo cercato in definitiva di saggiare un banco di prova e d’accendere una flebilissima candela nell’oscurità d’una immensa cantina, certi soltanto che due torti non fanno una ragione, così come due punti neri, assommati fra loro, non ne restituiscono uno bianco. L’aver tentato di percorrere una via completamente nuova, potrà costuire senz’altro un vano conato e un incredibile azzardo, il cui sterile sforzo colpevolmente ci si addossa. Ma chi possiede la “verità”, a nostra differenza potrà facilmente dimostrarlo.
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Il mattino del giorno successivo al sabato, le discepole si recano al sepolcro per <<imbalsamare>> il corpo di Gesù, ma lo trovano vuoto (Mc 16, 1-8). Poco dopo apprendono che Pietro e i Dodici, fuggiti in Galilea, vi avevano incontrato Gesù, resuscitato dalla morte per mano di Dio (1 Cor 15,5). Ma questo è l’inizio d’un’altra storia.
<<Nonostante i suoi tratti dogmatici ed ecclesiastici estranei, il cristianesimo possiede ancora elementi essenziali delle spiritualità di Gesù, quali l’accento posto sulla purezza di intenzioni e di generosità del cuore, esemplarmente rappresentata da un Francesco d’Assisi che lasciò il mondo per servire i poveri e, ancora nel nostro secolo, da un Albert Schweitzer, che abbandonò il successo per curare i malati nella sperduta Lambaréné, e da una Madre Teresa che sino alla fine della vita si è presa cura dei moribondi nelle strade di Calcutta>> (G. Vermes, La religione di Gesù l’ebreo, Londra 1993, Ed. Cittadella, Assisi, 2002, pag. 265).
Dopo duemila anni Gesù, l’ebreo sapiente morto sulla croce, è ancora trionfante, qui accanto a noi, per <<sempre>>, come Egli stesso aveva assicurato. Il suo ‘messaggio’ ha di fatto percorso la storia del mondo. Gesù è davvero risorto nel cuore dell’umanità, come già aveva compreso Renan. Chiedendo scusa ai lettori per gli errori, le omissioni e le imprecisioni in cui siamo incorsi, possiamo chiudere questo articolo, che è soltanto il povero racconto di una serie di indizi letti in un certo modo e in una certa direzione, ricordando, in un momento storico come quello presente, caratterizzato da forti tensioni internazionali, da gravissime minacce di guerra, nonché da un presagio di catastrofi, la figura di un grande storico del francescanesimo, l’Avv. Arnaldo Fortini di Assisi, che così si espresse, oltre mezzo secolo fa: <<Il mondo non avrà pace fino a quando non avrà ritrovato l’Amore di Francesco>>. Per questa sua profetica frase Arnaldo Fortini fu segnalato per il Premio Nobel per la Pace. L’amore di Francesco, stimmatizzato alla Verna, fu la continuazione stessa dell’amore di Cristo. Per questa ragione dovremmo auguralmente aggiungere e ripetere, con Francesco d’Assisi, il suo motto di <<Pax et Bonum!>> che ne caratterizzò il perfetto esempio di vita cristiana che egli ci ha testimoniato e offerto nel millennio trascorso. La brillantissima stella che comparve sopra la grotta della “casa del pane” (Bet-lehem) illuminò gli occhi di tutti gli uomini di “buona volontà”, ma il malefico Pan non è ancora morto. * Un “sospetto” sensazionalistico best-seller (Michael Drosnin, Codice Genesi, Rizzoli, 2003), pretendendo di poggiarsi sull’autorità del matematico israeliano, Eliyahu Rips, esperto di teoria dei gruppi, annuncia che la Bibbia nasconderebbe un codice. Questo ‘codice’ sarebbe ‘esatto’, ed in grado di rivelare il futuro dell’umanità. Nella migliore delle ipotesi l’armageddon sarebbe previsto per il 2006. Non sappiamo se notizie come queste siano propalate ad arte, poniamo da alcuni ‘servizi segreti’ interessati al catastrofismo. Né possiamo credere che la Bibbia nasconda veramente un codice simile, capace di prevedere eventi a venire, per quanto anche lo stesso Newton nutrisse simili interessi ‘esoterici’. Ma l’attuale fase storica è terribilmente critica ed incertissima. Crediamo che soltanto la piena riscoperta del messaggio francescano potrà arrecare all’umanità una salvifica consapevolezza del proprio destino.