[Rose e Ossa]
1*Ossa Rosa ha una valenza speciale in Properzio, come del restoAmor Roma. Pare tuttavia che nessuno studioso ci abbia fatto molto caso e abbia così colto gli estremi inquietanti di tali aspetti. Si preferirebbe scrivere sul sicuro, anche ricamando, talvolta persino inventando per eccesso di sapere. Tutto sulla bella veste Coa di Cinzia, che avrebbe nascosto le vere membra. Non le membra leggiadre di questa donna eccessiva e paradossale, che però sarebbe rimasta ignota ai lettori romani del Foro, perché mai esistita [cfr. “Killing Cynthia”, articolo di Paolo Fedeli - anno 2006]. Bensì letteralmente le ossa e le membradi Gallus, l’enigmatico propinquus o parente stretto del poeta [cfr. I, 21 e 22], che è stato scambiato per uno zio materno, quando in realtà era il padre di Properzio.
Gallus Propertius eliminato a Perugia nel marzo del 40, in una strage collettiva di capi locali, che si erano rivoltati contro Caio Ottaviano a causa delle espropriazioni terriere, e non soltanto per quest’unica ragione. Nelle Elegie – un labirinto per Cynthia e pure per Gallus – si nasconde da sempre l’ombra del morto. E’ così. Non si spiegherebbe altrimenti la fortissima presenza finale nel Monobilos del “morto parlante” di Perugia, che sembra essenziale e non viceversa accessoria o secondaria. Ci vuole forse un profano – tale nel senso di estraneo all’ambito scientifico agli studi filologici sul mondo classico – per levare inutili proteste? Ci si dovrebbe interrogare sul serio, e a fondo, circa la razionalità di un preteso paradigma, realmente incerto e barcollante, tuttavia fatto sembrare canonico. Difatti se prima o poi Properzio si fosse comunque “integrato” nel regime di Augusto [egli esordiva a Roma l'anno dopo la sconfitta di Antonio e di Cleopatra, quando ormai il principato si stava consolidando], gli enigmi del Monobiblos certamente non sarebbero seguitati anche nel quarto ed ultimo libro, risalente all’anno 15, dopo di che il silenzio. Come se fosse scomparso ancora giovane: diciamo verso i 32 – 33 anni.
Che Properzio, di lì a poco, sia morto; addirittura, che sia deceduto poco prima di ultimare la sua unica opera, che perciò sarebbe rimasta mutila e incompiuta, e che poi sarebbe stata frettolosamente pubblicata da un editore, recuperandone gli ultimi rimasugli, questa è solo una scusa: una lapide di Assisi, altri elementi, indicano con chiarezza che non fu così, e che egli fece definitivamente ritorno nella sua città natale, dove poi sarà morto circa una quindicina di anni dopo. Probabilmente con figli. Ovidio ci fa intendere qualcosa al riguardo, mentre Plinio il Giovane ricorda in due lettere la figura di Paolo Passenno, poeta elegiaco “discendente” di Properzio e suo “concittadino”. I resti archeologi del sepolcro monumentale di Paolo Passenno si trovano ad Assisi, con tanto di epigrafe. E qui, appunto, si concentra anche il maggior numero di lapidi della gens Propertia: a parte il fatto che una mia scoperta, nella enigmatica e grandiosa prima elegia del quarto libro, Propertius Horos, attesta la presenza di due chiarissimi telestici disposti in posizione strategica, indicanti con certezza autentica la patria ASIS – Assisi, che del resto era già stata affacciata da Horos nel testo poetico per una sola volta, Asis stando ad alcuni autorevoli codici [in luogo di arcis, variante da respingere in base alla cosante del numero delle ‘esse’ nei due passi speculari di descrizione dell’Umbria centrale e del luogo nativo].
Quando in un’opera antica, in certi passi importanti e decisivi, si rinvengono crittografie calzanti e rivelatrici, se ne dovrà scartare la funzione ornamentale, puramente di sfoggio, e si dovrà invece valutare l’impatto di queste cifre remote, più da ricercare che da scorgere, rispetto alle condizioni del poeta e della sua produzione.
Se l’opera contenesse effettivamente degli enigmi, allora non si potranno mai nutrire valide ragioni di dubbio circa tali cifre. Il fatto stesso direbbe da sé la propria ragione. La presenza di crittografie di tipo esistenziale e autobiografico sarebbe cosa del tutto anomala in un’opera letteraria amorosa ed erotica. Persino inconcepibile se si riferisse all’amata.
Tra ‘essere’ e ‘non essere’ c’è indubbiamente un abisso. E, a dire, che l’essere “è”, nel senso che automaticamente “pone se stesso”.
Se Properzio, fin dall’inizio, ha fatto ricorso ad un complesso ed articolato sistema di crittografie, così poi seguitando, ciò significa che tra l’essere e il sembrare c’era una distanza voluta e necessaria. E questo sta a indicare, in forma autentica, che Cinzia era stata un utile paravento. Lo strumento di cui questo sommo genio letterario si è servito. In altre parole “elegia” quale ‘canto d’amore’ ed anche “elegia” come ‘compianto funebre’. Questo il punto. Perché Cynthia nasconderebbe Gallus. La formula Ossa Rosa darebbe ragione di questa identificazione giustificata dal “sigillo” del Monobiblos. Una donna fatale e un soldato morto più di dieci anni prima.
2* Il tema verbale principale – assolutamente dominante nelle Elegie di Properzio – è ossa, mentre ossa rosa ne è una variazione criptica [e questo si può dimostrare scavando nelle cifre occulte di III, 10 ed analizzando a parte anche il tema della rosa].
In un’elegia del Monobiblos Cinzia dovrà porre una rosa sulle povere ossa del suo amico poeta [col singolare e il plurale legati da rosa ablativo].
Il tema accennato ossa rosa corrisponderebbe al tema contrapposto Amor Roma [un ‘anagramma’ perfetto e un ‘palindromo’ rovesciato nell’odio].
Nessuno potrebbe negare l’esistenza di questi due temi, del tutto ignorati dalla critica.
Vediamo brevemente qualcosa circa il tema ossa rosa [fermo restando che non potrebbe essere trascurata nemmeno un'indagine a parte sulla sola rosa]. Argomenti reali, effettivi; di cui, però, nessuno avrebbe mai trattato.
Qui in breve, mi limiterò, dapprima, ai roseti dei Campi Elisi [le Isole Fortunate?], in IV, 7, 60: mulcet ubi Elysias aura beata rosas[ pone... / molliacontortisalliget ossa comis - v. 80] e ai roseti di Paestum: vidi ego odorati victura rosaria Paesti [cfr. IV, 5, v. 61; Ovidio, Metamorfosi XV, 708: tepidique rosaria Paesti; Virgilio, Georgiche IV, 119 ].
“Ho visto i trionfanti roseti della profumata Paestum, sono appassiti in un solo giorno sotto la calura”.
Struggente immagine della bellezza di Cinzia, che poi diviene morte.
