(Un libro di Maurizio Blondet)
1 *Il presente articolo attiene a una lettura personale de Gli Adelphi della dissoluzione, sconvolgente “saggio” del noto scrittore cattolico Maurizio Blondet, tanto per chiarire il mio apprezzamento, accanto all’attualità del libro. Uscito alla fine del 1994 presso la casa editrice Ares di Milano e ripubblicato nel 1999 in veste accresciuta e con postfazione, fu un’attenta lettrice, una sinologa che qualche anno prima, nel giugno del 1989, si trovava per motivi di studio a Pechino, quando accaddero i tragici fatti di Piazza Tien Anmen (letteralmente Porta dellaPace), a segnalarmi l’uscita di questo libro di Blondet, scrittore di grande spessore e autore di molti altri lavori di qualità. Disponendo soltanto della prima edizione (quella del 1994), su questa mi baserò per le citazioni e i rinvii, senz’altro necessari per trattare di un libro di tanta complessità e di così fitta scrittura.
E’ bene però far presente che non si tratta di una recensione, nel senso di pertinente giudizio critico, che sarebbe compito da esperti, critici o letterati appartenenti allo stesso mondo dell’autore. Eccezionalmente, nel caso di uno scrittore come Blondet, se ne può fare a meno, limitandoci al puro e semplice apprezzamento di un comune lettore che non vanta prerogative e credenziali di sorta, per quanto tutt’altro che insensibile al fascino della verità. Un lettore che, ben inteso, è stato testimone (semplicemente per esperienza: come verrà chiarendosi nel seguito) di alcuni fatti minori, lato sensu afferenti al vasto e magmatico “intreccio” di un saggio oltremodo denso e suggestionante. Tutto ciò senza sottrarre nulla alla straordinaria e drammatica complessità dell’arcano “affresco” dipinto da Blondet, che su piani diversi e distinti, si dispiega, capitolo dopo capitolo, in una serrata ragnatela di ‘esplosive’ trame occulte e di sconvolgenti rivelazioni, con eccellente e profetica “penna”, che a tratti appare persino intinta nel sangue stesso delle terribili cronache che oggi ci circondano.
Attraverso uno sviluppo straordinariamente variegato, ricco e complesso, ripercorrendo una grande varietà di ‘personaggi’, di ‘temi’ e di ‘contenuti’ pregnanti in stretta connessione tra loro sull’impervio sfondo di una realtà sotterranea, inquietante al massimo grado, il libro si incarica di condurre il lettore davanti agli aracana che dominerebbero il mondo contemporaneo.
Mi auguro perciò di non apparire inappropriato e fuor di luogo se sotto pelle farò – qua e là – un timido accenno anche a ‘qualcosa’ che appartiene a me soltanto, alla ‘mia’ privata memoria e alla ‘mia’ modesta storia personale, e che nulla avrebbe a che vedere con il formidabile libro di Blondet, se non si trattasse di echi o evocazioni riaffioranti nel lettore che qualcosa riuscì a cogliere, con i propri occhi, in anni ormai lontani.
Penso di poter partire dalla citazione esterna di un singolare passaggio del discorso di Pio XII a fedeli di Roma (10 febbraio 1952), un passo che mi sembra oltremodo indicativo e particolarmente significante: E’ tutto un mondo che occorre rifaredallefondamenta, che bisogna trasformare da selvatico in umano, da umano in divino, vale a dire secondo il cuore di Dio.
Papa Pacelli, dopo l’immane tragedia del secondo conflitto mondiale, risoltosi, per grazia di Dio, con la grande vittoria delle Democrazie, aveva certamente piena cognizione delle enormi difficoltà dei tempi, presenti e futuri, assistito com’era da grande carità e da vero spirito profetico. Questo Papa è stato poi arbitrariamente denigrato, con sporche affermazioni di parte, ma la Barca di Pietro non è stata certo abbandonata da Dio, ai flutti perigliosi del male. Giovanni Paolo II è stato poiun altro grande Vicario di Cristo (oggi lo è Papa Francesco), eletto nell’ultima parte di quest’ultimo secolo, definito il secolo breve, che ha visto nella sua prima metà due guerre mondiali, ormai alle nostre spalle: il Papa polacco ha tenuto a battesimo il nuovo millennio nel martirio del suo stesso “sangue”, santissimo e miracoloso. Super vos non prevalebunt. Gesù in persona ci ha garantito che sarà sempre con noi fino all’ultimo giorno.
La nostra fede cristiana attende con speranza e carità che le Scritture si adempiano (nessuno conosce il giorno della “Parusia”); e che i Cieli e la Terra siano pieni della Gloria di Dio: insomma che l’Uomo finalmente si compia in Cristo Risorto. San Francesco ci ha ripetuto e testimoniato col suo esempio, con la sua miracolosa e straordinaria avventura d’Uomo Vero, pervenuto ormai alla pienezza dello Spirito, il grandissimo mistero del “primo” comandamento, senza il quale, il “secondo”, quello dell’amore per il prossimo, sarebbe un goffo compromesso o un inane conato antropomorfo.
I due primi “comandamenti” della antichissima legge mosaica, Ama Dio con tutto te stesso e il tuo prossimo così come proteggi te medesimo, sono in realtà una sola cosa, con proiezioni diverse, ma profondamente unite. E’ da Dio, e soltanto da Dio, che viene l’Amore e il rispetto per ogni cosa.
Il Cantico della Creature, ripercorrendo i Salmi, ha lo stesso inizio delle Confessioni di S. Agostino. Altissimo, Onnipotente, Bon Signore. Ed è la Trinità Dio, Vita e Amore. L’Amore di Dio è difatti la nostra definitiva salvezza, se avremo saputo “amarlo e servirlo” con “umiltà e semplicità”. Il male, invece, è una deviazione volontaria, cupa e oscura dalla luminosa via, già designata dalla potenza stessa del creato, che con la Luce si fregiava del sigillo vivente del Creatore. Blondet discorre di tenebre, ricordandoci l’equivoca presenza del male. L’affresco impietoso del male contemporaneo ovviamente convive col disegno della salvezza divina.
2* Il saggio prende avvio da una sconvolgente intervista al filosofo nero-barbuto Massimo Cacciari, in una Venezia (città del resto metafisica) che fuori si sfaceva nel suo mare fecale, sotto il cielo grigio, mentre nella sua tersa stanza, costellata di libri, con Cacciari si stava evocando il katéchon, “colui” ovvero “ciò” che letteralmente “trattiene” l’Anticristo dal manifestarsi pienamente. Insieme con Roberto Calasso, eminenza occulta della “Adelphi” intesa da Blondet come casa editrice della mano sinistra, Massimo Cacciari è una delle figure principali di quest’arditissimo saggio, ed è quantomeno il traghettatore verso atmosfere molto più cupe, dense e misteriose. Come avverte Blondet: Attenzione, questo libro non parla di un complotto; parla di teologia (pag.19). Perciò, è in questa chiave, del resto suggerita dall’Autore stesso, che s’indirizza la mia personale ‘lettura’, che per forza di cose non potrà mai essere completa o soddisfacente, bensì soltanto una interpretazione soggettiva, soprattutto a ragione dell’estrema ricchezza e arditezza del testo, derivandone di necessità tutta una serie di rimarchevoli omissioni pur nello sforzo di far affiorare una unità di fondo, raccolta – se possibile – in tanta vastità di materia, che appunto sembra ribollire dalle più infuocate viscere del male assoluto, colto da Blondet in ‘flagranza di reato’ nella sua vasta e purtroppo ben radicata opera di dissoluzione che peraltro risalirebbe a ben più lontano che non il “secolo breve” che da meno di tre lustri ci siamo lasciati alle spalle.
Una dissoluzione che attraversa il mondo sotterraneo e invisibile delle potenze occulte e che pervade la società di massa decomposta e dionisiaca.
L’uomo è una creatura obbligata a trascendersi (Blondet, pag.96). Perciò, se si preclude la via verso l’alto, (esso) si trascenderà verso il basso. Tema vagamente affine, almeno nelle conclusioni, rispetto a quello trattato da Blondet in questo suo straordinario libro, può essere altrimenti colto, senza voler fare per questo un torto al nostro Autore, ne L’elisir e la pietra, opera non molto nota dei due giornalisti inglesi Michael Baigent e Richard Leigh (1998, Marco Tropea Editore), autori non nuovi a testi sorprendenti.
In quest’ultimo saggio, il mito faustiano – a partire dal neotestamentario Simon Mago, fino al capolavoro omonimo di Wolgang Goethe – viene assunto a simbolo delle radici sotterranee della cultura occidentale.
I due eterodossi scrittori inglesi, Baigent e Leigh, tracciano un profilo dell’esoterismo storico, che risalendo i secoli, giunge alla filosofia olistica contemporanea anche attraverso la “psicanalisi junghiana” e il “realismo magico” di una certa letteratura latino-americana. Quanto a quest’ultimo saggio, mi limiterò – a puro titolo d’esempio – a richiamare anzitutto l’affermazione di Lawrence Durrell, presente nel dramma in versi Sappho, che l’umanità potrà raggiungere la piena maturità solo quando il volgo diventerà un artista. I due autori inglesi introducono, subito dopo, il duca di Edimburgo, che nel 1982 avrebbe chiesto al reverendo Michael Mann, decano di Windsor, di organizzare una serie di conferenze alla presenza di psicologi junghiani, che agivano da ‘interpreti’, volte al dialogo e alla connessione di distinte discipline, confrontando e incrociando le diverse conoscenze. Negli anni successivi le ripercussioni di queste conferenze si sarebbero irradiate come cerchi in uno stagno nel bacino sociale moderno.
Nel 1986, in occasione del venticinquesimo anniversario del World Wildlife Fund, il duca di Edimburgo organizzò una conferenza ad Assisi, che ebbe una vasta eco. Secondo i citati autori anglosassoni (pag.412 del citato libro), la scelta di “Assisi” non è stata per nulla casuale. Questa la ragione: più di qualsiasi altra figura nella storia del cristianesimo, San Francesco esprimerebbe – secondo questi autori – il senso mistico dell’interrelazione ermetica fra l’uomo e il mondo naturale ed è sotto il suo simbolico patronato che i rappresentanti di diverse fedi religiose si sono riuniti per approfondire il legame spirituale fra uomo e natura.
Saremmo dunque arrivati a un nuovo e moderno panteismo, ma nulla a che vedere con la filosofia di Spinoza, richiamata da famoso fisico Albert Einstein, insieme alla sublime figura di San Francesco, nel suo saggio di riflessioni personali, intitolato Come vedo il mondo.
Abbiamo estrapolato alcuni passi del libro di Baigent e Leigh, (autori molto più famosi per aver pubblicato – nel 1982 con Henry Lincoln – un libro sul Graal e il mistero dell’abate Saunière che sarebbe custodito a Rennes-Le-Chateau), che nelle sue conclusioni accenna a tanti altri aspetti che andrebbero dal “controllo politico” alla “manipolazione” commerciale e a quella dell’informazione, e dal “controllo della mente” fino ai rapporti tra “musica e magia”.
In uno spaccato di questo stesso libro, con riferimento adesso agli inizi stessi all’età imperiale, ecco comparire – insieme – le figure di Gesù e di Simon Mago (su Simon Mago e San Pietro si vedano gli Atti degli Apostoli e un passo della “Storia Ecclesiastica” di Eusebio di Cesarea), e, in seguito, quella dell’antico taumaturgo pitagorico Apollonio di Tiana (la cui tarda biografia fu composta da Filostrato nel III secolo d.C. su commissione di Giulia Domna, moglie dell’imperatore Alessandro Severo, il quale, secondo la Storia Augusta, avrebbe avuto una sincera apertura verso i cristiani, mentre la biografia di Pitagora, più tarda, risale al neoplatonico Giamblico). Confondendo le già confuse acque della storia, “religione” e “magia” coesisterebbero, e continuerebbe ad avvenire anche oggi, con la promozione o il ritorno di culti disparati, che convulsamente svarierebbero dalla New Age alla Unification Church del reverendo Su Myung Moon, dai Rolling Stones ai riti woodoo ecc. (nel linguaggio della tribù Fon, originaria dell’ex Dahomey, il termine vodu significherebbe dio della natura, come affermano Baigent e Leigh).
E se questo è lo scenario moderno, nel quale drammaticamente, volenti o nolenti, oggi ci troveremmo, sarà bene ricordare che secondo Giovanni Crisostomo, Eumenio, e anche Teofilatto, i Vangeli esibiscono gli Atti del Figlio, mentre gli Atti degli Apostoli attengono a quelli dello Spirito Santo (o altro Paraclicto).
