Il caso Giuseppe da Copertino
indagine sulla vita e i prodigi del santo che volava
(Goffredo Sebasti 2002)
Presentazione:
San Giuseppe da Copertino nacque nel 1603, in provincia di Lecce, e morì nel 1663 a Osimo, nelle Marche. Entrato nel 1625 fra i francescani, per la sua devozione alla Madonna fu ammesso al sacerdozio (1628), sebbene poco adatto agli studi. Predicò con semplicità nel Regno di Napoli ed esercitò una certa influenza sociale e politica anche presso le classi sociali più elevate. Ebbe fama di santità. Famosi furono i suoi “voli”: nelle estasi si sollevava da terra. Questi fenomeni avvennero anche davanti al papa Urbano VIII (1623-1644) e davanti a personaggi di alto lignaggio. Ciò gli provocò comunque delle accuse presso i tribunali ecclesiastici di Napoli e di Roma e lunghe relegazioni prima a Pietrarubbia (Macerata), poi ad Assisi e a Fossombrone. Si ritirò a Osimo, dove morì e dove è sepolto. Beatificato da Benedetto XIV nel 1753, fu canonizzato da Clemente XIII nel 1767.
Goffredo Sebasti gli ha dedicato un libro. Durante il soggiorno o relegazione presso il Sacro Convento della Basilica di San Francesco ad Assisi, si verificarono diversi “voli”.
Padre Giuseppe Zaccaria OFM Conv. – stimato bibliotecario del Sacro Convento – in Ricerche di Archivio – Assisi – Pagine sparse (Editrice Francescana 1972) gli ha dedicato vari pezzi: San Giuseppe da Copertino e l’ammiraglio di Castiglia; I voli di S. Giuseppe da Copertino e i privilegi di una confraternita; L’immacolata e gli estatici rapimenti del “Santo dei voli” ad Assisi; Un ritratto di Giuseppe da Copertino del pittore Sermei rinvenuto in Osimo; S. Giuseppe da Copertino tra i Frati Minori Cappuccini.
Anche per questa ragione, ricordando l’elevata figura morale e intellettuale di Padre Giuseppe Zaccaria, ho voluto inserire in “Misteri di Assisi”, un piccolo ‘ritratto’ di San Giuseppe, prendendo spunto dal recente libro di Sebasti. I “voli” di S. Giuseppe da Copertino precedettero la scoperta della gravitazione universale di Newton (pubblicata nel 1687).
***
<<Le cronache riferiscono che il 4 ottobre 1630, verso le otto del mattino, nella chiesa del monastero delle Clarisse in Copertino (Lecce) accadde un prodigio destinato a rimanere unico nella storia. Un frate, Giuseppe da Copertino, in seguito elevato dalla Chiesa all’onore degli altari, colto da estasi mistica, si sollevava da terra e passando sopra le teste dei fedeli andava a posarsi sul bordo del pulpito, a un’altezza di circa tre metri dal pavimento. In altre parole aveva volato. Di tali aerei “ratti” (che comportarono anche l’intervento dell’Inquisizione) nel corso della sua vita gliene furono attribuiti quasi duecento. Naturalmente la Chiesa lo proclamò Santo per ben altre ragioni. Dai documenti risulta, comunque, che i clamorosi prodigi che accompagnavano le sue estasi sconvolsero nell’Italia del ’600 intere folle di fedeli di tutte le estrazioni sociali, con forti ripercussioni anche in Europa. Un “caso” unico nella storia, dunque, non soltanto nella Chiesa. Nei secoli seguenti tuttavia, e fino a pochi decenni fa, la popolarità del Santo subì un progressivo declino. Al di fuori dei luoghi strettamente legati al suo culto, quasi se ne perse la memoria. Quale ne fu il vero motivo? Proprio in occasione del quarto centenario della nascita del Santo, caratterizzato da un considerevole rifiorire del suo culto, per la prima volta uno scrittore “laico”, attraverso uno studio approfondito dei documenti, cerca di far luce sull’intera vicenda >>.
**
Goffredo Sebasti è nato ad Alessandria d’Egitto, dove ha compiuto gli studi liceali. Laureatosi in lettere a Roma e specializzatosi in letteratura francese, è autore di numerose sceneggiature e soggetti cinematografici. Vive e lavora a Roma. Ha pubblicato il suo primo romanzo, La Tiorba, nel 1984.
INDICE
Premessa
Capitolo 1 – Un povero “idioto”
Capitolo 2 – L’adolescenza
Capitolo 3 – Stalliere del priore
Capitolo 4 – L’ordinazione
Capitolo 5 – I primi “segni”
Capitolo 6 – La “leggenda”
Capitolo 7 – Inizia il calvario: il “fattaccio” di Giovinazzo
Capitolo 8 – Un breve respiro
Capitolo 9 – L’Inquisizione
Capitolo 10 – In attesa della sentenza
Capitolo 11 – La condanna di un’assoluzione
Capitolo 12 – Vita al Sacro Convento
Capitolo 13 – All’apice della popolarità
Capitolo 14 – Segregazione definitiva dal mondo
Capitolo 15 – Epilogo
* * * * *
1. Si deve all’ottima penna di Goffredo Sebasti – romanziere, saggista e specialista in letteratura francese – il bel libro pubblicato dalla Sugarco, Il caso Giuseppe da Copertino (indagine sulla vita e i prodigi del santo che volava). Uscito nel 2003, questo saggio si occupa del ‘frate volante’ di origini pugliesi, al secolo Giuseppe Maria Desa, che per ben 14 anni, dal 1639 al 1653, risedette nel Sacro Convento della Basilica di S. Francesco in Assisi, qui compiendo (come narrano le cronache di presunti testimoni oculari, ad es. padre Roberto Nuti, superiore in Assisi vivente il frate, che scrisse una Vita nel 1678: cfr. Assisi, Biblioteca Comunale, manoscritto 126; oppure i Diari dell’abate Arcangelo Rosmi, Archivio Segreto Vaticano, Fondo Riti 2039) buona parte dei suoi prodigiosi ‘voli’, acquistandosi una fama di santità e una notorietà che furono ben presto di risonanza europea. Oltre il dono delle estasi, delle levitazioni, dei miracoli, delle guarigioni, della preveggenza e del discernimento degli spiriti, padre Giuseppe ebbe il dono della scienza, del consiglio, e quello di emanare un profumo particolare e duraturo (Elena Bergadano, Giuseppe da Copertino, ed. San Paolo, 1994, pag. 105). Il frate fu visto volare (Sebasti, pag. 88) in diverse posizioni, persino “alla rovescia”, ma anche rimanere immobile, sospeso nel vuoto come nel celebre episodio occorsogli nella Basilica Superiore d’Assisi gremita di gente (ai ” voli ” del frate l’Autore dedica una speciale rassegna).
Sebasti dichiara, nella premessa, di essersi avvicinato a questa singolare figura francescana dell’età della controriforma, attraverso un libricino devozionale, capitatogli in mano per caso: <<Da quelle paginette era emersa una figura di un misticismo sfolgorante, la storia di un santo tormentato all’inverosimile, sostenuto da una fede e da un amore per il suo Dio tali da generare, nonostante tutte le sofferenze, innumerevoli momenti di quella suprema felicità che prende il nome di estasi>>. Ma la figura di fra’ Giuseppe era andata sbiadendo nei secoli, e fuori da un certo ambito di fede poco più se ne sapeva, se non che avesse volato.
Il recupero storico di fra’ Giuseppe coincise con le celebrazioni del 1963, in occasione del III centenario della morte. Nel 2003 si è celebrata la ricorrenza della nascita. Negli anni ’50 avevano dedicato attenzione alla singolare vicenda del frate volante Alfio Giaccaglia con Il santo dei voli (Edizioni Paoline, 1956) e nientemeno che Claire Boothe Luce (I Santi che amiamo, Mondadori, 1956), giovane e bella ambasciatrice americana di origini italiane. Dopo la canonizzazione, avvenuta tardivamente a metà del ’700, di fra’ Giuseppe si era perduta ogni traccia di culto, se non ad Osimo, dove gli fu dedicata una chiesa. La riscoperta del ‘santo dei voli’ sembra perciò dovuta, ne viene il sospetto, all’età moderna impastata di tecnologia. I miracoli sono tali in quanto violano le leggi di natura, ma diventano, in prospettiva, più comprensibili in quelle età dove il clima culturale può meglio accostarsi al loro mistero. Si tratterebbe dunque di un effetto di ritorno. E non c’è dubbio, che l’ultimo secolo sia stato appunto quello del volo. Quindi la vicenda di fra’ Giuseppe, avvolta nel mistero dei suoi reali risvolti (alla cui analisi si dirige con intelligenza il saggio di Sebasti), è tornata d’attualità, tuttavia in una piega rivolta alla passato, così come la risonanza, che si diffuse in vita, potrebbe, al contrario, essere interpretata come una reazione miracolistica proprio nell’epoca della rivoluzione scientifica.
Accanto al lavoro di Sebasti si potrebbero citare il piccolo libro devozionale, ma ben scritto, di Elena Bergadamo, dedicato ai padri minori conventuali di Osimo, e il più recente lavoro di Ennio De Concini (Il frate volante, San Paolo, I ed. 1998, II ed. 2001), che data la professione dell’autore, si presenta piuttosto come un soggetto cinematografico, interamente dialogato e di ottima lettura, quindi un racconto, e non un saggio storiografico analitico, documentato ed articolato come quello di Sebasti, che possiede tutti i tratti d’una ricostruzione scientifica.