“Ti fui fedele. Che una vipera sibili sulle mie ossa, se t’inganno”. Giura il poeta. “La turba delle ombre passa le acque infernali con i remi …, ed ecco l’altra schiera: una nave inghirlandata li porta veloce egli Elisi, dove un’aria serena accarezza le rose…”. Se ci rifacciamo all’epodo 16 di Orazio, spunterebbe fuori il tema del mito geografico delle Isole Fortunate [le Canarie, le Piccole Antille…?], ovvero le Isole dei Beati, e cioè i Campi Elisi. Quel verso di Properzio ripeterebbe uno spunto di Orazio e perfino l’ombra beata di Anchise nell’Eneide. Ovviamente in un’altra dimensione poetica.
Il tema della rosa è inserito in un percorso speciale [cfr. IV, 6, 72: blanditiaeque fluant per mea colla rosae, in cui l'amore e la guerra, cioè la vita e la morte, s'intrecciano nella tragedia delle guerre civili, e Properzio sta dalla parte di Amor Deus e non da quella di Deus Caesar]. In IV, 6 sulla decisiva battaglia navale di Azio il tema occulto ivi risuonante è Isis – Cleopatra – una donna sola –, e se non lo si afferra, allora tutto sfugge, al pari del tremendo distico finale di III, 9 – già cavallo di battaglia di Ettore Paratore per l’integrazione difficile – in cui un fenomenale gioco speculare di ripetuti caratteri alfabetici, che prima vanno e poi vengono, come le navi e che entrano e lascano i porti dello Ionio, trasforma per Antonio la dedica formale del testo nel nome di Cesare [Augusto].
Properzio “non integrato” era stato costretto a inventare sotterfugi: da qui provengono, e tutti insieme, l’ambiguità verbale dei testi, i vari enigmi – apparentemente insolubili – che spesso si presentano, ed anche l’incertezza apparente delle intenzioni, spesso ricorrendo alla polisemia. Non ci sarebbe stato alcun valido motivo, in un normale poeta d’amore, per queste stranezze. Properzio, insomma, non avrebbe dovuto possedere strane caratteristiche, a meno che non agisse in stato di necessità e il suo non fosse in caso speciale.
Ragion per cui si deve ritenere che la presenza occulta di crittografie nelle Elegie è derivata dalla necessità, non potendo essere figlia del caso.Viceversa, chi preferisse la pura casualità, argomentando che Ottaviano Augusto se ne sarebbe dovuto accorgere, costui sarebbe automaticamente smentito se si trovassero crittografie caratterizzate dalla assoluta certezza del loro marchio di autenticità. Un caso del genere è l’acrostico MANE in III, 10, 1- 4. Per tre volte il poeta ha qui insistito sulla propria autenticità “criptica”. Ciò che appariva ornamentale, in realtà faceva parte di un vasto complesso di effettive voci segrete. Averle trovate dopo due millenni non significa che non ci fossero e/o che non fossero intenzionali. Ci sono e parlano chiaro. Pertanto possiamo tranquillamente proseguire col tema iniziale e sempre secondo questo taglio innovativo e rivoluzionario. Senza il timore di lesa maestà verso la grandissima letteratura latina di questo periodo storico e senza il timore si arrancare follemente su versanti immaginari.
In IV, 8, 40 [l’elegia inizia con un Disce..., cioèapprendi], tramite et facilis spargimunda sine arterosa c’è un altro raccordo criptico col Nilo [e, subito dopo, il dettaglio minore del “nano Magnus“ che è il ritratto malefico del Magnus Caesar]; così come il falso compleanno di Cinzia [in IV, 5, 35-36] aveva Isidis al genitivo [v. 34 precedente].
Stiamo cioè navigando in acque misteriose. Ma i nessi dichiarano molto. Nulla di ciò che sembrerebbe immediatamente è qui la verità: la magnifica veste Coa di Cynthia serviva a ingannare il lettore in cerca di fatti erotici [fallax opus dirà Horos]. “E tu impara”[disce]. Il flautista veniva dal Nilo. Ligdamo stava alle coppe. Fillide agitava i crotali e il nano Magno le sue corte braccia: semplici petali di rosa sparsi qua e là. L’ossimoro coperto del “nano Magno” Augusto non lo colse. Properzio era un genio della doppiezza, e non solo! Era un genio sommo, perfettamente consapevole della sua grandezza.
La vecchia, orrenda lena Acantide [IV, 5] e il venale, rozzo Pretore dell’Illiria [I, 8 e II, 16] sono sempre rappresentazioni nefaste di Augusto. Il Principe di Roma non se ne accorse: era inconsapevole, gli bastavano l’elogio e la propaganda, e in ogni caso – da genio qual era – Properzio aveva saputo mentire perfettamente e camuffare.
Il nostro percorso è rapidissimo: basta riandare al distico ripetuto di IV, 5, 55 [Quid iuvat ornato procedere, vita, capillo...], e continuare per otto versi.
Sul mio sito web avevo pubblicato provocatoriamente due quadrati magici fatti di parole ricavate da alcune cifre properziane: innestati l’uno nell’altro, essi concernono la serie di connessioni che ha i suoi due singolari estremi nel vero e nel falso compleanno di Cinzia [cfr. rispettivamente III, 10 e IV, 5 – con la lena Acantide = Augusto].
Se possiamo essere sicuri che nel “sigillo” anonimo del Monobiblos si cela una fitta serie di crittografie razionalmente esaustive, per la stessa identica ragione dobbiamo ora accettare che anche Ossa Rosa e Amor Roma abbiano il medesimo scopos. Questo discorso non si rifà alle possibili apparenze della “integrazione difficile”, individuate per primo da Ettore Paratore nel 1936, [ipotesi molto seria, ancora oggi ammessa, sebbene di recente contrastata, e poi comunque in concorso con un ventaglio assai variegato di altre possibili soluzioni], ma conduce inevitabilmente alla sostanza effettiva dell’integrazione “impossibile”. In un paradigma traballante da un estremo all’altro, la sola verità possibile è quella nascosta: con la sua radicalità e la sua pienezza, essa poggia su dati autentici, sfuggiti all’indagine, poiché la veste Coa di Cynthia, vale a dire le apparenze illusorie della forma, avrebbero ingannato la critica antica e moderna, come ingannarono la censura augustea. Il che è paradossalmente rispondente al vero, poiché gli enigmi delle Elegie trovano una perfetta soluzione, la sola possibile, esclusivamente in base alle spiegazioni occulte. E non è una contraddizione, essendo stata una causa di forza maggiore. Properzio che stava ingannando, aveva la necessità assoluta di farsi intendere da qualcuno: magari dai ribelli non allineati della sua cerchia di amicizie, e la figura di Mecenate – sebbene acutissimo consigliere del Principe di Roma e artefice di grandi successi politici – non si sottrae certamente al sospetto di una meravigliosa ambiguità che deporrebbe a favore della sua grandezza.
