CARTESIO E LA FORMULA DEI POLIEDRI
***
Abstract: In un affascinante saggio del matematico Amir D. Aczel è spiegato il mistero del “taccuino segreto” di Cartesio, che a suo tempo attirò l’attenzione di Leibniz, a Parigi. Il grande filosofo francese, fondatore della geometria analitica, aveva scoperto la formula dei poliedri, prima che la riscoprisse Eulero. Forse, questa bella relazione era già nota ad Archimede. Ripercorrendo certi aspetti della vita di Cartesio, proponiamo in queste pagine di semplici appunti alcune considerazioni del tutto originali. Non siamo matematici, il nostro è un racconto diverso, che si aggiunge a quello magistralmente tracciato da Aczel. I lettori ‘curiosi’ noteranno che i temi trattati in questo sito si inseguono a vicenda, come in un labirinto. Non reputiamo necessario disporre e poi indicare il filo d’Arianna. Il bello è questo: le strade vanno ovunque, passando e ripassando da molti luoghi. In specie quelli dell’anima.
ANTEFATTO – GLI STRANI APPUNTI DI LEIBNIZ A PARIGI
1* Il grande filosofo e matematico tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz1 (morto di gotta il 14 novembre 1716, ad Hannover, pressoché dimenticato dai contemporanei, solo e senza eredi),2 discendeva da una famiglia protestante di origine slava. Era nato a Lipsia il primo luglio 1646. A venti anni, a Norimberga, dopo aver pubblicato a Lipsia i suoi primi scritti di logica, era divenuto un affiliato della setta dei Rosa-Croce, per acquisirne in seguito la carica di segretario.
Nel 1672, dopo un breve periodo a Londra, si era recato a Parigi in missione diplomatica per conto della corte di Magonza, al seguito del barone Boineburg, un diplomatico tedesco che lo aveva introdotto presso l’elettore Giovanni Filippo come consigliere per questioni politiche, culturali e religiose.
Poco prima di rientrare in Germania e accettare nel 1677 a Hannover l’incarico di bibliotecario del duca Giovanni Federico di Brunswick, che lo terrà bloccato per quasi tutto il resto della sua vita intorno a un’opera storica di poco conto, tesa a dimostrare, con la discendenza dei Brunswick dalla casa d’Este, la legale dignità principesca,3 Leibniz, che aveva iniziato in quegli anni a interessarsi al calcolo infinitesimale,4sospinto dall’interesse nei confronti di Cartesio (1596-1650), e probabilmente informato dall’amico Christian Huygens (1629-1695) che in quegli anni si trovava nella capitale francese, cercò di rintracciare le carte segrete del grande filosofo francese, che dopo la sua morte, avvenuta a Stoccolma l’11 febbraio 1650, all’età di 54 e in circostanze poco chiare, erano finite in mano a Claude Clerselier (1614-1684).
Clerselier, che aveva conosciuto Cartesio a Parigi, nel 1648, qualche tempo prima che decidesse di recarsi in Svezia, presso la Corte della giovane regina Cristina (1626-1689), dopo la sua morte, era divenuto il custode delle carte personali del filosofo, nonché l’editore della sua corrispondenza, pubblicata a Parigi, in tre volumi, tra il 1657 e il 1667. Clerselier era anche il cognato dell’ambasciatore francese in Svezia, Pierre Chanut (1601-1662), che si era adoperato affinché Cartesio, che si trovava ormai da più di venti anni in Olanda, accettasse l’invito della regina a trasferirsi a Stoccolma in qualità di precettore.
Il primo giugno 1676 Leibniz scese da una carrozza, salì una rampa di scale, bussò alla massiccia porta di legno dell’abitazione parigina di Clerselier, che aveva preso in consegna i manoscritti segreti di Cartesio, inviatigli dalla Svezia per nave nel 1652. Clerselier, pur esitando, permise a Leibniz di consultare quelle strane carte, che facevano parte dell’elenco stilato nei giorni immediatamente seguenti la morte filosofo. Il tedesco riuscì a penetrare il cifrario di un taccuino riservato e ne trascrisse un riassunto di una pagina e mezza. Questi appunti di Leibniz, che erano appena un estratto del taccuino segreto,5 finirono con la sua morte nella confusione delle sue carte, conservate ad Honnover. Qui furono recuperati nel 1860 da Louis-Alexandre Foucher de Careil, uno studioso di Leibniz, che però non era un matematico.
In seguito, nel 1890, l’Accademia francese delle Scienze pubblicò una seconda volta questi appunti di Leibniz, con un commento di Ernest de Jonqières, che non aveva una preparazione sufficiente per comprenderne il contenuto. Nel 1966 ci fu un nuovo tentativo da parte di un gruppo di ricerca che utilizzò le preziose informazioni raccolte nel 1912 presso la Biblioteca Nazionale di Francia, da due ottimi studiosi, Charles Adam e Paul Tannery.6 Ma ancora una volta il “taccuino” di Cartesio (o, meglio, gli appunti di Leibniz integrati da altre informazioni), rifiutò di restituire i suoi segreti, finché il mistero non fu rivelato nel 1987 dal sacerdote e matematico francese Pierre Costabel.7
Leibniz era venuto a capo della formula generale dei poliedri semplici, dovuta a Cartesio, ma scoperta e pubblicata da Eulero soltanto nel 1730, senza averla divulgata a propria volta.
Cartesio era stato perseguitato dall’accusa, più o meno infondata, di essere un Rosa-Croce fin dal 1623, al momento del suo ritorno a Parigi, prima del viaggio in Italia durato due anni, che fu di nuovo avanzata nel 1629, allorquando decise di recarsi in Olanda, per restarci venti anni, salvo qualche sporadico e breve ritorno in Francia.
Questo, in estrema sintesi, l’antefatto del Taccuino segreto di Cartesio, titolo inglese Descaters’ Secret Notebook (2005), un libro di Amir D. Aczel pubblicato in Italia da Arnoldo Mondatori (2006).
Matematico di fama del Bentley College di Boston, Aczel è autore di una serie di brillanti saggi divulgativi.8 In questo libro, dedicato al mistero del “taccuino” di Cartesio, vengono ripercorse con vivacità stilistica anche la vita e l’opera del grande filosofo,9 passato a fama imperitura soprattutto per il Discorsosul metodo (pubblicato anonimo a Leida, in Olanda, nel 1637),10 il cui ultimo allegato di Geometria (a sua volta diviso in tre libri), conteneva la svolta fondamentale per la matematica moderna, fondando la geometria analitica.11
All’inizio e alla fine Aczel si sofferma in particolare su un manoscritto cifrato risalente al 1619,12 composto di 16 pagine accuratamente rilegate in pergamena, recante alcuni disegni, oltre che degli strani simboli alchimistici e cabalistici. Di questo taccuino,che venne inventariato subito dopo la morte di Cartesio insieme ad altri manoscritti, si sono perse le tracce subito dopo il 1691. La vicenda è molto interessante, ricca di fascino e di mistero, ma in sé non è nuova. Se qualcosa di questo taccuino si è potuta salvare, lo dobbiamo senz’altro alla pagina e mezza di appunti presi da Leibniz a Parigi. Questi appunti, confluiti nella enorme quantità di carte della Biblioteca di Hannover, oggi Biblioteca Leibinz, sono l’unica testimonianza materiale di quel diario o registro che Cartesio portò con sé fino alla morte.
L’affascinante racconto di Aczel, che per scrivere questo libro si trasferì per un certo periodo a Parigi, effettuando ricerche anche ad Hannover, ripropone alcune domande intorno a una vicenda nota da secoli. La notizia del taccuino non solo è presente nell’accurata biografia del Baillet, pubblicata a Parigi nel 1691 in due volumi,13 ma è stata attentamente riesaminata nel 1995 da Geneviève Rodis-Lewis nella sua aggiornata biografia di Cartesio.
Gli appunti trascritti da Leibniz sono fondamentali perché ci hanno conservato una parte essenziale di ciò che andò purtroppo perduto dopo la morte dei primi custodi: Claude Clerselier e in seguito l’abate Jean-Baptiste Legrand. Dopo la morte di Legrand (1704), i manoscritti scomparvero.14 Forse potranno riapparire tra le carte di un qualche polveroso e dimenticato archivio di un monastero francese,15 a meno che non siano stati deliberatamente distrutti.
Dal momento che la strana vicenda del taccuino segreto di Cartesio ci porterà forse un po’ più lontano di quanto Aczel abbia scritto nel suo bel libro, vale subito la pena d’affacciare che strada facendo aggiungeremo gli opportuni complementi d’informazione nel testo o nelle note, fermo restando che al centro dell’attenzione resta il contenuto di questo diario personale o registro cifrato, che stranamente neppure Leibniz volle far conoscere dopo la sua scoperta e dopo averne afferrato il contenuto. Resta inoltre misterioso il fatto che Clerselier si sarebbe opposto a che Leibniz potesse copiare l’intero documento, dopo che nei tre anni e mezzo trascorsi a Parigi Leibniz aveva fatto ogni sforzo per localizzare quel tesoro. Perché Cartesio teneva un taccuino segreto? Di che cosa parlava? E perché Leibniz si era preso la briga di andare fino a Parigi, cercare Clerselier e copiare alcune pagine? Perché Clerselier rivelò l’esistenza del taccuino, imponendo tuttavia a Leibniz delle rigide restrizioni?16 Cartesio aveva portato con sé in Svezia quelle carte custodite in una cassetta, ed evidentemente vi assegnava grande importanza.
Resta infine il dubbio che alcune di esse possano essere state eliminate subito dopo la morte, escludendole dall’inventario. Questo sospetto deriva dalla strana morte di Cartesio, ufficialmente a causa di una polmonite, che potrebbe tuttavia nascondere il giallo di un delitto politico, consumato con un avvelenamento da arsenico.17 Il continuo girovagare del filosofo da un luogo all’altro era l’indizio di un timore per qualcuno o qualcosa.
LA MORTE DI CARTESIO A STOCCOLMA
Io desidero unicamente la tranquillità e il riposo. Queste sue parole non trovarono conferma nella vicenda esistenziale di Cartesio che si trascinò infatti con irrequietudine da un luogo all’altro senza una stabile dimora.18 Secondo alcuni (Morris Kline) Descartes fu il primo grande filosofo moderno, e soltanto accidentalmente un matematico. Secondo altri fu essenzialmente un matematico e un genio astratto (E.T. Bell). La sua vita si svolse in un’epoca in cui l’Europa era in preda alla guerra, tra le ansie di una ricostruzione politica e religiosa (la guerra dei trent’anni che imperversò tra cattolici e protestanti). Dopo quella dei maghi rinascimentali,19 l’età di Cartesio è stata il grande secolo della nascita della scienza moderna, soprattutto con Galileo Galilei (1564-1642); fu anche il secolo dell’Inquisizione, che Cartesio temeva fortemente.
Più di due anni dopo l’improvvisa morte di Cartesio a Stoccolma, le carte segrete – insieme al taccuino custodite con cura in una cassetta – erano arrivate nel 1652 a Parigi nelle mani di Clerselier, che per quanto notevolmente più giovane era stato a Parigi un ammiratore di Cartesio, oltre che in rapporti con padre Marin Mersenne (1588-1648) ed epistolari con Pierre de Fermat, il quale abitava a Tolosa.20
Clerselier, fervente seguace cartesiano,21 era il cognato dell’ambasciatore di Francia in Svezia, Pierre Chanut, che aveva sposato sua sorella.
Dall’Olanda, dove si trovava ormai da venti anni, attraverso la mediazione di Pierre Chanut che era evidentemente interessato ad un avvicinamento di rapporti tra Francia e Svezia, il cattolico Cartesio22 era stato chiamato alla corte della giovane regina Cristina, che era protestante,23 e che aveva fatto di tutto per attrarlo. Cartesio doveva aver riposto qualche speranza in questa chiamata, ma giunto in Svezia, asserì in una lettera datata 15 gennaio 1650: Qui non sono nel mio elemento.24 Le sue aspettative erano rimaste deluse, per quanto la giovane regina gli si fosse molto affezionata e si mostrasse vogliosa di apprenderne gli insegnamenti.
Cartesio, che tra il 1627 e il 1628, stimolato dai cardinali de Brulle e de Bagné, aveva atteso alla stesura delle Regulae ad directionem ingenii e, forse, della Ricerca della Verità. Dopo l’assedio e la conquista de La Rochelle, ultima roccaforte degli Ugonotti che affacciava sul mare, decise di ritirarsi in Olanda. Le ragioni di questa decisione non sono mai state chiare.25 Il trasferimento fu permanente, nel senso che Cartesio sarebbe rimasto in Olanda per vent’anni, e quando lasciò quel paese lo fece per andare in Svezia, e non per tornare in Francia (salvo brevi viaggi a Parigi nel 1644, 1647 e 1648). Nel Discorso sul metodo aveva affermato di essersi trasferito in un paese pacifico, di cui ammirava la popolazione attiva e prospera. L’Olanda aveva leggi sulla stampa più liberali che non in Francia. Qui Cartesio poteva pubblicare le sue opere. Secondo una congettura, Cartesio aveva abbandonato la Francia poiché qui lo si accusava (già dal 1623), di essere un Rosa-Croce. Era rimasto in contatto con padre Mersenne, che era il tramite. Soltanto il dotto minorita, di otto anni più vecchio, sapeva dove ogni volta Cartesio si trovasse. Sembrava proprio che avesse paura, che si nascondesse da qualcuno o da qualcosa. Temeva fortemente l’Inquisizione. L’Olanda era protestante. Cartesio, nel 1647, fu trascinato a Utrecht in uno dei più violenti conflitti accademici della storia, che lo vedeva sul banco d’accusa dei calvinisti più accesi.
Per venti anni di seguito, fino a che si decise ad accogliere l’invito in Svezia, altro paese protestante, percorse tutta l’Olanda rifugiandosi in oscuri villaggi, negli alberghi e nei cantucci più nascosti delle grandi città, mantenendo metodicamente una voluminosa corrispondenza scientifica e filosofica con gli spiriti più illuminati d’Europa usando Mersenne come intermediario esclusivo, che conosceva ogni momento l’indirizzo segreto di Cartesio. In Olanda Cartesio si sposò in segreto con una strana donna, che gli diede una figlia, Francine, che però morì a sei anni di scarlattina.
Durante i suoi lunghi vagabondaggi in Olanda esplorò altri domini oltre la filosofia e la matematica: ottica, chimica, fisica, anatomia, embriologia, medicina, osservazioni astronomiche, metereologia, compreso uno studio sull’arcobaleno. Tutto ciò che si presentava al suo spirito era grano per il suo mulino. Nel corso di un breve viaggio in Inghilterra si accostò anche al magnetismo. Ma non volle pubblicare il trattato sul Mondo, pubblicato postumo, una parte del quale finì per confluire ne I principi della filosofia, editi nel 1644 e dedicati alla principessa Elisabetta di Boemia (figlia di Elisabetta, nata Stuart, che aveva sposato Federico V di Boemia, detto con derisione il re d’inverno perchè era durato una sola stagione), che bambina di appena due anni era fuggita in carrozza coi suoi genitori il 9 novembre 1620 da Praga, assediata e conquistata dall’esercito cattolico di Massimiliano di Baviera. Alla stessa principessa Elisabetta, che era dotata di ingegno e che forse era si era innamorata del filosofo, Cartesio dedicò anche Le passionidell’anima, uscite nel 1649.
Sfinito dalla querelle di Utrecht, Cartesio fece un’altra visita a Parigi, e fu qui che conobbe Clerselier, che aveva letto tutti i libri di Cartesio ed era un seguace della sua filosofia oltre che consigliere del Parlamento. Secondo Baillet nacque tra i due una grande amicizia. Cartesio confidò al più giovane amico i segreti più intimi del suo cuore. Clerselier combinò un incontro tra Cartesio e suo cognato Pierre Chanut, che padre Mersenne aveva descritto in una lettera come grande ammiratore della filosofia di Cartesio. Chanut, molto introdotto a corte, divenne ben presto l’ambasciatore francese in Svezia, e fu in grado di allettare Cartesio con le attenzioni della regina Cristina. Chanut intendeva servirsi di Cartesio per cementare l’alleanza tra la Francia e la Svezia. In questo periodo Chanut fece da intermediario in un lungo corteggiamento reciproco tra Cristina di Svezia e il filosofo. Fino a quando nell’agosto del 1649 l’ammiraglio Fleming della Flotta reale svedese non si presentò in Olanda a casa di Cartesio per trasportarlo per nave a Stoccolma.
Il primo settembre 1649 Cartesio partì da Egmont per andare ad Amsterdam per imbarcarsi per la Svezia. Era accompagnato dal nuovo valletto tedesco Henry Schluter, che parlava correntemente anche il latino e il francese. Prima di partire scrisse a Clerselier, facendogli sapere che stava per recarsi in Svezia più per la fiducia riposta in Chanut che per sua decisione. Temeva infatti la contraddizione che la giovane regina di un paese protestante, ricevesse la sua istruzione da una persona di un’altra religione.26
I primi di settembre partì con un presagio di morte,27 e giunto in Svezia il 4 di ottobre (ricorrenza della festa di S. Francesco d’Assisi),28 dopo un difficile viaggio per nave, durato circa un mese per le avverse condizioni del tempo,29 Cartesio non ebbe più buona sorte.30
Anziché morire di polmonite a frigore a causa delle levatacce mattiniere (la regina infatti lo convocava nel suo studio non riscaldato alle 5 di mattina, probabilmente però non tutti i giorni), forse Cartesio fu avvelenato. Come vedremo, l’ipotesi estrema dell’omicidio politico ha le sue buone ragioni, e sembra innestarsi in un mistero ancor più fitto.