2. Il saggio di Sebasti consiste in un testo agile, esauriente, ben scritto e ben distribuito nelle sue 125 sapide pagine, corredato da pregevoli riproduzioni, da una cronologia riassuntiva e un’ottima bibliografia a tutto servizio del lettore che voglia accostarsi al singolarissimo “caso” di un santo francescano del seicento, che (si badi bene) “volava” e non ‘levitava’, come appunto Sebasti tiene a sottolineare (pag. 6). Si può subito rilevare una forte somiglianza tra Giuseppe da Copertino e padre Pio da Pietralcina, altro francescano del sud Italia, molto più vicino a noi, prima beatificato e poi fatto santo, la cui figura suscitò opinioni diverse, tanto è vero che, in termini non positivi, Mario Guarino ne pubblicò nel 1999 una “controstoria” dal titolo Beato Impostore – Controstoria di Padre Pio (ed. Kaos). In una noticina (pag. 15), Sebasti sottolinea che tale analogia non si limiterebbe ai soli caratteri somatici, assai somiglianti, per ricomprendere lo stesso carattere “ruvido”, la stessa estrazione sociale, le stesse esperienze di vita e le medesime tribolazioni. Il che suggerisce una sorta di vita parallela, con la singolare differenza che Giuseppe “volava” (si sollevava da terra di qualche metro fluttuando nell’aria), e lo avrebbe fatto molte volte, più di duecento, anche in presenza d’una folla, e non solo di pochi privilegiati spettatori. Fatto è che Giuseppe fu beatificato soltanto il 24 febbraio 1753, sotto il pontificato di Benedetto XIV (Prospero Lambertini: “Maximus in folio, minimus in solio“, ma l’ironico e caustico Pasquino, al quale si deve questa sintetica definizione, mostrò tuttavia d’apprezzarlo), quasi un secolo dopo la morte, avvenuta il 18 settembre 1663, poco prima della mezzanotte, per essere poi solennemente canonizzato in S. Pietro, il 16 luglio del 1767, da Clemente XIII (Carlo Rezzonico: << un papa devoto ma bigotto, istruito ma non colto, in linea con la tradizione da come si era invano battuto per la canonizzazione del Bellarmino, e che non aveva mai preso posizione sullo scottante problema dei Gesuiti >> (G. Rendina, Storia dei papi).
Secondo la testimonianza dei due medici presenti al trapasso, Giuseppe da Copertino sarebbe spirato (dopo penosa malattia che lo tenne in acuta sofferenza) in un sorriso: << Nella semi-oscurità, il suo volto rimase per diverso tempo vivacemente illuminato come da un fascio di raggi solari, che si andarono spegnendo lentamente >> (pag. 77). Lo spegnersi di questa sorta d’energia somiglierebbe assai alla stessa spiegazione (pag. 88) che fra’ Giuseppe forniva dei suoi voli, senza potersene dare una vera ragione: <<…l’anima vede certi raggi della grande Maestà di Gesù Cristo quali cagionano, poiché per sì gran lume l’uomo si muove così di ratto all’indietro. Ma poi che quei raggi si ritirano e così cagionano, quasi così facendo l’invito all’anima che di nuovo ella con il suo corpo voli e sia rapita verso il suo amato Signore >>. Le tante misteriose virtù del santo da Copertino, secondo il Rosmi si compendiavano in questo: << Così seppi con abbondanza di spiritual confidenza, che egli vede non con gli occhi corporali ma con gli occhi della mente, vede insomma l’anima sua come in un cristallo bellissimo de varij colori la Divinità di Gesù Cristo…>>. Sebasti ripercorre gli elementi fondamentali della sorprendente storia del frate e ce li presenta in un accurato impianto critico, che consente, in ogni caso, una prospettiva di giudizio, che si voglia credere ai tanti episodi miracolosi, sia che si preferisca restare scettici, come appare naturale di fronte a casi come questi.
3. Sull’autenticità dei “voli” di S. Giuseppe da Copertino (che si susseguirono in condizioni estatiche nell’arco di circa un trentennio dal 1630 al 1657), getterebbe un’aura di sospetto il notevole ritardo con cui furono conclusi i processi di canonizzazione. Un ritardo che avrebbe dunque invalidato tutte le testimonianze rese a distanza di decenni dai fatti, se non addirittura permesso manipolazioni o alterazioni. Ma Sebasti, dopo averlo sollevato, respinge quest’argomento, appellandosi ai ‘documenti’ e alle tante ‘testimonianze’ di quando Giuseppe era in vita e operava questi prodigi, che gli occorrevano senza alcuna preordinata intenzione ed in condizioni tutto sommato oggettive. E infatti le indagini per la beatificazione sarebbero iniziate già nell’ottobre del 1663, un mese dopo la morte. Nel 1668 si sarebbe chiuso positivamente il processo sulla ‘fama di santità’ e nel 1700 furono portati a termine e approvati i ‘processi apostolici’. ‘Avvocato del diavolo’, come si suol dire, fu il cardinale Lambertini, sotto il cui pontificato Giuseppe fu appunto “beatificato” a metà del secolo successivo alla morte.
Va notato che tale complesso ‘iter procedurale’ consiste ancor oggi in un “procedimento speciale”, capillarmente regolato dalle norme di diritto canonico e sempre di competenza della Santa Sede tramite la S. Congregazione dei Riti anche per viam non cultus, che nel caso della beatificazione, e una volta superata la fase d’avvio, continua con l’apertura del ‘processo apostolico’, e termina, quindi, con ‘l’esame dei miracoli’, fermo restando che nell’eventuale dubbio an tuto procedi possit ad beatificationem Servi Dei, è il Romano Pontefice che riserba a sé il decreto di beatificazione. Accertati posteriormente altri miracoli e riassunta la causa sempre presso la S. Congregazione dei Riti, si può giungere all’altro dubbio de tuto, circa il procedimento di canonizzazione. Se anche tale ‘dubbio’ è risolto in senso affermativo, il Pontefice stabilisce in concistoro il giorno della canonizzazione, che ha poi solennemente luogo nella Basilica Vaticana. Il procedimento straordinario o eccezionale per viam cultus, riguardava invece i servi di Dio che erano già oggetto di pubblico culto nel 1634, anno fissato da Urbano VIII nella Costituzione Coelestis Hierusalem del 5 luglio di quell’anno. In questo caso il processo ha soltanto lo scopo di confermare o non confermare tale antico culto e la sua ininterrotta durata, oltre che di vagliare la fama di santità, le virtù o il martirio, nonché gli eventuali scritti. La sintetica ricostruzione di Sebasti del lunghissimo iter di canonizzazione di S. Giuseppe da Copertino lascia un po’ a desiderare per qualche dettaglio, sebbene (pag. 107) sia riportata dal Breve Beatificationis l’interessante ed assai elogiativo giudizio del Lambertini, ormai papa Benedetto XIV: << Da questa intima unione con Dio, il suo cuore fu così travolto dal fuoco della Divina carità e così profondamente arso da incredibile amore di interiore dolcezza, che spesso prorompeva in estasi e levitazioni; per intenso desiderio del suo Dio, mentre ancora era trattenuto sulla terra, fu considerato cittadino del Cielo… >>. Si può dire che ogni epoca ha i suoi santi. Padre Pio operava strani fenomeni ed è un santo della fede di massa, che impetra guarigioni. Papa Giovanni Paolo II ha beatificato una folla eterogenea di Servi di Dio, tra questi anche Francesco Faà di Bruno (1825-1888), astronomo fisico e matematico nato ad Alessandria, progettista della chiesa di santa Zita a Torino, con l’agilissimo campanile alto 75 metri, sormontato da un elegantissimo angelo di bronzo dorato. Ma un nuovo Giuseppe da Copertino sarebbe oggi impensabile, ed è questa un’enigmatica sfaccettatura, che sembra balzare evidente agli occhi. I santi moderni compiono altri eventuali miracoli, legati al nuovo clima d’epoca e soprattutto alle aspettative religiose di massa.
4. Giuseppe fu canonizzato procedendo – ci fa sapere Sebasti – “con i piedi di piombo” e in tempi molto lunghi. La prima spinta provenne dal cardinal Brancati, che fu grande amico del santo e addirittura destinò tutte le sue sostanze ad un fondo per finanziarne la ‘causa’. Ma la beatificazione prima, e la santificazione dopo, non avvennero a diretta causa dei ‘miracoli volanti’ e delle ‘estasi mistiche’, bensì per le virtù stesse del frate, cioè in sostanza la sua eroicità cristiana e religiosa (pag. 7). Il papa accenna, en passant, alle ragioni dei casi di “levitazione” (non quindi ai “voli”), che sarebbero consistiti nella tensione verso Dio, quasi nello sforzo sovrumano di innalzarsi letteralmente al cielo. Ma è noto che fra’ Giuseppe aveva una particolare venerazione per la Madonna, e questo ‘dato certo’ introduce nelle estasi un elemento particolare, che non sembra collimare del tutto con la motivazione del Breve. Accanto al legittimo dubbio sull’impossibilità di eliminare ‘col pensiero’ la forza di gravità, altri dubbi possono riguardare la personalità del frate, che pure fu d’accorato sentimento cristiano e francescano (egli chiamava Malatasca il demonio, ma può darsi che fosse questa la lontana memoria di un violento trauma infantile, come meglio si vedrà). E’ possibile che l’energia estatica di fra’ Giuseppe derivasse dalla sublimazione d’un grave stato di sofferenza e da una grande carenza affettiva, che dunque si scatenasse dal profondo, in modo magmatico e mistico, e da qui, da questo sentire ultimo, potrebbe essere che gli provenissero fede e miracolosa santità. Quella di Giuseppe è una storia tutta particolare, che proveremo a ripercorrere in sintesi, rinviando alla godibilissima lettura del saggio i necessari dettagli.
Durante il noviziato presso i Minori di Martina Franca (1620) Giuseppe fu bollato dai sui superiori con giudizi estremamente negativi: di non essere assolutamente atto alla religione, di essere persona ‘stolida e trascurata’, e fu anche considerato un ignorante, e come se non bastasse, un “idioto”. Nel 1621 fu espulso per inettitudine. Ciò non ostante divenne sacerdote dopo tre anni d’intensa preparazione (1625-1628), superando “miracolosamente” tutti gli esami. Ed ecco un pensiero di Giuseppe, riportato da Sebasti nel frontespizio: << Dio mi fa conoscere la mia nihilità, e la grandezza della Maestà Sua, ed ammiro questo fatto, donde si cava materia d’amore acceso verso il Creatore e l’uomo si compiace del suo niente per compiacersi dell’immensità di Dio >>. Una riflessione degna di S. Francesco, quantomeno data nello spirito d’umiltà del grande Santo. Fra’ Giuseppe fu considerato un teologo dell’anima, e a lui si fece talvolta ricorso per illuminanti consigli.