Supposti “poteri sulla mente” passerebbero, oggi, attraverso “disegni di dissoluzione”, attraversando la difficile “esperienza storica” dell’umanità attuale, sia nella carne, che nello spirito. Ed è proprio questa la materia del grande affresco di Blondet, sul quale operano – congiuntamente – il bene e il male, nell’infinita e imperscrutabile volontà di Dio, Deus absconditus, ma anche “Padre” – amoroso e misericordioso – dei suoi figli. Il Quesivi et non inveni, Domine (Ho cercato, ma non ho trovato, o Signore), non appartiene però alla “mente” – o alla fantasia moderna del sacro, bensì al “cuore”, il cui primo segno verace è la pietas sociale, che potremmo anche definire come “capitalismo etico” nell’ambito delle democrazie moderne (e secondo recenti risoluzioni dell’O.n.u.). Viceversa, questa solidarietà sociale potremmo chiamarla “materialismo storico” o anche “materialismo dialettico”, secondo le diverse correnti del marxismo-leninismo che si affermarono storicamente con la rivoluzione d’ottobre in Russia e che sarebbero poi venute meno col crollo del Muro di Berlino, dopo che nel 1956 era stato tolto di mezzo il culto “stalinista” della personalità.
In un secolo breve, che si è ormai consumato, nella sua prima metà con l’incendio tragico di due guerre mondiali, poi con la catastrofe politica e morale dei diversi –ismi (a destra e a sinistra), la pietà o solidarietà sociale non era soltanto un principio di riferimento, ma un categorico dovere di ordine morale (mos = costume storico o “cuore”?). Nel “nuovo secolo” il problema della “moralità”, cioè il “cuore sociale”, si è trasformato in una realtà impetuosa. Ed è la principale eredità del secolo breve, unitamente al problema della “scienza” e della “conoscenza”: con la “conoscenza” del “bene e del male”, di pari passo procede l’economia).
Al contrario d’immani tragedie presenti e passate, è sempre il Sacro Cuore di Gesù, l’ardente fiamma del Suo Amore coronata di spine, che noi poveri uomini moderni tendiamo a ignorare, nel nostro miserrimo angolo di buio infestato dal lusso smodato, davanti allo strazio della miseria dei deboli. Perciò la “Nemesi”, la vendetta stessa delle cose, è già qui: Fiat voluntas tua. Oppure, come esclamò Sant’Agostino sotto le invasioni barbariche, pereat mundus dum fiat iustitia.
Ma San Francesco d’Assisi, il santo sublime dell’umiltà assoluta e della nuda povertà, riprendendo le parole stesse del De Bono Pacis di Magister Rufinus - vir clarissimus che verso il 1180 fu vescovo di Assisi dopo essere stato un grande canonista all’Università di Bologna, autore di un eccezionale trattato di saggezza storica e di dottrina cristiana, indirizzato all’abate di Montecassino ma scritto in occasione della pace di Costanza (1173) tra l’imperatore Federico I e i Comuni lombardi –, così ripeteva nella sua predicazione itinerante: Pax et Bonum, Pax huic domo.
Il “Bene della Pace” è amor et societas: mentre l’Amore ha il suo primo radicamento in Dio. Un anagramma di Sesto Properzio, il poeta latino detà augustea che non è un autore elegiaco d’amor profano per una certa donna chiamata Cinzia, ma quasi un autore sacro, mascherato e travestito per necessità, così suona: concordia civium surgit si deos amas (la concordia tra i cittadini nasce dal rispetto divino: anagramma del verso 5 di I,22: cum Romana suos egit Discordia civis, cioè quando Roma fu sconvolta dalla discordia delle feroci guerre civili). Proponendo - extra ordinem - questo enigma (esistono autori segreti: Properzio lo è per davvero anche se la cosa è totalmente ignota), qui si vuole indicare “Assisi sacra”, patria eletta dallo Spirito, che già in antico, in età umbro-romana, venerava la Dea Bona o Bona Mater, che si offrì – poi – al culto mariano, nel V secolo dopo Cristo, con una prima chiesa episcopale edificata proprio sopra i resti ‘magici’ di un antichissimo tempio oracolare, la presunta Casa di Properzio, con due mistici e umbratili ambulacri e un meraviglioso viridarium, dedicati agli omina lunae (ai “presagi” della candida luna), ma dopo aver pregato a lungo, anche per la guarigione dell’anima, oltre che del corpo (vero iter precationis, risalendo il percorso sacro da una ‘portella’ posta sulle antiche mura umbre: forse in una di queste nicchie, iuxta civitatis, si rifugiava il giovane Francesco, uscendone trasfigurato dalla preghiera).
Nihil novi sub sole. E’ sempre la medesima “trama” dello Spirito Santo. Vox clamans - nel “deserto” della storia, ma anche infinita potenza di “redenzione”: Ecce Agnus Dei qui tollit peccata mundi.
3* Nel caso di Maurizio Blondet (è bene ripeterlo: scrittore cattolico), si tratta certamente di un saggio vero e proprio, non di un romanzo (cfr. pag. 222, capitolo XXI, per la provocazione, in questo senso, da parte di un Innominato, autorevolissimo “personaggio”, “seduti al tavolino di un bar a Wiesbaden”). Quanto a me, oserei dire un saggio scritto con spirito sacro, se non con ansia profetica; dove, in sostanza, si contrappongono e si fronteggiano il Paraclito (o Paracleto) e l’Anticristo. O, se vogliamo, lo Spirito Santo (il Veni Spiritu intonato in gregoriano dai monaci benedettini dei quali Francesco fu amico), contrapposto al “numero della bestia” che starebbe letteralmente divorando il mondo.
Afferma testualmente Blondet (pag. 17): Questo libro è in qualche modo, il risultato della ricerca di quell’idea che mi sfuggiva (qui ci si riferisce ai contenuti evocativi dell’intervista-colloquio col filosofo nero-barbuto Massimo Cacciari, con la quale si apre il saggio stesso). Una ricerca - prosegue Blondet - che mi ha orientato dapprima verso la casa editrice Adelphi, presso cui Cacciari pubblica i suoi libri. Dell’Adelphi sapevo ciò che tutti vedono: che questa casa editrice tenacemente recupera per così dire “a sinistra” autori dell’irrazionalismo reazionario, del Sacro e della Tradizione, che prima erano letti soltanto in ristretti ambienti della “destra”: da Guénon a Simone Weil a Bohme, da Coomaraswami a Gurdjieff. Ma l’Adelphi ha una genealogia. Risalire questa genealogia, significa imbattersi in personalità, circoli, storie che si situano tutti – sia caso, deliberata volontà o inclinazione culturale – in una singolare faccia oscura, che si dovrebbe definire esoterica, della storia recente. Spiegare che cosa si muova in questa faccia oscura è difficile anche solo da enunciare.
Profondamente colpito dalle “parole” del filosofo Cacciari – parole che potevano nascondere degli “arcani”: qualcosa di ‘remoto’ e ‘inquietante’ – questo è quanto l’autore del saggio è costretto a ripensare quasi a caldo, in treno, durante il viaggio di ritorno a Milano dalla fecale Venezia. Blondet vi scorge l’ombra cupa di una “luna nera”, il profilo di una “Lilith” biblica, lo stagliarsi improvviso di un’oscura divinità. Queste le sue parole: Kali o un dio-femmina, che ridonda poi in Dioniso, nella Shakti, o nell’Anticristo e addirittura nei riti del sangue, quello del culto azteco del Dio scuoiato – cuori strappati con coltelli di ossidiana – e Il silenzio degli innocenti, film horror e romanzo. Metafore, tali non solo del pensiero criptico e iniziatico della “dissoluzione”, che sembra aver infettato, come un virus demoniaco, le basi stesse di una “cultura”, che si protesta civilmente di “sinistra” (viene qui in mente, per contrapposizione, l’antico rito romano della fiducia, la iunctio dexterarum). Allegorie, anche, del male metafisico, in definitiva, da sempre incardinato nelle “cose umane”?
In questa ricerca di sotterranee e celate “relazioni” si spende tutto il ben riposto “talento polemico” di Maurizio Blondet, che infatti esplode nello scandalo portentoso della “rivelazione” del “male assoluto”. Si viene così componendo l’arcano affresco di una invisibile dialettica dello “spirito” di tutte le “negazioni”, colto adesso nella sua opera distruttrice.
Blondet: Shiva, Kali, Dioniso esistono: sono “numina”, forze che dormono nella psiche, nel sesso, e nel corpo. Il loro silenzio secolare – mai completo, del resto – non inganni: come sapeva Plutarco, desinunt isti, non pereunt. E così prosegue:Vanno risvegliati, e torneranno a compiere stragi (pag. 19).
Il pensiero corre, perciò, al nazismo magico, e allo stalinismo feroce e sanguinario. All’olocausto come ai gulag. Fino alla sconvolta modernità, che continua a nutrirsi di sangue innocente. E’, dunque, sul filo profetico dell’Anticristo, quello del trattato del presbitero Ippolito, e non soltanto le Sacre Scritture (identificato, al limite del paradosso, col Paraclito: cfr. Léon Bloy, pag. 211; qui apprendiamo da Bloy che I cristiani saranno prodighi verso il Paraclito di ciò che è aldilà dell’odio. Egli è talmente il Nemico, talmente l’identico a quel Lucifero che fu chiamato Principe delle Tenebre, che è quasi impossibile separarli -“Chi può comprendere comprenda”), che adesso risalta il motivo conduttore di questa coraggiosa ricerca di Blondet, per nulla ‘visionaria’, ma rivelatrice delle “oscure trame” della “dissoluzione”.
Come anticipato, partendo dalle radici stesse della cultura occidentale (del resto ‘de-cidere’ è come ‘uccidere’, dice Cacciari), accanto ai moderni riti wudu della “psicanalisi” (forse eros e tanathos che vanno a braccetto, come i due Dioscuri, il fas et nefas oppure l’io “cosciente” e l’es?), e in una diffusa, variegata e sfumata (pseudo) cultura della “mano sinistra”, ovvero la “dissoluzione” (meglio articolatasi in quest’ultimo secolo sia a destra che a sinistra), ecco scatenarsi, ancora, i nuovi riti tribali: sacrifici umani moderni (dovuti al cinismo, e al dissesto, del “cuore ambiguo” di Abele-Caino). Addirittura, “cuori” palpitanti, strappati via da “coltelli di ossidiana”, per un’allusione diretta – e profanante – all’immagine del Sacro Cuore di Gesù? Nel mysterium apocalittico e teologico – moderno e attuale – di “vita-morte”, compreso il film Il silenzio degli innocenti, e persino la stessa interprete Jodie Foster (vedi pag. 230 segg. del saggio). Evocazioni, o allegorie, di quanto è già accaduto con lo “sterminio nazista”, di quanto sta ancora accadendo, in questi anni, sotto i nostri occhi ‘vuoti’, o potrebbe accadere in futuro, nei tremendi guasti della nostra civiltà, che però è anche una lunga “storia del “pensiero”, accanto alla vicenda “sanguinaria” delle sue ricorrenti “perdizioni”.
Quanti livelli di realtà coesistono attorno a noi? Verità così “profonde”, così “terribili” non le trovereste, mai e poi mai, ad esempio – lo affaccio paradossalmente – ne Il provinciale di Giorgio Bocca (“settant’anni di vita italiana”) o in Atlante italiano di Alberto Ronchey (tanto per citare due grandi saggisti italiani, più che attenti e competenti, e due loro opere tra le tante da essi scritte, di carattere completamente diverso dal saggio di Blondet: la prima, un diario di vita politica e sociale, ripercorso attraverso la propria memoria; la seconda, un saggio illuminato sulle questioni che rendono particolare il caso Italia).
Ma se scorrete, ad esempio, La sera andavamo a Via Veneto di Eugenio Scalfari (già fondatore e direttore del quotidiano La Repubblica), grande personaggio mediatico (Blondet, pag. 144), allora ritroverete il banchiere Mattioli vivo, non la sua tomba, nell’abbazia di Chiaravalle, e la sua salma che fu invece deposta nell’antico sepolcro che aveva ospitato il corpo di un’eretica medievale che predicava la fede in un “Dio-femmina”.
Né leggendo il bel saggio di Scalfari su un certo periodo italiano, avrete modo di stabilire occulte connessioni tra sesso, politica, finanza, poteri iniziatici, riti e società occulte, che non sospettereste mai e poi mai, e di cui invece abbonderebbe in modo straordinario il ricchissimo e inquietante saggio di Blondet che percorre piste segrete e interdette e che fa affiorare le trame sconvolgenti da un impasto di misteri e di manipolazioni.