Si deve comunque supporre che Cartesio avesse portato con sé i suoi scritti riservati, lasciando cose minori in Olanda. Baillet, nella sua biografia, descrive l’inventario stilato a Stoccolma pochi giorni dopo la morte (14-15 febbraio). Copia di questo inventario fu rintracciata nel 1912 presso la Biblioteca Nazionale di Parigi da Adam e Tannery. Una seconda copia era stata inviata in Olanda dall’ambasciatore Pierre Chanut al padre di Christian Huygens, Constanijn, che era segretario di Maurizio di Nassau, principe d’Orange. Dal giovane Christian Huygens, che sarebbe diventato un famoso fisico e che a quel tempo si trovava nella capitale francese, Leibniz avrebbe appreso che i manoscritti inediti di Cartesio era finiti a Parigi nelle mani di Claude Clerselier, il cognato dell’ambasciatore. Leibniz, che si trovava a Parigi al seguito del barone von Boineburg, riuscì comunque a individuarne il custode. Il filosofo e matematico tedesco era già un esperto di decifrazione dei codici, e venne facilmente a capo del manoscritto cifrato, rubricato nell’inventario di Stoccolma come Documento M. Il Baillet aveva cercato invano di capire gli scritti matematici, compreso il taccuino segreto, che gli era stato imprestato dell’abate Legrand. Non riuscendo a venire a capo dei simboli e dei misteriosi disegni, venne però a sapere da Legrand della visita di Leibniz a casa di Clerselier, più di venti anni prima.
E’ paradossale il fatto che il filosofo del razionalismo, il grande cultore della verità derivante dal dubbio sistematico e dalle idee chiare e distinte, sia impregnato di mistero. Il mistero dei suoi sogni visionari, ma profondamente rivelatori, occorsi in Germania nel 1619, la notte di San Martino, in una stanza riscaldata da una stufa di faenza (poele), non si sa bene se a Ulm o a Neuburg sulle rive del Danubio. Quello del suo instancabile girovagare per l’Europa e dei suoi contatti rosa-crociani. Le sue eccezionali conoscenze e scoperte, che gli venivano dalla riflessione e dall’introspezione, anziché dall’esperimento. Il mistero dei suoi timori, e, forse, anche quello di una necessaria doppiezza (rappresentata dal mascheramento e dalla favola del Mondo), accanto ad un estremo riserbo. Il mistero della sua morte, compresa la vicenda del presunto cranio conservato al Musée de l’Homme a Parigi.31 Il mistero della paura dell’Inquisizione e quello dei manoscritti segreti.
A ben guardare, le ragioni di sospetto si moltiplicano, attraversando la vita di Cartesio insieme ad altre vicende, che si avrà modo di accennare.
Anche il ruolo dell’ambasciatore Chanut è ambiguo e contraddittorio.32
Non solo potrebbe aver finto, come alibi, la malattia che lo colse pochi giorni prima di quella di Cartesio, che alloggiava nell’ambasciata e che si ammalò il primo febbraio 1650. Ma potrebbe essere stato il tramite di una congiura di palazzo derivante da nuovi equilibri e persino da un ordine del re di Francia, dopo la conclusione della guerra dei trent’anni tra cattolici e protestanti, che era iniziata nel 1618. Il dubbio sistematico si impone per queste sospette faccende in presenza di riscontri indiziari e di altre strane circostanze come quella della frettolosa e povera sepoltura, della mancanza del cranio, ecc. In questo quadro di sospetti e di domande aperte al dubbio, potrebbe collocarsi anche l’inventario dei manoscritti segreti e la successiva sorte degli stessi.
Leinbinz, trasferitosi alla fine del 1666 a Norimberga, era divenuto il segretario dei Rosa-Croce. E’ alquanto improbabile che Cartesio sia stato segretamente affiliato a questa setta, peraltro da lui criticata, anche se ne fu sospettato, quando in coincidenza del suo rientro a Parigi, nel 1623, prima della partenza per l’Italia dove rimase due anni, apparvero nella capitale i primi manifesti Rosa-Croce.33 Molto probabilmente ebbe dei contatti con importanti esponenti rosa-croce.34 Il taccuino segreto potrebbe tuttavia riaprire questa possibilità, per quanto questo diario diviso in più sezioni risalga ad età giovanile (nel 1619 Cartesio aveva appena 23 anni).
E’ possibile supporre che il razionalista cattolico Cartesio, che però visse quasi sempre in mezzo ai protestanti,35 ma che si recò umilmente in pellegrinaggio al santuario della Madonna di Loreto per sciogliere un voto, 36 si fosse posto addosso una maschera?37
Un uomo come lui ha forse abbreviato di mille anni l’infanzia dello spirito umano.38Sì, Descartes era irresoluto e perfino incostante. Ed era anche molto suscettibile. Egli però era umano, benefattore, compassionevole, generoso. Fatto è che si riconciliò con tutti i suoi oppositori, coi quali aveva polemizzato.39 La riconciliazione con Gassendi, nel 1648 a Parigi, fu di dominio pubblico.40
La filosofia di Cartesio era impregnata di metafisica razionalista.41 Strettamente caratterizzata dal dualismo mente-corpo (vale a dire la res cogitans o anima contrapposta alla res extensa o materia), questa concezione dava luogo a diversi problemi teologici di difficile soluzione, come quello della resurrezione dei corpi e quello della transustanziazione nell’Eucarestia. Potè dunque apparire pericolosa, anche se l’anima secondo Cartesio era immateriale. L’anima apparteneva soltanto all’uomo, mentre gli animali andavano considerati come degli automi meccanici.42 Cil non toglie che Cartesio sia stato il fondatore della psicologia e il padre del mind-body-problem (venuto alla ribalta in età contemporanea con l’informatica e il problema dell’intelligenza artificiale).43
Per quanti entusiasmi avesse sollevato in tutta Europa, fu anche oggetto di dileggio. Il difficile della questione stava nel conciliare col meccanismo, che richiede infatti una causa di contatto fisico, i rapporti tra mente e corpo, considerati come realtà profondamente separate. I seguaci di Cartesio, detti per questa ragione cartesiani (Cordemoy, Guelincx, Malebranche ecc.), dovettero arrampicarsi sull’occasionalismo.44
L’insegnamento della filosofia di Cartesio fu messo al bando in Francia da Luigi XIV, e all’Indice il 20 settembre 1663, fino a che non siacorretta.
Descartes è stato completamente dimenticato, affermò Voltaire. Ma Cartesio è stato più volte riscoperto. Nel 1762 l’Accademia francese mise a concorso un Elogio di RèneDescartes, e il premio fu diviso tra Thomas e Gaillard. Antoine-Leonard Thomas, che era un amico di Voltaire, paragonò Cartesio a Colombo, che ha scoperto le rive del Nuovo Mondo che ha poi esplorato Magellano, come ha fatto appunto Newton. Locke e il sensismo hanno però vinto su Cartesio. Ma si potrebbe trattare di una vittoria apparente, poiché è oggi di novo attualissimo il problema scientifico mente-corpo.45
Concluse d’Alembert nell’Enciclopedia: si può averlo combattuto con successo, ma solo servendosi delle armi che egli stesso ha fornito. Se ha finito col credere di poter spiegare tutto, ha almeno cominciato col dubitare di tutto. Hegel ne fa la lode come eroe della filosofia.
Descartes voleva fondare su Dio ogni certezza, spingendo il dubbio più lontano possibile. Per questa ragione si affidò a 4 fondamentali regole direttive, che respingono il metodo aristotelico-scolatistico perché rifiutano sia il nesso sensazione-intellezione (l’atto della mente è immediata intuizione intellettuale), sia il procedimento sillogistico deduttivo (la scienza si costruisce con atti di intellezione evidente e procede secondo catene di ragioni rette sempre dal criterio dell’evidenza).46
Il che fu frainteso dagli avversari, che lo accusarono di negare Dio. Ed invece il dubbio sistematico è una regola direttivadella ragione, un principio epistemologico di grande importanza. L’intuizione vi ha un ruolo fondamentale come sguardo diretto dello spirito.47
Cartesio fu il primo pensatore ad avere ben presente il grande problema dell’apertura alle dissidenze cattoliche e alle altre religioni del globo, il che scandalizzava il Baillet. Da Cartesio si arriva al nostro tempo, a Husserl e a Cassirer. E se nel 1676 Roemer (1644-1710) riuscì a fare la prima stima della enorme velocità della luce servendosi dei ritardi dei satelliti di Giove scoperti da Galileo, a questo metodo (ma la luna è troppo vicina) aveva già pensato Cartesio (sebbene avesse presupposto a tavolino che la luce si propagasse istantaneamente). Il sistema cartesiano è un intreccio di metafisica, ragione e scienza, fondato sulla certezza somma dell’atto di pensiero (je pense, donc je suis; ego cogito, ergo sum) e su precise regole addirectionem ingenii (idee chiare e distinte).48 Per quanto Cartesio non si fondi sul metodo sperimentale (che è invece il sostegno di Galileo Galilei), tuttavia non lo ignora. E’ questa la differenza tra un filosofo scienziato (che fondò la matematica moderna) e un fisico matematico sperimentalista (che oggi corrisponde alla differenza tra fisica teoria e fisica sperimentale). La mathesis universalis (matematica universale) ebbe un grande ruolo in questo sistema esplicitato dal metodo.49 Nel definire le regole del metodo, Cartesio ha in mente, come unico paradigma possibile, il metodo matematico. Ma egli non ne segue le singole parti, bensì tenta una unificazione, che gli riesce con la sublime invenzione della geometria analitica. L’antica geometria greca (limitata però dagli strumenti puri della riga e del compasso) aspirava agli stessi traguardi della rappresentazione del mondo. Superato il culmine del primo periodo alessandrino,50 sopraggiunse il declino per quanto l’algebrista Diofanto, sulla cui opera meditava Pierre de Fermat, sia un inspiegabile prodotto del terzo secolo d.C., a meno di dover presupporre che si possa trattare della punta emergente di un filone carsico molto più antico, di cui però nulla ci è pervenuto.
La ‘matematizzazione’ dell’universo era stato il sogno dei Pitagorici.51 Allo stesso modo Il Sogno di Cartesio sarebbe stato quello di un mondo di trionfante razionalità.52 Quella piccola parte del diario segreto di Cartesio contenuto tra i manoscritti della cassetta privata, censiti Stoccolma subito dopo la morte e finiti poi nella mani di Clerselier, decifrata e ricopiata da Leibniz, riguardava proprio i Pitagorici. Si trattava di un loro segreto, convogliato poi da Platone nel Timeo. Quella formula che Cartesio aveva saputo derivare dallo studio dei 5 solidi regolari del Timeo, e che egli non aveva mai voluto divulgare tenendola per sé, fu invece resa nota da Eulero nel 1730, a Pietroburgo. Forse Eulero, passando da Hannover e diretto in Russia, aveva potuto dare una sbirciata alla copia di Leibniz, di cui conosceva l’esistenza. Si tratta di un giallo matematico, tanto più che quella stessa formula poteva essere già nota agli stessi Pitagorici, come pure ad Archimede. Perchè Cartesio decise di non divulgarla? Quale altro mistero ci può essere dietro una tale reticenza? Quella formula dei poliedri semplici (valida anche per i 13 poliedri semiregolari di Archimede) avrebbe sconvolto il mondo? Quando Eulero la rese nota come sua scoperta, quella elegante formula venne accolta come espressione di spirito geometrico puramente razionale. Connetteva infatti vertici, facce e spigoli dei poliedri semplici a un invariante. Ma quei 5 solidi platonici erano stati inseriti da Kerplero nell’opera che più egli amava: il Mysterium Cosmographicum, pubblicato nell’anno in cui Cartesio nasceva, il 1596.
Il fatto strano era che il rosa-crociano Leibniz, grande filosofo e grandissimo matematico, avesse cercato proprio quei manoscritti segreti di Cartesio, di cui ricopiò soltanto una pagina e mezza, come preavvertito dell’esistenza di ciò che esattamente andava cercando. Per quale ragione Leibniz non copiò oltre, visto che era venuto a capo di un codice di cui probabilmente poteva conoscere la chiave? Che fine hanno fatto gli originali, dopo che Baillet, senza comprenderli, li aveva potuti controllare? Aczel fornisce la sua versione, che tuttavia non appare cristallina. Restano margini di dubbio e delle serie perplessità. Ecco dunque l’occasione che ci ha spinti a scrivere queste pagine, ove si vorrebbe mettere a fuoco il problema. Ma prima di intrattenerci su questa ricerca indiziaria, bisogna concludere con il ritratto di Cartesio, per quel poco che può occorrere.
L’età della rivoluzione scientifica, che portò alla modernità, usciva dalla magia rinascimentale53 e dalle ombre del passato. Pertanto si ritiene che sia stato Galileo Galilei (1564-1642),54 col suo metodo sperimentale, a dare la svolta. Aristotele era stato sbugiardato. Questa rivoluzione, che prende le mosse dalla riscoperta di Archimede (a sua volta autore di un proprio metodo), porterà a Newton (1642-1727),55 e alla nascita vera e propria della scienza moderna. Quando Newton si decise a pubblicare i Principia riprese (forse con spirito polemico) il titolo dei Principi della filosofia (Principiaphilopsophiae) che Cartesio aveva pubblicato nel 1644 dedicandoli alla principessa Elisabetta di Boemia.
Davvero il mondo è matematico? La fiducia di Galileo era ben riposta? Secondo Giambattista Vico,56 la matematica era arbitaria. Si trattava secondo lui di una creazione umana. Soltanto la storia, la scienza nuova che fosse perfettamente conoscibile e riguardasse al tempo steso il mondo reale, era oggettiva: in essa l’uomo e Dio collaborano.57 Fu per questa ragione per cui Cartesio, cercando di superare il dubbio sistematico ed eliminando le conoscenze fittizie (dalla cui strage sopravvivono soltanto la logica, la geometria e l’algebra), si indirizzò alle 4 regole direttive dell’intelletto.58 Avvertì l’esigenza di ancorare tutto alla certezza di Dio, principio primo d’ogni cosa. Oggi si ha la pretesa di dover fare a meno della metafisica, ricadendo in un gorgo.59
Il XVIII secolo segnò un’eclisse. Si rivolge contro Cartesio il consiglio che egli aveva fornito di percorrere i Princìpi una prima volta come romanzo. Questo romanzo della natura, già denunciato da Pascal, divenne un leitmotiv per Voltaire.60
L’Elogio di Mercier rivolto a Cartesio (stampato a Ginevra) si apre con una citazione di Lucrezio: Tu pater et rerum inventor. Secondo Baillet, Ha ben vissuto chi si è nascosto.61 Le idee viaggiano in segreto, sono come spore portate dal vento dello spirito. Cartesio fu un seminatore di idee, tanto è vero che chiunque lo accostasse ne usciva modificato in meglio. Eppure Mundus est fabula, come nella scritta che compare nel libro dispiegato accanto al ritratto di Cartesio, fatto da Weenix.62
Leibniz era attratto dalla filosofia di Cartesio, anche se la criticava. Ambedue furono grandi matematici, ma è Cartesio colui che ha aperto la vie più profonde. Leibniz (come Ettore Majorana) aveva una grande facilità nello scomporre numeri e nel ricombinare lettere (anagrammi).
Nel 1692 il Lexiconphilosophicum di E. Chauvin pubblicò un bell’anagramma: RENATO CARTESIUS = TU SCIS RES NATURAE. Leibniz, davanti alla resistenza ostinata di una certa ‘scolastica’ cartesiana, diffonde quest’altro anagramma: CARTESIUS = SECTARIUS.63
La segregazione non è una dissimulazione, poiché coincide col ritiro necessario alla ricerca della verità. Il signor d’Escartes si ritira (s’écarter in francese) suo deserto, dato che il riposo è la condizione di una intensa attività intellettuale.64 Ma perché Cartesio, che pure sembrava aver messo radici in Olanda, cambiava continuazione luoghi di residenza? Perché tanto girovagare? Aveva forse qualcosa da temere? Si sentiva insidiato, oppure si trattava soltanto di inquietudine esistenziale o delle abitudini girovaghe di un instancabile cosmopolita, la cui moralità provvisoria era quella di adottare i costumi dei vari luoghi? Temeva l’Inquisizione, e si trattò di un continuo conflitto di coscienza tra fede interiore e razionalismo necessario?
Alcune opere furono pubblicate postume: Il MondodiDescartes o il Trattato sulla luce; L’uomo e la Formazione del feto. Vennero pubblicate le corrispondenze di Cartesio e vi furono le scoperte di altri inediti.65
In punto di morte sembrò che la coscienza avesse abbandonato il filosofo del cogito ergo sum. Ma la testimonianza dell’ambasciatore di Francia, nella cui dimora avvenne il decesso, è che Cartesio avesse parlato cogli occhi, impossibilitato a parlare con la bocca. Sembrò ansioso di conoscere l’ultima verità. Furono prese due maschere del defunto: una di gesso e l’altra di cera.
Il problema della resurrezione dei corpi sembra estraneo alla filosofia dualista, che contrappone materia e mente. Per Cartesio l’anima costituiva l’unità della persona, mentre la materia del corpo si rinnova incessantemente.
Come spiegava Cartesio la follia, che appare come affezione della mente? Si trattava forse di una malattia della ghiandola mediatrice dell’epifìsi?
Cartesio era profondamente logico, da grandissimo matematico quale fu.
Ciò non toglie che alcune sue deduzioni siano risultate assolutamente erronee, poiché anche se per nulla gratuite, erano sbagliate le premesse.
Adesso, in punto di morte, l’anima si scioglieva dal corpo, salendo alla sua eternità. Se la filosofia di Cartesio sembrava mettere in crisi il libero arbitrio,
Cartesio combattè per la sua vita fino all’ultimo, chiedendo una bevanda alcolica aromatizzata con del tabacco, quindi si arrese.