Il brevissimo ‘profilo’ di Giuseppe da Copertino (quale si può scorrere velocemente in un dizionario enciclopedico) potrebbe essere questo: << Mistico francescano (Copertino, Lecce, 1603 – Osimo 1663). Entrato nel 1625 tra i francescani conventuali, per la sua virtù e la particolare devozione alla Madonna fu ammesso senza esami al sacerdozio (1628), anche se era poco adatto agli studi. Percorse il Regno di Napoli predicando con grande semplicità e fervore; esercitò una profonda influenza sociale e anche politica presso i nobili e i prìncipi del suo tempo, ed ebbe larga fama di santità e di miracoli. Famosi furono i suoi “voli” (durante l’estasi si sollevava da terra), avvenuti anche di fronte al papa Urbano VIII (1623-1644: Maffeo Barberini, nato a Firenze da una ricca famiglia di commercianti ed esaltato dal Chiabrera in occasione dell’Anno Santo del 1625 – n.d.r.) e ai prìncipi: ma essi gli procurarono anche numerose accuse presso i tribunali ecclesiastici di Napoli e di Roma, che lo sottoposero ad esami e lo condannarono a lunghe relegazioni a Pietrarubbia (Macerata), Assisi e Fossombrone. Poté infine ritirarsi nel 1657 ad Osimo (qui avvenne l’ultimo “volo” poco prima del Natale di quell’anno – n.d.r.), dove morì e dove fu sepolto nella basilica a lui dedicata >> (fonte precisata dal Dizionario UTET: AA.VV., “Biblioteca Sanctorum”, Roma, 1965).
Questo il profilo minimo essenziale del santo da Copertino. Soprattutto noto per i suoi prodigi, avrebbe letteralmente spiccato (secondo il Rosmi) più di cinquanta voli nel solo periodo dal 1645 al 1647, e i cui “voli” principali, riportati in apposita evidenza da Sebasti (cap. 18, pagg. 91 ss.), sarebbero i seguenti: il primo volo, non si sa bene, se nel monastero delle clarisse di Copertino o nella chiesa di Grottella, che sarebbe avvenuto (Rosmi) nel secondo anno di sacerdozio, il 4 ottobre 1630, nella ricorrenza della festa di S. Francesco; altri voli, nel 1636, sempre a Grottella, e poi a Copertino, nel 1637; il 27 novembre 1638 a Napoli, davanti ai giudici dell’Inquisizione; poi il gruppo di voli nella Basilica di Assisi, tra i quali quello del 1639, quelli del sabato santo 1646, del 7 giugno 1646 (davanti all’Ammiraglio di Castiglia), dell’agosto 1646 (festa del Perdono), del settembre del 1646, del novembre 1646, del 24 dicembre del 1646, del 21 aprile 1647; ed infine il volo di Osimo, poco prima della ricorrenza di Natale, nell’anno 1657.
Sebasti sottolinea che non si trattava di semplice levitazione (da ‘levitas’), ma di voli veri e propri, con notevole distacco da terra, in certi casi fin quasi all’altezza di tre metri (fluttuando nell’aria), spesse volte davanti ad una statua lignea della Madonna, che si trovava appunto nella Basilica di S. Francesco ad Assisi. A tal fine viene riportata in appendice anche una tabella delle misure in uso nel Seicento.
Secondo il dizionarietto parapsicologico annesso alla Guida all’occultismo di Julien Tondriau (Garzanti, 1976: Tondriau è stato direttore dei musei d’Arte e di Storia belgi per il dipartimento dell’Estremo Oriente), la levitazione è la facoltà per cui una persona è in grado di mantenersi sospesa nell’aria (orizzontalmente) senza alcun appoggio. Diverso concetto è quello della telecinesi (al quale l’accennata ‘voce’ rinvia), che secondo Myers consisterebbe nella forza materiale (sic) che interviene nel fenomeno telepatico. In generale, si tratterebbe della facoltà di sollevare o di muovere oggetti a distanza, senza contatto diretto né indiretto. Con la ‘teleplastica’, René Sudre la colloca nel campo che egli chiama della meta o para-psicofisica, pensando a una forza dovuta al ‘fluido’ psichico. Sebasti vuole dirci soltanto (quali ne siano le ragioni) che fra’ Giuseppe ‘volava’ nel senso che letteralmente si sollevava da terra e si muoveva in senso orizzontale, in un caso (come narra il Nuti) avendo sollevato con lui altra persona.
Dato e non concesso che fra’ Giuseppe si sollevasse da terra in virtù d’un autentico prodigio estatico, almeno in un caso sappiamo con esattezza di quanto si fosse potuto sollevare davanti all’affresco di Cimabue posto nella Basilica inferiore di Assisi, transetto di destra, che rappresenta la Madonna in trono con Gesù in braccio ed accanto S. Francesco. Ha ragione Sebasti (almeno in astratto) a parlare di autentici voli e non di levitazione, nel senso che più e più volte gli sarebbe occorso di staccarsi da terra e spostarsi dalla verticale.
Un’insolita dimostrazione, considerata da alcuni parapsicologi come un’autentica prova di levitazione, è quella che prende nome di ‘levitazione a otto dita’. Il sensitivo chiede l’aiuto di quattro persone: una prende posto su una sedia, le altre tre lo aiuteranno a sollevarla. Altri autori parlano anche di cinque persone. Segue una serie ben definita di movimenti, a un dato ritmo prestabilito secondo un certo schema, e in definitiva, quando lo sperimentatore dice di “sollevare”, le quattro persone riescono facilmente a sollevare in aria la persona seduta. Ovviamente c’è contatto fisico e la spiegazione del fenomeno consisterebbe, appunto, nella migliore coordinazione dello sforzo sostenuto. Il caso dell’auto-levitazione è ovviamente del tutto diverso. A parte il trucco della corda indiana, già in antico erano conosciuti fenomeni simili. Il Prof. Georg Luck, illustre studioso di storia e di letteratura greco-romana, autore del pregevolissimo saggio Il magico nella cultura antica (Mursia, 1994), accenna (pag. 26) a Gesù di Nazareth, a Simon Mago e ad Apollonio di Tiana. Nella Vita di Apollonio di Tiana scritta da Filostrato si riferisce di fenomeni di levitazione ai quali avrebbe assistito Apollonio stesso. Gesù, come ben si sa, ascese al cielo. Gli Atti degli Apostoli, Eusebio di Cesarea e il martire Giustino (ad es. nel Dialogo con l’ebreo Trifone, cap. 120) riportano notizie sulla sfida volante che sarebbe avvenuta a Roma, sotto Nerone, tra S. Pietro e Simon Mago. Un’eccellente ricostruzione di questo leggendario evento è stata fatta dal dottissimo Carlo Pascal (1866-1926) nel suo Nerone (ediz. Ecig, 1994, pag. 121 ss.). Ci sarebbe poi la leggenda della Casa Santa di Loreto. Narra la tradizione che il 10 maggio 1291, essendo stata in quell’anno invasa la Palestina dai Maomettani, la casa della Sacra Famiglia a Nazaret fu miracolosamente trasportata da mani angeliche sopra il colle di Tersatto, presso Fiume. Il 10 dicembre 1294 la Casa sparì da Tersatto e comparì al di qua dell’Adriatico nelle vicinanze di Recanati, in mezzo ad un bosco di lauri, donde il nome di Lauretum, Loreto. Sorse così la Basilica. Il primo santuario risale infatti a quell’anno 1294, ma l’attuale chiesa venne iniziata nel 1468. Sembra che tra gli illustri visitatori di Loreto debbano essere annoverati anche Galileo Galilei e Cartesio.