3* Si tratta di dimostrazioni valide anche sul piano logico, in stretta aderenza testuale, ovviamente considerati i termini criptici dell’opera unica, unitaria e ingannevole, che per un grande poeta come è stato Properzio, vero genio letterario, non si spiegherebbe affatto, nella sua solitudine, tanto è vero che lo si è dato per morto nell’anno 15, cosa assolutamente arbitraria e falsa in base ai documenti emersi ed anche in relazione alla interpretazione ‘corretta’ della grandiosa elegia IV,1 mai ‘esattamente’ intesa dalla critica formale, quanto alle dichiarazioni dirette di Propertius e alla ribattuta del’indovino Horos. Non aver compreso che si trattava di uno sdoppiamento necessario e di una realtà autobiografica strutturale per quanto funzionale, ha sviato la comprensione effettiva dell’unum opus. Non delle assurdità, queste, o elucubrazioni pazzesche. E non è mia intenzione censurare il livello sommo di Sudi filologici e critici su Properzio. Tuttavia è pur sempre il medesimo “filo” di quel “labirinto” elegiaco [cfr. II, 14, 8: Daedalium lino cum duce rexit iter – Un filo regge e conduce il percorso nel labirinto]. Properzio 1 è quello che apparve ai lettori del Foro da Quintiliano in poi. C’è però anche Properzio 2. Il secondo Properzio non sottrae grandezza poetica alla bellissima veste di Cinzia, la sua presenza è tutta per Gallus che era suo padre. Non si scappa. La verità spiega se stessa, essa è di una rotondità autosufficiente, autonoma e globale.
Avrei da parte mille sorprese, ma eccone una, qui e subito, tra le tante possibili. E che ciò sia tutto ‘vero’, non dipende ovviamente dagli errori di un paradigma dalle facce opposte inconciliabili, bensì dalla verità intima autentica del unum – fallax opus: con Gallus e lo sdoppiamento necessario di Propertius in Horos, con cui dialogare e dibattere la propria esistenza e la propria ars et vis poetica [facce inseparabili della stessa identica medaglia].
Lo sdoppiamento del poeta Propertius nell’indovino Horos è un altro stratagemma necessario, mentre in IV, 1 – in realtà ultima grandiosa ed enigmatica elegia – si raccolgono in serie ancora altre crittografie strategicamente collocate allo scopo e perciò autentiche!
Nessuno finora ha mai scavato a dovere tra le pieghe oscure di quest’opera fallace e contraddittoria. Ufficialmente nessuno aveva trovato qualcosa di assolutamente fondato che spiegasse l’enigma principale di un’opera unica, indubbiamente inquietante: cioè il sigillo anonimo del Monobiblos, con il morto parlante di Perugia, accanto ad Horos nel IV libro. Ed è un grosso enigma anche “Cinzia” sia come donna e sia pure per il suo ruolo.
[Cfr. sempre l’articolo "Killing Cynthia" di P. Fedeli, nonostante che a questo grandissimo filologo siano sfuggite – in termini logico-critici – le necessarie ragioni delle contraddizioni formali del poeta di Assisi, per cui Gallus sarebbe stato lo zio materno e l’assurda o inverosimile vicenda narrata in prima persona da Gallus sarebbe stata effettiva, Cinzia non era una Hostia e non fu nemmeno una donna reale, contrariamente alle dotte fantasie archeologiche ed epigrafiche di F. Coarelli circa la testuale “Cinzia da Tivoli”].
Cynthia che abitava in più luoghi; che conquistò Properzio con i suoi occhi [come la luna?] e che se ne appropriò per sempre [cioè oltre la morte], con la sua bellissima veste Coa semitrasparente [come la luna fasciata dalle nubi – cfr. la bellissima clausola luna funestas in I, 3].
Ossa è la parola ‘fondamentale’ di tutta quanta l’opera. Ne reca tutto il significato. Non ne ho ancora censito tutte le ricorrenze, ma di gran lunga ossa è parola che si ripete continuamente. Si ripetono anche altre parole, quelle che caratterizzavano i tratti forti e luttuosi della strana morte di Gallussui monti Etruschi di Perugia.
Properzio, mentendo, aveva mistificato e contraffatto la tragica sorte di suo padre. Ufficialmente non c’era più nessun pericolo o alcuna ragione di scandalo a ricordare gli episodi delle guerre civili. I fatti riguardavano il decennio precedente, un velo di oblio li aveva sopiti.
Il primo canzoniere d’amore per Cinzia si chiudeva però con una stranissima firma d’autore: la morte di un parente stretto e le proprie origini.Il tema non sarà abbandonato, seguitando di nascosto, e poi affiorando di nuovo in IV, 1 [Propertius – Horos] e in IV, 11 [elegia di Cornelia, in cui certe parole di I, 21 e 22 si ripetono non a caso].
Che c’entrava Cynthia con Gallus e viceversa? Perché mai questa stranezza poetica di assurda potenza in termini di “pathos”? Chi è Cynthia, chi è Gallus? Properzio ha scelto l’oscurità e l’inganno. Ma eliminata Cinzia [l'impossibile Hostia di Apuleio], ecco il risveglio della ragionevolezza: coloro che hanno creduto a Cinzia in carne ed ossa, costoro devono fare ora i conti con l’impossibilità a priori che questa Cinzia [meretrice di lusso oppure matrona infamata] potesse essere accostata tranquillamente ai nomi altissimi di Mecenate e di Ottaviano Augusto, se appunto riconoscibile dal pubblico, a Roma.
Cinzia mai esistita – e vale a dire Killing Cynthia anche in questo senso – comporta senza dubbio che Gallus rimanga da solo. Perciò, le ossa saranno quelle di Gallus [cfr. I, 21 e 22 quanto al morto parlante di Perugia], ma pur sempre accanto ad una rosa rossa: fiore reciso, che reclamerà la vita perduta, per via di un terribile fiotto di sangue innocente. Una terribile tragedia parla in segreto negli echi del teatro properziano. Properzio elegiaco è la maschera per così dire irridente, mercuriale e folle, sapientissima e morale a un tempo, della sua tragedia esistenziale. Bisogna riandare al segreto della sua infanzia e alla ragione che lo costrinse a trasferirsi a Roma da fanciullo con sua mar rimasta vedova. Probabilmente non aveva fratelli o sorelle. Figlio unico, come egli dichiara trasferendosi in Cinzia, la sua anima.
4* Questo lo raccontano ancora una volta la serie di crittografie che fanno adesso capo a Cinzia e che si aggiungono al concentrato molto denso già presente nel sigillo anonimo nel Monobiblos [I, 21 e 22].
La stranissima storia luttuosa di Gallus, il morto di Perugia, inserita nel drammatico contesto storico del bellum Perusinum e dei Perusina sepulcra, non è un dato marginale, un semplice richiamo di storia locale, oppure un oscuro dettaglio esistenziale, in buona parte taciuto, anche a costo di totale incertezza circa l’identità di alcuni personaggi di questa vicenda. Al contrario, essa rappresenta sic et simplictiter il grande motore poetico dell’opera unica, unitaria eingannevole, doloroso frutto del grandissimo poeta dell’Umbria, il falso “Callimaco Romano”. L’invenzione poetica di Cinzia elegiaca è stata il pretesto di cui Propertius si è servito per aggirare i suoi vincoli di sudditanza letteraria verso il Principe. Con l’etrusco Mecenate, occhiutissimo, vera lince, che dapprima copertamente lo aiutò e che poi compare in chiaro, nel secondo e terzo libro, per sparire nel quarto. Una serie logica che tutto dice. Scoprendo la vera realtà poetica di Cinzia [in un bellissimo distico ripetuto due volte da I, 2, v.1- 8 a IV, 5, v. 55 - 62], ritroviamo ancora le ossa di Gallus!