L’ambasciatore francese non interpretò male il linguaggio degli occhi di Cartesio morente: << Si ritirò contento dalla vita e appassionato di andare a vedere svelata e a possedere una verità che aveva cercato tutta una vita >>.
La malattia era iniziata dieci giorni prima, il primo di febbraio. Salvo un’apparente ripresa, tornò gravissima: la sua respirazione era intermittente, e sputava, con difficoltà, un sangue nerastro e corrotto.
L’ipotesi dell’avvelenamento – in luogo della polmonite che sarebbe stata causata dal freddo per via dagli orari impervi imposti dalla regina a un filosofo che amava dormire a lungo stando al caldo, e che peraltro sembra far ponte sulla malattia che pochi giorni prima aveva colpito l’ambasciatore francese, anche se la polmonite non è contagiosa – può tener banco, se dopo Il delittoCartesio di Eike Pies (1996), questa traccia è stata ripresa (2002) nella biografia di Cartesio di Jean-Marc Varaut.66 Questa ipotesi argomentata per primo da Pies, che oltre ad essere uno storico è un medico, si sorregge su alcuni importanti elementi: il primo medico di corte, du Ryer, che era amico di Cartesio e si definiva cartesiano, si trovava lontano da Stoccolma, impossibilitato ad accorrere per tempo; il secondo medico, Weulles, era (stando a Baillet) un nemico giurato di Cartesio fin dai tempi dell’offensiva sferrata contro di lui a Utrecht dai calvinisti più accesi; Cartesio, che proveniva da una famiglia di medici famosi, doveva avere ottime conoscenza di medicina (in Olanda aveva sezionato e studiato molti animali), e non si fidava affatto di Weulles, anzi cercò di curarsi da solo, rifiutando fino all’estremo, il salasso; c’erano poi degli ottimi motivi politici per eliminare il filosofo, odiato da alcuni cortigiani; l’ambasciatore potrebbe averlo attirato in una trappola, profittando della passione della regina Cristina di averlo con sé a corte, e avrebbe perciò inscenato l’alibi programmato di una sua malattia, immediatamente precedente; l’assassinio sarebbe stato consumato col veleno (arsenico).
La ricostruzione medico legale e storico-scientifica di Eike Pies è straordinariamente precisa e circostanziata. Al capezzale dell’ammalato accorse anche il medico olandese Wullenius (Joan van Wullen), il quale indirizzò subito alla regina una lettera segreta sulla morte di Cartesio, nella stessa data dell’11 febbraio (Pies, op. cit., pp. 112 ss.). Perché Cartesio, nella tollerante e laboriosa Olanda, cambiava così spesso città, girovagando da un luogo all’altro? Temeva forse qualche pericolo, era stato minacciato da qualcuno? Il crimine sarebbe stato ideato con la segreta complicità di Chanut dai grammatici protestanti di corte, che odiavano Cartesio e temevano grandemente l’influenza del suo genio sulla regina, quindi per le sorti politiche della Svezia protestante. In questo quadro politico-criminale si inserirebbe la frettolosa sepoltura di Cartesio nel povero cimitero delle minoranze religiose e degli orfani dell’ospizio, compreso il possibile sfregio della decapitazione, e, infine, l’inventario dei manoscritti segreti (tuttavia il taccuino, abilmente cifrato da Cartesio, non venne eliminato, probabilmente perché ritenuto innocuo).
Pierre-Daniel Huet, che in seguito divenne vescovo, sempre critico nei confronti del cartesianismo, recatosi a Stoccolma nel 1652, descrive il piccolo sepolcro di Cartesio, però ornato da una magnifica iscrizione. Questa iscrizione, concepita da Chanut, parla di una pietra (sub hoc lapide), mentre la costruzione provvisoria era di legno.67 Gli scritti della cassetta vennero riportati in Francia nel 1652, mentre la salma (decapitata?) vi fu trasferita soltanto nel 1667.
LA CASSETTA DEI MANOSCRITTI DI CARTESIO, LEIBNIZ E IL TACCUINO SEGRETO
Quali documenti – non pubblicati, riservati o impubblicabili – conteneva la cassetta di Cartesio, che fu ispezionata a Stoccolma dall’ambasciatore Pierre Chanut pochi giorni dopo quella strana morte, che alcune dicerie sunito imputarono ai gelosi grammatici protestanti di corte? Il punto è importante, quanto la domanda su che cosa cercasse Leibniz, il primo giugno del 1676, bussando alla casa parigina di Clerselier, e soprattutto chi l’avesse informato. Talvolta nei piccoli dettagli si possono celare i maggiori indizi.
Aczel riporta l’inventario dei manoscritti segreti,68 sollevando alcune domande a proposito della curiosità di Leibniz. Fornisce anzitutto una traccia che attiene alla fraternitas dei Rosa-Croce tedeschi, di cui il giovane genio di Hannover era da tempo divenuto il segretario. Pur non pronunciandosi apertamente, sembra peraltro favorevole all’ipotesi dell’avvelenamento (che dal 2002 ha iniziato ad avere maggior credito tra gli studiosi). Quindi ritiene che l’estremo riserbo di Cartesio, che non pubblicò la formula, fosse strettamente legato all’eliocentrismo e al timore dell’inquisizione. Ma se quella innocente ed elegante formula generale dei poliedri, poi formalmente dimostrata e resa pubblica dal grande matematico svizzero Leonardo Eulero (1707-1783) nel 1730 in Russia, risaliva effettivamente al 1619-1620, si sarebbe trattato di un timore infondato (Galileo venne censurato soltanto nel 1633).
La questione che ci interessa è quella del contenuto del taccuino cifrato o diario personale di Cartesio (documento M dell’inventiario), rilegato in pergamena e contenente disegni, simboli e una triplice tabella numerica, che come comprese Leibniz, facendo il corretto collegamento con i 5 solidi regolari o figure cosmiche del Timeo di Platone, riguardava infatti la formula generale dei poliedri semplici, in base alla quale vengono tra loro collegati i vertici, gli spigoli e le facce di questi solidi ad un rapporto invariante. Ma se si fosse trattato di una semplice e innocua formula, quella stessa che fu poi resa nota da Eulero e che ancora oggi ne porta il nome, non ci sarebbe stata alcuna ragione perché Cartesio avesse rifiutato di renderla nota, anzi nascondendola e addirittura cifrandola. Il mistero di tutta la questione non è la formula segreta ma l’eccezionale e apparentemente inspiegabile riserbo di Cartesio. Aczel lo collega all’eliocentrismo di Keplero, che infatti nel 1596, anno stesso della nascita di Cartesio, aveva pubblicato il Mysterium Cosmographicum,69 opera che gli fu sempre cara.70 Ma questa spiegazione di Aczel non sembra pienamente soddisfacente, nemmeno a pensare al grande timore di Cartesio di rimanere invischiato nelle reti dell’Inquisizione. La ragione dell’estremo nascondimento (ma anche della gelosa conservazione di questo scritto, poi sparito dopo la morte dell’abate Legrand), potrebbe essere un’altra, più profonda e inquietante.
Morto Cartesio, tutti gli indumenti e gli suoi effetti personali furono dati al suo valletto olandese Scluter, mentre il contenuto della cassetta (manoscritti, copie di lettere e altri documenti) venne censito nei giorni immediatamente successivi (14 e 15 febbraio 1650). Sulla base del sospetto suffragato da molteplici indizi di un assassinio con avvelenamento da arsenico, non possiamo certamente essere sicuri tutti i manoscritti segreti di Cartesio custoditi nella cassetta, e dai quali recandosi a Stoccolma aveva ritenuto di no separarsi, siano stati tutti quanti catalogati, senza eliminarne nessuno. In base all’inventario stilato da Chanut, si sarebbe trattato: della lettera di scuse formali a Voetius per la polemica di Utrecht; di nove volumi di copie di lettere polemiche contro quest’ultimo; delle copie delle obiezioni e risposte inviate a vari oppositori; delle copie delle lettere indirizzate alla principessa Elisabetta di Boemia (la più cara e giovane amica di Cartesio). C’erano inoltre frammenti (sic) di manoscritti mai pubblicati, dai titoli oscuri: Preamboli, Olympica, Democratica, Experimenta e Parnassus. Dovevano formare altrettante sezioni del misterioso taccuino di pergamena che attirò l’attenzione di Leibniz, il quale riuscì a venire a capo della cifratura che lo proteggeva. La vicenda delle carte merita attenzione.
Due anni e mezzo più tardi, nel 1652, l’ambasciatore Pierre Chanut era in procinto di lasciare la Svezia per un incarico diplomatico in Olanda. Daniel Lipstrop, biografo tedesco di Lubecca, aveva insistito per prendere visione di questi documenti lasciati da Cartesio, ma Chanut si era sempre rifiutato.
Adesso l’ambasciatore spediva tutto in Francia, presso suo cognato Claude Clerselier, a Parigi. La cassa giunse per nave a Le Havre, e poi da Rouen risalì la Senna con una chiatta, diretta a Parigi. La chiatta ebbe un incidente, la cassetta finì in acqua, ma venne ripescata, e infine Clerselier fece asciugare i fogli preservandoli (anche questa vicenda può suscitare qualche sospetto).
Leibniz ebbe da Clerselier l’autorizzazione di scorrere quegli scritti, e la sua attenzione si concentrò sul taccuino. Fece in tempo a decifrarlo e a ricopiarne una pagina e mezza (un estratto o un suo compendio). Questi appunti sono stati rintracciati verso la metà dell’800 tra le carte di Leibniz, e dice Aczel compresi soltanto nel 1987. Ci permettiamo di dubitare, visto che il grande storico della matematica Gino Loria, operativo all’Università di Genova a cavallo tra l’800 e il ‘900, dice chiaramente che la formula dei poliedri Cartesio-Eulero era già nota ad Archimede.71
Il fatto che il Rosa-Croce Leinbinz (1646-1716), che all’età di 20 venti anni aveva aderito alla setta di Norimberga e ne era divenuto ufficialmente il segretario, abbia ricercato a Parigi presso Clerselier quei manoscritti segreti di Cartesio per ricopiarne poi una parte specifica (per una pagina e mezza), farebbe presupporre che ne sapesse già qualcosa, e che dunque vi si fosse indirizzato almeno in base alla traccia del biografo tedesco di Cartesio, Daniel Lisptorp.72 Forse Leinbiz venne a capo del codice cifrato non per virtù propria, ma dal momento che la cifratura poteva essere di tipo rosa-crociano (il Baillett, infatti, non ne venne a capo, pur essenso stato informato dall’abate Legrand della visita di Leibniz). E’ anche ipotizzabile che il Clerselier si sia opposto ad una copiatura completa, quando si accorse dell’eccessivo interesse di un esponente Rosa-Croce. Ma potrebbe essere che Leibniz abbia copiato soltanto ciò che gli interessava.
Leggendo i Preamboli Leibniz scorse queste parole: Offerto, ancora una volta, agli studiosi eruditi del mondo intero, e specialmente a G.F.R.C.
Cartesio aveva in qualche modo dato notizia, in certi ambienti, di questi suoi studi. Non una pubblicazione, ma una specie di comunicazione riservata, diretta o per lettera? E’ un fatto compiuto, non una enunciazione di intenzioni. E tutto sembra coincidere con l’esordio giovanile del genio di Cartesio, che comincia ad affacciarsi con una certa sicurezza, dopo l’incontro con Beeckam, che quanto meno servì a rivelare l’immenso talento matematico del giovane, sicuramente affascinato dalle cose militari e già mirabile spadaccino,73 che si era arruolato a 22 anni (1618) in uno dei due reggimenti francesi agli ordini dell’esercito olandese protestante,74 condotto dal principe Maurizio Nassau-Orange. Il taccuino inaugura l’anno 1619, quando era ormai scoppiata la guerra dei trent’anni, dopo la defenestrazione di Praga di due inviati del re cattolico Ferdinando d’Asburgo.
Leibniz era perfettamente in grado di comprendere la sigla abbreviata: Germaniae Fraternitas Rosae Crucis. Il giovane genio, militante da 10 anni nella setta iniziatica, aveva esattamente toccato il punto fondamentale. Ed infatti trascrisse correttamente la parola chiave Germania. L’ordine dei Rosa-Croce era l’organizzazione della società alchemica di Norimberga.75
Il diario, registro o taccuino rilegato in pergamena di Cartesio, costituiva un documento strettamente personale, recante la data di inaugurazione del documento privatissimo (primo gennaio 1619). Si trattava di un dono personale di Beeckman, ricevuto a Breda. Vediamo in breve la ricostruzione che ne fa Geneviéve Rodis-Lewis,76 per ritornare poi ad Aczel.
Anzitutto la conservazione del registro mostra l’attaccamento di Cartesio ai suoi pensieri personali. All’interno della copertina si trovava la data la data primo gennaio 1619 (Cartesio aveva 23 anni). Sul frontespizio recava il titolo Parnassus. Il quaderno strettamente personale si iniziava nel nome delle Muse dell’ispirazione. La parte scientifica, che appare in recto nella copia di Leibniz, è più importante dell’insieme delle piccole sezioni (incomplete) da lui trascritte nel verso. La prima di queste si intitola Preambula, il che spinse Leibniz a cominciare proprio da qui. Alcune pagine bianche intermedie permetteranno su ciascuna delle sezioni, cioè degli Experimenta. Procedendo nel verso (non dobbiamo dimenticare che il taccuino è perduto e che pertanto Leibniz e Baillet costituiscono le uniche due fonti originali a disposizione), e superando alcune linee su Democrito e si qualche considerazione sulle scienze, appare il grande discorso intitolato Olympica. Questa parte è importantissima poichè contiene il racconto dei 3 sogni fatti da Cartesio nella notte di San Martino tra il 10 e l’11 di novembre 1619, in una stanza riscaldata (poele) da una stufa di faenza, non si sa bene se ad Ulm, oppure a Neuburg sulle rive del Danubio.
Anche il Baillet attesta che sotto il titolo di Preambula, figurava la citazione bibilica: << L’inizio della saggezza è il timore di Dio >> (non ripresa da Leibniz). Segue immediatamente il seguente passo, che Leroy ha interpretato quale filosofia in maschera: << Come gli attori, perché il rossore della vergogna non appaia loro in volto, veston la maschera, così io sul punto di salire su questa scena mondana, di cui fin qui fui spettatore, mi avanzo mascherato. Quando, giovinetto, mi venivano presentati ingegnosi ritrovati, mi chiedevo se potessi raggiungerli da me, senza leggere l’autore; e così, poco a poco, mi accorsi che usavo regole certe. La scienza è come una donna; se resta riservata presso lo sposo, tutti la rispettano; se fa copia di sé, si fa vile >>77 (la frase è in latino e la parola maschera è ovviamente data dal termine personam).78
Una nuova sezione, gli Experimenta, doveva aprirsi con un racconto che Leibniz ha trascurato.79 Dice Baillet che a Cartesio si era annunciato l’amore per la verità, che non lo abbandonò mai per tutta la sua vita. Questa nuova scienza potrebbe essere la prima idea o intuizione della mathesis universalis, che comprende tutto ciò che è soggetto all’ordine alla misura.
Il manoscritto continuava. Leibniz lesse un altro frammento (documento C1): OLYMPICA – XI novembris 1620, coepi intelligere fundamentum inventi mirabilis (11 novembre 1620, cominciai a comprendere il fondamento di una mirabile scoperta), se non piuttosto: X novembris 1619, plenus forem enthousiasmo, et mirabilis fondamenta reperirem…(10 novembre, pieno di entusiasmo, trovati i fondamenti di una mirabile scienza…). 10 o 11 novembre 1619? La parola entusiasmo rimanda poi ad una analoga espressione usata da Keplero.
Cartesio si riferisce ai suoi tre famosi sogni, fatti in una stanza riscaldata, e molto probabilmente alla scoperta dei primi fondamenti della geometria analitica, che fu poi una delle tre appendici allegate al Discorso sul metodo,pubblicato anonimo in Olanda nel 1637.
Leibniz, rientrato in Germania, rimase in contatto con Nicolas Malebranche (1638-1715), uno dei principali cartesiani, e in una lettera del 23 gennaio 1679, Leibniz gli scrive dicendo che grazie alla principessa Elisabetta di Boemia è riuscito a vedere il suo trattato cartesiano: Cartesio ha delle cose belle; la sua mente era estremamente acuta e assennata. Ma è impossibile fare tutto nello stesso tempo, e così ci ha dato soltanto alcuni splendidi spunti… Prima di poter leggere il taccuino di Cartresio, Leibniz stava già elaborando a Parigi le prime idee del suo calcolo differenziale e integrale, che poi originò la famosa polemica con Newton.80 Aczel ritiene che Leibniz si sia dato da fare per arrivare agli scritti segreti di Cartesio a ragione del calcolo infinitesimale. E qui potrebbe aprirsi la via ad un’altra misteriosa pista, che concluderà questo scritto.
Perché Cartesio teneva un taccuino segreto? Di che cosa parlava esattamente nella sua interezza? E perché Leibniz si era preso la briga di andare fino a Parigi, cercare Clerselier, e poi copiare soltanto alcune pagine di questo taccuino?81 Perché non le ricopiò tutte? Glielo impedì forse Clerselier, oppure anche qui si nasconde un altro enigma?