5. Fra’ Giuseppe Maria nasce il 17 giugno 1603, lo stesso anno in cui Federico Cesi fondava l’Accademia dei Lincei. Era figlio di Felice Desa, un artigiano che godeva di una certa stima e di buone amicizie, e di Franceschina Panaca, sposata a 14 anni, di modesta estrazione, ma imparentata ad esponenti di spicco della curia locale. Copertino, a pochi chilometri da Lecce, era un paesotto del Regno di Napoli, già ricompreso nella contea dei Brienne e poi d’Enghien, la cui popolazione viveva nell’indigenza come in qualsiasi villaggio dell’Italia di quei tempi. E’ questo il secolo d’oro della Spagna, legata alla Chiesa da un forte radicamento di comuni interessi politici. Nel Viceregno Borbone si coglievano, afferma Indro Montanelli, gli effetti devastatori del neo-feudalesimo spagnolesco e riformista. Il che ci sembra coerente cornice per uno spaccato d’ambiente. In quest’epoca la peste uccise più di mezzo milione di persone ed è in quegli stessi anni della vita di fra’ Giuseppe che Manzoni ambienta la vicenda lombarda dei Promessi sposi. Il padre di Giuseppe, Felice Dessa, venne nominato curatore del castello di Copertino, appartenente al duca di Acerenza, Galeazzo Pinelli. Ma Felice fu travolto dall’avallo di cambiali per una somma enorme per quei tempi (1000 ducati), e costretto a fuggire per sottrarsi alla carcerazione, lasciando pressoché vedova la moglie, con tre figli da badare. Appena compiuti 7 anni, Giuseppe si ammala gravemente e per circa quattro anni è costretto ad una completa inerzia da un bubbone purulento alla natica, di notevoli dimensioni (un’ulcera cancerosa della grandezza di un melone), che lo immobilizza a letto, causandogli probabilmente quel ritardo di cui avrebbe sofferto. Sembra, poi, che sia guarito miracolosamente da questa stranissima ed inspiegabile malattia, quando un vecchio cerusico, vista l’inutilità delle cure, gli cosparse la ferita con un po’ d’olio tratto da una lampada votiva alla Vergine. I biografi lo descrivono ben piantato e più alto della media. Volto pesante e marcato. Somigliante a Padre Pio. Lentezza di riflessi e congenita difficoltà d’apprendimento lo caratterizzano. “Fanciullo un poco risentito” lo descrive un testimone (pag. 15). Fatto è che Giuseppe ebbe sempre un’immensa venerazione per la Vergine Maria, proclamandone a viva voce l’immacolata concezione (il dogma venne ufficialmente sancito da Pio XII in età moderna). Entrato in convento, diciassettenne (1620), viene spogliato e letteralmente buttato fuori dai Cappuccini di Martina Franca per la sua inettitudine. Riesce tuttavia a farsi accogliere (grazie soprattutto all’intercessione materna) al convento della Madonna della Grottella, dove trascorre quasi un anno, nascosto nel sottotetto della chiesa e protetto da un frate impietosito. Si ammala di dissenteria. Sono poi i frati stessi (uno zio materno e uno zio paterno che ricoprivano certi incarichi) ad agevolarlo per un recupero. Inizia, in questo modo, un rinnovato percorso, che lo condurrà infine all’ordinazione (per i dettagli, pag. 22 ss.). Al termine del 1629, cominciano a manifestarsi i primi segnali estatici che consistono in una sorta di caduta in ‘trance’. Ed ecco che viene la mattina del 4 ottobre 1630, festa di S. Francesco. Nel corso della processione, fra’ Giuseppe, dopo aver indugiato su un dipinto raffigurante il Santo, lancia un grido e cade in estasi. Irrigidito nelle membra come una statua, si solleva lentamente da terra e tra un delirio di grida, di singhiozzi e d’invocazioni avrebbe “volato” al di sopra delle teste, andandosi a posare sul bordo del pulpito rimanendovi a lungo immobile (Sebasti, pag. 29, manca di riferire come ne sia disceso). Da qui la serie di “voli”, che tuttavia non furono causa espressa della tardiva canonizzazione un secolo dopo. Col primo manifestarsi di queste sorprendenti capacità fra’ Giuseppe venne quindi facilmente ‘esibito’ con scusa devozionale e condotto in giro nelle predicazioni per le terre del regno di Napoli. Fino alla c.d. truffa o “fattaccio di Giovinazzo” (cap. 7, pag. 35 ss.), che segnò l’inevitabilità d’un procedimento inquisitorio. E siamo arrivati al 1636, quando Giuseppe aveva già 33 anni.
6. Il saggio di Sebasti è assai gradevole: si lascia leggere molto bene, scorre agile e leggero nel suo percorso a tappe, e per quanto di ottima scrittura letteraria, conserva tutti i tratti scientifici d’un ‘dossier’ storiografico. Non è tuttavia uno studio mirato alla capillare ricostruzione biografica, bensì un lavoro d’indagine sull’effettività dei voli, ed è questo infatti l’argomento che sta più a cuore all’Autore, che per quanto laico e razionalista, si manifesta tuttavia convinto della verità tradizionale dei voli miracolosi, sulla base della qualità e quantità delle testimonianze, peraltro molto ben raccolte ed analizzate. Siamo arrivati al giugno del 1636, alla c.d. “truffa” di Giovinazzo. Compare sulla scena un personaggio ambiguo, che giocherà un ruolo importante in due diversi momenti della vita di Giuseppe: padre Antonio da Santo Mauro, nominato da poco ministro provinciale dei Minori Conventuali. Il giudizio di Sebasti su questo frate è negativo. Padre Antonio avrebbe in realtà ‘usato’ fra’ Giuseppe, portandolo con sé in giro per più di un anno. Nel Duomo di Giovinazzo (in costanza della festività del Corpus Domini ricolmo di folla) Giuseppe viene ‘esibito’ come un fenomeno da baraccone: durante la celebrazione della messa i fedeli sono tutti in attesa del promesso miracolo, ma non avviene nulla; il padre guardiano Diego da Cindario, gli si avvicina più volte e gli mormora l’obbedienza. All’improvviso Giuseppe lancia un urlo e viene colto da convulsioni. Ma nulla accade. Invece, nel monastero delle monache di clausura, dove fu subito condotto, le cose cambiano. Lo vedono alzare il capo, illuminarsi in volto, e poi, dopo aver lanciato il solito grido ed essersi irrigidito, lo vedono “saltare” in un colpo solo, e sempre ginocchioni, i tre gradini che lo separano dall’altare, e lì rimanere immobile per lungo tempo, tra lo sgomento delle monache (pag. 38). Il fatto arriva alle orecchie dell’Inquisizione, che apre un procedimento (21 ottobre 1638). Gli interrogatori iniziano a novembre. Giuseppe è inizialmente in carcere. Ma durante il lungo processo non si verificano “moti” di sorta. Giuseppe non corre eccessivi rischi di figurare come indemoniato. La cosa potrebbe finire lì, con una reprimenda e con l’allontanamento precauzionale. Se non che, prima di chiudere l’istruttoria, venne ordinato a Giuseppe (pag. 46) di celebrare una messa a porte chiuse, probabilmente per allontanare ogni sospetto diabolico. E’ in questa occasione, che dopo aver celebrato, fra’ Giuseppe cade nuovamente in estasi: lanciato un urlo, comincia a sollevarsi da terra! L’incartamento processuale viene rimesso al Sant’Uffizio, e Giuseppe parte per Roma, per ritrovarsi, alla fine, relegato nel Sacro Convento di Assisi. Sebasti ci fa sapere (pag. 48) che del caso si occupò il direttamente il papa in persona, anche se Urbano VIII (Maffeo Barberini, nato a Firenze nel 1568 da una ricca famiglia di commercianti) si limitò apparentemente soltanto a presenziare alla cerimonia d’assoluzione. Il 18 febbraio 1639 viene stabilito che fra’ Giuseppe non può essere tacciato di “ostentazione di santità”, come viceversa di “abuso della credulità popolare”. Viene inviato ad Assisi, in una sorta di segregazione precauzionale e dietro admonitio. Qui trascorrerà ben quattordici anni fondamentali della sua vita, prima di ritirarsi ad Osimo (in effetti in modo ancora una volta coatto), dove morirà. Questa l’ingiunzione (pag. 51): <<La Sacra Congregazione ordina che il padre Giuseppe venga inviato nel convento di Assisi, e ivi trascorra la sua vita lontano e isolato dal resto del mondo>>. Ma Assisi e il sacro Convento annesso alla Grande Basilica non erano certo un luogo fuori dal mondo, l’eremitaggio destinato ad un reprobo mandato assolto. Questa straordinaria singolarità colpisce non poco e sembra piuttosto segnalare un’effettiva incertezza circa il vero aspetto del confino. Allontanando in questo modo lo stranissimo Giuseppe, in realtà lo si immise letteralmente nell’occhio del ciclone, nel turbine d’una risonanza, che infatti divenne, di lì a poco, clamorosa. In questi rapidi passaggi, che non debbono togliere il piacere di leggere il bel saggio di Sebasti, preferisco ignorare le successive ed abbastanza oscure relegazioni di Pietrarubbia e di Fossombrone prima del ritiro definitivo ad Osimo, mentre segnalo che nell’appendice bibliografica del saggio sono puntualmente citati tutti gli incartamenti segreti del Vaticano inerenti al processo inquisitorio.
7. Il Prof. Bartocci, curatore di Episteme, deve averci messo un pizzico di malizia accanto alla consueta generosità, nell’affidarmi la recensione del libro di Sebasti. Egli sa che sono nato e abito in Assisi, e che avrei preso a cuore il ‘caso’, vuoi per spirito di parte e sia pure per curiosità d’indagine (in verità alquanto difficile, sebbene agevolata assai dall’ottimo ed assai ben documentato testo in commento). A questo punto il peso si raddoppia sulle mie povere spalle. Mi disse, giorni addietro, nel suo studio presso il Dipartimento di Matematica dell’Università di Perugia: << Prendi tempo, nessuna fretta, fa con comodo >>. E invece mi sono sentito bruciare dalla curiosità, perché (a parte il bel libro, che occorre leggere per il piacere stesso che fornisce l’attenta ricerca) il ‘caso’ merita davvero, e sembra per altro non esaurito, poiché l’Autore, dopo aver presentato la sua ottima ricostruzione della vicenda, solleva in chiusura questioni a dir poco interessanti. L’impressione che ricavo è che in ogni caso Sebasti, con un ottimo dosaggio di materia, abbia voluto in qualche modo affrontare soprattutto la questione dei “voli”, presentandola con effettiva oggettività documentale. Non ha scritto una biografia e neppure ha inteso sviscerare ad es. tutti i risvolti della canonizzazione, in verità piuttosto tarda e denotata da qualche ambiguità.
La copertina chiarisce che << di tali aerei ‘ratti’ nel corso della sua vita gliene furono attribuiti quasi duecento. Naturalmente la Chiesa lo proclamò Santo per ben altre ragioni. Dai documenti risulta comunque che i clamorosi prodigi che accompagnavano le sue estasi sconvolsero nell’Italia del ’600 intere folle di fedeli di tutte le estrazioni sociali, con forti ripercussioni anche in Europa. Un ‘caso’ unico nella storia, dunque, non soltanto della Chiesa. Nei secoli seguenti tuttavia, e fino a pochi decenni fa, la popolarità del Santo subì un progressivo declino. Al di fuori dei luoghi strettamente legati al suo culto, quasi se ne perse la memoria >>. Occorre perciò domandarsi << quale ne fu il vero motivo >>. Sebasti, che è uno scrittore ‘laico’ (come si definisce egli stesso, pag. 6), con questo saggio ha cercato di fornire una chiara risposta alla sola domanda se il santo volasse davvero, opinando in definitiva per la quasi certezza dell’autenticità di questi ‘voli’ nel senso sopra precisato. Egli tuttavia conclude il suo lavoro con queste interessanti espressioni, gravide di prospettiva critica potenziale: << Al di là delle considerazioni strettamente ‘tecniche’ esposte in questo lavoro, alle quali non voglio dare significati diversi dallo scopo che mi sono prefisso di una indagine storica complessiva sull’argomento, permane quel grande ‘mistero’ che sottende da sempre la storia della santità nelle sue più svariate manifestazioni. Il mistero di un disegno i cui lineamenti si riesce talvolta ad intuire, più che a decifrare completamente >>. E subito di seguito: << Forse non è nemmeno da trascurare una strana coincidenza temporale: la canonizzazione di Giuseppe da Copertino avvenne nel luglio del 1767, in pieno secolo dei lumi. La Chiesa consacrava così, alla vigilia di uno dei più grandi rivolgimenti della storia, la vita di un uomo che arse d’amore per il suo Dio fino all’inverosimile, sommerso da un subisso di grazie e di inspiegabili prodigi strettamente legati alla sua fede e alla sua santità >>. << Queste arcane, ‘oltraggiose’ manifestazioni mistiche, in stridente contrapposizione alla nuova logica che scaturirà dall’epocale evento della Rivoluzione francese, non saranno forse una pesante sfida a quella ‘Ragione’ che verrà divinizzata di lì a poco? >>.