Quid iuvat ornato procedere, vita, capillo O
et tenuis Coa veste movere sinus? S
Qui versus, Coae dederit nec munera vestis, S
istius tibi sit surda sine aere lyra. A
Dum vernat sanguis, dum rugis integer annus,
utere, ne quid cras libet ab ore dies!
Vidi ego odorati victurarosaria Paesti
sub matutino cocta iacere Noto.
A che ti giova, o vita, precedere ornate le chiome,
e in una veste di Cos agitare le membra?
A chi ti donò versi, e non una veste di Cos, o altri doni,
senza denaro rimanga sorda la tua lira.
Finché il sangue è giovane, e gli anni immuni da rughe,
tu approfitta, e il domani non segni il tuo volto!
Vidi i vittoriosi roseti della profumata Paestum
e l’indomani erano cotti dal soffio del Noto.
Versi bellissimi, immortali. Ma non c’è dubbio circa l’intenzionalità del telestico OSSA.
Come RosaCinzia rappresenta anche le Ossa di Gallo.
Ossa Rosa è la clausola estrema, qui imposta a Cinzia dal suo poeta: quando lui sarà morto, la Cynthia – e cioè l’opera sua poetica – “porrà” una rosa su certe povere ossa. L’unità del tutto [unum opus] è garantita. E vediamo allora I, 2, versi 1 – 8:
Quid iuvat procedere,vita, capillo O
et tenuis Coa veste movere sinus S
aut quid Orontea crinis perfundere murra, A
teque peregrinis vendere muneribus, S
naturaque decus mercato perdere cultu, U
nec sinere in propriis membra nitere bonis? S
Crede mihi, non ulla tuae est medicina figurae: M
nudus Amor formae non amat artificiem. E
Prendiamo pure due “serpenti” funerari, e facciamoli ruotare a spira: OSSA SUME [“Raccogli le Ossa”]. Il telestico, qui ha un andamento serpentino.
A che ti giova, o vita, procedere ornate le chiome,
e in una veste di Cos agitare le membra,
a che ti serve cospargere i capelli di profumo,
metterti in mostra con doni esotici,
e così perdere la tua naturale bellezza,
impedendo al tuo corpo la sua grazia?
Credimi, la tua figura non ha bisogno di artifici:
Amore che è nudo disdegna ogni trucco.
Ritorna in Properzio nascosto anche la contrapposizione Amor – Roma [cfr. Monobiblos], e compare di nuovo il termine membra [membrapropinquiin I, 22, 7: tu proiecta mei perpessa es membrapropinqui = Maecenas equesspempropitia umbri Properti = II, 1, v. 73: Maecenas, nostrae spes invidiosa iuventae].
Properzio nascosto va snidato. Non sempre Lui potrebbe essere del tutto lineare. Certi anagrammi hanno senso ex post [e non è detto che ci si dovesse arrivare per forza, sebbene guidati]. Tuttavia, una volta scoperte, le cifre nascoste montate in serie da un capo all’altro, si rivelano indubbiamente autentiche. Il nostro esempio collega due passi apparentemente lontanissimi tra loro nel tempo e nello spazio poetico: alcuni versi di I, 2 e certi corrispondenti versi – altrimenti ambientati – di IV, 5 [“lena Acantide”].
Properzio segreto, anche per quest’altra ragione, è dunque una realtà effettiva. Ed è sicuramente il “vero” Properzio già in due acrostici strategici, chiaramente intenzionali: SIC in I, 21 e MANE in III, 10.
La loro “intenzionalità” è assolutamente fuori discussione.
Nessuno potrebbe negarlo. Eppure pare che si preferirebbe tacere su questa scoperta, forse perché fatta da un “non” appartenente alla cerchia espertissima degli addetti ai lavori. Ed è meglio così, perché altrimenti crollerebbe un certo paradigma, che già non stava in piedi.
Per ovvia necessità, Properzio segreto non può che essere ambiguo e contorto. Ma i nessi, una volta scoperti, sono chiarissimi. Pertanto il segnalato mesostico, presente nella stringa precedente di IV, 5, vv. 55 – 62, significa ASIS RATA, e cioè “Assisi con certezza” [cfr. i due mesostici ASIS in IV, I, passi strategici corrispondenti di Propertius e di Horos].
Non è un vaniloquio. L’essere è. [Si vedano ora i due quadrati magici in III, 10 e in IV, 5 pubblicati sul mio sito web]. E questa pagina è soltanto la minuscola sintesi di un discorso sicuramente più ampio.
5*Fatalis pagina quella – però – di un falso discidium da Cinzia [cfr. III, 25, v. 37: has tibi fatalis cecinit pagina diras]. Il fatale destinatario occulto è Ottaviano Augusto. Allo stesso tempo, la fatalis pagina [che si nutre anche di tre anagrammi, in base alle tre rispettive parole dell'ultimo enigmatico verso di Horos in IV, 1], mostra una serie di correlazioni esplicite, che non hanno nulla di casuale. Trovo perciò assurdo che si preferisca ignorare il tutto, in particolare l’acrostico SIC in I, 22, versi 3 – 5, la cui drammatica eloquenza: sic te servato – sic mihi praecipue, pulvis Etrusca, dolor… funge da chiave di volta di un altro edificio, posto all’interno, composto da geniali crittografie circa il segreto, altrimenti indicibile, di Gallusgenitor, cioè padre del poeta e non suo zio[con “genitor” inserito due volte in I, 21, 3! ed Horos che lo ripeterà ancora, lì, nelle singolari pieghe del suo discorso biografico su Propertius e il suo destino].
Le guerre civili intestine del decennio precedente avevano creato divisioni e lacerazioni anche in Umbria. A dolor! [I, 19, v. 32]. Pulvis Etrusca, dolor [I, 22, v. 6]. Sicmihi praecipue. Il dolore, la polvere Etrusca, la distruzione di Perugia. Glieversos focos dell’antichssima gente Etrusca. E specialmente per lui, il poeta di Assisi, che aveva perduto il ”padre” in tenera età [non illa aetate ossa legenda] e subito atroci e tristissime requisizioni di terre. Lacrime e nuove lacrime. Cinzia non c’entra nulla.
Nel vastissimo “labirinto” risuona lugubre e accorata l’eco funebre di Gallus. Non si potrebbe dunque mettere in dubbio l’intenzione di contrapporre odiosamente il tema Amor col tema Roma, e si è poi costretti ad accettare – nella sua profondità effettiva! – la clausola testuale ossa rosa. Il triangolo morale Properzio, Cinzia e Gallo è una cosa sola. Lo avremmo dovuto capire già dal Monobiblos. Altri Gallus misteriosi associavano Cinzia elegiaca a qualcosa di taciuto. Una finzione copre ceneri infuocate: ignes – amores. Mors!