Prima di scoprire cosa fu ricopiato da Leibniz, in tutto non più di una pagina e mezza, cerchiamo di verificare meglio la vicenda aggiungendo in base ad altri dettagli. Quando Cartesio si incontrò la prima volta con Beeckman a Breda (la fonte questa volta è il biografo tedesco Lipstorp), ed ebbe l’occasione di rivelare il suo eccezionale talento matematico, gli volle offrire in omaggio l’inizio del Compendio dimusica.82 Ne avrebbe ricevuto in contraccambio quel piccolo registro in pergamena, affinché vi potesse annotare le sue riflessioni.83 All’interno della copertina si trovava la data 1 gennaio 1619 (probabilmente apposta in presenza di Beeckman) e sul frontespizio il titolo Parnassus (che come detto alluderebbe alle Muse dell’ispirazione). Cartesio vi riassunse, come una specie di memento, le sue riflessioni di quel periodo. Secondo l’inventario di Stoccolma (Aczel, op. cit., p. 189), figuravano frammenti di manoscritti mai pubblicati, come Preamboli, Olympica, Democritica, Experimenta e Parnassus. Quel taccuino in pergamena sarebbe stato un documento distinto, cioè a se stante. Era quanto Leibniz stava cercando (oppure trovò con sua sorpresa). Quest’unico documento era cifrato, e Leibniz ne venne a capo. Pertanto gli appunti di Leibniz sarebbero una sintesi del documento. I Preamboli e l’Olympica annunciavano una mirabile scoperta. La vicenda dei tre famosi sogni di Cartesio comincia mescolarsi con la formula segreta contenuta nel taccuino, ma si tratterebbe di due cose ben distinte. << Sì, c’è un altro manoscritto >> disse l’anziano Clerselier, quando Leibniz, dopo 5 giorni di copiatura (oppure di ricerca, decifrazione ed altro – n.d.r), chiese se c’era dell’altro. Sì, c’era quel taccuino, << ma nessun altro l’ha mai visto prima d’ora >>. << In ogni caso, non credo che lei lo capirebbe. Ci ho lavorato sopra per anni, ma nulla di quanto c’è entro, simboli, disegni, formule, ha un senso. E’ completamente cifrato >> (Aczel, op. cit., p. 14).84 Clerselier però impose rigide restrizioni per questo ultimo documento che venne in mano a Leibniz.
Insomma la questione è veramente intricata, anche se Aczel prova a dipanarla. Non è nemmeno chiaro l’anno, se 1619 o 1620, quanto alla mirabile scoperta.85 La grande intuizione che viene dichiarata sarebbe stata infatti quella di esprimere le equazioni dell’algebra con delle curve geometriche. Ed è l’idea fondamentale della geometria analitica. Ma il taccuino ( una sua sezione) era intitolato De solidorum elementis (Leibniz afferrò che si trattava dei 5 solidi regolari del Timeo di Paltone, 53 A ss.).86
Prima di riprendere con Leibniz e la sua ricerca delle carte segrete di Cartesio, bisogna ripercorrere i tre famosi sogni di quella notte, la notte di san Martino, in una calda stanza (poele) in Germania. Questi tre sogni, a quali si interessò anche Freud, costituirono per Cartesio una svolta fondamentale. Ed è dal voto di ringraziamento per queste visioni che viene il viaggio in Italia: sia per accostarsi alla tradizione degli algebristi italiani,87 ma anche per recarsi in atto di umile devozione al santuario della Madonna di Loreto.
Con la defenestrazione di Praga (1618), era iniziata la guerra dei trent’anni. Ferdinando di Asburgo sarà eletto re di Boemia e poi d’Ungheria. Cartesio era al seguito delle truppe di Massimiliano di Baviera, il capo dei cattolici tedeschi, che accerchiavano Praga. Federico V di Boemia, che era protestante, sua moglie l’inglese Elisabetta, e la loro prima figlia (quella Elisabetta che allora aveva appena due anni e che divenne poi la grande allieva di Cartesio), riuscirono fuggire in carrozza verso l’esilio. In questo periodo, in Germania, Cartesio fa l’incontro con un altro matematico, Joahann Faulhaber, che doveva essere un alto esponente dei Rosa-Croce.88
Cartesio si dovette guardare dalla nomea di rosacrociano, che gli era piovuta addosso a Parigi, nel 1623, poco prima della partenza per il suo viaggio in Italia (1623-25), allorquando apparvero nella capitale francese i primi manifesti degli invisibili. Non scordiamo che Leibniz era il segretario della setta e che la capitale dei Rosa-Croce era Norimberga.
In Turenna, la regione nativa di Cartesio, la notte di San Martino sfilavano processioni notturne in ricordo dei morti. Cartesio vi aveva partecipato da bambino, forse con l’angoscia di aver provocato, con la sua nacita, la morte della madre, Jeanne Brochard. Il bisnonno materno, Jean Ferrand,89 era stato il medico personale della regina Eleonora d’Austria, moglie di Francesco I (1494-1547).90 Cartesio inaugura una nuova sezione del suo registro personale, intitolata Olympica, con le seguenti parole iniziali: X novembris 1619, cum plenus forem enthousiasmo, et mirabilis scientiae fondamenta reperirem…(il 10 novembre 1619, mentre ero pieno d’entusiasmo91 e stavo scoprendo i fondamenti di una scienza mirabile…).92
Cartesio si mise a letto ed ebbe una serie di 3 sogni assai vividi e intensi, i sogni più famosi e analizzati della storia (ma non dobbiamo scordare che molte importanti scoperte scientifiche e matematiche avvennero in sogno o in una particolare condizione di soprappensiero, e forse il caso moderno più noto è quello dei sogni del fisico quantististico Wolfgang Pauli, premio Nobel per la fisica nel 1945, a lungo trascritti e studiati insieme a C. G. Jung).93 Cartesio non ci dice quando si coricò. Appena addormentato fece il primo sogno. Camminando per strada era stato assalito da un vento impetuoso, che lo spingeva con forza contro la chiesa. Intorno a lui tutti erano ben diritti, ma egli era incurvato. Una persona lo chiamò per nome dicendogli se voleva andare a trovare il signor N.,che aveva da dargli un melone. Cartesio aveva dormito sul fianco sinistro. Adesso si girò a destra. Venne il secondo sogno. Udì un rombo di tuono, aprì gli occhi e vide la stanza piena di scintille. Passata la paura si addormentò. Nel terzo sogno comparve un libro. Lo aprì e vide che era un dizionario. Ma questo libro si trasformò subito nel Corpus Poetarum, e Cartesio potè leggere l’Idillio XV del poeta latino Decimo Magno Ausonio94 (che era originario di Bordeaux e che divenne precettore, nel 367 avanzato, a Treviri, dell’imperatore Graziano appena decenne). Il primo verso recitava: Quid vitae sectabor iter? ( Che via seguirò in questa vita?). A questo punto comparve uno sconosciuto che gli mostrò un’altra composizione di Ausonio,95 l’idillio XVII, ove si leggeva: Est et non (“E’ e non è”, di Pitagora).96 Poi i sogni si interruppero, ma Cartesio continuò a dormire. Alla fine delle prima Meditazione Cartesio descrive questo dormiveglia di sogni, al quale era già abituato da collegiale.
Lo Spirito della Verità sarebbe apparso a Certesio con la sua eccezionale carica di entusiasmo e forza immaginativa, che soltanto in sogno può rivelarsi. Colpisce la circostanza delle notte di San Martino, che è destinata a ripetersi più volte. Cartesio potrebbe averci ricamato sopra, ma i sogni devono essere accettati. Ne conseguì il viaggio devozionale al santuario di Loreto? Preferiamo pensare che in mezzo ci sia un altro fatto importante, che Cartesio però collegò a quei sogni avuti in Germania nel 1619.
Il testo ricopiato da Leibniz è separato dal racconto dei sogni da qualche commento sulla loro simbologia (il vento e luce significano realtà spirituali…) e sull’ispirazione dei poeti.97 Inutile insistere sulle allegorie, posto che il melone potrebbe rappresentare il globo del Mondo.
Il piccolo registro, segnalato dall’inventario di Stoccolma, secondo G. Lewis-Rodis era già andato perduto quando Baillet scrisse la sua biografia. Quindi fu il primo documento a sparire, ben prima della morte di Legrand. Sembrò che Cartesio vi avesse scritto a suo uso un’introduzione che conteneva i fondamenti della sua algebra, ma l’avrebbe cominciata nel 1620, utilizzando caratteri cossici, vale a dire simboli di incognita algebrica. Gli Esercizi per gli elementi dei solidi (ai quali si riferisce in definitiva Aczel), usavano ancora questi caratteri e potrebbero risalire secondo Pierre Costabel al 1620-1621. Si tratterebbe dunque di un lavoro di cui Cartesio non ha più parlato, che non appare affatto come una scoperta così onorevole da ricordare l’esaltazione dell’anno precedente (G. Lewis-Rodis, op. cit., p. 75). Il registro, almeno preso nell’altro verso, nella sezione degli Olympica, rivelerebbe che durante l’inverno 1620-1621 Cartesio non fu assorbito soltanto da lavori scientifici. Leinbinz, avendo dovuto seguire nella sua copia la sucessione delle pagine in una stessa sezione, fa apparire dopo la data del 23 settembre una serie di sei frammenti che esplorano le altezze dell’Olimpo con maggiore ampiezza dell’anno precedente (Rodis-Lewis, p. 76). Dopo i sogni, Cartesio avrebbe abbozzato qualche considerazione sulle sulla figurazione sensibile delle realtà spirituali, e con l’ispirazione dei poeti avrebbe tracciato una visione d’insieme sulle corrispondenze tra spirituale e le figure sensibili (insomma stava meditando sul Timeo di Platone). Si sarebbe ancora ben lontani dalla futura metafisica, contentandosi Cartesio di riflettere sull’amore, sulla carità e sull’armonia. Queste meditazioni lo portano a riflettere sulla Genesi della Bibbia. Vi si coglie persino l’espressione dell’infinito nel finito. In tutto l’Olympica si componeva di una ventina di righe a caratteri grandi, di notevole intensità.98
Dopo i Preamboli, ove Cartesio enunciava di voler scoprire la verità e di avanzare mascherato, Leibniz lesse più oltre le seguenti parole: TESORO MATEMATICO DI POLYBIUS IL COSMOPOLITA – Che fornisce allettore99 (sic – n.d.r.) i veri mezzi per risolvere tutte le difficoltà di questa scienza; vi si dimostra che, su queste difficoltà, lo spirito umano non può trovare nulla di più. Questo per liberarsi delle chiacchiere oziose e per bandire l’imprudenza di taluni che promettono di mostrare nuovi miracoli in tutte le scienze.
Cartesio aveva progettato di scrivere un libro su una importante scopetta matematica servendosi di uno pseudonimo, che poi poteva richiamarsi al suo nome di battesimo, di Rinato? E subito dopo: Offerto, ancora una volta, agli studiosi eruditi del mondo intero, e specialmente a G.F.R.C. Ma c’è qualcosa che non quadra. Si tratterebbe di una intenzione, che poi è già data per fatto compiuto. E’ inutile che Aczel (p. 14) si affanni a dire che i Preamboli e l’Olympica annunziavano la mirabile scoperta. Di quel scoperta si poteva trattare? Insomma, secondo Aczel, la scoperta mirabile sarebbe stata quella della formula di Eulero, però mai rivelata per ragioni che non convincono fino in fondo. La Rodis-Lewis (op. cit., pp. 53 ss.), sembra invece affacciare la perplessità di Cartesio circa il sapere dei Rosa-Croce, è in questo contesto fa riferimento al lungo titolo che troneggia nel mezzo di una pagina nella prima sezione personale del registro, appunto il Tesoro. E si chiede infine: << Com’è possibile che autori seri abbiano potuto domandarsi se Descartes avesse terminato quest’opera, quando è evidente che non aveva neppure cominciato? >>.
Ne sappiamo meno di prima. Aczel punta sulla formula dei poliedri, che però non è neppure perfettamente chiarita da Costabel. Per altri biografi l’opera di Polybius sarebbe stata perduta, per la Rodis-Lewis non sarebbe stata mai cominciata. Ma queste annotazioni, sparite con le altre carte, fanno parte del riassunto o degli appunti incompleti presi da Leibniz, e trovano alcuna conferme nella biografia di Baillet, che è insostituibile. Infine il pellegrinaggio a Loreto avvenne alcuni anni dopo. Invece la nuova scienza compare nel Discorso sul metodo, ma molti anni dopo. Tuttavia Cartesio non si volle ai separare da quegli appunti. L’enigma esiste e come. Tra il 1620 e il 1623 Cartesio avrebbe composto, dopo l’incontro con Johann Faulhaber (1580-1635), uno dei maggiori matematici tedeschi di quegli anni, sicuramente Rosa-Croce, nel periodo tra il 1620 e il 1623, i Progymnasmatade solidoirum elementis,100 mai pubblicato (?), di cui però non vi è alcuna traccia nell’inventario di Stoccolma.
Gli appunti di Leibniz (una pagina e mezza), hanno consentito di stabilire che almeno una sezione del taccuino segreto era dedicata ai solidi del Timeo. Questa parte del manoscritto sarebbe stata cifrata (secondo Baillet), ma Leibniz sarebbe venuto a capo del codice. Del registro segreto in pergamena, sparito in chissà quali circostanze, resta soltanto questo estratto.101
Poiché queste pagine sono dedicate ai solidi platonici del Timeo, Cartesio ne è l’illustre mediatore. Prima di rivolgerci all’argomento, ci è sembrato utile fornire un breve profilo funzionale di Platone, di G. W. Leibniz e di Cartesio, partendo da quest’ultimo, ma passando attraverso i Pitagorici.102
CARTESIO, LEIBNIZ E PLATONE
René Descartes nacque il 31 marzo 1596 a La Haye,103 in Francia, nei pressi di Poitiers, nella verde regione della Turenna. I suoi antenati, sia paterni che materni, erano stati dei famosi medici. Il padre, Joachim Descartes, era consigliere del Parlamento della Bretagna, e risiedeva per ragioni di servizio a Rennes. La madre, Jeanne Brochard, gli aveva lasciato molte proprietà terriere, dalla cui oculata vendita Cartesio ricavò cospicue somme. Nel 1607, all’età di 11 anni, entrò nel prestigioso collegio dei Gesuiti a La Flèche, che era stato istituito, tra la fine del 1603 e il 1604, dal re Enrico IV, un buon re che fu poi assassinato di pugnale il 14 maggio del 1610 da un visionario ex fogliante di nome Ravaillac. Il cuore del re venne sepolto nella cappella del Collegio dei Gesuiti, dove tra i primi allievi figurava Mersenne, che aveva 8 anni più di Cartesio. Nel 1611, a La Flèche, venne celebrata la scoperta dei satelliti di Giove, effettuata da Galileo con suo cannocchiale. Qui Cartesio potrebbe aver letto un libro del padre Richeome, Il pellegrino diLoreto.
Dopo aver conseguito la licenza nel 1615, Cartesio studiò legge a Poitiers, ottenendo il baccellierato in diritto canonico e civile. 104 Si recò poi a Parigi (Cartesio era un abile spadaccino), e dopo un periodo di grande spensieratezza (fu anche un abilissimo e ammirato giocatore d’azzardo), si consegnò all’isolamento per coltivarsi nello studio.
Nel 1618 si arruola in uno dei due reggimenti francesi dell’esercito del principe Maurizio Nassau-Orange. A Breda fa la conoscenza il matematico olandese Isaac Beeckam,105 il primo serio studioso che accortosi del grandissimo talento matematico del giovane francese, lo spinge alla ricerca. Nel 1619, all’età di 23 anni, Cartesio si arruola una seconda volta, nell’esercito cattolico del duca Massimiliano di Baviera, e trascorre alcuni mesi a Neuberg, sul Danubio. A Ulm fa la conoscenza del rosa-crociano Faulhaber, notevolissimo matematico, che sembra riferirsi a Cartesio quando accenna a un Carolus Zolindius, che potrebbe essere Polybius-Cartesio.106
Cartesio era letteralmente affascinato dall’ordine che regnava nella vita militare ed anche dalla geometria delle manovre dei vari reparti.107Viaggiò instancabilmente da un luogo all’altro.
La notte del 10 novembre 1619 Cartesio ebbe tre eccezionali sogni, uno di seguito all’altro, e pieno di entusiasmo avrebbe scoperto, in quest’occasione onirica, i fondamenti di una scienza mirabile.108
Nel 1623-1625 compì un viaggio in Italia, e si recò anche al santuario di Loreto,109 nelle Marche, per scogliere il suo voto a riguardo della meravigliosa scoperta. Cominciò ad aggirarsi in tutta l’Europa, finché nel 1628-29 si stabilì in Olanda,110 dove rimase per 20 anni, cambiando però continuamente località.111
Nel 1649 accolse finalmente l’invito della regina Cristina di Svezia (che era stato favorito dall’interessamento diretto dell’ambasciatore francese a Stoccolma Pierre Chanut), la quale gli aveva inviato un ammiraglio con tanto di nave, giungendo a Stoccolma il 4 di ottobre, dopo un mese di pericolosa navigazione causa il clima avverso.
Cartesio muore a Stoccolma, nella sede dell’ambasciata francese ove aveva alloggio, l’11 febbraio 1650, ufficialmente per una polmonite.
Amir Aczel ripercorre la biografia di Cartesio, sottolineando le relazioni scientifiche e quelle umane, accanto ad altri aspetti strettamente privati.
Indubbiamente, Cartesio fu assai timoroso dell’Inquisizione, che aveva già duramente colpito Galileo Galilei, e dunque si cautelò, tanto più che egli era decisamente eliocentrico, quando la Chiesa, in base alle Scritture, prese a combattere l’ipotesi che la Terra ruotasse intorno al sole, e non fosse più al centro dell’Universo. Fra il 1627 e il 1628, inseritosi nel circolo di padre Marin Mersenne,112 Cartesio scrisse gran parte delle Regole per la direzione dell’ingegno. Nel 1633, informato della condanna del grande fiorentino, rinunciò a pubblicare in Olanda un suo trattato di fisica, che si intitolava il Mondo, ovvero Trattato sulla luce, 113 in quanto fondato sulla teoria eliocentrica copernicana e sulle nuove concezioni di Keplero.114
Nel 1637 esce anonimo, a Leida, l’opera fondamentale che lo consegnò a fama imperitura e lo fece conoscere universalmente in tutta Europa, il Discorso sul metodo. Quest’opera opera filosofica conteneva tre appendici: la Diottrica, le Meteore e la Geometria. Quest’ultimo allegato del Metodo ha rivoluzionato la matematica, aprendo la via a quella moderna.