L’interrogativo di Sebasti, assai ben collocato al termine della sua ricerca, sembra collimare con la ragione di fondo della ‘recensione’ affidatami da Episteme, con ampia libertà di convincimento. Potrebbe darsi, infatti, che la Chiesa abbia per così dire colonizzato gli ‘avvenimenti’ (misteriosi sì, ma forse non così eccezionali e del tutto aldilà dell’umana misura), proprio come reazione al razionalismo, che con la rivoluzione scientifica del Secolo d’oro e poi dell’Età dei lumi, stava ampiamente penetrando negli strati sociali. Bisogna poi vedere che ne pensa oggi il Cicap di queste versioni ‘fideistiche’ pur sempre collocate nell’ambito del fenomeno religioso, e controllare eventuali elementi di sano scetticismo, che pur criticamente presenti nell’Autore recensito, vengono per così dire fatti digerire all’interno d’una pur attenta e pertinente indagine documentaria, con la propensione tuttavia ad ammettere una realtà ‘miracolosa’, come tale razionalmente inspiegabile e fine a se stessa.
La vita di Giuseppe da Copertino si svolse in quell’arco stesso di tempo che vide l’affacciarsi della rivoluzione scientifica, con Galilei, Keplero e Cartesio, per citare i più grandi. La canonizzazione del santo seguì poi nel secolo dell’Illuminismo e dell’Enciclopedismo scientifico. Durante la vita di fra’ Giuseppe e il primo manifestarsi delle singolarissime estasi alle quali i “voli” si accompagnavano, Galileo aveva subìto il primo interrogatorio dell’Inquisizione il 12 aprile 1633. Il 22 giugno aveva pronunciato l’abiura. Invece Cartesio si mantenne assolutamente cauto e nascosto. Morì in Svezia nel 1650 (e forse fu avvelenato; vedi ad es. Eike Pies, Il delitto Cartesio, Sellerio, 1999). Keplero (morto nel 1630) era, fortunatamente per lui, protestante e viveva in altri climi. La Chiesa cattolica aveva scatenato la controriforma con il Concilio di Trento (la prima sessione è del 1545), sant’Ignazio di Loyola aveva fondato la Compagnia di Gesù nel 1534, Paolo III l’aveva approvata nel 1540, e nel 1542 Roma aveva ripristinato l’Inquisizione sul modello spagnolo. Da quasi un secolo la Chiesa si era apprestata alla strenua difesa della ‘fede’, in contrasto con quella che sarebbe poi stata la linea critica dell’età dei lumi. Il caso del santo da Copertino sembra perciò cadere perfettamente in regola, proprio al momento giusto. Si tratta di vedere quanto in regola. Gli scettici (benvenuti tutti i possibili dubbi) hanno qui i loro ottimi argomenti di diffidenza anche sul piano storico (per quanto attenta e capillare appaia, a buona ragione, la ricostruzione di Sebasti della pur non chiara vicenda del santo che volava), in aggiunta naturalmente ai dubbi scientifici circa l’impossibilità fisica di voli simili. Non aveva forse detto Leonardo da Vinci che la natura non infrange mai le proprie leggi? Ma Ruggero Bacone, il Doctor Mirabilis, aveva pure affermato che, benché non tutto sia permesso, tutto è possibile. Si trarrebbe, allora, di scegliere tra queste due diverse ‘epistemologie’ del ‘miracolo’. L’una che lo nega con atteggiamento moderno, l’altra, più possibilista, che ne contempla un’esplicabilità ulteriore ma remota, ai confini di una ‘ragione’ che può maturare solamente con il tempo.
Ci sorprende però il fatto che l’agguerrito storico assisiate Antonio Cristofani, un razionalista della fine dell’800, non citi neppure di passaggio, nelle sue Storie di Assisi (A. Forni Editore, ristampa 1980), il santo di Copertino, che pure attirò ad Assisi folle di fedeli e illustri personaggi europei d’ogni sorta, e che fu pure ritratto da Cesare Sermei, un buon pittore originario di Orvieto. Questi, successivamente stabilitosi ad Assisi, ivi visse e lavorò, lasciando opere anche nella Basilica. Nella cittadina umbra, nel XVII secolo, e proprio al tempo di fra’ Giuseppe, erano fra i più attivi due pittori, il Sermei (un tipico rappresentante del manierismo romano) e l’assisiate Girolamo Martelli, ambedue discepoli del Nebbia. L’incontro coi due artisti era facilitato dalla loro presenza nella Basilica e nel Sacro Convento. Ed infatti, nel 1645, essi ricevettero l’incarico di dipingere nella cappella privata del santo un’effigie dell’Immacolata Concezione. Fa sapere il Nuti (autore della Vita sopra ricordata), che interpellato al riguardo, il santo cadde in estasi, e rigido come una statua o corpo senz’alito di vita, rimase in levitazione per più di mezz’ora. Quindi, il Sermei, avrebbe pure eseguito un ritratto di fra’ Giuseppe, che di fatti fu ritrovato nel 1963, a Osimo, durante l’apprestamento degli studi e delle celebrazioni per l’anniversario della morte. Il silenzio del Cristofani su fra’ Giuseppe ha necessariamente il suo peso. Sebasti ci fa sapere che, in effetti, la presenza ad Assisi del frate volante finì per attirare folle strabocchevoli, creando addirittura un circuito commerciale di reliquie, ad es. la vendita di cappucci o berretti toccati dalla mano del frate (pag. 65) e quant’altro si può immaginare in tali circostanze. Per incontrare fra’ Giuseppe si mosse addirittura Giovanni Federico di Sassonia duca di Brunswick, il principe tedesco che amava visitare le corti europee. Trovandosi a Roma nel 1651, volle raggiungere, nel febbraio di quell’anno, Assisi, accompagnato dal marchese Reolcan, dignitario di corte e luterano convinto, per assistere alla messa officiata dal frate leccese, il quale, al momento della consacrazione, tenendo tra le dita l’Ostia santa, si sarebbe sollevato da terra (Sebasti, pag. 66). Federico di Brunswick rimase così scosso dal miracolo, così impressionato dall’avvenimento, che, rinnegata la fede luterana, si convertì al cattolicesimo. Il fatto è ripercorso anche da Giuseppe Alaimo (Alla frontiera del possibile, Longanesi, 1976, pag. 103-104), ma quest’autore fornisce un’altra datazione, l’anno 1645 anziché il 1651. Riteniamo attendibile la ricostruzione di Sebasti, per quanto l’episodio del volo avvenuto davanti all’Ammiraglio di Castiglia (da Sebasti collocato al 7 giugno 1646: cfr. pag. 97), secondo la versione fornita da padre Zaccaria (bibliotecario del Sacro convento negli anni ’70, che segue la Vita del Nuti) sarebbe, invece, avvenuto nel 1645. Tra le visite di rango Sebasti (pag. 56) ricorda anche quella del principe Giovanni Casimiro Waza, fratello del re Wladislao di Polonia. Costui era venuto in Italia con l’intenzione di entrare nella Compagnia di Gesù, ma fra’ Giuseppe (come racconta il Cardinal Brancati) lo ricevette con toni bruschi e dichiarò che la tonaca non gli si addiceva. Ciò nonostante, il principe divenne cardinale ma dovette abbandonare la carica ecclesiastica quando assunse il titolo di re di Polonia. Morì in esilio a Parigi e con lui la dinastia si estinse. Tra il Waza e fra’ Giuseppe intercorse una fitta corrispondenza. Assisi fu davvero la grande ribalta del santo dei voli.