Quin etiam falsosfingis tibi saepe propinquos. [Cinzia, così in II, 6, v. 7]. At tu fingefallax opus – haec tua castra! Tu mihi sola places [= Corpus Tibullianum]. Cinzia tu sola mi piaci. Tu fingi per te dei falsi parenti. Io, così dice di me Horos, dovrò produrre false elegie, e qui celare i miei accampamenti militari. E tu, Cinzia immortale, quando sarò morto, porrai una rosa sopra le mie ossa...
Tutto ciò ha valore pregnante. Cinzia, lo strumento servente dell’arte elegiaca di Properzio, ingloba l’epica funebre di un truce crimine. E tutto riporta a Gallus. La storia reticente, che gli è stata messa in bocca in I, 21, dovrà risultare totalmente falsa, da ambigua vicenda assai poco credibile che era già.
6* Il poeta, il vate, si accinge adesso a celebrare un rito sacro: sic noctem patera, sic ducam carmine, donec / iniciat radios in mea vina dies.
In questo finale di IV, 6, che è parimenti ironico e drammatico, e pur sempre sacro, ma per un’altra ragione, c’è la notte della morte, e c’è pure l’immortalità della vita [con l'amore, con la verità].
Il sole nascente irraggia il vino rosso sangue, libato in una coppa di cristallo. La morte è stata sconfitta. Una stella paterna ha dato un segno. Iside e Osiride. Sunt aliquid Manes – letum non omnia finit. Ed è tutto collegato.
Le ombre dei trapassati sono qualcosa, non tutto finisce con la morte.
Il quarto libro non poteva non essere ciò che è: per cui, l’ultima elegia di Cornelia riprende, in sé, le stesse identiche parole speciali del “sigillo” del Monobiblos [elegie I, 21 e 22]. Insomma, sono le sparole del padreGallus, eliminato nel 40 nella strage di Perugia. E così riprende di continuo, sempre ogni volta, il tema pregnante e nascosto dell’eternità dell’arte e della fine miserevole di Gallus reciso come una rosa [rosso sangue] perché caduto vittima a Perugia della crudeltà di Ottaviano: Moriendum esse, così appunto in Svetonio.
Properzio scriveva per l’eternità della sua fama, e componeva di nascosto per Gallus. Per un duplice capolavoro, dichiaratamente destinato all’inganno, in effetti sembra improprio e fuori di luogo affermare che Ottaviano Augusto ‘se ne sarebbe dovuto accorgere’, e che allora, per ovvia conseguenza, sarebbe senz’altro intervenuta l’immancabile censura dell’annientamento. Non essendo accaduto, vuol dire cioè che nelle Elegie non c’è affatto alcuna crittografia e/o presenza di anomalie, come se l’opera non contenesse alcun enigma, e la qualificazione opus fallax significasse opera suadente e non opera ingannevole [haec tua castra : formula auto ironica per un poeta elegiaco d’amore incapace in guerra?]. Questo vorrebbe il paradigma corrente per conservare se stesso. Ma ciò che c’è, e che dunque è giunto fino a noi, sta proprio lì, e nessuno da lì lo può togliere. Dire che non c’è, sarebbe falso. E dunque, se c’è, e se parla, allora non c’è alcun dubbio: si deve pur dire che questo è veramente “Properzio segreto”. E se esiste l’alter poeta, sarà pure vero che tutta l’opera ne è stata contagiata.
Cynthia serviva a coprire Gallus. Il Monobilos, pubblicato nell’anno 29 a.C., opera dell’esordio giovanile, ha senso – solo e soltanto – in funzione del suo “sigillo” criptico [elegie I, 21 e 22], e non di Cinzia elegiaca. Una donna come Cinzia, sconosciuta a Roma, fu dunque il pretesto dell’elegia funeraria per Gallus. Chiaramente, questa donna è stata un’invenzione poetica, cioè nulla che vedere con dati reali. Se ammettiamo che sia stata una matrona nota Roma [una Hostia o una Roscia di stirpe, comunque degenerata e infamata], la sua pericolosa riconoscibilità avrebbe gettato fango su Mecenate e su Augusto.
Nomi cui Cynthia non poteva essere in alcun modo accostata [provate a pensare oggi una cosa del genere: nonostante il crollo verticale della morale sia pubblica che privata, la cosa avrebbe comunque profondamente urtato]. Ancora peggio, se Cynthia fosse stata una prostituta di alto bordo. Cynthia non ha alcun riscontro reale, a differenza di tutte le altre quattro donne elegiache concrete del ‘catalogo’ properziano degli elegiaci romani [cfr. II, 34 finale]. Mogli effettive o amanti. La donna di Properzio è tante ‘donne’, e nessuna.
Egli ha composto un’opera amorosa per una destinataria inesistente o inconoscibile, e questa storia, che sarebbe nata al passato, avrebbe avuto un seguito per diversi anni, fino alla morte, sicuramente precoce, dell’amante ormai sfiorita. Nulla più irreale; e, allo stesso tempo più adatto per Gallus. Properzio è andato diritto per la sua strada con la protezione di Mecenate fin dal principio. Furono i Sosii del Vicus Tuscus – pagati da Mecenate – a produrre in papiro il codex prezioso, bordato in oro, del Monobiblos, anziché il rotolo. Il libretto da guanciale incantò il pubblico e invase il Foro delirante. In Properzio il dato autobiografico è essenziale, e la sua pregnanza è indefettibile. Ci parla di sé servendosi principalmente di un Alter Ego: Horos indovino verace. Dubitare è impossibile: occorre seguire il filo [iter rexit].
7* Il dramma interiore del Signor Ego, nelle sue Elegie seguitava fino in fondo, per poter far risalire quelle ossaal cielo glorioso degli avi. E sempre con quelle date parole, in una finzione perfetta.
Il Signor Ego di Paul Veyne, possiede tutta l’astuzia, la potenza epica e il pathos assoluto dei capolavori di Omero: Iliade e Odissea. Il tragico poema amoroso per Gallo terminerà con la firma occulta dell’Ulisse di Assisi, a mo’ di elaborato telestico serpentino, tenuto nell’ombra protettiva. Qui a “Odysseus” mancherà la y greca. Ma l’opera elegiaca fu un “cavallo di Troia”, ed è stata una “tela di Penelope”. Ed è pure un enorme labirinto: qui racchiuso, il ‘mostro’ è Augusto.
La II, 26 si racconta da sola, sostituendosi a Virgilio [egloga IX].
<A infelix mater Properti fingenti Homero! > [= anagramma di III, 5, v. 7: Ah, sventurata madre di Properzio "plasmata" dal verso di Omero!].
Pacis Amor deus est… [Amore è un Dio di Pace: cfr. pure Virgilio, egloga X: omnia vincit Amor]. In III, 5 – primi otto versi – va colto il telestico SAOS RASO = OSSA ROSA. Non è questo un caso.