Nel 1644 scrisse e pubblicò I principi filosofia, mentre nel 1645 dà inizio alle Passioni dell’anima, ambedue dedicate alla principessa Elisabetta di Boemia che dall’età di due anni si trovava in esilio con la sua famiglia scappata da Praga dopo la conquista cattolica.Nel 1648 risponde agli attacchi dell’allievo infedele Regio, col quale aveva rotto nel 1646, indirizzandogli le Osservazioni su un certo manifesto.Nel 1648 si rifugia in Francia, mentre in Olanda infuria la Fronda, e a Parigi progetta d’istituire una scuola di arti e mestieri. Morto Mersenne, il ruolo di corrispondente di Cartesio viene assunto da Pierre de Carcavi. Verso la meta del 1649, dopo alcuni tentennamenti, accetta l’invito della regina Cristina, per morire pochi mesi dopo, a Stoccolma. Sulla morte di Cartesio, a parte l’ipotesi delittuosa, regnano due versioni: quella altamente edificante del Baillet, e quella del medico nemico di Cartesio, che perfidamente la descrisse come un epilogo indegno di un così grande filosofo. I resti di Cartesio riposano nella vecchia chiesa di Saint-Germain-des-Prés.
La sua lucida filosofia, scrupolosamente metodica e razionale, si fonda sulla geniale intuizione dell’esistenza indubitabile del pensiero che pensa. Ma questa intuizione basilare è già presente nel frammento 3 del poema sulla natura di Parmenide di Elea, se adeguatamente analizzato.
Dell’aspetto fisico di Cartesio, che aveva tratti marcati e amava vestirsi in modo originale, prediligendo il colore verde, che poteva ricordargli i giardini della sua terra natale non lontana dai famosi castelli della Loira, restano dipinti, ritratti, busti, incisioni e sculture. Famoso è il ritratto di Cartesio conservato al Louvre, eseguito da Frans Hals, il maestro di Harleem.115
Ciò che sopravvive è il suo genio matematico. Oggi, la modernità tecnologica fa ovunque impiego della geometria analitica delle coordinate: dal sistema satellitare Gps, ai pixel dei videoschermi. Cartesio fu anche un grande fisico teorico, scoprendo tra l’altro la legge d’inerzia, il principio di minima azione (ripreso in seguito da Maupertuis), e la legge di rifrazione (prima di Snellius).
Non fu insensibile al fascino femminile. Cartesio si innamorò da bambino di una ragazzina strabica. Quando realizzò che il fascino dipendeva da quel difetto, si rese immune. Nella Turenna si disse che avesse avuto una relazione con una donna chiamata La Menaudière. Cartesio non aveva fatto voto di castità ed era molto sensibile al fascino femminile. Abilissimo spadaccino, ebbe pure un duello, nel 1625, ad Orleans, per una dama che lo amava, certa Madame de Rosay, che avrebbe anche potuto sposare. Non uccise l’avversario, ma abilmente lo disarmò, con una colpo magistrale.
Durante il soggiorno in Olanda ebbe una relazione (1634) con una strana donna, cha sapeva leggere e scrivere, ma faceva la domestica.116 Forse contrasse un matrimonio segreto, ed ebbe certamente una figlia che adorava, Francine, morta a 6 anni di scarlattina. Tra la giovane principessa Elisabetta di Boemia e Cartesio che aveva superato i quarant’anni, sorse probabilmente una profonda relazione sentimentale, accanto a quella intellettuale, poiché la principessa decaduta, era grandemente dotata sotto ogni punto di vista. Con la regina Cristina, che amava panni maschili ed era androgina, per quanto giovanissima tutto si volse sul piano del rapporto tra maestro e allieva regale.
La regina Cristina di Svezia (1626-1679), che abdicò dal trono nel 1654 e in seguito non volle mai sposarsi, serbò per tutta la vita una grande stima di Cartesio, che aveva contribuito, nei pochi mesi in cui ne fu il precettore, alla sua profonda conversione al cattolicesimo. Se volessimo tirare un bilancio generale col beneficio dell’inventario (poiché il dubbio sistematico appare in questo caso di un livello troppo elevato), potremmo azzardare che Cartesio non è ancora del tutto conosciuto.
G. W. Leibniz (1646-1716), l’altro grande personaggio della vicenda del taccuino segreto, nato a Lipsia, fu un genio precocissimo, un grande filosofo e un grandissimo matematico. Nel 1666, dopo il dottorato in diritto e in filosofia conseguito a Jena, venne cooptato dai Rosa-Croce a Norimberga, divenendone il segretario. Qui si legò al barone di Boneburg, che lo introdusse alla corte dell’Elettore di Magonza Giovanni Filippo. Decisivo fu il soggiorno a Parigi, dal 1672 al 1676, ove entrò in contatto con Arnaul, Malebranche e Huygens. Durante un breve soggiorno a Londra visitò la Royal Society e conobbe Newton. In Olanda conobbe Spinoza, il grande filosofo monista. Divenuto bibliotecario ad Hannover, qui morì, lasciando una grande quantità di carte. Viaggiò anche in Italia (verso il 1690), e si fece promotore di vaie istituzioni scientifiche, compresa l’Accademia delle scienze di Berlino (1700). A Parigi perfezionò nelle scienze e in matematica, ed è di questo periodo la scoperta del calcolo infinitesimale pubblicato però nel 1684. Compose varie opere filosofiche che tuttavia non ebbero mai il carattere di un vero e proprio trattato, e negli ultimo anni di vita compose i Saggi di Teodicea (1710) e la Monadologia.
Ammirò la grandezza di Cartesio e ma criticò alcuni aspetti di qusto sistemo che lasciavano poco spazio al libero arbitrio e sollevavano gravi problemi nella relazione mente-corpo. Interessato alla logica e alla matematica, ove eccelleva, non solo ebbe una robusta scontro con Newton a proposito della paternità del calcolo infinitesimale, ma la notazione introdotta da Leibniz finì per avere il sopravvento sui fluenti e sulle flussioni di Newton che nei Principia non si era discostato dal metodo puramente geometrico. Il vescovo e filosofo idealista irlandese George Berckeley (1685-1753) sollevò gravi obiezioni di metodo a proposito del calcolo infinitesimale, che pure funzionava e le cui remote origini si vorrebbero ricondurre al metodo per esaustione risalente a Eudosso e ad Archimede, forse larvatamente ispirati dall’atomista ionico Democrito. I fondamenti più solidi del calcolo infinitesimale, che insieme alla geometria analitica di Cartesio aprì la via alla grande matematica moderna, furono individuarti soltanto alla fine dell’800.117
Nel pensiero di Leibniz assunse una grande importanza la costruzione di una nuova logica o organo, chiamata caratteristica universale118 o logica combinatoria, intesa come calcolo o algebra generale capaci di fornire dimostrazioni necessarie come quelle matematiche. L’idea consisteva nel sostituire all’oscurità e ambivalenza del linguaggio ordinario, dei caratteri o simboli precisi e in equivoci, esattamente corrispondenti alle definizioni.119
Questo programma si inseriva nel vasto orizzonte del superamento delle controversie che dividevano i popoli, nella speranza di raggiungere una vera comunicazione tra lingue e civiltà diverse, superando differenze ideologiche e religiose.
Con la Monadologia (che si fondava sul principio degli indiscernibili), cercò di conciliare l’ordine dell’universo, il provvidenzialismo divino e la libertà umana. Ne conseguì la dottrina dell’armonia prestabilita. Per Leibniz questo era il migliore dei mondi possibili (Saggi di Teodicea, I, 9).120 L’irridente e caustico Voltaire (1694-1778) ci scherzò sopra: << Non so se venni condotto nel migliore degli ospedali possibili. Ma sta il fatto che venni ammassato con due o tremila disgraziati che soffrivano come me. Alcuni erano stati trapanati e sezionati vivi, d altri erano state amputate bracci e gambe >>. Ma l’idea dell’ordine universale ebbe un impatto fondamentale per l’idea del progresso nell’ambito dall’assolutismo illuminato.
Qui interessa soltanto la polemica col dualismo cartesiano. Leibniz aveva cercato di sviluppare la teoria dei numeri, allo scopo di fondare sulla matematica il sapere universale, senza passare come Cartesio attraverso la geometria e la meccanica. L’ostacolo era dato dalla separazione tra il mondo naturale dominato dalla meccanica e il mondo umano connesso alla mente. Leibniz cercò di instaurare un ponte di collegamento, collegando idee e sensazioni (intanto nel 1690 il sensista inglese John Locke aveva pubblicato il Saggio sull’intelletto umano,121 e nel 1710 George Berkeley aveva illustrato il suo spiritualismo col Trattato sui principi della conoscenza umana).122 A tal fine concepì il mondo naturale come un insieme di sostanze finite dotate di forza. Queste forze possono dar luogo a fenomeni meccanico-dinamici, ma anche a fenomeni psicologici come le idee, con un comune ordine. Quindi non vi è separazione tra idee e oggetti, e le idee sono rappresentative delle cose, distinguendo però tra verità di fatto (di natura contingente e imprevedibile) e verità di ragione (necessariamente adeguate).
Leinbiz inventò anche la macchina calcolatrice, proseguendo sulle orme di Pascal. Venne eletto a vita presidente dell’Accademia prussiana delle scienze, e fu consigliere segreto dello zar Pietro il Grande. La sua produzione fu sempre frammentaria e occasionale. L’ateismo di Spinoza non rientrava affatto nel suo conformismo religioso. Fu invece un pensatore enciclopedico, con la grande cultura di un sofista o di una prestigiosa figura rinascimentale. Non si sposò. Non ebbe eredi. Dimenticato da tutti, trascorse gli ultimi anni in solitudine. Si ignora persino dove si trovi la sua tomba.
Leibniz rivela un aspetto tardo ed evoluto del movimento occulto dei Rosa-Croce: il tentativo di superare, in nome della ragione e del progresso, le divisioni tra gli uomini. Fondando la logica simbolica, ritenne che la caratteristica universale (ambizioso progetto di formalizzazione del pensiero umano intrapreso dopo il 1670 e certamente coltivato a Parigi), avrebbe permesso di superare, senza ambiguità, anche i contrasti teologici, accostando la verità e avvicinando i popoli. Cercò di separare le varie parti di un ragionamento in componenti logiche, ciascuna delle quali doveva essere associata a un numero primo.123 Leinbinz si interessò anche ai pittogrammi cinesi in vista di una linguaggio rappresentabile attraverso una stringa di simboli. Le leggi del ragionamento venivano elencate come particolari regole per operare sulle stringhe, e tutta la deduzione logica si riduceva all’esecuzione i calcoli algebrici.124
Cartesio, formulando la quarta regola direttiva, faceva notare che alla matematica deve essere attribuito << soltanto tutto ciò in cui si può ricercare un certo ordine e misura, a prescindere se questa misura debba essere indagata nei numeri, nelle figure, i nelle stelle, nei toni, o altrove. Perciò dev’esservi una scienza generale. Che spiega tutto ciò che si può esaminare secondo l’ordine e la misura, in quanto non siano riferiti a una materia particolare >>. E’ la mathesis universalis.
Cosa cercava Leibniz tra i manoscritti di Cartesio nel 1676? Poiché durante il soggiorno parigino aveva cominciato ad interessarsi sempre di più alla logica simbolica, si deve presupporre che cercasse di verificare se per caso Cartesio avesse tenuto nascosto qualche principio fondamentale nell’ambito della conoscenza universale. L’ipotesi del collegamento col calcolo infinitesimale accennata da Aczel appare debole e recessiva.
Lenbniz scrive a sua volta: << Tutta la nostra attività razionale consiste semplicemente nel mettere insiemee sostituire dei caratteri, siano qusti parole o simboli o immagini…se riuscissimo a trovare caratteri o segni appropriati per esprimere tutti i nostri pensieri con la stessa chiarezza e precisione con cui l’aritmetica esprime i numeri e l’analisi geometrica esprime le linee, potremmo estendere ciò che si fa in aritmetica e in geometria a tutti i campi che siano riconducibili al ragionamento. Infatti tutti problemi che dipendono dal ragionamento verrebbero affrontati tramite la trasposizione di caratteri e una sorta di calcolo…E se qualcuno mettesse in dubbio i miei risultati, gli direi:”Calcoliamo, signore”, di modo che, ricorrendo a penna e inchiostro, risolveremmo la questione in breve tempo>>.125
L’ottimismo di Leibniz è noto. A parte la complessità computazionale, il teorema < P=NP? >126 è ancora uno dei 7 enigmi irrisolti del nuovo secolo nel terzo millennio.127
Esistono indubbiamente i paradossi linguistici, che pongono una inestricabile ambiguità. Tuttavia il concetto di metalinguaggio di Alfred Tarski consente di superarli. Non si può disporre di un criterio di verità in un linguaggio o fa lo stesso in un sistema logico, senza fuoriuscire dal sistema per formulare enunciati su di esso nel suo metalinguaggio. La scoperta di nuove geometrie avrebbe limitato quella piana di Euclide (riformulata da Hilbert), e accanto a questa relativizzazione se ne porrebbero altre di natura logica, in qualunque rappresentazione simbolica o matematica. Pertanto il formalismo matematico cercò di ridurre la matematica in una rete di assiomi e di regole sufficientemente ectoplasmatiche, cioè arbitrariamente corretti.128
E’ venuto il momento di accennar a Platone. Le nostre annotazioni, che ovviamente non hanno pretese, servono soltanto (rispetto all’argomento) a delineare grossomodo qualche aspetto generale. A parte l’ardua questione del platonismo in matematica (una delle varie concezioni tra le quali si dibattono i matematici, in alternativa alla creazione umana e libera degli enti matematici), l’antico padre ateniese della filosofia (non soltanto della metafisica), molto disse, ma anche molto preferì tacere. I Dialoghi platonici integrati dalle Lettere) sono la splendida punta emergente di un corpo di dottrine orali o segrete.129 Anche in questo caso cominceremo da un sogno.
<< Si racconta che Socrate abbia sognato di tenere sulle ginocchia un piccolo cigno, che subito mise le ali, volò via e cantò dolcemente, e che il giorno successivo si presentò a lui Platone, ed egli disse che quel piccolo cigno era proprio lui >> (Diogene Laerzio, III 5). Fedone, 85 B: << Anch’io mi ritengo compagno dei cigni nel loro servizio e sacro al medesimo dio, Apollo, e ritengo di avere avuto dal dio il dono della divinazione >>. << Platone era nato nel settimo giorno del mese di Targellione,130 nello stesso giorno in cui i Deli dicono sia nato Apollo >> (Diogene L., III, 2).
La dottrina delle idee ingloba una grande profondità matematica, che attiene ai numeri ideali, una sorta di anticipazione delle moderne concezioni degli insiemi di Cantor.131
-
Fine della prima parte
(Avv. Arcangelo Papi, marzo 2014)
1 E. J. Aiton, Leibniz, Il Saggiatore, Milano, 1991; nonché F. Adorno, T. Gregory, V.Verra, Manuale di Storia della Filosofia, vol. II, Laterza, Bari, 1996, pp. 213 ss.
2 Soltanto l’Accademia delle Scienze di Parigi lo ricordò nel primo anniversario della morte con un elogio di Fontanelle.
3 Leibniz era giunto a Parigi nel marzo del 1672 in missione diplomatica allo scopo di proporre al re di Francia Luigi XIV una spedizione in Egitto per distoglierlo dalle mire sull’Olanda che avrebbero potuto minacciare la Germania. Nel 1666 Leibniz, che aveva allora appena venti anni, divenne il segretario dei Rosa Croce di Norimberga, dopo aver pubblicato a Lipsia una Dissertazione sull’arte combinatoria che gli valse l’abilitazione in filosofia. In quest’opera aveva ripreso alcuni spunti dell’Ars Magna del teologo e filosofo catalano Raimondo Lullo, sviluppandola in senso logico-metafisico al fine di pervenire a una ars inveniendi, cioè a una logica della scoperta di nuove verità mediante la combinazione di concetti semplici. Nel 1674 a Parigi, aveva intrapreso i primi studi intorno al calcolo infinitesimale, la cui successiva elaborazione lo portò ad un memorabile scontro con Newton.
4 Nell’ottobre del 1684 sugli Acta eruditorum Leibniz pubblicò Nova methodus pro maximis et minimis in cui espose il principi formali del calcolo differenziale. In novembre, sulla stessa rivista, pubblicò le Meditationes de cognitione, veritate et ideis, in cui fissa le linee fondamentali della sua gnoseologia.
5 L’ecclesiastico Adrien Baillet, uno dei primi biografi di Cartesio, pubblicò in Francia, a Parigi, nel 1691, La Vie de Monsier Des-Cartes, in 2 volumi, reperibile in italiano in edizione abbreviata, Adelphi, Milano, 1996. In quest’opera ci si sofferma sulle carte segrete di Cartesio. Pertanto il Baillet è insostituibile per le parti non potute copiare da Leibniz.
6 Claude Clerselier mantenne il possesso di tutti i manoscritti di Cartesio fino alla sua morte, intervenuta diciotto anni dopo che Leibinz ne aveva frettolosamente copiato una parte nel 1676. I manoscritti, alla morte di Clerselier, passarono in mano all’abate Jean-Baptiste Legrand, e qui furono consultati da Adrien Baillet, per la sua biografia di Cartesio, pubblicata nel 1691 Parigi in due volumi.. Dopo la morte di Legrand i manoscritti scomparvero. Quindi abbiamo soltanto alcuni frammenti trascritti da Leibniz accanto alla descrizione di alcuni altri, presente nella biografia del Baillet, che si riporta all’inventario stilato a Stoccolma da Pierre Chanut il 14 e 15 febbraio 1650. Adam e Tannery scoprirono nel 1912 che una copia di tale inventario si trovava nella Biblioteca Nazionale di Parigi. Una seconda copia era stata inviata da Chanut in Olanda al padre di Christian Huygens. Quindi Leibniz sarebbe stato informato da Huygens a Parigi.