Quel poco che qui ne riportiamo, con un’impropria e riduttiva sintesi, è pressoché nulla, al confronto di ciò che emerge dal libro, che per l’appunto non si può non leggere, se si vuol comprendere, fino in fondo, a qual punto ormai saremmo giunti; se ci si vuole, cioè, addentrare nell’orribile foresta dantesca del “mistero teologico” del bene e del male, dunque la sotterranea lotta tra “potenze occulte”, dove i nomi e i fatti, sono anch’essi una parte limitata di uno scontro totale, che addirittura attinge a vertici escatologici, quelli quantomeno della parusia del maligno, l’Anticristo veniente come il nuovo “serpente” di un falso Eden, ove il ricco e il povero condividono, nel progresso avanzato, il miserevole sogno della vita, ma col delitto orrendo delle morti feroci e gratuite. Sicché, il “silenzio”, somiglia davvero all’evocato silenzio degli innocenti, non al silenzio di chi non sa, e neppure potrebbe immaginare, quanto si ‘elevi’ l’abisso nella sua orribile profondità; ma il “silenzio”, bensì, di chi preferisce ignorare. Ciò che di tanto terribile attraversa quotidianamente le nostre cronache: la fame degli ultimi e la rivolta ignobile della storia, ridonda di errori e di crimini.
Decenni prima dell’attentato terroristico alle due torri di New York lo scrittore cattolico trappista Thomas Merton, famoso autore di Nessun uomo è un’isola, in una poesia profetica, risalente al 1962, aveva scritto: Come sono state distrutte, come sono crollate / quelle grandi torri / di ghiaccio e d’acciaio? Ecco un perfetto esempio di visione “apocalittica”, un’anticipazione del futuro. Viviamo nel tempo, ma quali sono i confini dello Spirito?
4* Nella collana della biblioteca dei Maestri Cattolici si allineavano negli anni ‘60 anche i libri di Leon Bloy, polemista, romanziere e giornalista francese (1846-1917): inizialmente era un pittore, indirizzato poi verso la letteratura e la fede cattolica da Barbey d’Aurevilly, col quale condivise intransigenza religiosa e odio feroce contro ogni forma di pensiero e di ideale del suo secolo. (Su Bloy, vedi Blondet, capitolo XX, pagg. 208 ss.; in particolare, il libello Dagli ebrei la salvezza scritto da Bloy nell’arroventarsi in Francia del famoso processo Dreyfus, ripubblicato di fresco nel 1993, dalla casa editrice Adelphi ).
La polemica di Blondet, nel suo profondo scavo sulle strategie del potere iniziatico, sottotitolo specificativo (ed assai significativo) del libro, in buona sostanza è condotta contro questa Casa Editrice dell’Adelphi, alla cui fraternità, o fratriasodale tra adepti, potrebbe essere larvatamente ricondotto un disegno rivolto per l’appunto alla “dissoluzione”. Dunque una strategia, secondo Blondet, che si consumerebbe dapprima nell’ethos, cioè nel “costume”. Nel senso che il costume è oggi la categoria di riferimento che ha sostituito la morale di ordine religioso e metafisico (tanto per riferirci alla Metafisica dei costumi di Kant).
Ma torniamo a Bloy. Secondo Blondet: Palesemente, nessuno ha letto Bloy fino in fondo, nessuno ha visto il vero suo aculeo di scorpione, il motivo autentico per cui Calasso (una figura principale dell’Adelphi) l’ha ripubblicato. Come altri mistici (basti qui pensare a Gioacchino da Fiore), Leon Bloy scandiva la storia in tre fasi: riteneva Cristo - il Figlio - solo la penultima rivelazione; attendeva e propugnava l’avvento della terza figura, il Paracleto”(Blondet, pag.210).
Anche l’apocalittico “clochard super-cattolico” Leon Bloy, monarchico e reazionario, credeva insomma che Cristo “deve essere superato”. E così annunciava, all’albeggiare di una nuova era, votata a un “nuovo dio oscuro”. Un “dio” che Leon Bloy chiamava “il Liberatore vagabondo” (vedi direttamente il saggio di Blondet per altri particolari interessanti e sconvolgenti). In questo ‘contesto’, che potrebbe perfino chiamare in causa il personaggio diabolico di Hitler, ma per la cui ‘chiarezza’ si deve necessariamente rimandare alle pagine stesse del libro, compare a margine anche lo scrittore torinese Guido Cernetti (autore di Albergo Italia, con un capitoletto critico dedicato alle Pietre di Assisi, città sacra infestata da turisti svagati e cialtroni), il quale peraltro non disconosce l’interpretazione cattolica (pag. 220) della frase famosa la salvezza viene dagli Ebrei, che Gesù rivolge alla Samaritana (Gv., 4, 22), volgendola tuttavia, Ceronetti, a ben altro significato (cfr. pag.221); così afferma Blondet: “con coerenza adelphiana”.
Insomma, il “Paracleto” che Leon Bloy attendeva sarebbe Lucifero in persona (pag.211). Come a me sembra, già da questi pochi ‘assaggi’ (nella pur estrema ricchezza di contenuti e di sviluppi nel saggio di Blondet che si dipana di capitolo in capitolo come in una sorta di ventaglio che al termine ‘svelerà’ un disegno globale ancor più inquietante al quale, tutto sommato, l’Autore può soltanto alludere di striscio), il tema fondamentale che affrontato a proposito della dissoluzione - ma anche nei mysteria dei tempi presenti, sarebbe proprio quello dell’Anticristo: questione essenziale per i cattolici, che conoscendo una creazione divina ex nihilo, procedente da Dio insieme al flusso del tempo, come chiarisce Sant’Agostino, sono pure vincolati ad una, non importa se vexata “escatologia” dei “tempi ultimi”, se non altro con riguardo al momento del suo verificarsi, più o meno lontano nel tempo a venire, senza dover ricorrere alla “visione”, religiosa e cosmica, di un tempo ciclico, gli “eoni” del kali yuga o epoca oscura (cfr. pag.105, nota 9). Il nazismo feroce, e lo stalinismo truce, sono stati sconfitti. Restano le grandi democrazie ‘capitaliste’. E’ forse questo il nuovo “male” della storia? E’ questa la “causa” del grande spreco, della devastazione, e della povertà diffusa? Sono le grandi multinazionali e l’ imperialismo americano l’Anticristo attuale? Verrà forse dall’Armageddon nucleare, la terribile “soluzione” finale contro tutti gli ingiusti, veramente meritata dall’umanità intera? Il pianeta azzurro diverrà un deserto come Marte? Oppure siamo giunti al Tramondo dell’Occidente, come circa un secolo fa scriveva Spengler, ma adesso per altre ragioni? L’uomo moderno occidentale, avvolto nel benessere, che poi deriva anche dal malessere degli altri, i grandi poveri del mondo, è ormai al suo fatale declino, ingorgato com’è nella dissoluzione morale del suo stesso stile di vita?
Il sangue, quotidianamente intorno a noi,‘dentro’ la vita di ogni giorno, è il sintomo preciso dell’orribile decadenza, ed è già “nemesi”, “vendetta divina”?
Nel Kali Yuga il ruolo dell’iniziato consiste nell’agire nel senso della determinazione divina: Noi non abbiamo da curarci degli uomini. L’ora è suonata di fare la loro disperazione in una rivolta universale, salasso cosmico (R. Guénon, cit. pag.105). La densità di cifra di quest’accennata “cultura” della “dissoluzione”, i cui implicati personaggi Blondet snida uno a uno, annovera, riunisce e giustappone in un serrato avviluppo (del resto basta scorrere il folto indice dei nomi), è tale che sembra impossibile renderne qui un’idea se non rifacendosi brevemente a qualcuno di essi,a puro titolo d’esempio, la cui scelta, mia personale, con gli stessi limiti che vi si accompagnano, è poca cosa rispetto all’affollatissimo affresco di Blodet. Un affresco del male, presente e in atto nella storia, in cui sembra talvolta riaffiorare la stessa vena polemica degli antichi scrittori latino-cristiani, Tertulliano o Lattanzio, quest’ultimo autore del libello polemico e paradigmatico, Così morirono i persecutori, contro gli imperiali delle grandi persecuzioni. In effetti, l’argomento della dissoluzione propostoci da Blondet è di quelli totali, che non lasciano remissione a tentennamenti o a esitazioni di sorta. Il sangue dei martiri avrebbe fertilizzato la storia, il sangue degli innocenti la uccide.
5 * Ho brevemente profilato una prima possibilità di ‘lettura’ del saggio infuocato di Blondet, che io stesso, lettore e non recensore, cercherò di infarcire di piccoli ricordi personali. Incominciando da Ceronetti (Albergo Italia, Pietre di Assisi): rapida visita turistica, tra gelati spiaccicati a terra, folle di pellegrini e bidoni pieni di spazzatura, dopo il terremoto del 1984, e molto prima di quello distruttivo del 1997, che tirò giù la volta dei “quattro dottori”, sfigurò i volti accostati da Giotto di Chiara e Francesco, causando anche la perdita della rappresentazione cimabuesca delle quattro chiese, con l’affresco della Chiesa del deserto. Simboli, terribili allegorie, che il sisma ha tratto fuori del suo ventre occulto, come profezie: a Creta si rappresentava il “labirinto”, col Minotauro “mugghiante”. Un Paesesenza, alla Arbasino, quello venuto allo scoperto con terremoti d’ogni genere, e poi, nel 1997, col sisma della piccola città bianca dell’umile e grandissimo Santo degli Italiani? L’Italia un “panorama” con Zombi? Ma quanto invece si prodigarono altri italiani, in nome della solidarietà sociale e nazionale!
Commentai brevemente con Vittorio Sgarbi, subito accorso sul sagrato della Basilica, sabato pomeriggio, dopo le grandi scosse sismiche del 25 notte e del 26 settembre di mattina, i simboli, o i segnali secondo me evidenti, di questa sorta di “dissoluzione” che il terremoto evidenziava emblematicamente, entro la quale poteva essere dunque colto un estremo significato allegorico seppure materialmente dovuto all’evento puramente naturale dello scivolamento laterale della placca appenninica, trovandolo consenziente in questa lettura ‘apocalittica’, ben si intende a caldo e nello strazio delle quattro vittime rimaste sotto le macerie, due laici e due frati francescani. Francesco, non scordiamolo, è, secondo la “lectio” agiografica bonaventuriana della Legenda Maior, non solo l’Alter Christus, ma anche l’Angelo del “sesto sigillo”, con veste di diaspro e d’oro, come appunto viene perfettamente rappresentato – quasi sicuramente per mano di Giotto – nell’Allegoria pittorica delle quattro vele dell’altar maggiore della Basilica inferiore, quell’umbratile e romanica “chiesa della sofferenza”, rimasta indenne, a differenza di quella ‘goticheggiante’ ed assai slanciata della “gloria“, che su di essa si eleva (la Basilica superiore). Il corpo del Santo riposa in una tomba a pozzo, sotto l’altare della Basilica inferiore. Vade Francisce et repara domum meam. Così disse al giovane Francesco, che cercava ansiosamente, affannosamente la sua via, il Crocefisso parlante di San Damiano. Adesso, dopo otto secoli circa, la sua nuova casa, grande, magnifica come un fortezza crociata, aveva tremato, era caduta la vela con l’affresco della Chiesa del deserto, un segno di folgore sul muro crepato aveva separato il volto di Chiara dal suo. Poteva essere un segnale emblematico di misura colma, di rovina compiuta da cui riscattarsi con le opere e la preghiera, Francesco patrono d’Italia e Chiara patrona della tv (la santità è intesa ‘protettivamente’, quasi in modo pagano, ma ciò fa ancora parte della grande venerazione del sacro).
Il Paracleto (letteralmente colui che chiamo a me vicino e per estensione colui che è chiamato per difendere, cioè il difensore o l’intercessore), nel Nuovo testamento ha due significati: il primo indica lo Spirito Santo, nella specifica funzione di sostenitore e di difensore dei cristiani nel mondo (Gv. 14, 16-17; 15,26; 16, 7-11; e 13-15). Nel secondo significato, lo si ritrova nella prima epistola di San Giovanni (2, 1), per indicare Gesù Cristo, intercessore o avvocato (così traduce la Vulgata latina), tra Dio e gli uomini. All’Anticristo accennano, con vari appellativi, San Paolo (II Tess. 2,1-12) e San Giovanni, nelle Lettere (I,18-22) e nell’Apocalisse (11 e segg.), oltre che gli antichi profeti in vari luoghi. La tradizione giudaica ce lo presenta, in genere, come una potenza politica, persecutrice dei fedeli: così il Gog e Magog di Ezechiele, le quattro bestie di Daniele, il tiranno del libro di Esdra (fino al Nerone redivivo degli oracoli sibillini).