L’intenzione sembra dichiarata. III, 5, 22: Et caput in verna semper habere rosa [eterna è la rosa, perciò "in eterno rose di primavera sul capo"del poeta della resurrezione e gloria epica di Gallus].
Propertius ha cantato Amore quale Dio di Pace. Et dicere fata, ma in un altro senso. E’ giusto che il suo capo sia incoronato di rose.
C’è un universo “Elisio”, destinato ai “Beati”. In una isola remota spira eterna un’aura profumata. Nell’epodo 16 Orazio lamentava la follia delle guerre civili, presagendo la fine di Roma. Come unico rifugio le terre esotiche delle Isole Fortunate, insomma i Campi Elisi dei Beati, geografia mitica dell’Oceano conosciuto e con la speranza di un destino migliore [prima di Orazio, Sertorio da Norcia, in Plutarco, Vite Parallele, pensò anche di poter scappare in una di queste Isole Fortunate, forse le Canarie o le Azzorre, di cui aveva sentito dire dai marinai spagnoli].
In Properzio c’è una prospettiva di eternità letteraria per un riscatto epico: E tu, o Cinzia, alle mie esequie donerai la tua bella chioma, e una rosa tenera porrai sulle mie OSSA [I, 17, 22: molliter et tenera poneretossa rosa]. Ho tradotto invertendo volutamente le “ossa” con la “rosa“. In realtà, rosa è ablativo e ossa è accusativo. Cioè, le mie ossa tu deporrai, o Cinzia, con una rosa. Però, sono queste le ossa di Gallus: niente affatto disperse sui monti Etruschi.
Il poeta di Assisi, e dell’Umbria asservita da Augusto, ha adoperato una Cynthia come oggetto di passione, di follia e d’ insano furore per riversarsi in realtà tutto su suo padre, tragico eroe anonimo di una Perugia devastata alle idi di marzo del 40. E’ assolutamente vero. Se non fosse stato proprio così, Properzio non avrebbe mai costruito in quel modo il capolavoro del “sigillo” anonimo del primo libro, in cui ha genialmente immesso una serie completa ed esaustiva di eccellenti crittografie, aventi lo scopo di rivelare infine l’identità dei personaggi e il vero retroscena dell’oscura vicenda di Gallus. Negare tale “luce” significa mantenere il dubbio su tutto, rendendo un irrazionale servizio al regime augusteo, non propriamente meritorio.
Certamente Properzio non era un allineato, eppure si giovava di una grossa protezione. Il suo rifiuto ha una carica forte e i suoi elogi si rivelano falsi. L’ho già dimostrato. E’ del tutto legittima una lettura delle Elegie in altri termini. Ciò nulla toglie al capolavoro elegiaco formale, che rimane identico a se stesso, appunto come preziosa veste Coa, e tanto di più aggiunge alla antica e già sperimentata potenza del genere elegiaco: cioè amore e morte. Che poi non si voglia discutere su “Properzio segreto” chiaramente è un rifiuto illegittimo, una forzatura. Già in termini logici si sarebbe dovuto sospettare che il Nostro costituiva una robusta anomalia. Ridurlo alla sua stessa auto definizione di Callimaco Romano, però nato in Umbria, senza scorgerne l’ironia, e non richiamando neppure l’epigramma XXI di Callimaco di Cirene [per se stesso e per suo padre], questo è sul serio un pesante limite del paradigma. Quando l’irrazionalità è evidente. Non un paradigma unitario, ma un fascio d’ipotesi divergenti e inconciliabili. Pertanto, non abbiamo un “Properzio”, piuttosto un’opera elegante e difficile, di cui è poca colpa che sia stato lui l’autore. E cioè Properzio e Tibullo. Un accostamento che non ha nulla a che vedere col vero Properzio.
8* Ci rivolgiamo ora alla III, 10: vero compleanno [astronomico] di Cynthia [Luna]. Qui l’acrostico MANE [tre volte il signumautentico di Cinzia]. Perché tale orpello? Negli ultimi quattro versi di questa elegia, il telestico ASOR = ROSA. Una serie di cifre investe elegie precedenti e successive del terzo libro. E più volte la rosa.
Disce timere in III, 11, v. 8 [tu nunc exemplo meo]. Dal mio esempiotuora impara a temere. < Disce timere e fatu eventum Romae > – impara a tenere dal fato la fine di Roma – è un anagramma contenuto nel verso finale di III, 25 come maledizione [fatalis pagina] per “Cinzia”: eventum formae disce timere tuae! – impara a temere la fine della tua bellezza. Anagramma cioè ricavato da time, presente nel verso 150 di maledizione, circa l’oscuro oroscopo di Horos: Octipedis Cancri tergasinistra time! [terga in III, 24, 14 - sinistra in III, 25, 12: ma poi dipende anche da come si vogliono suddividere queste elegie del “sigillo” del terzo del libro, quando potremmo pure salvare quel time in < time discere e fatu Romae eventum > = Temi di conoscere dal fato la fine di Roma].
Una maledizione per Augusto: < C. Oct. irrita sede signa petat criminis > nel verso conclusivo di IV, 1 Propertius – Horos sopra riportato [è questo l'oroscopo occulto di Horos, unico ad aver senso quale pagina fatalis]. Temi il dorso sinistro del segno del Cancro[Cinzia – Luna, nella Casa zodiacale del Cancro, al solstizio estivo in III, 10]: qui trasformato in anagramma < Che Caio Ottaviano impetri da illegittima sede i segni [astrali] del suo crimine >. Vale a dire che nel labirinto criptico degli incastri e dei rimandi sono contenute, nelle Elegie, accuse e maledizioni nascoste per l’assassino di Gallus, cioè Caio Ottaviano diventato “Augusto” nel 27.
Mirabar – Quid mirare… Perché [o lettore] ti meravigli se una donna ha rivoltato la mia vita? Assai a lungo ci si potrebbe intrattenere su i terribili meandri verbali e le tragiche meraviglie di un’opera unica, unitaria e fallace, ed anche labirintica: qui il “vero” Properzio, ed eternamente deposte le ossa di Gallus per mezzo di una rosa, però fino alla glorificazione celeste di queste stesse ossa, che nel finale criptico di IV, 11 – elegia di Cornelia, figlia di Scribonia ex moglie di Augusto – saranno portate in cielo tra gli avi gloriosi [e si impone chiaramente la sostituzione delle ossa di Cornelia con quelle di Gallus per una ragione costringente, altrimenti le Elegie dovrebbero essere del tutto prive di crittografie di qualsiasi genere, appunto come si continua erroneamente a credere].