8. A questo punto vorremmo introdurre una nostra ipotesi, che potrebbe sorreggersi se e soltanto siano esatte la datazione e le oscure circostanze alle quali in via presuntiva ci riferiamo. Secondo il Cristofani (op. cit., pag. 417) Cristina di Svezia sarebbe stata presente ad Assisi un certo anno, collocabile all’epoca del suo primo arrivo in Italia, quando fra’ Giuseppe poteva ancora trovarsi nel sacro Convento, dopo il confino di Fossombrone e prima del ritiro ad Osimo. Cristina di Svezia (Stoccolma 1626 – Roma 1689) aveva abdicato nel 1654 (Cartesio era morto nel 1650), a favore di Carlo X Gustavo. Dopo l’abdicazione, venne a Roma e qui si circondò di cardinali antispagnoli, e tentò invano di divenire regina di Napoli. Tornò in Svezia nel 1660. Rientrata a Roma una seconda volta, abbandonò la politica e vi morì nel 1689, dopo aver avviato un circolo d’artisti e letterati dal quale nascerà poi l’Accademia dell’Arcadia. Durante il suo primo soggiorno romano Cristina di Svezia si sarebbe recata in visita ad Assisi, il dato è certo, diretta alla Basilica di San Francesco (ed infatti soggiornò, per la rapida visita, in un grande palazzo, Palazzo Vallemani, poco lontano dalla Basilica). Nel 1653 fra’ Giuseppe viene mandato al convento dei cappuccini di Pietrarubbia per ordine del Sant’Uffizio. Ciò a cagione del fatto (Sebasti, pag. 68-69) che a Roma lo si accusò di macchinazioni (si mormorava che nella sua piccola cella avvenissero ‘piccoli conclavi’ con la partecipazione di alte cariche ecclesiastiche) contro il pontefice Innocenzo X, per favorire la successione al soglio di Pietro di un alto prelato esiliato dal papa a Todi. Ad Assisi volevano recarsi in visita nobildonne “straniere”, poco gradite dal papa regnante: la duchessa di Parma Margherita dei Medici, dell’odiata casa Farnese, Maria dei duchi di Mantova, Eleonora di Boemia ecc. L’infanta di Savoia, Francesca Maria Apollonia, devota del frate, fu tra le prime persone a fiutare odor di congiura. Fatto è che nel 1653 fra’ Giuseppe fu condotto d’autorità prima a Pietrarubbia e poi a Fossombrone. Il 7 gennaio 1655 muore Innocenzo X. Il 6 luglio 1657, per disposizione di Alessandro VII, fra’ Giuseppe è restituito al suo Ordine. Il 10 luglio giunge ad Osimo, sua ultima dimora. Non ci sarebbe stato modo di ritrovare il frate di nuovo ad Assisi, in questi anni che vanno dal 1653 al 1657. Ma l’intricata vicenda (chiaramente politica), potrebbe essere stata leggermente diversa. Nell’intervallo tra la morte di Innocenzo X (1655) e l’ordine di restituzione di Alessandro VII (1657), potrebbe essere accaduto che il frate avesse fatto breve ritorno in Assisi, e questo potrebbe spiegare lo strano viaggio di Cristina di Svezia, incuriosita pure lei dalla fama miracolosa di fra’ Giuseppe. La nostra traccia è del tutto ipotetica, basandosi sulla fama del frate, che aveva attraversato i confini d’Italia e correva per tutta l’Europa. Poi si sa, le donne sono curiose, e Cristina di Svezia quanto a questo non aveva da invidiare nessuna. Si potrebbe quindi ritenere che la fama di fra’ Giuseppe fosse ormai divenuta così grande e che su di essa si muovessero percorsi devozionali e trame politiche, tali da giustificare i più vari intrecci. Dietro al portento dei miracoli si può sempre ritrovare il serpentino gioco di meschini interessi umani.
9. Giuseppe aveva iniziato a ‘volare’ ad Assisi già il 30 aprile 1639. In quell’occasione si sollevò da terra davanti alla Madonna di Cimabue (posta nel transetto di destra della Basilica Inferiore, ad una altezza, il viso, a circa tre metri dal pavimento). I voli si ripeterono, con particolare insistenza, per tutto l’anno 1646. Lo sappiamo con ‘certezza’ dal diario del Rosmi, un testimone oculare, spesse volte citato da Sebasti.
In un affresco del ciclo iconografico giottesco della Basilica Superiore di Assisi (il dodicesimo dei 28 riquadri complessivi, situato sulla grande parete di sinistra rispetto all’ingresso) S. Francesco viene rappresentato rapito in estasi mentre si solleva in una sorta di nube infuocata. San Bonaventura è il solo a ricordare questa scena, e lo fa molto brevemente: <<Là, mentre pregava di notte, fu visto con le braccia tese in forma di croce, sollevato da terra con tutto il corpo e circondato da una nuvola luminosa; e quella meravigliosa luce intorno al suo corpo testimoniava meravigliosamente la luce risplendente nel suo spirito>>. Qui Giotto non si è uniformato alla descrizione di San Bonaventura, che aveva collocato la scena nella solitudine di una foresta. Trasporta invece l’azione davanti alla porta di una città: a sinistra, quattro fati attoniti guardano il santo, che, a destra, fluttua al disopra del suolo in una nuvola. Francesco ha le braccia tese e gli occhi levati verso il Cristo, che dall’alto della sfera celeste si piega verso di lui per benedirlo (H. Thode). Per i voli di Giuseppe non poteva dunque esserci miglior luogo della sacra Basilica del Santo!
Padre Giuseppe Zaccaria è stato per tanti anni bibliotecario francescano ad Assisi. Nel 1972 egli raccolse in un volumetto (Ricerche di Archivio. Assisi. Pagine sparse, Casa Editrice Francescana, Assisi, 1972) le “pagine sparse” delle sue “ricerche d’archivio” ed i “ritagli” dei suoi articoli pubblicati in giornali nazionali negli anni Cinquanta-Sessanta. Egli si occupò più volte anche del caso del santo da Copertino (op. cit., pag. 47): << Anche all’estero la fama della santità e dei prodigi di questo illustre figlio di S. Francesco si era diffusa ovunque sino ad attirare in Assisi insigni personaggi, prelati e gente di umile condizione. Nel 1645 (questa la data indicata da padre Zaccaria sulla testimonianza della Vita manoscritta di padre Nuti) fra tanti di proposito passò da Assisi il Grande Ammiraglio di Castiglia con la moglie, alcuni familiari ed il seguito. Costui si recava a Roma in qualità di ambasciatore presso il Pontefice Innocenzo X. Al P. Custode fece presente lo scopo del suo viaggio e chiese ed ottenne di poter parlare con fra’ Giuseppe. Il colloquio si svolse in segreto nella sua cella, tuttora esistente accanto alla cappella. L’Ammiraglio, congedatosi dal Santo, si recò in chiesa ove l’attendeva ansiosamente la consorte con tutto il seguito, ai quali subito disse: ho veduto e parlato con un altro San Francesco. La moglie desiderosa anch’essa di vederlo e parlargli chiese al P. Custode di concederle un tanto favore. La cosa non era tanto semplice perché fra’ Giuseppe aveva ripugnanza di parlare con donne. Si poté rimediare col precetto dell’obbedienza impostogli dal P. Custode facendolo venire in chiesa >>.
Prosegue lo Zaccaria, riportando che, secondo il racconto di P. Nuti: << il Servo di Dio sorridendo disse al P. Custode: Io farò l’obbedienza, ma non so se gli potrò parlare: Infatti, uscito dalla sua cella ed entrando in chiesa dalla porta prossima all’aula capitolare, si trovò di fronte all’altare della Madonna ove posava la statua della Concezione. Aveva posto appena lo sguardo sulla statua che con un grido si lanciò in volo, sollevandosi sopra le teste dell’Ammiraglio e del seguito, andando ad abbracciarsi ai piedi della statua. Restò diversi minuti in quella posizione e poi con un altro grido, ripassando nuovamente in volo sulle teste degli astanti e fatta una riverenza alla madonna col capo chino e il cappuccio calato sugli occhi si allontanò per la porta da dove era entrato >>… Il racconto dell’avvenimento ha quasi la cadenza di un fioretto, e ne ripercorre il ritmo. Seguono poi gli svenimenti delle donne presenti e il soccorso loro portato in questo frangente. In un altro passo (op. cit., pag. 164), padre Zaccaria ripercorre il ‘volo’ del 1642, festa dell’Immacolata Concezione: << Era da poco terminato il canto dei Vespri, quando entrò nella cappella il Padre Custode (Raffaele Palma, poi fatto vescovo di Oria). Nel vedere in un angolo il Padre Giuseppe, confidenzialmente gli chiese: Che fai qua paesano? Il santo, fuori di sé, di scatto si avvicinò con la faccia a quella del Padre Custode e con l’indice della mano, indicando la statua dell’Immacolata gli gridò: Padre Custode, dì bella Maria, bella Maria! Il Santo, dopo essere stato alcuni istanti con gli occhi spalancati e fissi sulla statua, scosso da interno impeto e con un fremito nella voce, esclamò più forte: Padre Custode, dì bella Maria, bella Maria! Il Padre Custode intimorito e tremante ripeté con voce foca la triplice esclamazione. Ma il Santo non riscontrando nella voce del Padre Custode l’eco del suo intimo gaudio, con voce più vibrante lo si udì replicare: Dì più forte, Padre Custode, bella Maria, bella Maria! Poi ad un tratto avvicinatosi di più al Padre Custode, il santo lo abbracciò, avvinghiatolo nei fianchi e ripetendo con più enfasi: Bella Maria, bella Maria, fu visto sollevarsi da terra, trasportandosi in alto il Padre Custode, sino a raggiungere l’altezza ove trovatasi la statua dell’Immacolata. Quando ambedue misero il piede a terra, il padre Custode preso da sgomento raggiunse in fretta l’uscita >>.
Ho riportato questi passi (a parte la leggera discordanza di date tra Sebasti e padre Zaccaria) per sottolineare la freschezza stessa del racconto e le implicazioni, anche di tipo psicologico, che vi si accompagnerebbero. Fra’ Giuseppe era devotissimo a Maria, e questa annotazione, ben presente a Sebasti, appare piuttosto significativa. Se ne potrebbero ricavare, nell’unità fondamentale della vita di fra’ Giuseppe costellata da varie vicissitudini, le ragioni di un dramma personale che condusse ad una grandissima sensibilità ed eccitabilità mistica, che poteva appunto sboccare, in modo non preventivabile e in particolari condizioni di tensione emotiva, in situazioni completamente fuori dall’ordinario, come la condizione estatica con tutto ciò che ad essa può accompagnarsi.