L’opinione dei Padri della Chiesa, e, in generale, degli esegeti, se pure è concorde nella descrizione delle caratteristiche dell’Anticristo, ne dà però interpretazioni diverse. Si tratterebbe, secondo alcuni, della raffigurazione simbolica in cui si nasconderebbero i tanti avversari della fede e della chiesa. Secondo altri, si tratterebbe di un potentissimo e malvagio eresiarca, destinato a comparire verso la fine del mondo per tentare di sedurre il genere umano, perseguitando chi gli resisterà. San Paolo predice che l’Anticristo sarà vinto da Gesù nel suo glorioso ritorno alla fine dei tempi, nella sua Parusia. La Chiesa non ha definito nulla su questa misteriosa figura, il cui numero è 666, e che continua a incombere da L’Anticristo di Nietzsche (scritto nel 1888: vedi le moltissime citazioni di Blondet sul filosofo tedesco, tra le più numerose per i nomi richiamati nell’indice, dopo Cacciari e pochi altri). Di sicuro, quest’Anticristo non poteva essere Monsignor Milingo, genuino “stregone” africano di Lusaka, pecora smarrita di ormai 71 anni, fresco sposo di una sorta di domina phitonys nei panni di una grassoccia “dottoressa coreana” quarantunenne dal viso rotondo, i denti radi, belloccia a suo modo, ma probabile “ostaggio” della setta del reverendo Moon (e viene anche in mente il quantum potuit religio suadere malorum ovvero religio – est – matersuperstitionum secondo il materialista epicureo e atomista Lucrezio, nel De rerum natura). A parte l’inevitabile “scandalo” per la Chiesa Cattolica (tuttavia oportet ut scandala eveniant diceva il Cardinale Bellarmino, avversario di Galileo Galilei), che ovviamente si è cercato di tamponare con una dissuasione preventiva ed anche un possibilissimo ed apertissimo perdono ex post, traspare dalla vicenda, tutto sommato, un’ironica tragedia, dove però non si rinuncia affatto, a priori, alla pur naturalmente legittima spes prolis, a differenza degli alti prelati pedofili (come anni fa il cardinale di Vienna ), e per quanto il cardinal J. Danielou (fratello di Alain, per il quale cfr. Blodet pag. 76-83 e passim), celebre teologo di Santa Romana Chiesa, autore di testi fondamentali di Storia del Cristianesimo, fosse stato a suo tempo (così almeno si vociferava) sorpreso a Parigi in una casa d’appuntamenti d’alto bordo, già assai su cogli anni.
Molto più tragico e straziante, se fosse vero, l’episodio terribile, riportato nel libro anonimo Via col vento in Vaticano (edizioni Kaos, 1999) della morte di Don Orione, prima denigrato in tutti modi, e poi, così si sostiene, ucciso da un barbiere prezzolato, con l’infissione di un ago sul cranio.
Ma torniamo ad Alain Danièlou, il fratello del cardinale. Nato nel 1907 da una madre cattolicissima, musicista e pittore, praticante danza classica, fu un omosessuale dichiarato. Non a caso si stabilì a un certo punto in India, dov’è più facile nella grande povertà e senza rischi legali, trovare “Gitoni a pagamento” (evidente, in questo caso, il riferimento di Blondet al Satyricon di Petronio). Dopo il 1956 Alain Danielou ritorna in Europa, dove fonda l’Istituto Internazionale per lo Studio Comparato della Musica, sedi a Berlino e a Venezia (pag. 81: cfr. in particolare la Venezia di Toepliz e di Volpi di Misurata: Venezia, aperta ad ogni influsso orientale, e dove oggi si colloca Massimo Cacciari, che ne è il sindaco). Sembra che tutto si rimescoli nella dissoluzione di Shiva. Ma il Dio del perdono di tutti i peccati, vero e unico Padre, è Amore: Pater noster qui es in coelo. Nessuno “giudichi” se non vuole essere “giudicato”. Solo Dio è buono.
Non possiamo scagliare pietre, ma soltanto rimettere i debiti, così come a noi sono rimessi dal Padre.
Dopo Gog e Magog, forze bibliche scatenate, l’ultimo Giovanni Papini, avvolto quasi nella cecità, concepì (nel 1953) Il Diavolo (che non è quello del comico Benigni), nella luce di un’assoluzione paradossale, degna appunto di un Dio supremo. Ma Papini non riuscì a terminare il Giudiziouniversale, cui lavorò per decenni, nel tentativo di realizzare un giudizio critico-religioso dell’umanità intera. Per noi, nati quasi alla fine della guerra, soppesando questo lungo volo del tempo, che ci ha visti crescere sotto il grande paracadute bianco del partito cristiano di De Gasperi, le vesti immacolate di Pio XII (che nel 1950 “incontrò” Gesù nei “giardini vaticani”), e l’intelligenza di un Luigi Einaudi piemontese (vedi pagg. 85, 86: mi limito a ricordare L’arte del buongoverno, splendida raccolta, in due volumetti Laterza, di piccoli saggi e brevi articoli giornalistici, ancor oggi attualissimi, di Einaudi, grandissimo economista), stranamente i versi di Pasolini (grande personaggio che Blondet non cita, forse anche perché P.P.P. si “dissolse” da solo), e, in particolare, quelli de La ricchezza del sapere, Alla bandiera rossa, oppure de Il cantopopolare (<< Improvviso il mille novecento / cinquanta due passa sull’Italia: / solo il popolo ne ha un sentimento/ vero: mai tolto al tempo, non l’abbaglia / la modernità , benchè sempre il più / moderno sia esso, il popolo spanto / in borghi, in rioni, con gioventù / sempre nuove – nuove al canto … >> ),ci fanno venire la pelle d’oca. Pasolini grandissimo poeta.
L’ultimo Pasolini, quello cioè degli Scritti corsari, raccolta di articoli comparsi via via sul Corriere della Sera (dove scriveva anche Elemire Zolla), egli inizialmente deceptus, apparve alla fine redemptus. Anche lui dissolutore, e suo fratello un martire partigiano, barbaramente assassinato da altri partigiani. I geans marca Jesus lo fecero gridare a piena gola allo scandalo, poco prima di ‘dover’ morire, schiacciato a quel modo, in un piazzale di periferia. Era l’epoca di Jesus Christ Superstar, ma l’umanità esemplare di Cristo non teme alcun confronto: Gesù è ovunque. Il figlio di Dio, il Risorto, nulla temette, neppure da Giuda. Un comunista ‘cristiano’ non sarà propriamente un vero comunista ‘ortodosso’, ma è di sicuro molto meno dannoso (come ‘comunista’) di un fanatico naziskin? Ecco dove siamo giunti, col Gigante cieco della storia (un titolo anni ‘70 dello scrittore Carlo Cassola), che è una catena d’errori, uno sopra all’altro, se non ci si redime col cuore e la ragione.
Visse una sua fede PPP, la “fede del ‘suo’ tempo”. Giancarlo Zizola, scrittore cattolico come Blondet, che iniziò da giornalista col Giorno di Mattei, muovendo dalla Cittadella di Assisi, noto vaticanista e autore di fortunati libri, nella biografia di Don Giovanni Rossi, il fondatore della Pro Civitate Cristiana, altro bellissimo libro cui mi sento legato da una sorta di memoria “testimoniale”, ci racconta di quando Pasolini, caduto nel bel tranello “da prete” di Don Giovanni, che gli lasciò sul comodino, ospite occasionale a Assisi per una notte, il Vangelo di Matteo, si infervorò talmente nella lettura, restando sveglio tutto il tempo, sì da concepire il famoso film in bianco e nero, film omonimo, che gli valse il premio O.c.i.c. nel 1963 (nella sala di proiezione, alla prima mondiale, ero presente, consapevole di questa sorta di ‘miracolo’, nuovamente avvenuto in terra di Francesco). Quel Cristo delle pietre e del deserto, arringatore aramaico dei loghia, vox iustitiae clamans inter homines, appariva in egual misura dotato del carisma sacro di “Figlio di Dio”. La politica intesseva a quell’epoca le sue trame di riconciliazione “democratica” tra le diverse ‘componenti’ di un sol popolo. Era l’epoca del Cardinal Siri a Genova (cfr. pag.112, 113 e 114), amico dei nazisti, che dovevano scampare in Argentina (ma la Chiesa guarda alle anime e ai peccata), e del giovane Baget Bozzo (ibidem), che fu poi suo diretto collaboratore in curia vescovile. Dopo la temperie marxista, che come un ciclone sconvolse la Cittadella Cristiana di Assisi a seguito della contestazione del ‘68, e che alla fine fu spenta, per forza di cose, nel “dopo Moro“, venne dunque – qui ad Assisi – il nuovo turno ecclesiastico di Baget Bozzo, per ‘correggere’ – canonisticamente parlando – l’istituzione deviata della Pro Civitate, e qui l’incontrai, piccolo e grassottello katéchon, dai capelli neri divisi a metà e fortemente spalmati sul cranio. Negli anni “folli”, che pena Dom Franzoni, l’Abate di San Paolo, compostissimo “eretico”, in perfetta buona fede, contornato da pii fedeli, uomini e donne (facevano tenerezza). Meno, gli esagitati dell’Isolotto, a Firenze, nel loro desiderio di rivincite a sinistra, dopo i noti fatti del vescovo di Prato che non consentiva ai cattolici della sua diocesi unioni puramente civili. E quale passione, straordinaria cultura e grande dono di parola, in Padre Ernesto Balducci, scolopio di Fiesole, allievo di Papini, o il miracolo della autentica poesia di Padre David Maria Turoldo, anche lui di casa, sempre qui ad Assisi, in quegli anni tutt’altro che ‘formidabili’, come invece li chiamò expost Mario Capanna da Città di Castello, un vero ‘dissolutore’ senza essere ‘dissoluto’. Ecco qui l’alibi di sempre, che pure fa a pugni con la massima evangelica che li riconoscerete dai loro frutti. Erano quelli gli anni in cui una certa Italia si disfaceva, e un’altra si stava ‘facendo’, all’inizio con un avvio lento e controllato, dopo le croste di pane e la fatica dei campi e delle fabbriche. E le canzonette, cibo del popolo spanto nei borghi, o cantopopolare alla Pasolini. Col Festival della Canzone Nova, che intendeva promuovere la ‘canzonetta’ di fede tra il popolo cristiano a imitazione del festival profano di San Remo, si videro in anfiteatro – si chiama così uno dei giardini più ampli della Cittadella di Assisi – cardinali paonazzi e cerimoniosi, ossequiati da cantanti di grido, che si esibivano sul palcoscenico in nome di Dio in persona (gli stessi di San Remo, dopo il successo di Vola colomba bianca vola, altrettanto ben pagati, però questa volta coi soldi del munifico Furio Cicogna, allora presidente “cattolico” di Confindustria, ma con la tragedia alle spalle della perdita dell’unico figlio in un incidente mortale).
Mai tolto al tempo, non l’abbaglia / la modernità, benché sempre il più moderno sia esso, il popolo, spanto / in borghi, in rioni, con gioventù / sempre nuove – nuove al vecchio canto – / ripetere ingenuo quel che fu (P.P. Pisolini, Il canto popolare, da Le ceneri di Gramsci).
Qui voglio introdurre brevemente due altre piccole note ‘locali’. Su di un numero del settimanale Oggi, anno 1950, mese d’agosto, allora diretto da Edilio Rusconi, comparve un pezzo di colore, di rara efficacia, sul “festival” dell’Unità di Umbertide, piccola cittadina rurale umbra, ‘rosso comunista’ dell’alto Tevere. Tutti mobilitati, si attendeva il comizio in piazza dell’onorevole Pajetta, vivacissimo personaggio di assoluto rilievo del Partito Comunista. Il segretario della locale sezione del P.c.i., un maestro elementare, inforca la sua moto rossa, con sidecar, e moglie al seguito incinta la quale, ‘sballonzolata’ per via dalle buche stradali (la scena grottesca sembra quasi ripetersi in un episodio del noto film di Tognazzi, Il federale), finisce per partorire in mezzo a un campo. Intanto Pajetta fa sapere di non poter essere presente. A tenere il comizio viene suo fratello. Nella ressa di bandiere e di canti, nessuno si accorge di nulla.