L’acrostico SIC in I, 22, vv. 3 – 5 è autentico come lo è l’acrostico MANE in III, 10, vv. 1- 4. Non c’è dubbio che Properzio fosse obbligato a nascondersi, onde in seguito poter essere cercato e ritrovato. Magari già scriveva in codice per una cerchia ristretta. E’ però sbagliato in radice ogni argomento contrario alla autenticità delle crittografie. La questione va vista nel suo complesso, spezzarla in singole parti non ha alcun senso. Le crittografie di cui si è servito il Nostro sono di molti generi, sulla base del necessario e opportuno principio dominante di ambiguità e ambivalenza. Prese isolatamente queste crittografie sembrerebbero degli orpelli oppure di un genere non particolarmente significativo o anche casuali: quando è soltanto in base al loro insieme, alla loro specifica collocazione, al loro addensamento e alla loro rispondenza al testo in cui si trovano, che è possibile formulare un giudizio di autenticità e di certezza.
Il caso tipico di autenticità assoluta è fornito dalla serie di crittografie presenti in I, 21 e 22, formati un sistema integrato, persino con rimandi esterni e interni. Anche i temi ossa rosa e Amor Roma fanno parte di Properzio segreto con riguardo a Cynthia e a Gallus.
Di ciò è testimonianza nel Monobiblos. Perciò procediamo ancora.
9* La nostra rassegna a proposito di ossae rosa è del tutto parziale: difatti, si potrebbe seguitare ancora, e per molto. Chi l’avrebbe detto che l’abbinamento ossarosa poteva condurre così lontano? La III, 17 ha le vesti apparenti di un inno a Bacco: Quod si, Bacche, tuis per fervida tempora donis / accersitus erit somnus in ossa mea [v. 13 e 14]. E vinci col tuo sopore questa mente agitata [ultimo verso]. O Bacco, se si accendono le tempieper i tuoi doni [Properzio è pur sempre ambiguo!], allora verrà il sonno nelle mie ossa. In III, 16, v. 25: di faciant, mea ne terra locet ossa frequenti, dichiaratamente facciano gli dei che le mie ossanon stiano in luoghi frequentati…
Mea ossa – Ma anche tutte quante le ossa. Quelle di Cinzia; quelle di Gallo; quelle dei morti di Perugia; e quelle ossa – mea ossa – del poeta. Perché la parola ossa è la vera chiave delle Elegie. E, dunque,poteva forse mancare unarosa? Amore Morte. Ed è eternità, arte somma! Un genio assoluto della poesia mondiale, che è riuscito a fare politica, dando l’impressione di evitarla aborrendola.
Il tema Amor – Roma è presente anche in II, 15 [con Endimione che dalla bianca Luna discesa dal piccolo carro dei buoi immacolati sarà risvegliato dal sonno della morte: in Assisi, conservato in un luogo sacro, c’è un sarcofago romano, scolpito a rilievo col mito lunare di Endimione]. O me felicem! o nox mihi candida!Me felice, notte per me candida! Il tema della morte si era affacciato in I, 17 e 18 [la lontananza; e poi l'eco Cinzia, rimandato per le selve]. Per comparire più nettamente in I, 19: O Cinzia, io non temo le tristi ombre della morte… La rosa[rossa?] è ancora idealmente presente in I, 19, 18: [...] cara tamen lacrimisossa futura meis. / Quae tu viva mea possis sentire favilla.
Non è facile tradurre correttamente questo distico. Daquelle lacrime, da quelle ossa si sprigionano delle faville incandescenti:altrove, muta favilla. Faville di un rogo ardente, di un roseto mistico: l’Anima. Ma confrontiamoI, 21 e 22 con II, 1, v. 29: eversosque focos antiquae gentis Etruscae, giacché Cinzia è finzione. Perugia fu data alle fiamme, e per vendetta furono sgozzati circa trecento capi locali: tra di essi si trovava il padre del poeta, Gallus “Propertius Asisiensis” [il verbo properas ne è appunto l’acronimo]. E basterà confrontare l’elegia epigrammatica I, 21 con l’epitaffio di Pacuvio e con l’epigramma XXI di Callimaco di Cirene per comprendere il vero Callimaco Romano: nato in Umbria, ad Assisi, nel mese di maggio dell’anno 48 a.C.
Una serie di crittografie, tra di loro coordinate, genialmente inserite nel sigillo anonimo del Monobilbos – elegie epigrammatiche I, 21 e 22 –, dava i nomi effettivi di Gallus e della soror [sorella di chi?].
La “risposta veritiera”, indubbiamente autentica, a questi enigmi voluti, fonda tutto il resto. Sì che è impossibile dubitare di ossa rosa [ed anche dei due quadrati magici di tipo verbale quattro per quattro già pubblicati su questo sito, che devono ugualmente essere considerati autentici].
Il sillogismo che presiede a questo tipo di conclusioni su Properzio segreto, si fonda su diversi elementi di certezza, che così potremmo sintetizzare: 1) la contraddittorietà del paradigma; 2) gli enigmi delle Elegie; 3) la scoperta di crittografie seriali indubbiamente autentiche, straordinariamente significative e disposte in luoghi strategici.
In tali condizioni, qui ancora una volta ampiamente certificate, suonerebbe dunque particolarmente strana la ripulsa a discuterne in termini coerenti e stringenti. In specie, se si prendesse in esame, momento per momento, la rappresentazione verbale di I, 21 e 22 rispetto ai personaggi coinvolti e al successivo ruolo di Mecenate nel secondo libro. Le prove sono schiaccianti. Tutti, o quasi tutti i lavori pubblicati su Properzio, non riescono a superare l’ostacolo degli enigmi testuali dell’opera, e non sono nemmeno in grado di spiegare le evidenti contraddizioni del paradigma elegiaco di Cinzia.
Lavori oltremodo raffinati, fondamentali e imprescindibili: eppure il testo resiste, e Properzio stesso vi si sottrae. Nessuno si era accorto della presenza di crittografie. Solo Properzio, ne fu l’Autore verace.
E da questo momento tutto è cambiato, proprio perché le “Elegie” per “Cinzia”, contengono la tragedia di Gallus. Infatti, ciò che sembrò per secoli un dettaglio “elegiaco” rispetto alla “pace amorosa” e al poetico “rifiuto delle armi”, rappresentava invece la componente essenziale dell’ispirazione necessaria e dell’esperienza di vita di un “genio” inimitabile dall’antica Umbria avvilita e schiacciata.
10* Nel quarto libro delle Georgiche [v. 119] Virgilio faceva presente che i famosi roseti di Paestum fiorivano due volte all’anno [biferique rosaria Paesti]. Probabilmente è questo l’archetipo letterario dei famosi roseti di Paestum, ripreso anche da Ovidio [Metamorfosi XV, verso 708] in un contesto notevolmente dettagliato di riferimenti sicuramente da indagare in relazione a Properzio che rispetto al più giovane poeta di Sulmona aveva al massimo non più di cinque anni [Properzio nato nel ‘maggio’ del ‘48’ e Ovidio nato nel marzo del 43]. Ma perché victura rosaria? E che colore potevano avere queste rose di Atena – Minerva, bruciate già di mattina dal soffio infocato del Noto? [Rose bianche, e poi rose rosse?].
Non è facile tradurre, rendere letteralmente il distico properziano. E difatti i traduttori preferiscono aggirare questi versi: Vidi ego odorati victura rosaria Paesti / sub matutino cocta iacere Noto. Victura – cocta per contrasto di opposti rende l’idea della morte: i trionfanti roseti diPaestum, che sembravano immortali, sono stati cotti – bruciati da un soffio di fuoco.