7 P. Costabel, Renè Descartes. Exercises pour les éléments des solides, Parigi, Epimèthèe, 1987.
8 L’enigma di Fermat, il Saggiatore, Milano, 1998; Probabilità 1, Garzanti, 1999; L’equazione di Dio, il Saggiatore, 2000; Il mistero dell’Alef, il Saggiatore, 2002; Entanglement (Il più grande mistero della fisica), Raffaello Cortina Editore, 2004; L’enigma della bussola, Raffaello Cortina Editore 2005; Il taccuino segreto di Cartesio, Mondatori, 2006; Pendulum: Lèon Foucault e il trionfo della scienza, il Saggiatore, 2006. Vale la pena di accennare all’argomento del primo di questi libri. Pierre de Fermat (1601-1665), era un giurista francese nato a Tolosa, contemporaneo di Cartesio (1596-1650), di padre Marin Mersenne (1588-1648), che svolse un importante ruolo di tramite fra i maggiori scienziati dell’epoca, e di Blaise Pascal (1623-1662). Nel 1638, studiando l’Aritmetica di Diofanto (il misterioso algebrista greco-alessandrino del III sec. d. C.), nella traduzione latina edita nel 1621 a Parigi da Gaspar Bachet di Mèiziriac, che pure era accompagnata da savi commenti e dotte note, Fermat, che era un genio, aveva a sua volta effettuato diverse annotazioni direttamente sul testo, via via che leggendo l’opera gli affacciavano certe idee. I suoi interessi non riguardavano solo la geometria, ma anche lo studio dei numeri interi (criteri di divisibilità, numeri primi, numeri perfetti, ecc.) e la ricerca di soluzioni intere di vari tipi di equazioni algebriche, dopo il contributo dato da Viète (1540-1603) a questo settore che aveva avuto grande importanza per i matematici arabi. (P. de Fermat, Osservazioni su Diofanto, a cura di A. Conte con prefazione di G. Colli, Bollati Boringhieri, 2006; Fermat, Quaderno de Le Scienze n.24, dicembre 2001, pp.82 ss.). Riflettendo sulla questione 28 del secondo libro dell’Aritmetica di Diofanto, Fermat ebbe un altro dei suoi colpi di genio o improvvise intuizioni. Non bastandogli il margine della pagina, annotò brevemente: << Non è possibile dividere un cubo in due cubi, o un biquadrato in due biquadrati; né in generale dividere alcuna altra potenza di grado superiore al secondo in due altre potenze dello stesso grado: della qual cosa ho scoperto una dimostrazione veramente mirabile, che non può essere contenuta nella ristrettezza del margine >>. Questa affermazione (chiamata dai moderni l’ultimo teorema di Fermat) stabilisce che non si può andare oltre le c.d. terne pitagoriche. La relazione che la somma di due quadrati può essere a sua volta un quadrato (espressione del teorema di Pitagora utilizzando tre numeri naturali diversi con esponente 2: ad es. < 3 per 3 + 4 per 4 = 5 per 5 >), è vera soltanto per la seconda potenza. Con esponenti superiori a 2 la relazione è falsa. Fermat si limitò all’asserzione, già di per se stessa stupefacente, ma non fornì alcuna dimostrazione (eccetto forse il caso dell’esponente 3 ). Ad una questione così facilmente enunciabile corrisponde infatti un immensa dimostrazione, ottenuta soltanto pochi anni fa. A partire da Leonardo Eulero (1707-1783), che fornì una dimostrazione di impossibilità per la terza potenza, tanti altri illustri matematici provarono, per oltre tre secoli, a giungere per gradi alla dimostrazione definitiva, valida per tutti i casi fino all’infinito, che Fermat aveva sostenuto di possedere ma che non aveva potuto trascrivere non bastandogli il margine del foglio. Soltanto nel 1994 il matematico inglese Andrew Wiles (al quale non venne assegnata la prestigiosa medaglia Fields recante il ritratto di Archimede ed equivalente al Nobel per la matematica in quanto avena già superato i 40 anni di età) pervenne, dopo strenue fatiche con oltre duecento pagine di raffinatissima matematica ultramoderna, alla dimostrazione definitiva del teorema. Fermat è l’inventore del metodo dimostrativo della discesa infinita. I matematici pensano che Fermat, per quanto avesse enunciato un teorema esatto e avesse dichiarato di averne la prova generale, in realtà non possedesse una vera dimostrazione. Tuttavia non è categoricamente escluso che possa esistere una via molto più semplice di quella utilizzata da Wiles, che è infatti di estrema complessità, alla portata di Fermat che tuttavia neppure lontanamente poteva immaginare gli innumerevoli teoremi di massima sofisticazione chiamati in causa nella dimostrazione moderna di Wiles. Anche Cartesio, che è stato il fondatore della matematica moderna, fu attratto da alcuni problemi inerenti al cubo, come la duplicazione dell’altare di Delo, antico problema insoluto della geometria greca, implicante l’estrazione la radice cubica, un algoritmo che non può essere costruito geometricamente con riga e compasso.
9 Su Cartesio scienziato vedi ad es. Storia della Scienza moderna e contemporanea diretta da Paolo Rossi, vol. 1, Dalla rivoluzione scientifica all’età dei lumi, Torino, U.t.e.t, 1998, passim; M. Mamiani, Storia della scienza moderna, Laterza, Bari, 1998, passim; G. Preti, Storia del pensiero scientifico, Mondatori, Milano, passim; Quaderno de Le Scienze n. 16, ottobre 2000, collana I grandi della scienza, Cartesio (La spiegazione del mondo fra scienza e metafisica), a cura di Ettore Lojacono, il traduttore italiano di Cartesio.
10 Il titolo dell’opera era Discorso sul Metodo per guidare correttamente la Ragione e ricercare la Verità nelle Scienze; inoltre, saggi di questo Metodo in Diottrica, Meteore, Geometria. L’opera venne pubblicata l’8 giugno 1637, quando Cartesio aveva 41 anni. Vincendo ogni riserbo, scrisse in francese anziché in latino, dopo che nel 1633, l’anno del processo a Galileo, aveva rinunciato a pubblicare Il Mondo ovvero Il Trattato della Luce, per timore dell’Inquisizione. Quest’opera fu pubblicata postuma a Parigi nel 1664.
11 Il termine di geometria analitica venne usato in seguito, per distinguere la geometria cortesia da quella greca, che era infatti sintetica. La grande scoperta nasceva dall’esatta risposta alla domanda di quale relazione intercorresse tra il calcolo dell’aritmetica e le operazioni della geometria. Cartesio fornì una base geometrica alle operazioni algebriche, mostrando che le cinque operazioni aritmetiche (compresa l’estrazione della radice quadrata), corrispondono a semplici operazioni geometriche effettuaste con la riga e il compasso. Nel XVII secolo si produsse l’assorbimento dell’antica matematica greca. Il metodo delle coordinate di Cartesio aveva qualcosa in comune con quello di Fermat, individuato nel 1629, ma fu risolto in modo innovativo, profondamente diverso. Secondo quanto lasciò scritto il matematico olandese Isaac Beeckman, le idee di Cartesio sulla geometria delle coordinate risalgono al 1619, cioè all’epoca stessa del taccuino segreto e dell’estratto che ne fece Leibniz a Parigi: cfr. M.Kline, Storia del pensiero matematico, Einaudi, Torino, vol. I, 1999, p. 368; C. B. Boyer, Storia della matematica, Mondadori, Milano, 1890, p. 386, a proposito della datazione della formula segreta di Cartesio (concernente i poliedri semplici e attribuita a Eulero che la pubblicò nel 1730 a Pietroburgo), che risalirebbe anch’essa al 1619, vale a dire all’epoca immediatamente seguente ai tre famosi sogni fatti da Cartesio in Germania nella notte di San Martino.
12 Vedi G. Rodis-Lewis, Cartesio (Una biografia), 1995, trad.it. 1997, Editori Riuniti, Roma, pp.45 ss. e 74 ss.
13 Esistono altre biografie di Cartesio, composte nel XVII secolo. Tre anni dopo la sua morte, il tedesco Daniel Lipstorp compose due piccole opere in latino, che presentavano una breve biografia. L’opera di Baillet è tuttavia completa e assai accurata.
14 G. Rodis-Lewis, op. cit., p. 6, fa presente che Legrand fu un prezioso collaboratore di Baillet. Le carte di Legrand, che aveva intenzione di pubblicare un’edizione generale delle opere di Cartesio, sono sparite. Baillet si rammarica del fatto che Clerselier e Chanut, che erano grandi amici di Cartesio e ne avevano raccolte le confidenze, non abbiano scritto una biografia. Chanut fu l’autore del magniloquente epitaffio della prima povera tomba in legno di Cartesio, a Stoccolma, nel cimitero degli orfani e delle minoranze religiose.
15 Aczel, op. cit. p. 190.
16 Cfr. Aczel, op. cit., pp. 11 ss.
17 Questa ipotesi era stata affacciata per primo nel 1996 da Eike Pies, medico e storico tedesco, ed è presa in considerazione da Aczel anche in base a studi più recenti: vedi Aczel, op. cit., pp. 180 ss.
18 Vedi E. T. Bell, I grandi matematici, 1937, trad.it. 1950, Sansoni, Firenze, p. 35.
19 Vedi ad es. I. P. Couliano, Eros e magia nel rinascimento, il Saggiatore, Milano, 1987.
20 Cartesio una volta disse: << Fermat est gascon, moi non >>. Tolosa si trova in Linguadoca, nel sud della Francia, e non nel nord-ovest, come la Turenna, la regione da cui veniva Cartesio. In questa terra l’11 novembre si celebrava la festa di San Martino di Tours. La ricorrenza del 10-11 novembre è stranamente significativa nella vita di Cartesio.
21 Sono chiamati cartesiani i seguaci di Cartesio, che si fecero propugnatori e continuatori della sua filosofia fondata sul raziocinio e sulla chiarezza. Il movimento si diffuse dapprima in Olanda, e con altri caratteri, in Germania e in Francia, nei salotti, nelle accademie, e in ambienti religiosi non dominanti, ma di grande prestigio, come gli oratoriani e i giansenisti. Uno dei problemi sollevati dalla concezione cartesiana che teneva distinta la res cogitans (anima o mente) dalla res extensa (materia o corpo), era come si potesse realizzare l’azione, posto che secondo il filosofo occorreva il contatto, vale a dire una causa meccanica. Escludendo ogni omogeneità tra anima e corpo, cioè una reciproca influenza, come posso muovere il mio braccio? Messa in questi termini, l’eccezione è impropriamente banale. L’occasionalismo fu la soluzione adottata dalla maggior parte dei cartesiani (La Forge, Clauberg, Cordemoy, Guelincx, Malebranche ecc): è Dio l’unica causa che senza intermediari di sorta produce tutti i cambiamenti. Questi sviluppi filosofici e metafisici, criticati anche da Leibniz, che aveva studiato a fondo Cartesio, non ne mettono però in ombra gli aspetti scientifici. La seconda metà del XVII secolo fu decisamente cartesiana, e lo stesso Newton dovette fare i conti non solo con la fisica professata dal francese, che non ammetteva un’azione a distanza, senza contatto. Lalande, d’Alembert e Laplace furono cartesiani. Nel XX secolo le interpretazioni di Cartesio possono essere distinte in tre indirizzi: Cartesio come scienziato; Cartesio come pensatore religioso (che cercò di conciliare la scienza di Galileo con la dottrina della Chiesa); Cartesio come filosofo fondatore del razionalismo, culminato in Kant e nell’idealismo, che continua a vivere in tutte le forme di trascendentalismo moderno (neokantismo, neoeghelismo, nella filosofia della scuola di Marburgo e con Husserl, nonchè dei seguaci come Cassirer). Il genio matematico e il razionalismo di Cartesio sono così luminosi che non si può fare meno di restarne profondamente colpiti.
22 Cartesio aveva portato con sé il certificato di battesimo. A Leida, nell’Olanda protestante dove Cartesio aveva soggiornato a più riprese, Saumaise testimoniò che egli era cattolico romano, e tra i più zelanti.
23 La regina abdicò nel 1654. A Roma, nel 1677, dichiarò a padre Poisson quanta influenza ebbe Cartesio per la sua conversione al cattolicesimo.
24 G. Rodis-Lewis, op. cit., p. 237.
25 Aczel, op.cit., p. 121.
26 Aczel, op. cit., p. 176.
27 G. Rodis-Lewis, op. cit., p. 242. Cartesio, il 30 agosto 1649, alla vigilia della partenza, si preoccupò dei suoi affari finanziari, lasciando anche precise istruzioni a Hoghelande sui libri e le lettere che rimanevano in un baule, portando però con sé quasi tutti i suoi scritti, il cui inventario fu redatto a Stoccolma nei giorni immediatamente seguenti alla sua morte. Cartesio aveva anche pensato di poter morire in viaggio. Forse furono le delusioni provate in Francia e in Olanda a tentare una nuova avventura.
28 A proposito di Assisi porremo sotto gli occhi del lettore delle notevoli sorprese a proposito di Cartesio e della regina di Cristina di Svezia. Ad Assisi, nella Basilica inferiore di San Francesco, dove si trova l’importante cappella con i magnifici affreschi di Simone Martini illustranti le storie di San Martino di Tours secondo la biografia di Sulpicio Severo, vivente ancora Cartesio si verificarono alcuni voli miracolosi del frate Giuseppe di Copertino, poi fatto santo.
29 Il capitano di quella nave lasciò scritto che aveva appreso da Cartesio in quelle 3-4 settimane di difficile viaggio dall’Olanda a Stoccolma, tante più cose che non in quarant’anni di navigazione. Nel 1619 il giovane filosofo si era interessato a un calcolo della distanza percorsa unicamente in base alla lettura degli astri, senza conoscere la durata del viaggio. Cartesio era un esperto anche dei problemi di navigazione.
30 La morte di Cartesio è abbastanza sospetta. A Stoccolma potrebbe aver ritrovato quel clima ostile che nel 1647 aveva già segnato a Utrecht lo scontro con i calvinisti più rigidi. Il filosofo ‘cattolico’ aveva due nemici: i protestanti più accaniti e l’Inquisizione.
31 Lo svedese Berzelius, trovandosi a Parigi, aveva inteso dire che le spoglie di Cartesio erano incomplete, mancando proprio la testa. Di ritorno a Stoccolma, seppe che si era appena venduto all’asta il cranio di Descartes, che era passato di mano in mano. Lo acquistò allo stesso prezzo dall’acquirente, e lo inviò in Francia dopo che Cuvier si interessò alla questione. Si tratta del cranio conservato nel museo parigino. L’ambasciatore Chanut compì dopo la morte di Cartesio azioni inspiegabili, sconsigliando la regina dall’erigere una sepoltura maestosa. Il corpo fu sepolto nel cimitero delle minoranze religiose e dell’ospizio degli orfani. Le spoglie (decapitate?) di Cartesio furono riesumate il 2 ottobre 1666 e portate in Francia, dove dopo alcune peripezie oggi riposano nell’antica chiesa di Saint-Germain-des-Près (Aczel, pp. 185-186). Il cranio attribuito a Cartesio condivide la teca con un cranio Cro-Magnon, vecchio di 100.000 anni.
32 La cosa non è sfuggita alla Rodis- Lewis, che non manca di sottolineare questa ambiguità, rinunciando però a ricercarne le eventuali ragioni nascoste.
33 G. Rodis-Lewis, op. cit. pp. 53 ss., si sofferma sulla questione, rifacendosi agli studi di G. Cohen. Beillet nega ogni appartenenza. Il problema si risolverebbe con una iniziale curiosità, seguita da qualche contatto, ma anche da una severa critica razionale, a meno che non si tratti di una maschera o schermo. Vedi anche P. Arnold, Storia dei Rosa-Croce, trad. it. Milano, Bompiani, 1991, pp. 278 ss. (Cartesio e Faulhaber).
34 Il principale referente Rosa-Croce sarebbe stato il matematico tedesco Johann Faulhaber (1580-1635), conosciuto e frequentato a Ulm da Cartesio. Nel 1622 il matematico tedesco pubblicò i Miracula arithmetica, dove si può leggere il seguente passo: << Poiché il nobile molto dotto signor Carolus Zlindius (Polybius), mio beneamato signore e amico mi ha fatto sapere che presto pubblicherà, a Venezia o a Parigi, tali tavole….>>. Una sezione del taccuino segreto di Cartesio, i Preamboli, vista da Leibniz oltre che studiata dal Baillet, affermava con chiarezza che Cartesio progettava di scrivere un libro su una verità matematica servendosi dello pseudonimo di Polybius il Cosmopolita. La circostanza si collega bene al viaggio in Italia del 1623-1625, con una sosta anche a Venezia. Infine lo pseudonimo di Polybius (equivalente a più vite o rinato) sembra riferirsi al nome Réne (rinato o nato a nuova vita). La maschera del giovane Cartesio, che sembra ripercorrere il ricordo delle prime recite di un ragazzino timido presso il collegio dei Gesuiti a La Fleche, sarebbe stata assunta per evitare l’accusa di non avere né religione, né fede. Ma potrebbe trattarsi del conflitto interiore tra fede e ragione, accanto al timore di essere frainteso. Cartesio era profondamente credente, ma forse trovava arduo conciliare la sua fede (come fatto intimo e personale), con la sua filosofia razionale, per quanto fondata sulla necessaria esistenza di Dio come verità prima. Postulata la separazione tra anima e corpo, con la morte è l’anima che può staccarsi, lasciando il corpo al suo destino di disfacimento. Il che non si contrappone radicalmente con la promessa della resurrezione dei corpi. Ma una idea di questo genere poteva anche apparire pericolosa, anche nei riguardi del miracolo dell’Eucarestia.