Più duro, quel servizio di costume a puntate, sempre sul settimanale Oggi, in cui un sacerdote cattolico fa presente ai lettori che il satanismo gli sembra sempre più diffuso, anche tra persone insospettabili, considerando anche la drammatica prospettiva di una sempre maggior diffusione in futuro. Quel prete aveva visto giusto, la mela in disfacimento avrebbe persino prodotto vermi di questo tipo, in un clima assai diverso e in un’età di massa, con le degenerazione dei consumi. Inutile ricordare l’età magica delle lucciole, il cannariddu du pastore, quando altre lucciole svestite, 1958 la chiusura moralizzatrice di sinistra socialista delle note “case”, accendevano invece punti di luci notturne, con la sigaretta delle attese.
L’età del pane diventava quella della Nutella. Sorgevano fabbriche in via Gluk. Canzoni e poesia, il neorealismo sfumava altrove.
L’ordito terribile del saggio di Blondet ignora quisquilie del genere, e va dritto al suo scopo. Il mosaico dei personaggi è – in effetti – quello delle realtà superiori, che trascendono ogni cronaca, anche se qua e là traspare lo scandalo dell’aneddoto (ad es. il latinista e filologo Concetto Marchesi, comunista e massone, che avrebbe diramato l’ordine di esecuzione contro Giovanni Gentile: pag. 140, nota 2). Il che sempre attinge a una “visio” del “sangue” che percorre il libro “profetico” di Blondet, considerati i fatti di cronaca che tutti i giorni grondano di orribilità macabra dai telegiornali e pervadono le nostre case ‘profanate’. Il prof. Marchesi, che nel 1969 diede da tradurre in latino agli studenti contestatori di Valle Giulia, un brano dei pensieri di Mao, in cui si citavano “banchi e arredi scolastici” non da sfasciare; che del resto fu il supervisore letterario del Satyricon di Fellini, ispirato alla ‘menippea’ di Petronio Arbitro, grande romanzo antico del disfacimento dei costumi all’epoca del grande capitalismo navale romano sulle sponde del Mediterraneo, Mare Nostro (sappiamo da Servio che l’ intrecciata vicenda di vagabondaggio di questo lungo romanzo in 16 libri, di cui restano alcuni frammenti finali, si svolgeva in parte a Marsiglia, per estendersi probabilmente fino a Pozzuoli e a Crotone). Federico Fellini che si risolse all’allegoria di Prova d’Orchestra, un’acuta lezione politica però tenuta in nessun conto. L’ora del tramonto italiano si svenava di rosso, e s’intorbidava nella notte? La notte della Repubblica.
6 * E siamo al punto. Blondet introduce meglio il ritratto di Cacciari (pag. 115-116), personaggio fondamentale, nel libro, per attualità e importanza: Lungo gli anni ’80, si tiene in Italia tutta una serie di convegni filosofici assai significativi. Destinati all’intelligenza del Pci che vi partecipa numerosa, questi convegni sono spesso diretti, o animati, da Massimo Cacciari. L’enfant prodige è ben accolto a sinistra: militante negli anni ’60 di Potere Operaio e amico di Toni Negri, che allora insegnava all’Università di Padova, e che lo presenta ad Alberto Asor Rosa, Cacciari è versato nello studio del ‘pensiero negativo’, ma al contempo ‘operaista’.
Qui in Assisi, in Cittadella, incontrai Cacciari, “filosofo nero-barbuto”, come lo definisce Blondet, durante un convegno assai animato, in cui i partecipanti si divertirono un mondo a costruire, il primo giorno, una specie di muro di mattoni, e poi a distruggerlo, l’ultimo. Si era ben lontani dall’idea del crollo del comunismo, e l’evocazione era per l’appunto da intendersi tutta all’opposto. Quel muro divisorio doveva crollare dall’altra parte, aprire cioè la via al comunismo europeo. Ecco la nuova pedagogia allegorico-popolare di certa sinistra mondialista, che finiva col somigliare per certi versi al Reich millenario, che durò poco più di dodici anni. Non ricordo l’anno esatto di quel convegno “cattolico” alla Pro Civitate Christiana di Assisi, ma fu però prima del delitto Moro.
Qui, in Cittadella, avevo incontrato, forse nel 1969, il ‘contestatore’ Liguori, attuale direttore di una rete televisiva privata, e con lui molti altri giovani personaggi, volti assai noti durante gli anni della “contestazione”, parte dei quali finirono per riprodurre gli anni del piombo secondo l’immancabile schema rivoluzionario della Volante Rossa. Nell’anno di Cacciari in Cittadella mi tolsi subito di mezzo da una specie di seminario mediatico (come al solito stavo ‘curiosando’), tenuto come in una sorta di circolo magico tra il “maestro” (Cacciari) e gli “allievi” (certi giovani silenziosissimi), nell’auditorium vasto della Cittadella, come ‘cospiratori’ esordienti, autorizzati ad apparire, alle cui attentissime orecchie l’allora giovane filosofo barbuto “sussurrava” verità “assolute”. Ma quanto attuali?
Di Toni Negri (pag. 115), sapevo dalle confidenze dell’ottimo prof. Sabino Acquaviva, personaggio impagabile, di grande umanità e modestia, autentica testa pensante e grande sociologo cattolico di Padova, suo stretto collega. Furono, quelli, anni “terribili”, derivazione e conseguenza del ‘68. Altro che “formidabili”, come disse poi un nostalgico Mario Capanna.
Giovani “carbonari”, ormai vecchi di oltre un secolo o mezzo, oppure dei semplici bohèmiens alle prese con la canabis india? Anche i manichini impalati, in adunata, del sorgente movimento di Comunione e Liberazione di Don Giussani; e i truci neo fascisti di borgata, insufflati dalla Fiamma o Fiaccola sotto il moggio? Idee sempre vecchie, e i giovani alle prese con i nuovi tempi? Quali i Maestri?
Il giorno stesso del rapimento Moro mi trovavo per caso proprio a Roma, poco lontano dal luogo dell’assalto alla sua auto. Avevo un appuntamento con la Signora X, affascinante intellettuale, che sapendo della mia passione per la poesia e il cinema, voleva (bontà sua) presentarmi al suo caro amico Pasolini (magari una sera a cena: a Ostia Antica); ma declinai. Presentarmi anche a Federico Fellini, suo cordiale amico, talvolta ospite a casa sua: incontrato per caso, in pieno centro a Roma. Del resto questa impagabile persona aveva conosciuto molto bene Cesare Pavese durante il suo periodo romano (su Pavese, Blondet pag. 236), fornendomi confidenzialmente un’ interessante versione “disperata” del suicidio di questo grande scrittore, in parte metafisico, e, per il resto, sentimentale. Mi narrò, poi, quanto a lei stessa, di un’aura di magia sexualis - che allora pervadeva i salotti romani della cultura (qualcosa che Federico Fellini recupera e trasmuta, su altro sfondo, nella Dolce Vita), nel cui ambito avrebbe potuto forse collocarsi il famoso delitto Montesi e lo scandalo dei balletti rosa (ricordiamolo: con la danzatrice turca A. Nanà, che si spoglia in pubblico, scandalosamente per quei tempi, in un locale notturno di Roma ); lei, la mia cara e straordinaria amica, insidiata – per lungo tempo – dallo sguardo torbido e inquietante di un affascinate uomo di chiesa, un misterioso ‘teologo spagnolo’, di cui non mi fece mai il nome. Si va sempre a finire lì, nel sesso libertario, anche per geni come il grande fisico russo Lev Landau, che con la sua Kora aveva stretto un patto di infedeltà, negli anni ’30, in Russia. Scampammo dal caos mattinale, e poi dal coprifuoco romano, seguito al sequestro di Aldo Moro, adando a Preneste, e qui visitando il Tempio della Fortuna, in una tersa giornata d’aprile. La mia amica romana era stata, giovanissima, confidente di Cardarelli, il leggendario e tristissimo poeta intabarrato, che scriveva seduto ai tavolini di Via Veneto (a mio avviso, il più grande poeta italiano del ‘900. Eugenio Montale – cfr. pag. 68, 84 e 130 – celebrò invece col nome di Clizia, una Irma Brandeis della famiglia “frankista“ del giudice della Corte Suprema U.s.a., e siamo però negli anni ‘30. Molto più “poeta”, Cardarelli, devoto, in vecchiaia, ad una pura bellezza, destinata ad apparire soltanto in trasfigurazioni, tra le piaghe dei suoi ultimi anni).
Su Jakob Frank, nato nel villaggio polacco di Korolowka, nel 1726, fondatore della setta che s’ispirava ai riti licenziosi della Grande Madre (la dea portata a Roma lungo il Tevere, come narra la leggenda: la dea Cibele, venerata da Mecenate: sempre Blondet, pag.60 ss.). (Per i collegamenti del “frankismo” con Giuseppe Toepliz, il grande banchiere della Banca Commerciale Italiana, a partire dal 1915 e fino a Mattioli, vedi in particolare pag.41 e ss.). Sesso e rivoluzione, sesso e conservatorismo.
Mecenate, che temeva la morte, ma conosceva la vita, per i suoi giardini sull’Esquilino – là dove si esercitava al canto con Orazio imitando il linguaggio degli uccelli – volle due meravigliose statue: le quali rappresentavano la vita e la morte. Tra di esse, immaginiamole come due mete estreme, il tempo che scorreva come acqua, nei canali e nelle vasche del potere. Dopo le guerre civili, venne la pace di Augusto, ma “Properzio segreto” rimase, di nascosto, un irriducibile “italico” avverso al principe di Roma (elegia, cioè canto d’amore e canto funebre: ecco allora un poeta metafisico, che ha assaggiato il morso serpentino della storia, velenoso come i due cobra di Cleopatra a Canopo). Amore e morte. Sesso e rivoluzione. E gli anni del piombo, con la notte della Repubblica.
Gli uomini lottano per il potere, in nome delle idee; e poi si scopre che queste “idee” non stavano, affatto, nell’Iperuranio del Sublime, ma sono sempre fatte – solo e soltanto – di carne e sangue. Da qui anche il suicidio del matematico napoletano “comunista” Renato Caccioppoli, che era nipote dell’anarchico Bakunin, causato si dice dalla delusione “sovietica” dei fatti d’Ungheria del 1956. Alla Bandiera Rossa: Uno straccetto rosso, come quello / arrotolato al collo dei partigiani /e, presso l’urna, sul terreno cereo, / diversamente rossi due gerani (Pasolini censurò il ’68 di Valle Giulia, difendendo i poveri ‘celerini’figli di borgata).
Ma come giudica Blondet il ‘68, visto che trascura ogni accenno agli “anni del piombo”? La rivolta del 1968 è ben presente nel saggio (ad es. pag. 167 e pag. 171). Attraverso Blondet, e con riferimento alla “Via della Mano Sinistra”, (pag.166), da – e con riguardo – a Georges Bataille, che ha recuperato Nietzsche al “gauchisme”, infatti sappiamo finalmente come, dall’essere “di sinistra”, si giunge ad incontrare “ la parte sinistra del sacro (pag.166). E’ l’irrazionalità “distruttiva” che deve essere scatenata. << Bataille vuole che la sinistra si armi delle stesse forze irrazionali, che rendono forte il fascismo >>. E, dunque, << il movimento del ’68 ci ha dato pur qualche esempio di questa ‘liberazione’ >>. E ancora: << E’ fin troppo noto come il “movimento collettivo” del ’68, e la “società permissiva”che ne è nata, si siano iscritti in questa sfera batailliana: la perdita di intimità e di separatezza dei corpi nelle “comuni” o nelle bathrooms degli omosessuali di San Francisco, e persino la messa in comune del sangue – nello scambio “rituale” delle siringhe infette tra i tossicomani – tutto messo “in comune” nella festa crudele e necrofila della “ rivoluzione culturale “ tesa a sradicare furiosamente il fascismo che è dentro di noi , la superiorità gerarchica della volontà sugli impulsi primari >>. << Sappiamo a cosa ciò ha portato: non ultimo il virus Hiv, che non attendeva altro che il contatto diretto di sangui…>>. E si noti bene: << Nella sinistra, il lato nefasto, l’arma del sacrificio cruento; a destra, lato fasto, una torcia simile al sacro cuore: non il cuore di Cristo ma quello di Dioniso >>(con riferimento all’immagine dell’Acefalo, concepito da Bataille e disegnato da Masson).