Vidi ego rugoso tussim concrescere collo, / sputaque per dentis ire cruenta cavos… [Io vidi i roseti immortali di Paestum - Io vidi le squallide bruttezze della lena Acantide che prostituiva Cinzia].
Il dialogo è intessuto con tanta maestria e finezza, che le voci si fondono: sì, che a parlare è sempre il Signor Ego. Properzio “testimone diretto” di Cinzia, ormai ridotta “pelle e ossa”.
Tutto falso, la scena tanto realistica e forte, è in realtà una scena impossibile. Ego sovrasta la materia e ne fa una narrazione metafisica e simbolica. Il lettore, catturato, soggiace alle immaginie s’immedesima: non può scorgere subito le ossa [il telestico] e non ne afferrerebbe i simboli. Trionfa l’Ego di Properzio! Lui solo sa tutto con certezza. All’inizio di IV, 5 avevamo trovato un sepulcrum come in IV, 4 a proposito di Tarpea [turpe sepulcrum]. Noi dobbiamo dedurre.
Certe ripetizioni, volute, sottendono una ragnatela di concetti. In I, 16 [magistrale composizione criptica] troviamo una porta di Tarpea, ianua Tarpeiae nota Pudiciae [classica crux properziana per varie ragioni]. In IV 5, 16 nostro de sanguine, e poi lacrimis. Leggere Properzio è un arduo problema. Vita e morte. Il destino dell’amante. Il dolore. Il tempo. E c’è sempre un Gallus. Il verbo properas si prestava bene in I, 21, 1 come acronimo di “Propertius asisiensis”. Se andiamo indietro a I, 5, v. 4 [elegia in cui compare un primo Gallus], qui troviamo il primo properas [infelix nosse mala]. A seguire il telestico ASIS [versi 6 – 9]. In I,4, v. 1 – 4 il telestico SARO = ROSA. Properzio confusionario? E altri Gallus. Troppi enigmi. E poi moltissimi intrecci e correlazioni allusive. Ossa. Dolor et lacrimae.
Ossa compare – per la prima volta – in I, 9. Prima favilla mali.Che dovremmo pensare di questo labirinto verbale e concettuale?
Il discorso generale è questo: Cynthia, Gallus, e le ossa [con le rose]. Gallus continua a essere presente come un’ombra: Aliquid sunt Manes. Le ossa sono un tramite unico tra Cinzia e Gallo. Ai due estremi si pongono ossa e rosa. Non possiamo declinare l’argomento, siamo costretti ad accettarlo. Dolor – pulvis Etrusca – eversos focos antiquae gentis Etruscae – Prusina sepulcra. Dolore, polvere, focolari distrutti, i sepolcri di Perugia [altri sepolcri quelli etruschi]. Lo sterminio degli Etruschi [gente mista agli Umbri].
In propriis membra nitere bonis? [Cinzia: vedi sopra]. L’immagine di Cinzia all’inizio poteva essere quella della luna [vedi in particolare I, 3]: il volto della fanciulla nella luna piena e il teschio con le orbite vuote. In I, 2 Cinzia si presenta con il capo adorno e la magnifica veste Coa.che ne lascia trasparire il corpo e la bellezza. Da qui traspare pure un’altra immagine, il tragico ricordo dell’infanzia:Gallus milescol cimiero, e ‘caput gentis’ ad Assisi. Gallo Properzio è morto a Perugia, vittima della crudeltà di Ottaviano:non fuggendo ignotas manus, bensì per un segno di mano [at signo manus].
O Vita, costui era un vero capo militare. Gallus, padre del poeta.Ultima immagine del genitore, rimasta negli occhi di un fanciullo geniale, destinato a rimanere orfano prima del tempo.Amor – Roma / Odi et Amoin Catullo. Properzio, parlando d’amore per una “Cinzia” che non c’è, a differenza di Lesbia-Clodia, già cantata e adorata da Catullo, odia la Roma di Augusto: Roma sobillatrice. Il falso Callimaco Romano in realtà è un nuovo Omero.
Il Signor Ego di che parlerebbe? Vidi Ego dei roseti trionfanti, vittoriosi, immortali: caddero subito, al soffio mattinale del Noto. Ma l’amore non muore. Sunt aliquid Manes [le Ombre esistono, sono qualcosa]. Perciò, il luogo adatto per “Gallus mortuus” dovranno essere gli “Elisi”, l’oltretomba profumato delle Isole Fortunate; o la volta stellata, la Via Lattea, e i Segni immortali del cielo.
L’ammanco del padre continuò a pesare per diritto sacro. La metrica è una forma di bellezza, ma la poesia in sé è Anima sempre. Gallus è il protagonista invisibile del fallax opus – unum opus.
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A mo’ di conclusione: la luce delle stelle e le ombre dei morti
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Mecum eris et mixtis ossibus ossa teram. Sta parlando Cinzia, che ormai è morta\, ma Cinzia tornerà viva, di nuovo sull’Esquilino, ricco d’acque. Sarai ancora con me e dunque le nostre povere ossa mescolate si consumeranno ancora per sempre nell’abraccio. Mox solatenebo: presto ti avrò io sola. E c’è un altro mox in IV, 1, v.131 a scandire i tempi della morte del padre, delle espropriazioni dovute subire, della venuta a Roma con la madre, e della maggiore età [a 16 anni, tolta la bolla d’oro e la toga pretesta]. Poi i primi versi.
Il mox di Cinzia [mox sola tenebo] non incide sui tempi della sequenza autobiografica: Properzio non venne a Roma poco prima dei suoi 16 anni, egli non aveva subito – così di recente! – la morte prematura del padre, e le espropriazioni terriere [dopo quella morte].
Pertanto il mox di Cinzia morta, che fa parte del medesimo labirinto di segni e d’intenzioni occultate, non concerne il piano della realtà – vale a dire l’asserita visione in sogno di Cinzia morta – e nemmeno quello della pura fantasia poetica, bensì la necessità proprio di quella rappresentazione simbolica. Cinzia è solo una veste, è una donna schermo. L’ombra di Gallus è continuamente presente. Quest’ombra omerica dell’infelice padre del poeta meritava i Campi Elisi di Anchise nell’Eneide e il cielo sublime degli avi gloriosi. Ed è per questa ragione necessaria che l’opera ingannevole termina così: cuius honoratis ossa vehantur avis [le cui ossa siano portate tra gli avi gloriosi].
Properzio era nato da illustri Penatiin fertili terre dell’anticaUmbria. La sua Patria è Assisi, allora sacra a Minerva [con le Rose di maggio]. Victura rosaria Paesti significa eterni roseti. Rose dei Beati, di giorno, come scintilla il sole in coppe di cristillo; e un mare di stelle, la notte. [Assisi - Asis dura ancora così nei millenni: la notte, sotto le stelle, il loro manto di pensieri; e poi, sempre, in eterno, nel rinnovato profumo delle rose di maggio].
[Arcangelo Papi]