35 Il fatto che Cartesio sia vissuto per oltre 20 anni in Olanda, prima di recarsi in Svezia, altro paese protestante, è un indicatore di rilievo. In Olanda continuò a cambiare una città dopo l’altra. Questa inquietudine potrebbe nascondere il timore di certi pericoli persecutori. Indubbiamente Cartesio temeva fortemente l’inquisizione. Dopo il processo a Galileo del 1633 avvertì l’esigenza di non esporsi ritirando dalla pubblicazione il Mondo ovvero Il trattato sulla luce, che fu pubblicato postumo nel 1664.
36 Il pellegrinaggio al santuario di Loreto durante il viaggio in Italia ha sollevato molti interrogativi. Non si sa bene se si fosse trattato di un voto o di una promessa. L’occasione potrebbe essere stata la serie dei tre sogni rivelatori della notte di San Martino del 10-11 novembre 1619. La questione è legata all’estratto di Leibniz dal taccuino segreto. Vedi G. Rodis-Lewis, op. cit., pp. 60 ss., nonché pp. 261 ss.: Leibniz sostituì alla parola voto (vocabolo generalmente ripetuto), il verbo promisi. Il voto fatto da Cartesio doveva essere adempiuto a piedi e in panni assai umili.
37 Nei Preamboli del diario segreto di Cartesio datato primo gennaio 1619, si leggeva: << Il timore di Dio è il principio della saggezza. Come gli attori, perché il rossore della vergogna non appaia loro in volto, veston la maschera…>>. La prima frase è un passo della Bibbia.
38 Cfr. G. Rodis-Lewis, op.cit., p. 282.
39 Cartesio ebbe molti scontri polemici, il più famoso dei quali è quello dell’Università di Utrecht con Voetius (1643). Polemizzò anche con Pierre Gassendi (1592-1655), atomista fautore del vuoto che per Cartesio era inconcepibile; con il teologo Antoine Arnauld (1612-1694); ed ebbe in seguito rapporti tesi l’oldandese Isaac Beeckman, dopo un felice rapporto di amicizia.
40 Pierre Gassendi (1592-1655), filosofo, matematico e fisico francese, amico e corrispondente di Mersenne, tentò di conciliare cristianesimo ed epicureismo. Copernicano eliocentrico, egli presuppose l’atomismo e il vuoto, sostenendo che la conoscenza trae alimento soltanto dall’esperienza. L’esatto contrario di Cartesio, che distingueva tre tipi di idee: le idee innate, le idee avventizie (che sembrano venire dal di fuori), e le idee fatte e inventate da me stesso (factitiae).
41 Vedi R. Lauth, Descartes (La concezione del sistema della filosofia), Saggi Istituto Italiano Per Gli Studi Filosofici, Napoli, Guerini e Associati, 2000; E. Severino, La filosofia (dai Greci al nostro tempo), Milano, 1996, pp. 435 ss.; F. Adorno, T. Gregory, V. Verra, Manuale di storia della filosofia, vol. 2, Bari, Laterza, pp. 151 ss.; P. Emanuele, Cogito ergo sum , Salani, Milano, 2001, pp. 165 ss; idem, I cento talleri di Kant, Salani, Milano. 2003; R. H. Popkin e A. Stroll, Filosofia per tutti, Net, Milano, 2003, pp. 146 ss.
42 In Olanda Cartesio sezionò molti animali. La sua ricerca fisiologica era diretta all’epifìsi, annessa all’encefalo, detta glandola pineale o conarium. Secondo Cartesio questa ghiandola era la mediatrice insostituibile tra anima e corpo. Cartesio potrebbe aver visitato nel 1618 i giardini dell’elettore palatino di Heidelberg, dove infatti Salomon de Caus aveva costruito degli automi meccanici, dal momento che nel trattato dell’Uomo accenna a questi automi (nei giardini dei re, con la sola forza impressa dall’acqua), compresa la celebre colomba di Archita da Taranto (Aulo Gellio, Notti Attiche, X,12). Vedi M. G. Losano, Storie di automi (Dalla Grecia classica alla belle époque), Torino, Eunaudi, 1990.
43 Il filosofo inglese Gilbert Ryle ha coniato la frase spettro della macchina per indicare, al contrario, che chi si affanna cercare un’anima dentro il corpo è simile a quei primitivi che vedono per la prima volta un’automobile che si muove, ignorando l’esistenza di un motore. Secondo John Searle esistono sia la mente che il corpo: ma non sono due sostanze diverse, bensì due diverse presentazioni di una stessa sostanza: cit. da P. Emanuele, Cogito Ergo Sum (Breve storia della filosofia attraverso i detti dei filosofi), Salani, Milano, p. 175. Secondo Cartesio l’anima (res cogitans) è una sostanza di cui tutta l’essenza o natura non è che pensare. Ed è questa la affine posizione del matematico inglese Roger Penrose che ha dedicato molti saggi alla questione dell’intelligenza artificiale. Il fatto che gli animali non possedendo una mente o anima fossero come degli automi è oggi fortemente messo in discussione: vedi ad es. D. Mainardi, Nella mente degli animali, Cairo, Milano, 2006. Ma anche il paradigma evoluzionistico di Darwin ha degli oppositori, in Italia il prof. Sermonti.
44 In base a questa soluzione è Dio stesso che crea e sincronizza il continuo raccordo, e senza intermediari di sorta, produce tutti i cambiamenti che osserviamo nell’universo.
45 Sul problema dell’intelligenza artificiale e sul ruolo dello sperimentatore in fisica quantistica, vedi ad es. P. G. Odifreddi, La fisica mente, in La scienza e i vortici del dubbio, Università degli Studi di Perugia, Ricerche Filosofiche a cura di L. Conti e M. Mamone Capria, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999, pp. 397 ss.; nonché i vari saggi del matematico inglese Roger Penrose, che esaminano (con soluzione negativa) la questione dell’intelligenza artificiale e della componete quantistica del cervello.
46 F. Adorno, T. Gregory, V.Verra, Manuale di Storia della Filosofia, Laterza, Bari, 1996, vol 2, p. 157.
47 Sul sistema filosofico di Cartesio vedi R. Lauth, Descartes (La concezione del sistema della filosofia), Guerini e Associati, Napoli, 2000. Il fondamento della fisica secondo Cartesio è la metafisica. A proposito della materia Cartesio determina 3 leggi, dedotte dall’immutabilità divina (teoria degli urti e legge d’inerzia).
48 Le regole per la guida dell’intelligenza si collocano tra il 1627 e il 1628.
49 Vedi R. Lauth, op.cit., pp. 259 ss. Anche Cartesio iniziò, come Leibniz, ad interessarsi da giovane alle opere di Raimondo Lullo (Ars compendiosa inveniendi veritatem, Ars generalis ultima ecc.). Ciò avvenne fra il 1619-1620, con scritti di geometria, di ottica e di logica. E’ l’epoca cui risale il taccuino segreto o registro personale, datato primo gennaio 1619, che gli venne donato dal matematico olandese Isaac Beeckman in cambio di un piccolo Compendio di musica. Beeckman gli fece scoprire che la fisica deve essere trattata con formule matematiche.
50 Occorre però fare i conti con la più profonda riscoperta della scienza antica, valorizzata dall’importante saggio del matematico italiano Lucio Russo, La rivoluzione dimenticata (Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna), Feltrinelli, Milano, I ed. 1997.
51 Su questo sforzo dei Pitagorici veda l’insuperato saggio del matematico inglese E.T.Bell, La magia dei numeri, trad. it. 1949, Longanesi, Milano; accanto all’eccellente Gnomon del matematico italiano P. Zellini, (Una indagine sul numero). Adelphi, 1999.
52 Ci si riferisce al libro di P. Davies e R. Hersh, Il sogno di Cartesio (Il mondo secondo la matematica), Edizioni Comunità, 1988, Milano, pp. 9 ss. Il problema della ‘matematizzazione’ della realtà, oltre che essere stato affrontato dai pitagorici, venne riproposto da Galileo: l’universo è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi e altre figure geometriche. Galilei si rifà ai pitagorici e al Timeo di Platone: cfr. E. Severino, La filosofia dai greci al nostro tempo, 1996, edizione Cde, p. 338. Vedi anche G. Israel, La visione matematica della realtà, Laterza, Bari, 1996; nonché J.Barrow, La luna nel pozzo cosmico (Contare, pensare ed essere), ed. it. 1992, Milano, Adelphi, pp. 215 ss. a proposito di Cartesio e di Leibniz. Il fisico teorico inglese P.A.M. Dirac sposò la sorella di Eugene Wigner, Margit, nel 1937. Nel 1960 Wigner scrisse un famoso articolo (in Communications on Pure and Applied Mathematics, 13, 1960, pp. 1-14), intitolato L’irragionevole efficacia della matematica nelle scienze della natura, in cui sostenne che la potenza della matematica nelle scienze fisiche può essere spiegata solo in termini di miracolo o di magnifico dono che non siamo in grado comprendere nè di meritare, come se le profonde ragioni di tale efficacia fossero poste oltre i limiti della nostra comprensione del mondo.
53 Vedi al riguardo E. Garin, La cultura filosofica del rinascimento italiano (Ricerche e documenti), Bompiani, Milano, 1994; I. P. Couliano, Eros e magia nel rinascimento, ed. it. 1987, il Saggiatore, Milano; W. Eamon, La Scienza e i Segreti della Natura (I ‘libri di segreti’ nella cultura medievale emoderna), Genova, Ecig, 1994; F. A. Yates, Cabbala e occultismo nell’età elisabettiana, Torino, Einaudi, 1982; idem Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Bari, Laterza, 1985; L’arte della memoria, Einaudi, 1972.
54 Le opere di Galileo sono state raccolte dall’Istituto poligrafico e zecca dello Stato nel 1995. Vedi L. Geymonat, Galileo Galilei, Einaudi, 1957; M. Cammerota, Galileo Galilei e la cultura scientifica nell’età della controriforma, 2 voll., Salerno Editrice, Roma, 2004; M.Bucciantini, Galileo e Keplero (Filosofia, cosmologia e teologia nell’Età della Controriforma, Einaudi, 2003.
55 Le opere ufficiali di Newton (Principi matematici della filosofia naturale e Scritti di ottica) sono stati pubblicati in lingua italiana dalla U.t.e.t. Collana Classici della Scienza (1965 e 1978). Vedi R. S. Westfall, Newton, 2 voll., trad. it. 1989, Einaudi. Coesiste accanto allo scienziato ufficiale, un Newton esoterico. Vedi M. Withe, Newton -L’ultimo mago, Rizzoli, Milano, 2001; B. J. Teeter Dobbs, Isaac Newton – Scienziato e alchimista, Ed. Mediterranee, Roma, 2002. Vedi anche V. I. Arnol’d, Huygens – Barrow – Newton – Hooke, Bollati Boringhieri, Milano, 1996.
56 La scienza nuova, 1744, introduzione e note di P. Rossi, Rizzoli, Milano, 1977.
57 Vedi B. Russell, La saggezza dell’occidente, 1959, trad. it. 1997, Tea , Milano, p. 268.
58 B. Russell, op. cit., p. 251: la prima regola è di non accettare mai niente se non idée chiare e distinte; in secondo luogo dobbiamo suddividere ciascun problema in tante parti quante sono necessarie per risolverlo; in terzo luogo, i pensieri devono seguire un ordine che va dal semplice al complesso, e dove l’ordine non c’è dobbiamo introdurne uno; la quarta regola stabilisce che dobbiamo sempre esercitare il nostro controllo per esser certi che niente sia stato trascurato. Cartesio adopera questo metodo quando applica l’algebra ai problemi geometrici, creando quella che chiamiamo geometria analitica.
59 Vedi H. Kueng, L’inizio di tutte le cose (Creazione o evoluzione? Scienza e religione a confronto), Mondadori, 2006; nonché F.J.Tripler, Fisica dell’immortalità (Dio e la resurrezione dei morti), Mondadori, 1995. Il tema del tramonto dell’episteme nella scienza moderna è ben esaminato da E. Severino, op. cit., pp. 841. La questione metafisica forma oggetto del citato saggio di E. T. Bell sulla Magia dei numeri. Poiché la scienza moderna avrebbe bandito ogni metafisica a partire da Carnai, siamo arrivati allo scientismo, di cui è in qualche modo espressione Il Vangelo secondo la Scienza di P.G. Odifreddi, Eineudi, 1999, la cui tematica radicale, malgrado il titolo principale, è chiarita dal sottotitolo: Le religioni alla prova del nove.
60 G.Rodis-Lewis, op. cit. p. 280.
61 La massima sarebbe stata tratta dai Tristia di Ovidio, ma somiglia alquanto al vivi nascosto di Epicuro. Eppure Cartesio non era un atomista come Gassendi, non ammettendo il vuoto.
62 Sui vari ritratti del filosofo (pitture, sculture, incisioni) vedi G. Rodis-Lewis, op. cit. pp. 271 ss. Cartesio aveva tratti marcati, profondi occhi scuri, ed amava il colore verde per il suo vestiario, talvolta bizzarro.
63 G. Rodis-Lewis, op.cit., p. 280.
64 G. Rodis.Lewis, op. cit., p. 271.
65 Ad Hannover nel 1908 fu trovato l’originale francese del dialogo La ricerca della verità, probabilmente appartenuto a Leibniz. Il Balletto sulla pace è stato scoperto nel 1920. Secondo Cassirer è assai probabile che in Svezia Cartesio abbia iniziato a comporre La ricerca della verità per mezzo del lume naturale…, che sarebbe stato interrotto dalla morte. Il Balletto deriva dalla pace della guerra dei 30 anni tra cattolici e protestanti, che venne celebrata a corte da Cristina di Svezia appena ventitreenne. Sembra che Socrate (secondo Platone) abbia iniziato a comporre versi poco prima della morte. Così avrebbe fatto Cartesio, prestandosi alle richieste della regina Cristina che premeva, per i versi di un balletto che sarà danzato qui domani sera. La regina che amava panni mascolini, aveva appena tenuto il ruolo di Diana (la luna) nel balletto Diana vittoriosa, che celebrava la sua avversione per il matrimonio.
66 E. Pies, Il delitto Cartesio, trad. it. 1999, Sellerio, Palermo; J.M. Varaut, Descartes. Un cavalier francais, Paris, Plon, 2002. Molti uomini di corte temevano l’influenza religiosa e politica di Cartesio sulla regina protestante, che infatti abdicò nel 1654, recandosi a Roma e poi dichiarandosi cattolica. Non mancavano perciò i motivi politici per un avvelenamento, di cui il medico e storico Eike Pies avrebbe rintracciato tutti i riscontri di una indagine criminale.
67 G. Rodis-Lewis, op. cit. pp. 255-256.
68 Cfr. op. cit., pp. 188-89.
69 A titolo di curiosità si può notare che una raffigurazione simile a quella delle orbite planetarie di Keplero secondo i 5 solidi platonici inscritti in un sfera, figura nell’edizione italiana del Mattino dei maghi di Pauwels e Bergier, Mondatori, 1971. Ma in questo caso si tratta di una incisione di M. C. Escher, Stars, 1948.
70 Vedi Keplero (semplici leggi per l’armonia dell’universo), Quaderno de Le Scienze n. 13, febbraio 2000, a cura di A. .M. Lombardi. E’ probabile che il giovane Cartesio avesse conosciuto Keplero in Germania e avesse studiato con lui l’ottica. Non sembra invece che nel suo viaggio in Italia durante il soggiorno in Toscana Cartesio avesse avuto modo di incontrarsi con Galileo.
71 G.Loria, Le scienze esatte nell’antica Grecia, Cisalpino-Goliardica, Milano, 1987, ristampa anastatica dell’edizione Hoepli 1914, pag. 335, ove si accenna: << avere Archimede conosciuta quella celebre relazione fra i numeri dei vertici, delle facce e degli spigoli che porta i nomi di Descartes e di Eulero, ipotesi questa che può confortarsi con l’osservazione che, basandosi su quella formola, è possibile dimostrare direttamente l’esistenza dei 13 solidi di Archimede >>.
72 Su Lipstorp vedi G. Rodis-Lewis, op. cit., pp. 7,8,15,43,73,76,288, 299, 305.
73 Sembra che Cartesio abbia scritto un trattato sulla scherma.
74 Cartesio sia da parte di padre che di madre proveniva da una famiglia di illustri medici. Potrebbe darsi che il suo cattolicesimo nascondesse una lontana origine catara, malgrado la diversa zona geografica della Francia, la Turenna nord occidentale anziché la Francia del sud. Il fatto che Cartesio (1628) volle assistere di persona alle fasi finali dell’assedio della Rochelle durato 13 mesi, dove erano rinserrati gli ultimi Ugonotti, potrebbe costituire un altro indizio di questa traccia che non ha trovato alcun riscontro nelle biografie. Ma questa labile ipotesi potrebbe spiegare i continui timori del filosofo, la metafora della maschera, e persino la favola del mondo. Anche se non si raccorda con la testimonianza della regina Cristina di Svezia la quale asserì che la sua conversione al cattolicesimo fu stimolata da Cartesio nel breve periodo trascorso a Stoccolma, prima dell’improvvisa morte. La setta dei Rosa-Croce, sorta in Germania con la leggendaria figura di Christian Rosencreutz, potrebbe aver oscurato le proprie vere origini.