Quanto a me (genuino, innocente e del tutto sconosciuto ‘inventore’ della contestazione pacifica, dialettica e discorsiva, nell’ottobre del 1962, a Milano, alla Cattolica, nell’anno in cui vidi morire, in Galleria, lo studente Ardizzone, travolto da una jeep della polizia, poi, l’anno dopo, venne Mario Capanna a rilevare il mio posto nel Collegio Augustinianum, dove ero borsista per giurisprudenza), non presi mai parte alla contestazione. Cattolico in altri termini, vari anni dopo predissi a Marco Tarquinio, anche lui di Assisi, una “brillante carriera”: oggi Tarquinio dirige Avvenire.
Dopo il tentato “golpe” del generale De Lorenzo (1964), nel 1966 partii militare e come ufficiale di complemento, mi trovai presso la caserma Cavarzerani di Udine, dove era radicata la “Rosa dei Venti”. Al circolo ufficiali fummo presentati, una volta, al generale De Lorenzo. Intanto si facevano strane manovre militari ai confini con la Jugoslavia, sotto il patto della Nato. Mi capitarono, in pochi mesi, non so perché, alcuni incidenti piuttosto gravi, e davvero strani, con certi rischi per me giovane cattolico, tutt’altro che miles, per quanto assiduo nei miei doveri. Poco dopo (nel 1969), il “cadavere” eccellente del Generale Ciglieri, comandante di quel Corpo d’Armata: affabile, modesto e molto gentile, come difatti lo vidi di persona, in un’esercitazione al confine con la Jugoslavia di Tito, dove invece gli altri subordinati a molte stelle, urlavano e basta. E che pena Gorizia, divisa in due, una parte della città luminosa e bella, l’altra “gialla” come un campo di concentramento.
Il sangue delle trame politiche è completamente ignorato da Blondet. Il suo è un argomento ‘superiore’, di “potenze assolute”, che sovrasta ogni aspetto minore, e perciò anche ogni “dettaglio”. Si tratta dello scontro assoluto e devastante del bene e del male, sul terreno della civiltà presente.
La signora Z, di cui dirò dopo, aveva conosciuto bene e frequentato Cohn Bendit a Parigi, l’allora ‘principe rivoluzionario’ del ‘maggio francese’. Molti anni dopo, in viaggio turistico nella capitale francese, fui ospite nella “pèniche”, ormeggiata sulla Senna (un’enorme chiatta di cemento risalente alla prima guerra mondiale ), di un notissimo pittore di quei tempi folli, che ancora continuava a coniugare “angeli” e “sangue”, impastando colori e versi. In quest’occasione conobbi di persona la più famosa attrice del teatro francese comunista del dopoguerra, suo marito C. Accursi, soggettista del famoso regista Alain Resnais, e appassionatissimo cultore di “patafisica “ (alias Ubu roi). Si è giovani, e poi s’invecchia. Le rughe portano con sé certi segni. Il tempo passato è un codice di rughe e di pensieri che non ha più le ali dell’airone. E dunque sono crepe. Siamo di nuovo soli.
Il mio minuscolo e frammentario “spaccato personale” rende forse l’idea di quale fosse il melograno? Nulla al confronto dell’immagine stravolgente dell’Acefalo di Bataille, richiamata da Blondet (se vogliamo, una sorta di “dio-asino”, già graffito su un muro dell’antica Roma: ma questa è un’altra storia misteriosa, che racconterò separatamente, trattandosi niente di meno dell’imperatore Alessandro Severo, sei passi ‘cristiani’ nella sua biografia secondo la Storia Augusta e una mia scoperta).
7* L’articolatissimo saggio di Blondet, che svaria rapidamente da un richiamo all’altro, non può che esser letto e gustato direttamente (talvolta con raccapriccio), tanto è ricco di “materia”, di nessi e di relazioni.
Sospesa tra Cristo e Dioniso, la nostra età potrebbe scivolare ancora una volta nelle spire di Shiva, il dio della devastazione.
Per capire immediatamente questo sfondo basta andarsi a leggere la sapida locandina di presentazione del saggio. “Inqietante” come non mai, questo saggio, completamente al di fuori dei canoni, “descrive il lato d’ombra d’una battaglia”, che come spiegava San Paolo agli Efesini, “non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro Principati e Potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti”.
L’avvio del libro, con l’intervista a Cacciari (e col tantissimo che segue riccamente nei vari capitoli), è a mio avviso la chiave stessa che dovrebbe condurre a soluzione, che per quanto nascosta, traspare, a mio giudizio, tutt’altro che in modo involuto o criptico, proprio nell’ultimo capitolo, abbondantemente preparata e argomentata per chi abbia “orecchie per intendere”.
Siamo, come detto, alla fine del 1994, dopo “Tangentopoli”, e nessun Antonio Di Pietro (da me conosciuto a Roma appena ai suoi esordi) è mai citato. Non c’è posto nel saggio di Blondet per questi aspetti che attengono alle vicende politiche e giudiziarie più o meno recenti del nostro Paese.
La trama d’ombra, che prende avvio dall’intervista con Cacciari è però “politica” per eccellenza, poiché paradossalmente teologica, stagliandosi in un ambito metafisico dove campeggia in definitiva la soprastante e preordinata questione dell’etica, vero oggetto d’afflizione in questo turbine delle dissoluzioni, che andrebbe meglio rivista nel suo più profondo e più corretto significato di “etica” o “verità cristiana”. Per me credente, borsista alla Cattolica di Milano, ammesso a mensa accanto al direttore dell’Augustinianum, il prof. Umberto Pothosnig, e in piacevole confidenza con l’oggi assai noto economista Giacomo Vaciago, allora al terzo anno di economia e commercio, la Banca Commerciale Italiana era appena un nome, un luogo dove poter cambiare i miei magri assegni allo sportello.
Ma i fatti erano lì. C’era la trama invisibile (stando a Blondet) che dal banchiere Toepliz, nel 1915 a capo della Banca Commerciale Italiana, portava questa trama dritta a Mattioli e al successore Enrico Cuccia (con tanto di tomba misteriosamente profanata di recente: perché mai?).
Nel 1986, la Signora Y, con superattico nel centro di Milano (di sovente Bettino Craxi ospite a casa sua), che avevo conosciuta a un convegno letterario su Pasolini, e che sapeva dalle nostre confidenze di me studente alla Cattolica (da allora non ero più tornato a Milano), una volta mi diede un appuntamento proprio a Piazza S. Ambrogio, dove si trova l’Università Cattolica, e di lì mi condusse, con la sua auto fino, all’abbazia benedettina di Chiaravalle, tenendo in particolare a mostrami il cimitero.
Un piacevole sorriso m’indagava ironicamente, curiosamente: ignaro e sprovveduto. Iniziazione inconsapevole, provocazione? Soltanto leggendo il libro di Blondet ho potuto decifrare questo episodio, che allora mi colpì invano, per un’atmosfera sfuggente, senza plausibile ragione. Ebbi questa sensazione, come tale la ripercorro. Del resto, sono sempre vissuto presso che isolato, via lontano da quella specie d’infezione che mi sembrava di notare non appena fuori delle mie piccole abitudini, in parvisqies, come si legge sullo stipite di un antico portale d’ingresso, a Perugia, sulla via che porta all’Università dove mi sono laureato. Perugia, città tranquilla, oggi devastata dalla “neo barbarie” corrente: ma un immondezzaio di ordinaria e banale criminalità, follia di piccoli dèmoni di periferia o sradicati etnici, disperazione e vuoto (ecco qui il gran risultato).
Cacciari amava venire a Assisi. L’ho incrociato l’ultima volta durante le vacanze di Natale (anni fa), e ci deve essere dunque una forte attrazione tra i luoghi francescani e una certa parte politica ideale, se Liliana Cavani girò qui il suo primo Fracesco, sulla scia di Francesco giullare di Dio di Rossellini (1950), però ambientato nel Lazio (direttore del Festival di Venezia fu, per un certo periodo, un assisano, il giornalista di Epoca Domenico Meccoli, che poi si preoccupò, molti anni dopo, del perfetto restauro della pellicola di Rossellini, ormai logorata). Assisi e Cacciari, anche con Dante e San Fracesco (2011).
Cacciari, qualche anno fa, fece un’altra comparsa in Cittadella, qui ad Assisi, discutendo in occasione di un convegno cattolico ma con approccio piuttosto negativo, ampiamente spalleggiato da un noto teologo d’apertura, dell’assai complesso e difficile libro del fisico teorico americano Frank Tripler, La fisica dell’immortalità (Dio, la cosmologia e la resurrezione dei morti), in un contesto congressuale che si richiamava ai rapporti tra scienza, politica e società: religione compresa. Chi ricorda la trasmissione Satyricon su Rai due, qualche anno fa e in costanza di elezioni (non dico il romanzo di Petronio, scritto nell’età della dissoluzione neroniana, un misto di prosa e versi in forma di menippea, e neppure il film di Fellini, che ben prima di Prova d’Orchestra, e in anni meno sospetti, sembrava anch’esso alludere a una sorta di larvata censura al regime: come già abbiamo detto), sa bene che nella seconda puntata di questa trasmissione, dopo l’artificiale e voluto scandalo, ma subito rientrato, seguito alla prima puntata, Daniele Luttazzi introdusse l’ospite Cacciari, che per una buona mezz’ora si mise a parlare del katéchon. Ed ecco che ci siamo. Nella << fecale Venezia >>, segnata poi dal rogo del teatro La Fenice, Massimo Cacciari esclama, davanti a Blondet che lo sta intervistando: Il Papadeve smettere di fare il katéchon! (si trattava di Woityla, il “Voitilaccio” di Benigni).
Questo Papa polacco, col suo passato di Cracovia, sempre devoto alla Vergine, totus tuus, che adesso schiaccia ancora una volta il serpente della storia; sangue del sangue polacco, schiacciato a propria volta dal nazismo, e poi subito ancora dal comunismo. Lui, Woityla, il grande “ostacolo”: il vero “trattenitore” dell’Anticristo (vengono i brividi al pensiero della sequenza dei “papi” secondo il monaco Malachia: ma siamo oggi a Papa Francesco, la Povvidenza perciò ha provevduto).
Il nuovo Papa tedesco – Ratzinger – è andato in America, ha benedetto la terra di Bush, e ha maledetto i pedofili. Proprio quando sparivano, in Italia, con le nuove elezioni politiche del 2008, le rappresentanze parlamentari nostalgiche della “falce” contadina e del “martello” operaio. Non era Gesù un lavoratore? Quale il senso della nostra epoca attuale? La Provvidenza si occulta alla miseria umana, batte Sue vie misteriose? Il colpo di piccone che in Messico eliminò crudelmente l’avversario di Stalin a Mosca, è divento simbolicamente la grande e sorprendente ‘chiazza di sangue’ nella ‘testa’ di Gorbaciov? Il serpente della storia cosa ci racchiude nelle sue spire? E se il grande fiume del tempo serpeggia sugli ostacoli, quali siano, tuttavia giunge naturalmente al mare. Come possiamo riconoscere i segni del futuro? Quale il senso della storia, che per G.B. Vico è un processo di raggiungimento a Dio?
Il senso nascosto del libro di Blondet si raccoglie nell’ultimo capitolo (cfr. pag. 249): << La demonologiadei giorni nostri può essere solo un genereletterario >>. L’innominato interlocutore del bar di Wiesbaden, infatti, così gli suggerisce: << Scriva un romanzo, un racconto fantastico, non un saggio >>.
Questo misterioso personaggio che compare a chiusura del libro di Blondet, non è certamente Cacciari, che parla invece all’inizio: << Voglio dire che Lei, come cattolico, sa come finirà. Verrà l’Anticristo e trionferà, ma sarà sconfitto >>.
Ebbene, il motivo del katéchon - vero filo conduttore del saggio – è riaffiorato integro, ex verbis et tota substantia, anche a Satyricon, la già citata trasmissione televisiva, segno evidente della ‘coerenza’ di Cacciari e anche delle ‘verità’ di Blondet.
Senza dover chiamare in causa Spengler (pag.143), siamo per davvero al “tramonto dell’Occidente”. L’Anticristo sarebbe, secondo Cacciari, questo capitalismo omnipervasivo (alla Mac Luhan: mediaticamente entrato nel vivo delle coscienze e oggi ‘dominatore’ del mondo), con l’oltraggiosa moltiplicazione – si fa per dire – di “pani e di pesci”, ben inteso artificiali e sintetici, a danno dei sazi che dei tantissimi affamati, coi suoi tanti logoteti territoriali che lo sostengono, e che paradossalmente lo amministrano quasi sacramentalmente (il mio riferimento è al c.d. Dio quattrino, vale a dire le mosche del diavolo di San Francesco ): << Quindi esso deve sparire>>.