10. Il Prof. Bartocci troverebbe interessante, così mi fa sapere, anche la versione di un cattolico che non creda ai ‘voli’ di S. Giuseppe da Copertino. A questo riguardo devo confessare di non essere documentato. Ma è certo che la santificazione non avvenne testualmente in virtù di questi episodi, del resto così poco credibili sotto l’aspetto ordinario e non soltanto sul piano scientifico. Resta dunque il sospetto, più che legittimo, d’una sorta di risposta della Chiesa al ‘razionalismo’ che stava corrodendo la fede e la credibilità popolare nei miracoli. Lo proverebbe anche il caso del prodigioso ricrescere d’un arto avvenuto in Spagna, a Calanda, un villaggio di Aragona, il 29 marzo 1640, per intercessione di Nostra Signora di Pilar. Ad un giovane contadino fu restituita di colpo la gamba destra, amputata più di due anni prima e addirittura sepolta nel cimitero dell’ospedale. L’evento, di schiacciante evidenza, mise a rumore l’Europa. Poi calò un sospetto silenzio, rotto da un saggio di Vittorio Messori (Il Miracolo, Rizzoli, 1998), che appunto rovistò negli archivi recandosi più volte nei luoghi stessi per ricostruire tutta la vicenda. La ricerca effettuata da Messori proverebbe l’assoluta certezza e ‘credibilità’ dell’episodio, che diversamente da questo, ben s’inserirebbe in possibile ‘disegno’ ecclesiastico di reazione all’incipiente razionalismo scientifico anche in terra di Spagna. L’assoluta singolarità dei suddetti miracoli e la loro pressoché perfetta e appropriata contestualità, possono difatti legittimamente indurre a ‘sospettare’ una possibile manovra di politica religiosa, abilmente condotta dalla Chiesa a tutela del proprio potere.
In rete si possono trovare interessanti osservazioni sulla “grandiosa epopea dei frati volanti”, ad es. (http://www.cicap.org/lombardia/cicaplombardianews/02_01_1999/02.htm) un articolo di Clelia Maria Manna a proposito dei fenomeni legati alla vita dei mistici, ripartiti in due gruppi: fatti realmente possibili (digiuni prolungati, stigmatizzazioni), e fenomeni ai quali nessuno in realtà ha mai assistito o che comunque non si sono mai verificati in condizioni di controllo (levitazioni, bilocazioni). Sebasti, oltre che fare riferimento agli atti segreti del Vaticano indicati in bibliografia come ‘documenti fondamentali’ (pag. 122), fa capo al monumentale lavoro di G. Prisciani, San Giuseppe da Copertino – Alla luce dei nuovi documenti, pp. 1066, Pax et Bonum, Osimo, 1963. In particolare viene citato il lavoro di Anna Maria Turi, La levitazione, fenomeno mistico e parapsicologico, Edizioni Mediterranee, Roma, 1977. Giornalista e scrittrice, laureata in filosofia e in psicologia, la Turi è autrice di numerosi articoli (sull’argomento teneva una rubrica su Il Tempo). La Turi ha esaminato il fenomeno del punto di vista filosofico, psicologico, antropologico e parapsicologico ed ha affermato che la levitazione, pur comprovata, non ha a tutt’oggi alcuna spiegazione. Tra i protagonisti dei cosiddetti “voli”, la Turi distingue ed esamina varie categorie: a) i santi, come san Francesco, santa Caterina, santa Teresa d’Avila, san Francesco di Paola (dei cui voli fu testimone il re di Spagna Ferdinando II), san Giuseppe da Copertino (alle cui frequenti levitazioni assistettero centinaia di persone); b) gli indemoniati, come due fratellini che vissero in Germania nel secolo scorso e si alzavano in volo sotto gli occhi di tutto il paese o gli sciamani, come quello stregone africano la cui levitazione fu ripresa dal regista Rolf Olsen (l’uomo sarebbe rimasto sollevato a due metri da terra per circa 40 secondi); c) i medicine-men, come i Lung-gom-pa tibetani, messaggeri volanti in trance; d) i medium come il celebre D.D. Home, il reverendo Moses ed Eusapia Palladino, che ‘levitavano’ sotto gli occhi di decine di persone.
I rapimenti estatici seguiti da sollevazioni del corpo dalla terra, la levitazione appunto, si sono susseguiti nei secoli e la tradizione ce ne ha tramandato le notizie e riferito i nomi: da Enoch a Elia, da Simon Mago ad Apollonio di Tiana. Dei principali episodi cattolici si occupa invece in un capitoletto (“Volare senza ali”) Giuseppe Alaimo (op. cit., pag. 96 ss.). Ce ne serviamo per una rapida rassegna. Il primo di questi episodi riguarda Santa Teresa d’Avila. La santa entrò un certo giorno in estasi, quando don Alvaro de Mendoza somministrò la comunione alle monache. L’estasi fu così totale che Teresa neppure si accorse di sollevarsi da terra ad altezza tale che al sacerdote fu impossibile raggiungerla con l’ostia consacrata. Una seconda levitazione le occorse in presenza di suor Beatrice Alvarez che ne fece testimonianza. Quest’avvenimento è più celebre del primo perché Teresa trascinò con sé, a una certa altezza, il suo confessore san Giovanni della Croce, proprio come accadde a fra’ Giuseppe. Anche sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787) ebbe episodi di levitazione. Natale 1745: egli si innalzò nella cattedrale di Foggia mentre pronunciava un sermone, e duemila persone presenti all’avvenimento gridarono al ‘miracolo’. Un secondo episodio avvenne nel 1756 ad Amalfi. Ci furono poi almeno due altre levitazioni che ebbero conferma scritta. Sant’Alfonso, già avvocato illustre, era un agguerrito teologo, che aveva combattuto il rigorismo giansenista. Allucinazioni, truffe, distorsioni, che altro? Un dato sembra però certo: a ‘volare’ non fu soltanto fra’ Giuseppe da Copertino. E qui si accende un allarme, una spia rossa. Può la ragione accogliere tali ‘fatti’? E se non può la ragione, perché dovrebbe la fede? Il libro di Sebasti solleva la questione per il caso probabilmente più clamoroso, quello del santo da Copertino, ma ve ne furono altri, sia prima, che dopo, e una risposta ‘razionale’ non si trova affatto, a meno di ammettere che la mente (alterata da particolari stati emotivi) possa inspiegabilmente compiere, essa stessa, una violazione o una sospensione delle c.d. leggi fisiche, tali in quanto, per definizione, ‘osservabili generali’ in condizioni di controllo sperimentale, destinate cioè a ripetersi senza eccezione di sorta (al proposito si veda R. Feynman, La legge fisica, Bollati Boringhieri, 1971). La fisica quantistica è una scienza fondamentale. Ma nessuno sa perché funzioni proprio così. Tuttavia non crediamo possibile che la mente umana (l’insondabile potenzialità dell’inconscio) possa in qualche modo provocare un collasso di funzione d’onda, fino a sospendere le leggi dello spazio-tempo. Davanti a fenomeni sconcertanti la ragione suggerisce subito di trovare il trucco. E se lo si cerca davvero, alla fine lo si è sempre trovato. Nel caso ad esempio di S. Giuseppe da Copertino si dovrebbe trattare di un trucco davvero gigantesco, abilmente e perfettamente organizzato. Possibile? Non vogliamo fare un torto al bel saggio di Sebasti se preferiamo partire dal dubbio, per nulla convinti della possibilità in sé del miracolo.
11. Scienza e miracolo procedono (nel tempo) per strade diverse. L’impossibilità logica sembra tuttavia di genere diverso da quella c.d. materiale. La prima si conserverebbe in eterno, la seconda ha carattere provvisorio, dipendente, cioè, dal grado stesso della consapevolezza o cognizione scientifica. Ma non voglio mettermi in una strada così difficile, anche perché il libro di Sebasti già si spiega bene da solo. Se mai, può venir comodo qualche piccolo richiamo di contorno. Ciò perché un tessuto minimo di riferimenti può aiutare il lettore a formarsi un’opinione in qualche modo appoggiata ad elementi discorsivi di suffragio, posto in ogni caso che i ‘voli’ dei santi, come del resto tutti i vari ‘miracoli’, restano pur sempre un autentico mistero glorioso.
Massimo Polidoro (insieme a Piero Angela, a Silvio Garattini, e a Margherita Hack, uno dei fondatori del Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale – in sigla Cicap) ha di recente pubblicato un saggio, Gli enigmi della storia (Piemme, 2003), dedicato a una indagine storica e scientifica sui vari misteri, compreso quello della levitazione (pagg. 226 ss.). Si tratta di un contributo imprescindibile, che va perciò analizzato. E lo faremo al solito modo, in rapida sintesi, senza rinunciare a piccoli passaggi.
L’alchimista Giovan Battista Van Helmont (Ortus Medicinae, Leyda, 1767) sosteneva che fosse << latente nell’uomo una forza magica, assopita dal peccato. Questa forza può venire risvegliata dalla grazia di Dio oppure dall’arte della Kabbala >>. E’ evidente il doppio ambito, quello angelico e quello demoniaco. Nulla di nuovo. I teologi cattolici non hanno mai messo in dubbio l’autenticità dei fenomeni di levitazione, anche quando questa riguardasse soggetti che non avevano a che fare con la santità. Verso il 1930 il teologo francese Olivier Leroy formulò quattro conclusioni: 1) il corpo umano può sfuggire talune volte alle leggi di gravità; 2) solo l’agiografia cattolica è credibile perché possiede sulla levitazione una tradizione continua e controllata; 3) chi cerca di spiegare i fatti ricorrendo ad illusioni o allucinazioni dimostrerebbe una completa superficialità; 4) le levitazioni degli indemoniati e dei medium sono una parodia o una farsa del carisma dei santi. Naturalmente le conclusioni di Leroy non spiegano niente, e neppure la scienza ha dato una spiegazione. Siamo al punto di prima. Il miracolo esiste oppure è una truffa (come il trucco della corda indiana). Si dice che siano circa duecento i santi che avrebbero levitato nel corso dei secoli. L’ultima levitazione di cui si ha notizia sarebbe stata quella di Marie-Françoise des Cinq-Plaies, morta nel 1791. Curioso il fatto che da oltre duecento anni non ci siano più segnalazioni di levitazioni di santi. A proposito di S. Giuseppe da Copertino (cfr. M. Polidoro, op. cit.,pag. 229) non solo lo scrittore cattolico Alban Butler (Il primo dizionario dei santi, Piemme, 2001) sottolinea l’ingigantimento leggendario dei fatti, ma padre Robert D. Smiht (Comparative Miracles, B. Herder Book Co., St. Luis, Mo., pag. 38) afferma che il Santo da Copertino non volava affatto, egli era soltanto un atleta e più che sospensioni i suoi erano soltanto degli sbalzi. I testimoni, suggestionati da tale abilità, avrebbero del tutto ingigantita la vicenda, tramutando i fenomeni in voli (la versione è razionale, tanto più che la spinta fisica potrebbe essere stata moltiplicata dalle condizioni di caduta in trance, vale a dire da moti involontari dovuti a situazioni estreme). Ciò non toglie pregio al saggio di Sebasti, che si lascia leggere con grande attenzione.