75 Aczel, op. cit., p. 199.
76 Op.cit., pp. 47 ss e pp. 75 ss.
77 Cartesio, Cogitationes privatae, in Opere filosofiche, vol. I, Roma-Bari, Laterza, 1986 (cfr. Aczel, p. 3, Introduzione.
78 Il che costituisce immediatamente un richiamo al teatro antico. Larvatus prodeo è molto più efficace della traduzione avanzo mascherato. L’estremo riserbo giustifica l’impressione di un segreto personale mantenuto per tutta la vita. Forse Cartesio stava elaborando una scienza nuova? I tre sogni della notte di San Martino del 1619 lo lasciano arguire, anche se sono passati nove mesi dall’inaugurazione di quel diario segreto.
79 Il Baillet lo pone nel 1621, al ritorno dalla Danimarca verso le isole Frisone.
80 Nell’agosto del 1676 Newton scrisse a Leibniz accusandolo di utilizzare il suo lavoro, sebbene i suoi lavori siano stati pubblicati soltanto nel 1736.
81 Vedi Aczel, op. cit., p. 15.
82 Il che evidenzia che il giovane Cartesio aveva preso le mosse dai pitagorici.
83 G. Rodis-Lewis, op. cit., p. 47.
84 Le date del primo giugno e del cinque giugno 1676, per l’inizio della copiatura e per copiatura finale del taccuino, sono quelle riportate da Leibniz sulla copia manoscritta. Ma come si spiega allora la sopravvivenza di una sola pagina e mezza? Forse sono andati perduti altri separati appunti presi qua e là da Leibniz? Oppure impiegò alcuni giorni a per la decifrazione, ma a questo punto il racconto non regge più.
85 Aczel, p. 72, fa riferimento all’anno 1620.
86 Vedi Timeo di Platone, testo greco a fronte, nell’edizione curata da G. Reale, con note ed appendice illustrativa, Rusconi, Milano, 1994.
87 Si tratta della vicenda della soluzione generale delle equazioni di terzo e quarto grado, accennata da Aczel, che si intreccia coi nomi di Nicolò Fontana, detto Tartaglia, di Scipione del Ferro, di Girolamo Cardano e di Ludovico Ferrari. Un giallo matematico rinascimentale, che può essere approfondito in E. Giusti, Ipotesi sulla natura degli oggetti matematici, Bollati Boringhieri, Milano, 1999, pp. 28 ss. Tramite E. Galois e la soluzione delle equazioni di quinto grado, siamo entrati nella c.d. teoria dei gruppi, che ha n rilievo fondamentale nella matematica e nella fisica moderna. Passato per la Toscana non sembra si sia incontrato con Galileo.
88 E. Mehl, Descartes en Allemagne, Strasburgo, 2001.
89 Si può notare la costante Jean dei nomi propri, che potrebbe essere altamente indicativa.
90 Il concordato di Bologna dell’agosto 1516 con papa Leone X, segnò la vittoria del gallicanesimo. Francesco I chiamò presso di sé in Francia Leonardo da Vinci nel 1516. Nel 1509 a Milano Luca Pacioli aveva dato alle stampe il De divina proportione con i pregevolissimi disegni a rilievo di Leonardo, in forma piena (solidus) e in trasparenza (vacuus), dei 5 solidi platonici.
91 Oltre che collegarsi ad una analoga espressione usata da Keplero, la parola entusiasmo sembra riportarsi etimologicamente ad una sorta di invasamento divino.
92 La mirabile scienza sarebbe la mathesis universalis, che prenderà forma compiuta nella Geometria allegata al Discorso sul metodo del 1637.
93 Vedi W. Pauli, Psiche e Natura, 1952, riproposto in edizione italiana dalla Adelphi, Milano, 2006, con nota editoriale. In quest’opera il famoso fisico riporta anche il carteggio segreto tra Keplero e Robert Fludd. Anche Dante credeva ai sogni premonitori, che secondo lui apparivano alla mattina, prima del risveglio. In antico l’arte dei sogni era molto coltivata. A parte i famosi sogni biblici, ci resta L’Interpretazione dei sogni di Artemidoro, II sec. a.C., che sembra anticipare la psicanalisi moderna: vedi l’edizione curata da Fabbri Editori, Milano, 1996, con prefazione di Cesare Musatti.
94 Poiché ad Assisi si conservano ancora i misterioso resti di una adiacenza della casa del poeta latino Properzio, è assai probabile che la scritta incisa con una punta metallica sull’intonaco accanto alla porta di uscita del sito magico, risalente al 22 febbraio dell’anno 367 d.C., sia stata apportata da Ausonio di ritorno in Francia dopo essersi recato a Roma da Vettio Protestato, che aveva inaugurato all’inizio di quell’anno la prefettura dell’Urbe.
95 Il fatto si spiegherebbe molto bene dal momento che il Corpus omnium veterum poetarum latinorum nelle edizioni reperibili nel periodo della giovinezza di Cartesio, recavano le due composizioni di Ausonio a recto e verso di pagina.
96 Vedi G. Rodis-Lewis, op. cit., p. 62.
97 G. Rodis-Lewis, op. cit., p. 64.
98 G.Rodis-Lewis, op. cit., p. 78.
99 Quindi Cartesio intendeva pubblicare, oppure si tratta di un’opera ermetica capitata tra le mani del giovane filosofo? Aczel ritiene che all’intenzione di scrivere non seguì alcun risultato. Qui figura la sigla già vista nel testo: G.R.F.C. Ma se si fosse trattato di un manoscritto rosa-crociano?
100 Vedi E. Lojacono, Cartesio, Quaderno de Le Scienze cit., p. 19, a proposito dei Rosa- Croce.
101 Che forma oggetto del capitolo XXI del libro di Aczel.
102 Su Pitagora e Pitagorici vedi Le opere e le testimonianze, Mondatori, 2 voll., 2000, a cura di M. Giangiulio.
103 Si può notare l’affinità del nome del piccolissima città o villaggio natale di Cartesio con la gande città olandese, L’Aia, vicina a Leida.
104 La tesi di laurea di Cartesio venne scoperta all’Università di Poitiers nel 1985. Reca la data 10 novembre 1616. Nella vita di Cartesio tale data della vigilia della festa di S. Martino tende stranamente ripetersi per alcuni fondamentali avvenimenti, come quello della notte dei tre sogni (10-11 novembre 1619 sulle rive del Danubio).
105 In seguito i rapporti tra i due si ruppero in una astiosa polemica durante i lunghi anni del soggiorno in Olanda, in quanto il matematico olandese, colto da infondata gelosia, prese accampare inesistenti diritti sulle originali conquiste matematiche di Cartesio, che lo condussero a fondere algebra e geometria.
106 Aczel, op. cit., p. 66. Avendo già ipotizzato che Polybius il Cosmopolita possa essere lo pseudonimo di un oscuro rosa-croce, anzichè lo pseudonimo di Cartesio in maschera, non aderiamo a questa identificazione dovuta a Eduard Mehl, professore di storia dell’Università di Strasburgo, il quale ritiene che Cartesio abbia pubblicato a Parigi un Thesaurus mathematicus sotto lo pseudonimo di Polybius.
107 Nel 1628 volle assistere all’assedio della Rochelle, ultima fortezza ugonotta affacciata sul mare. In questa drammatica occasione si interessò alla diga di sbarramento che gli ingegneri francesi stavano costruendo davanti al porto per impedire che giungessero agli Ugonotti i rifornimenti della flotta inglese e studiò le traiettorie dei colpi di cannone. In questa occasione fece la conoscenza di Desargues, al seguito del cardinale Richelieu. Un valletto di Cartesio che lo aveva accompagnato in Olanda era un profugo ugonotto. Si chiamava Jean Gillot. Cartesio si accorse del talento matematico di questo giovane servitore. In una lettera a Constantin Huygens, il padre di Christian, che era il segretario del principe d’Orange, descrisse questo ragazzo come il solo allievo che avesse avuto. Gillot continuò a studiare in Olanda con Huygnes e poi con vari matematici dell’epoca. In seguito divenne matematico ufficiale del re del Portogallo.
108 La parola entusiasmo usata da Cartesio deriva da una annotazione autografa sotto la data Anno 1619 Kalendis Januarii, che figurava all’interno della copertina dell’Olympica (documento classificato C1). Questa parola è la stessa usata da Keplero. All’epoca Cartesio si trovava in Germania. Si incontrò con Keplero? L’ipotesi sembra trovare un certo suffragio. Lueder Gaebe, studioso di Keplero, ha avanzato l’ipotesi che questo incontro abbia avuto luogo. Il primo febbraio 1620, Johann-Baptist Hebenstreit, direttore del liceo di Ulm, scrisse a Keplero a Linz chiedendogli se avesse ricevuto le lettere che un certo Cartelius presumibilmente gli aveva portato. Hebenstreit scriveva: << Cartelius è un uomo di genuina cultura e di singolare cortesia. Non mi piace infastidire gli amici mandando loro importuni vagabondi, ma Cartelius sembra un tipo di persona diversa, e davvero meritevole della tua considerazione >>. Gaebe ha identificato Cartesio in questo Cartelius, poiché Max Caspar, curatore delle opere di Keplero, ha notato che una s allungata avrebbe potuto facilmente essere scambiata per una l. Si suppone che Cartesio abbia studiato ottica con Keplero.
109 La leggenda vuole che la casa della Madonna sia stata trasportata dagli angeli dalla Palestina a Loreto. Narra la tradizione che il 10 maggio 1291, essendo stata quell’anno invasa dai Maomettani la Palestina, la casa della Sacra Famiglia venne miracolosamente trasportata da mani angeliche sopra il colle di Tersatto, presso Fiume (in Istria). Il 10 dicembre 1294 la Casa sparì da Tersatto, per comparire di qua dell’Adriatico, nelle vicinanze di Recanati, in mezzo a un bosco di lauri, da cui il nome Lauretum. Sorse così la Basilica, anche se l’attuale chiesa del Bramente venne iniziata nel 1468. La vicenda è molto complessa nelle sue circostanze, anche in relazione alle date. L’abate Richeome aveva scritto un’opera intitolata Il pellegrinaggio a Loreto, che Cartesio aveva sicuramente letto da ragazzo in collegio. Tra i visitatori della Basilica della Madonna di Loreto venne annoverato Galileo Galilei. Anche se non esiste alcuna memoria al riguardo, è possibile che Cartesio, diretto in Toscana, abbia fatto tappa ad Assisi, visitata dalla regina Cristina di Svezia dopo l’abdicazione nel 1654 e il suo ritiro a Roma. Nella Basilica inferiore egli avrebbe potuto ammirare la cappella laterale coi bellissimo affreschi di Simone Martini sulle storie di San Martino. E’ assai probabile che Cartesio, allora un giovane sconosciuto, abbia sostato alcuni giorni ad Assisi.
110 Cartesio girovagò per tutta l’Olanda, cambiando spesso città. La scelta dell’Olanda protestante fu molto probabilmente dettata dalla maggior tolleranza di nazione di pacifici traffici. Qui scrisse Les passions de l’ame in cui si occupava del rapporto tra corpo e anima (pubblicata nel 1649), e i Principia philosophiae (pubblicati nel 1644, mentre l’edizione francese è del 1647), ambedue dedicati alla principessa Elisabetta di Boemia. Nel 1647, a Utrecht, Cartesio fu trascinato suo malgrado in uno dei più violenti conflitti accademici della storia. Voetius, sotto falso nome, pubblicò un libello contro di lui. L’accusa più grave era quella dell’appartenenza ai Rosa-Croce.
111 In Olanda, mentre ad Amsterdam preparava con calma il Discorso sul metodo, Cartesio conobbe una domestica che gli rassettava la stanza presa in affitto, certa Hèlena Jans, che però sapeva leggere e scrivere. Nacque una relazione (poi Cartesio si giustificò dicendo che non aveva fatto alcun voto di castità), e ne derivò forse un matrimonio segreto. Il frutto di questa unione fu una bambina, Francine, morta però di scarlattina a sei anni, il 7 settembre 1640. La bambina nacque il 19 luglio 1635 e venne battezzata secondo il rito protestante della madre, a Deventer, l’8 agosto. Immenso fu il dolore per la perdita di questa sua unica figlia. In seguito il rapporto con questa donna si ruppe, e un cane divenne amico di Cartesio per le sue lunghe passeggiate.
112 E’ importante la corrispondenza tra Cartesio e Mersenne, più vecchio di mlui di otto anni, anche con riguardo alla decisione di non pubblicare il saggio sul Mondo ovvero il Trattato sulla luce, per tema dell’Inquisizione e forse anche per un conflitto interno tra fede e scienza: vedi Aczel, op. cit., pp. 121ss.
113 Quest’opera di Cartesio fu pubblicata postuma a Parigi nel 1664.
114 Keplero aveva individuato le prime due leggi sui moti planetari nel 1609, mentre soltanto nel 1618 (Harmonices Mundi) si rese conto della terza legge, che stabiliva una costante derivante dal rapporto tra i quadrati dei tempi di rivoluzione dei pianeti intorno al sole e il cubo del semiasse orbitale maggiore. Una specie di anticipazione di questa legge fondamentale delle orbite planetarie era però stata intuita da Keplero nel Mysterium Cosmographicum, pubblicato nel 1596. Si vedano: Keplero (semplici leggi per l’armonia dell’Universo), Quaderno de Le Scienze n.13, febbraio 2000, a cura di A.M. Lombardi, pp. 44 ss.; A. Koestler, I Sonnambuli (Storia delle concezioni dell’Universo), trad. it. Milano, Jaca Book, 2002; M. Bucciantini, Galileo e Keplero (Filosofia, cosmologia e teologia nell’Età della Controriforma), op. cit., 2003.
115 Ma anche questo ritratto, che indubitabilmente rappresenta le fattezze di Cartesio, potrebbe nascondere un giallo: vedi G. Rodis-Lewis, op. cit., pp. 273-274.
116 Questa apparente incongruenza si inserisce nel quadro ipotetico, mai affacciato da nessuno, che Cartesio potesse nascondere radici catare. Un suo valletto era ugonotto. Rivelò talento matematico e divenne matematico ufficiale del re del Portogallo.
117 Vedi ad esempio in forma discorsiva ma esauriente D. Berlinski, I numeri e le cose (Un viaggio nel calcolo infinitesimale), Rizzoli, Milano, 2001.
118 La caratteristica universale mirava alla costituzione di una esaustiva enciclopedia di tutto il sapere, a un inventario completo della conoscenza umana.
119 Questa idea, che derivava in fondo da Raimondo Lullo, divenne l’algebra boleana, e il fondamento logico dei moderni linguaggi di programmazione. Ma durante il secolo scorso, quando si pensò alla teoria informatica, furono scoperti, tra i tanti successi della cumputerizzazione , i limiti posti dalla complessità di certi algoritmi (macchina infinita di Turing), accanto al famoso teorema di indicibilità o di incompletezza dell’aritmetica di Goedel (1931).
120 Alcuni testi talmudici raccontano che all’epoca della creazione Dio fece almeno 26 tentativi, riuscendovi soltanto al ventisettesimo.
121 A Locke è comunemente associata l’espressione che nell’intelletto non v’è nulla che non sia stato prima sotto i sensi. In realtà il filosofo inglese decretò esclusivamente la secondarietà dell’intelletto rispetto all’esperienza sensoriale. La frase attribuita a Locke appartiene a San Tommaso d’Aquino.
122 Lamettrie giunse infine alla conclusione dell’uomo-macchina, correggendo la famosa formula di Cartesio: Io penso, quindi la materia pensa.
123 E’ ciò che Goedel ha fatto secoli dopo. La numerazione di Goedel opera attribuendo un diverso numero primo a ogni connettivo logico, a ogni quantificatore e ad ogni variabile. Il numero di Goedel di ogni enunciato è il prodotto dei numeri primi associati ai suoi elementi. Pertanto qualunque numero intero può essere fatto corrispondere a un enunciato e ogni enunciato ammette una e una sola scomposizione in fattori primi. I paradossi logici del tipo ‘Epimenide mentitore cretese’ sono superati nell’ambito del linguaggio matematico duale o binario (che non ammette ambiguità).
124 Ma anche il grandioso progetto di Russell e di Witehead di ridurre la matematica alla logica si rivelò difficilissimo.
125 Cit., da J. Barrow, La luna nel pozzo cosmico, op. cit., p. 217.
126 Vedi ad es. Blog Matematico del prof. Umbro Cerruti, nonchè Quaderni de Le Scienze n. 60, giugno 1991, Logica; e n. 67, settembre 1992, La matematica della complessità.
127 Vedi ad es. K. Devlin, I problemi del millennio (I sette enigmi matematici irrisolti del nostro tempo), Longanesi, Milano, 2002.
128 Sui limiti di questo nuovo relativismo vedi Episteme, sito elettronico del prof. Umberto Bartocci.
129 Mi limito a menzionare due fondamentali lavori di Giovanni Reale, il massimo studioso vivente di Platone: Per una nuova interpretazione di Platone, Milano, Soc. Ed. Vita e Pensiero, 1997; Platone – Alla ricerca della sapienza segreta, Rizzoli, Milano, 1998. Consigliabili sono il saggio del filosofo tedesco F. Nietzsche, Plato amicus sed (Introduzione ai dialoghi di Platone), 1869, trad. it. 1991, Milano, Bollati Boringhieri; nonché E. Cassirer, Da Talete a Platone, 1925, trad. it. 1992, Laterza, Bari.
130 A cavaliere tra maggio e giugno, nel 428 o 427 a.C. Socrate sarebbe nato il sesto giorno di questo stesso mese, il giorno della nascita di Artemide. Avremmo la diade Luna e Sole. Vedi Diogene Larezio, Le vite dei filosofi, testo greco a fronte, a cura di G. Reale, Milano, Bompiani, 2005; Tutti gli scritti di Platone, cura di G. Reale, Bompiani, 2000.
131 Vedi G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone, op.cit., pp. 228 ss.