Singolare conclusione, questa di Cacciari, che vorrebbe giustificare la “dissoluzione” come pura antitesi – fertile e benefica – in un processo triadico, in vista della liberazione finale dell’uomo. Come dire: un altro Vangelo. Il quinto, per l’esattezza, secondo Pomilio – neppure lui citato da Blondet: un vangelo, però, già ampiamente snidato, nella sua inaffidabilità, da Armando Plebe e dal filosofo cattolico Augusto del Noce (quest’ultimo presente nel saggio di Blondet, cfr. pag.11, 88 e 247).
I tempi ultimi dell’escatologia cristiana (pur quanto confusi nelle diverse versioni temporali ma per non i modi), non possono rimanere schiacciati sull’asse orizzontale della ascissa del tempo, poiché possiedono la formidabile “ordinata” spirituale della resurrezione, unica promessa di un Dio vero, di un Dio di salvezza. Scordandosi che i cristiani non accolti scuotono la polvere dai calzari, e riprendono ogni volta il loro cammino, Cacciari, che pure riconosce una chiesa “pellegrina in terra“, ritiene che Cristo abbia casa dovunque. Ergo, se per anni la minaccia comunista ha causato un’alleanza forzata tra la Chiesa e il sistema laico borghese (pag.11), ora quest’alleanza, che era finta fin dal principio, non è più possibile. Nessuna composizione tra la Chiesa e lo spirito borghese, con la sua etica laica. Il cristiano deve mettere in discussione ogni sistemazione puramente terrena. Lui pellegrino su questa terra sa che ogni sistemazione della Città dell’uomo è transeunte, che deve essere superata. Il sistema borghese tollera di essere discusso solo al proprio interno, sancì infine Massimo Cacciari. Quindi, verso ciò che è esterno ai suoi valori, non ha pietà.
I passi assai più ricchi e articolati dell’intervista a Cacciari, con la quale si apre il libro di Blondet, furono ripercorsi a Satyricon, ovviamente secondo una “vulgata” televisiva, destinata a ‘tutti’ gli ascoltatori. Una tale coerenza si spiega soltanto con un’altra coerenza, sulla quale è bene tacere, nell’incertezza sospesa di possibili “ravvedimenti sulla via di Damasco”.
8 * Una bella “teoria”, quella del filosofo Cacciari,che riduce l’etica a costume, confondendo la “morale” col prodotto storico della società e dei suoi rapporti di produzione, ignorando di sana pianta ad es. il discorso della montagna, in cui Gesù Cristo, “salvatore di tutti figli”, con un argomento – questo sì veramente rivoluzionario –, rovesciando ogni prospettiva della vana ragione, benedice letteralmente gli ultimi in tutti sensi. Il chicco di grano, destinato a risorgere in spiga, deve macerare sotto terra.Destino comune, che travalica la visione dei classici e reca una realtà totalmente nuova. Tra il fatto della morte, e la speranza della resurrezione, corre infatti l’abissale distanza del Regno. Nel protovangelo gnostico di Tommaso, si legge: Se qualcuno vi dirà,ecco il Regno è nell’aria, Io vi dico che gli uccelli vi precederanno.Se qualcuno vi dirà, ecco il Regno è nei mari, i pesci vi precederanno. Inverità Io vi dico che il Regno è in voi e fuori di voi. Come invece paradossalmente ammoniva Catone il Censore, con antica e colorita espressione di sdegno: Laudant arvolas (lodano gli sparvieri che volteggiano sui campi), censent columbas (le innocenti colombe redarguiscono). La “dissoluzione” è, dunque, il sovvertimento del vero, non è la vendetta dell’errore. Il nemico è – e rimane – la menzogna.
I veri “Adelphi” della “dissoluzione” sono, in questo senso, gli “alchimisti” e i “nuovi teurghi” della politica e quindi anche della morale individuale e sociale dell’uomo, che trascurando la “pietra filosofale” dell’etica cristiana, trasmutano l’oro della vita – santificato dall’esempio sublime di San Francesco – in piombo, con ciò ingrigendo e sporcando la luce stessa del sole. A costoro darebbero una mano lo stuolo degli allievi “sapienti”, costruiti in laboratorio, come forse fu negli anni della nostra giovinezza, quando all’improvviso, dal Christus vincit, che si elevava nelle ali sonore delle cattedrali, in quell’Italia “spanta nei borghi”, si passò ad altri cori di guerra, in città sempre più convulse, e cori inneggianti tempestosi e scomposti a nuovi santi “stellati” e a certissime “promesse” aldiquà d’autentica “liberazione”, ma sotto antichi regni d’oppressione?
Cosa poter ‘scegliere’, se non considerandone attentamente i “frutti”? (Molti funghi velenosi somigliano assai a quelli sani e commestibili).
In Paraguay, come già due secoli fa, un vescovo “leader” della “teologia della liberazione”, però sospeso a divinis, si apprestava a dare nuovi esempi rispetto all’oppressione di destra. Quale “arcobaleno” nascerebbe?
Chiediamoci quanto sia giusta la definizione che Dante dà del “diritto”: Ius esthominis ad hominem proportio, qua servata societatem preservat, corruptacorrumpit (il diritto la retta proporzione tra gli uomini, corrotta la quale tutto si corrompe).
Il capitalismo mondializzato altera dunque la proporzione necessaria, disumanizza l’ecumene universale? Occorre, cioè, una svolta radicale?
Ancora Blondet, con le sue osservazioni: E’ già accaduto: ogni rivoluzione – la francese, la bolscevica, quella rivoluzione dei costumi che fu il ‘68 – sono state a lungo preparate con libri, diffusione di idee, miti e sentimenti collettivi; ciò che oggi si chiama industria culturale, e, nel linguaggio della magia, si chiamava evocare le potenze dell’aria (pag.25 – Adorno è, anche lui, vitatissimo: 14 volte). Shiva, il distruttore, è dunque tra noi ?
<<Le parole di Massimo Cacciari sembravano iscritte in un cattolicesimo estremo, in certo senso estremamente “puro; in realtà, mi parevano alludere a un progetto radicalmente contrario alla fede>> (pag.14). << Rammentai lamaledizione di Isaia (5,19 ) >> : << Guai a coloro che dicono: “Si affretti, si acceleril’opera sua / affinchè possiamo vederla; / si avvicini, si realizzi il progettodel santo d’Israele / e lo riconosceremo”. / Guai a coloro che chiamano ilmale bene e bene il male/ che cambiano le tenebre in luce e la luce intenebre >>.
E’ questa la traccia occulta che il supercattolico Blondet ripercorre. La traccia della “dissoluzione”. Del resto è anche scritto nei Vangeli che si sarà perseguitati nel Suo nome. Di fronte all’irruzione del male l’umanità fragile non invoca una “ierofania“ – l’irruzione del sacro -, quanto una “kratofania”, come sostiene Blondet (cfr. pag.194, a proposito della New Age), e cioè la voglia di conquistare qualche potere “magico“, ottenere una “forza” o provocare “fenomeni paranormali”.
Il tema della gnosi, attualissimo e aberrante al tempo stesso, già agli inizi del cristianesimo, si propone, oggi, in una sorta di nuova “magia”, che sembra ripercorrere vie antiche e assai ambigue. Se un parallelo può essere istituito, ben inteso senza eccessive forzature e tenuti nettamente distinti i rispettivi autori, tra il saggio di Blondet e il citato libro di Baigent e Leigh, l’analogia accomunante potrebbe essere quella della deviazione dal sacro, che in Blondet è riportata al tema profondamente cattolico dell’Anticristo, e per i due giornalisti inglesi, del resto dei laici, sarebbe invece da cogliere in un filone ermetico storicamente degenerato.
D’altra parte Blondet si stupisce “dolorosamente” (pag. 187 e ss.) che un insigne studioso di religioni come Elemire Zolla (autore tra l’altro della voluminosa opera I mistici dell’Occidente) si sia in seguito indirizzato verso un ascetismo senza fatica e un esoterismo debole, in una ambiguità dagli incerti confini. In questo giudizio di percorsi, non è accumunato l’amico di Zolla, Alfredo Cattabiani (pag.147), il quale non recensì favorevolmente le Nozze di Cadmo e Armonia di Roberto Calasso, definito da Blondet un’apologia della dissoluzione-morte. Ho conosciuto personalmente i due scrittori, Zolla e Cattabiani, una sera a Assisi, in casa di amici, sotto gli affreschi settecenteschi dell’Appiani che impreziosivano le volte di quel palazzo del ‘700. Erano i tempi, ad Assisi, della libreria “Oriente-Occidente”, oggi purtroppo scomparsa, luogo d’incontri e di presentazioni. In altra occasione conoscemmo di persona, in questa stessa libreria, anche J. Couliano, l’allievo di Mircea Eliade, che amava Assisi al pari del suo Maestro. Misteriosa e tragica la sua precoce scomparsa. E quali i trascorsi di Eliade, che visse un certo periodo sotto il nazismo? Cosa ha fatto germinare, e nutrito, la cultura del Centro-Europa in quell’epoca a cavallo tra le due guerre mondiali? Non basta Claudio Magris, col suo Danubio. Dobbiamo immaginare altre “Cartesegrete”, come quelle di Procopio di Cersarea. E rivolgerci sempre alla Scuola di Vienna (come a quella di Copenhagen) per cercare di ‘comprendere’ le cifre occulte di una nuova rivoluzione scientifica ultra-moderna, nonché la fatale svolta dell’economia moderna. Infatti, “socialismo, capitalismo edemocrazia”, cosa sono, come potrebbero fondersi? Ha “senso” la formula O.n.u. del c.d. “capitalismo etico” o è anch’essa una sigla passeggera? Qui si va da Schumpeter a Lord Keynes, passando da Newton direttore della zecca inglese (i falsari venivano condannati a morte).
9* Federico Caffè, economista illuminato, decide un bel giorno di sparire. Nessuno sa se possa essere ancora vivo oppure se sia già morto da tempo.
Forse fu a causa delle terribili amnesie, che lo stavano distruggendo. O forse fu la delusione di non vedere realizzati i suoi “nobili” progetti di economista (è uscito nelle sale cinematografiche un film che ripercorre le ipotesi di questa sparizione). Nel libro di Blondet compaiono anche degli economisti (non certo Caffè); ma Piero Sraffa, l’autore della Produzione merci a mezzo merci, un saggio di economia di così poca mole quanto fondamentale. Figlio del rettore della Bocconi, scappato dall’Università di Cagliari e approdato alla corte di Lord J. Maynard Keynes (pag.72,73,74 e 86), Sraffa è considerato un grande teorico. Perché proprio Sraffa? E’ noto che Sraffa aprì al suo amico Mattioli un contatto privilegiato con il Pci . Sraffa fu il trafugatore dei Quaderni dal carcere di Gramsci per conto di Togliatti. Ed ancora: George L. Mosse ha affermato che Sraffa e Keynes erano omosessuali. La stanza di quest’ultimo era piena di quadri erotici con soggetti gay. Uno strano ambiente l’Università di Cambridge.
Nella sessione di febbraio del mio primo anno d’università, rientrato da Milano a Perugia, m’imbattei per l’esame di economia politica nell’allora giovanissimo prof. Luigi Spaventa al suo straordinariato, proveniente dalla scuola liberale di Giuseppe Ugo Papi, ma scopertamente di sinistra, che mi interrogò proprio su Sraffa e la sua teoria (un saggio di meno di cento pagine), che gli è valsa la notorietà mondiale. Col “centro sinistra” erano caduti certi steccati. Il nuovo Papa contadino, Giovanni XXIII, dotato d’immensa carità, aveva benedetto con bontà folle eccezionali di fedeli e di pellegrini: Quando tornate a casa, date un bacio ai vostri figli ! Le Case dei Giusti.
Fu Papa Giovanni a sostenere teologicamente che si deve perdonare agli “erranti”, a chi sbaglia: non però l’“errore”. Erano quegli gli anni buoni. E, perciò, non soltanto la “fede” salva; ma anche la “buona fede”. Negli inquietanti “personaggi” d’affresco di Blondet ci può essere una larvata “buona fede”? O incarnano essi il male assoluto, totale e irrimediabile? Mi sembra, questa, una ‘domanda’ non trascurabile, e neppure eludibile. Anzi, si tratta di una questione essenziale.
Pertrovare una risposta all’interrogativo (che in buona sostanza può derivare dallo stesso punto di domanda col quale il libro di Blondet si chiude: Sbaglio?),dobbiamo ripercorrere le “vie” dell’Anticristo.