Ma visto che ci siamo, vorremmo anche divagare un po’. Ricordo di aver letto da ragazzino sul La Domenica del Corriere, che a quell’epoca era il settimanale delle suggestioni e delle curiosità italiane, che una volta Vittorio Beonio-Brocchieri, famoso giornalista de Il Corriere della Sera ed appassionato studioso di spiritismo, dopo una seduta spiritica si ritrovò appeso alla grondaia del tetto di quella stanza. Più o meno vero (ma non è da credersi), tutto ciò ricorda Daniel Douglas Home, famoso e conteso medium inglese, che secondo la testimonianza scritta di lord Lindsay alla Dialectical Society of London, dopo essere caduto in trance, uscì da una finestra per rientrare da un’altra! Il fisico Sir William Crookes era un appassionato ed assai credulone ‘medianista’, e Sir Arthur Conan Doyle, lo scrittore che inventò Sherlock Holmes e che al proposito non era del tutto scettico, sostenne (The History of Spiritualism, Londra, 1926) che << O si ammette che i fatti sono tali e quali quelli riportati, o la possibilità di accertare i fatti per mezzo della testimonianza umana deve essere abbandonata >>. Oggi si sa che i casi di Douglas Home, di Eusapia Paladino o i voli del romano Demofilo Fidani (1914-1994) erano degli abili trucchi. Ma potrebbe essere che le levitazioni dei santi non lo siano per niente.
Si racconta che padre Graziano avrebbe reciso una mano dal cadavere di Santa Teresa d’Avila. Questa mano emanava un soavissimo profumo, che avrebbe addirittura fatto recuperare l’olfatto ad una novizia (ma quest’ultima come fece a perderlo?). C’è poi un’altra ‘leggenda’. Si racconta (in quel clima d’epoca in cui il mondo inglese era in subbuglio per le grandi imprese archeologiche in Egitto) di un sarcofago che conteneva le spoglie di una principessa. Per una serie di circostanze che per brevità omettiamo, si arrivò a tagliare una mano alla mummia. Giunta a Londra, ci si accorse che da questo frammento di cadavere promanava uno strano calore. La mano tagliata finì in proprietà di Sir Conan Doyle, che la espose al museo delle scienze occulte di Westminster, dove si trova ancora oggi. Con ciò ci siamo divertiti a divagare appena sul bagnasciuga dell’immenso mare dell’occulto, che sembra pullulare di enigmatiche ‘realtà’ truffaldine.
12. Leo Talamonti, ex ufficiale dell’aeronautica, poi giornalista, scrisse tra l’altro un libro assai interessante, Universo Proibito (Sugar Editore, 1966, più volte ristampato in altre edizioni), che ebbe un grande successo. In questo saggio prese in esame tutti i fenomeni che costellano la ‘parapsicologia’, compiendo (al di là delle conclusioni) un prezioso lavoro di ricerca. Sulla “levitazione” (come “abolizione momentanea del peso”) Talamonti ripercorre i supposti poteri dei Lama tibetani, esaltati nel romanzo Il terzo occhio di Lobsang Rampa (uno pseudonimo). Ma è interessante l’annotazione sulle sistematiche modificazioni elettrocardiografiche che si registrerebbero durante le applicazioni di tecnica yoga. Gli stati alterati potrebbero essere la causa di particolari manifestazioni che si collocano al di fuori della normalità. Ciò non significa che sia questa la ragione di ogni manifestazione ‘miracolosa’. Hans Bender, già direttore dell’Istituto di parapsicologia dell’Università di Friburgo, si è occupato di fenomeni ‘esp’, ripercorsi nel saggio Sesto senso pubblicato in Italia dalla Feltrinelli nel 1974. Non di meno il fatto che la scienza si sia occupata (anche a scopi militari) di parapsicologia non avalla l’occultismo, che (ove non trovi una spiegazione scientifica avanzata) è truffa o resta (per i credenti) mistero. Tuttavia queste pagine rimarrebbero quasi senza sale se non citassimo l’elegante ed ironico Beonio-Brocchieri, che con penna straordinaria in Camminare sul fuoco (un eccellente libro pubblicato nel 1973 dalla Longanesi), ci prende per mano e ci conduce nell’ade dei misteri per riportarci poi sani e salvi alla sana ragione. Se “camminare sul fuoco” era a quei tempi una “fantasia” solleticante nella sua ordinaria impossibilità (pena arrostimento dei piedi), ci accorgemmo in seguito che si poteva farlo anche davanti alle telecamere, come appunto fece davanti a milioni di spettatori il giornalista televisivo Mino Damato.
13. Ma si può volare come fra’ Giuseppe da Copertino, si può prevedere il futuro ecc.? Miguel de Onamuno, grande poeta spagnolo, viveva a Salamanca ed era il Rettore dell’illustre ateneo. La notte del 31 dicembre 1906 lo colse un presagio, e scrisse questi versi: Y oigo a la sangre / cuyo leve susurro llena el silencio. / Diriase que cae el hilo liquido / de la clepsidra al fundo (E del mio sangue ascolto questo lieve pulsare: esso colma il silenzio. E par che il gocciolio della clessidra cada nel fondo). Il presagio si avverò con benigna dilazione di anni, ma con paurosa simmetria. La notte del 31 dicembre 1936 Unamuno morì. Bisognerebbe leggere Brocchieri, per comprendere tutto il fascino arcano di questi risvolti e tutta l’ironia che poi vi immette. Il padre di Beonio-Brocchieri era ugualmente convinto di sapere con esattezza quando sarebbe morto. Ragionava così: << Sono nato nel 1872, morirò nel 1953, perché sono rimasto 27 anni scapolo, 27 anni ammogliato; e quindi resterò 27 anni vedovo. 27 per 3 = 81 >>. Morì serenissimo alla scadenza precisa: età 81 anni, nel 1953. Aggiunge Brocchieri: << Del resto anch’io so con precisione l’anno in cui morirò. Io morirò all’età di 74 anni, nel 1976, e lo so perché essendo io nato nel 1902, ho avuto nel 1939 all’età di 37 anni il preciso e sempre riconfermato avvertimento che quello era il mezzo del cammin della mia vita, essendo nata in quell’anno mia figlia che rinnova il nome di mia madre. Quindi 37 + 37 = 74. Ecco la controprova: sommando per singole cifre le due date materne 19.8.1879; 19. 11.1927 si ha 74 >>.
[N.d.R.: In realtà, poi, Brocchieri è morto nel 1979! Si ringrazia per tale informazione il Dott. Bruno Pezzini, autore di un pezzo su questo personaggio che compare nella pagina web: http://www.lodionline.it/personaggi/scheda-beonio.asp.]
Di questa premonizione Brocchieri parlò con Riccardo Bacchelli, ospite alla festa annuale dell’Associazione Laureati Ateneo Ticinese. Nell’Aula Magna dell’Università Bacchelli ricevette la targa d’oro modellata da Francesco Messina con l’insegna della “Matricola d’onore”. E quando gli fu offerto il gran banchetto rituale nel cortile sforzesco, Bacchelli, sedendosi sulla poltrona curiale, cominciò a raccontare il caso di sua nonna, alla quale in tempi di gioventù una zingara aveva predetto con scadenze precise (anno, giorno, e ora) una grande quantità di avvenimenti che nel corso del tempo si erano avverati puntualmente. Ma la zingara aveva predetto anche l’anno, il giorno e l’ora della morte. A questo punto Bacchelli, grande conversatore conviviale, comincia a preparare una larga tensione d’ascolto con un lungo silenzio (nel mentre vuotava lentamente un boccale di “vino della Versa”). Poi si guardò attorno e riprese il discorso con una curva sintattica degna di Pietro Bembo e larga come un’autostrada. << Oh, dunque! >> disse. << La nonna era certa e preparata all’infallibile scadenza…>>. Poi Bacchelli iniziò a divagare, a raccontare tutti i preparativi e i vari congedi. << Insomma! >> gridò uno studente già brillo che aveva la chitarra a tracolla e una fiasca in mano, <<questa nonna, allo scattare dell’ora, è morta o non è morta? >>. << Non è morta >>, riprese Bacchelli (matricola d’onore), riprendendo il boccale e vuotandolo fino in fondo… A questo punto mentre Bacchelli ancora parlava della nonna, senza concludere, fecero irruzione i goliardi, e cominciò tutt’altra avventura (era stato rapito il “gran pavese”, se ne chiedeva il prezzo del riscatto ecc. ecc.). Il giorno dopo al telefono Brocchieri chiede come sia andata a finire la storia della nonna. << E’ finita che superato il giorno e varcata l’ora, quella cara donna diventò convintissima che non sarebbe morta mai più. E incominciò a fare compere e progetti per scadenze di venti, trenta, quarant’anni. Infatti, è campata ancora….>>. << Quanto? >>, domandò Brocchieri, << quanti anni è campata ancora? >>. Ma, benedetto telefono!, la conversazione si interruppe…
Volava davvero S. Giuseppe da Copertino? Di certo sappiamo che non ebbe incidenti, che non cadde, che non si ruppe le ossa. E però quello di Sebasti è un bel saggio, ben scritto e ben documentato, un’ottima lettura che ci restituisce un’immagine umana di fra’ Giuseppe che intenerisce e commuove, che esercita il fascino delle cose buone che tutto sommato finiscono bene, nella miglior grazia di Dio. Quanto deve bastare per timor di fede e umana simpatia in questa misteriosa faccenda che è la Vita.
(Arcangelo Papi, 2002)