Mi sono formato una coscienza cristiana leggendo Carl Adam (il grande teologo cattolico tedesco che ebbe qualche iniziale simpatia per Hitler, come sono venuto a sapere in seguito), e l’insospettabile Padre Giuseppe Ricciotti, fondatore dell’Enciclopedia cattolica. Si dirà: roba superata. Ma che c’è di più, e di meglio dopo? Dio esiste ? di Hans Kung, o la teologia negativa del “dio è morto”? La Chiesa cattolica è una “societas” nel tempo, ma anche “fuori” dal tempo. Storicamente fallimentari furono i tentativi (come una volta in Paraguay) di una società politica in mano a religiosi cattolici. La Chiesa non ha questo bisogno e questa vocazione, così come nessuna ‘metafisica’ ha a che fare (se non indirettamente) con la ‘prassi’.
Dai Vangeli, ben inteso, si possono ricavare tutte le norme o “ regulae agendi” della vita economica e sociale, nessuna esclusa. Ma è la centralità dell’individuo, davanti alla propria coscienza, è il mistero della vita e della morte, che impegnano, molto più direttamente, dinanzi al limite del peccato.
Il Regno non è di questa Terra. Giorgio Caproni (“ Seguita a pullulare vita-morte, tenera ed oscura, chiara e in conoscibile”) in un’altra sua poesia incita il metaforico “vetturale” ad andare oltre, ma la strada è ormai terminata. I dubbi religiosi di Caproni, concisamente in versi straordinari, per chi conosce le sue poesie sono esattamente i dubbi di ciascuno di noi.
Nessun uomo ha vera fede. Ma tutti possono trovare qualcosa che le rassomigli, almeno a un certo punto o momento della loro vita. Nessuno può, quindi, scagliare la prima pietra, né di questo si tratta. Gesù non predicò virtù straordinarie e impraticabili. Si rivolse invece ai semplici, agli esseri comuni. La vera libertà di Francesco venne da una prigione, che lo teneva astretto. Evaso dal sé, senza però mai ‘dimenticarsi’, lui come uomo, veramente si ubriacò di beatitudini, ricercandole con quella tenacia totale di chi si condanna a una disciplina di libertà e fede assolute, che impone a ogni giorno tutta la sua pena, nella luce della verità testimoniata e vissuta. Il male si traveste. Il menzognero combatte per una “unità” o “identità” cui non potrà mai pervenire. Il suo dramma è l’impossibilità assoluta di essere se stesso, diversamente dalla dolcissima colomba, simbolo stesso del Paraclito (e acronimo di Jawe). Chiedo agli Atti degli Apostoli commentati di Padre Ricciotti (Lettere di San Paolo, 1958, vol. II), di venirmi incontro e di lasciarmi copiare liberamente (Tessalonicesi 2, 6 e seguenti). Secondo il dottissimo Padre Ricciotti, un autentico Maestro, sulla parusia di Gesù, o nuovo ritorno dal cielo, non c’è alcun accordo tra le fonti. Paolo respinge l’opinione che sia imminente il giorno del Signore, per la ragione che ancora non sono avvenuti i fatti che devono precederlo come segni precursori. Questi fatti sono l’apostasia, certamente religiosa e non politica, e la comparsa dell’uomo del peccato. Quest’ultimo è il figlio della perdizione. Ma è anche colui che “contrasta” l’avversario. Egli si sta insediando nel “santuario”, spacciandosi per vero Dio. L’uomo del peccato ancora non può rivelarsi perchè esiste ciò che (al neutro) lo trattiene dal rivelarsi. Esiste colui che (al maschile ) lo trattiene adesso. Verrà un giorno che questo ostacolo (katecòn) verrà tolto di mezzo. Al mistero dell’iniquità corrisponde il mistero opposto, ossia quello dell’equità e della giustizia (la stessa cosa nei manoscritti del Qumran, ritrovati nel 1947).
Nel frattempo, il mistero dell’iniquità, sebbene “ostacolato”, opera internamente, per preparare la rivelazione dell’uomo del peccato. Quando sarà “tolto di mezzo” l’ostacolo, allora si rivelerà l’iniquo, e avverrà la parusia di colui che rappresenta l’iniquità. All’iniquo e alla ‘sua’ parusia si contrapporrà Gesù, con la manifestazione della Sua parusia. Gesù ucciderà l’iniquo con un semplice soffio della sua bocca e distruggerà la parusia di lui mediante la propria. La parusia dell’iniquo è conforme all’operazione interna di Satana con ogni possanza, in quanto l’iniquo si manifesterà fra ogni sorta di prodigi menzogneri. La parusia dell’iniquo guadagnerà a costui tutti coloro che si perdono, ed essi otterranno tale sorte perché non possedevano l’unico mezzo per salvarsi, cioè l’amore per la verità.
Ho svuotato abbastanza le molto più belle e ricche parole di commento del Ricciotti, senza però far torto ai ‘significati’. Blondet si accosta al tema della parusia del male e così ci fa sentire il fiato velenoso e sanguinario dell’uomo di menzogna che incombe sulla storia. E si tratta di due millenni di storia, fino al nostro tempo presente. I nodi non si sono sciolti, ma moltiplicati. Eppure super vos non prevalebunt.
10 * Blondet insegue, ripercorre, smaschera un possibile ben radicato e ramificato filone della dissoluzione, quello che si cela nei fatti della cultura e del pensiero iniziatico, destinati ad influire enormemente, per risonanza, in una società moderna di massa, oggi pervasa dal consumismo più sfrenato e da una perdita di identità cristiana, dopo le vicissitudini terribili di questo intero secolo alle nostre spalle. Vi si aggiunge il peso stesso delle contraddizioni umane, legate a un’antropologia intrinsecamente limitata e alle condizioni di vita sociale, ancora almeno in certe parti del mondo, veramente drammatiche e disastrose. Su questo scenario, già di per sé catastrofico (e, sempre, sub signo contradictionis), s’innesta il duello ‘metafisico’ di Blondet tra “bene” e “male” (nella loro innocenza questo lo sanno anche i bambini). Ciò che, invece, da adulti ben informati, possiamo convenire di individuare (sia da credenti, che da non credenti), come radicale e insanabile contrapposizione tra bene e male, è lo scontro tra il Paraclito e l’Anticristo.
I cattolici, che possiedono, come detto, una fondata prospettiva verticale, hanno ‘ragione’ di cogliere, con preoccupazione, i segnali di Shiva e di Dioniso, entità disgregatrici, e metafora del male, all’opera sulla ribalta del tempo e sul palcoscenico della storia. I marxisti, nello loro escatologia mono-dimensionale, ritengono, o hanno ritenuto, invece, che i tutti segnali della dissoluzione fossero, comunque, l’avvisaglia di tempi migliori, del realizzarsi ultimo della storia, per sorti magnifiche e progressive, per poi finire, a propria volta, in un bagno di sangue nei ‘lager’ del falso ‘paradiso’ promesso. Una terza componente (distruttiva, satanica, nichilista, soltanto figlia di stessa, e del male, in quanto privato del bene), sarebbe del resto emersa in questi anni di apparente “pace augustea”, dalle condizioni stesse dei tempi moderni che sono oggi sotto gli occhi di tutti.
C’è poi l’umanità gemente, la più parte che si trascina come cosa, quasi nulla avendo da sperare. Ma il “là” dove si muore di fame, sempre di più corrisponde al “qui” dove si muore di vita. Troppe componenti, diverse e su piani distinti, interagiscono violentemente tra loro, passando dalla sfera del corpo alla sostanza dell’anima. Blondet potrebbe aver individuato in questa terribile scissione (rimescolante sempre se stessa) di certa cultura iniziatica (ben oltre il cui prodest), una radice metafisica esplicativa, che farebbe cioè parte del “serpente”, e non della tenera “colomba”.
Sennonché, è essere infidi come serpenti la virtù stessa che permette di restare timide colombe. Il “gap” è di quelli tremendi. I tempi sembrano consumarsi senza l’aria di un rinnovamento. Anzi, l’alito della morte stagna sulle nostre stesse soglie. L’Anticristo (che opera ‘dal di dentro’ di tutti gli “idola “: quelli baconiani), è il veniente, e lo si teme per davvero, se non fosse che “fede, speranza e carità” indicano il katéchon, ovvero il defensor pacis.
Il capitalismo ha, può avere, un volto umano? Una tale domanda, che è poi quella del filosofo marxista Massimo Cacciari, emerge chiara dal libro di Blondet, che si abbandona, forse anche per una disperazione della ragione, a visioni di sangue, che indubbiamente quest’epoca evoca, e quasi invoca, nel crescendo rossiniano della ‘follia’ del male. L’Italia cattolica ne è il luogo deputato: credevamo forse che no?
Sono giunto al termine di questo scritto, che a questo punto non posso neppure ritenere passabile, poiché lo stile non rende le intenzioni. Ciò non ostante cercherò di essere un po’ più chiaro, almeno nelle mie intuizioni soggettive. Il “satanismo” affligge con un male “sotterraneo”, “occulto”, questa nostra società occidentale, racchiusa nelle sue prigioni di cemento, e non più a contatto con la ‘magia naturale’ delle cose e con gli antichi spiriti animistici, che pure un tempo agitavano altri terrori.
Blondet (pag. 182) cita adesso Massimo Introvigne che in Italia è un riconosciuto studioso del fenomeno satanista. Delitti inauditi. Il maligno sembra, ovunque, letteralmente scatenato. E c’è chi lo invoca in fedi e riti rovesciati. La quotidianità ha digerito tutto. Banalità del male, se tale formula non attingesse già a crimini orrendi. Quelli del nazismo. E certe cose restano nell’aria, la realtà vi si impregna, forse è un radice più che un fatto susseguente.
Fu una volta che mi trovai, a Neuchatel, a casa di una certa ragazza che lavorava nella locale Università, presso la Facoltà di filosofia, con un fratello traduttore, a Monaco, di antichi testi assiro-babilonesi. Saltando una bassa finestra di questa casa sul lago, si era subito dentro il giardino di Monsieur Du Peyru, l’amico di Montesquieu, in uno dei luoghi magici della città, sulle rive dell’omonimo lago. Non so perché, in quella casa silenziosa, e come in ascolto, si trovava appesa ad una parete una grande e straordinaria effigie satanica in legno, molto più che a mezzo rilievo. Mi fu chiarito che era soltanto un lavoro artistico, per altro di assai raffinata fattura, pur nella sua indubitabile simbologia, proveniente dal folklore del Jura. Ma anche per adorare Satana bisogna avere una “fede”. E può essere che simili “fedi” siano, in effetti, un bisogno, quale esso sia, di questa povera umanità smarrita, in passato più che altro avvilita nel corpo, e forse, oggi, molto più percossa nell’anima.
Blondet affronta, nell’intervista a Cacciari d’apertura, il problema – a mio avviso fondamentale in tutto il saggio – dell’etica, che una volta raccolto con straordinaria efficacia nel primo capitolo, poi per così dire si interra, per divenire, nel resto del libro, il filo sotterraneo sopra al quale seguiterà invece a emergere, e con pieno risalto, il tema scoperto dell’Anticristo. L’etica (o meglio il problema etico) ricompare alla fine, nel dialogo con l’innominato personaggio dissuasivo (una sorta di alter ego dialettico? – pag. 226), proprio nei terribili accenni all’epoca moderna.
Secondo quanto asserisce lo sconosciuto: << L’uomo e il danaronon hanno più bisogno l’uno dell’altro. Il danaro si produce da solo. E l’uomo verrà speso o sarà investito come lo è stato il danaroin passato. Il rischio allora era di perdere tutto il danaro. Adesso il rischio è dimettere in pericolo moltissima gente>>. Siamo dunque nello sprofondo più assoluto, e cupo, dell’abisso dell’Anticristo. L’uomo non è più lo sfruttato produttore di “plus valore”. E’ divenuto già “cosa”, materia informe: carne e spirito sono solo “cose”. Per Cacciari, del resto, esiste soltanto l’etica dell’ethos greco, corrispondente al mos latino, cioè il costume. Da buon marxista, che sembra aver scambiato Atene per Sparta, pur citando Erodoto, che aveva tutt’altre origini, Cacciari si rifà al mito, più che altro linguistico dal momento che la sua è in effetti una concezione irreale e distorta, che appunto negando ogni ‘soggettività’ dell’etica, sia dunque “la dimora” - ethos in origine – a radicare sempre l’uomo alle proprie radici, a una stirpe, a una polis, a un linguaggio. Pertanto, si tratta di destini segnati; di condizioni oggettive, fissate soltanto dalla realtà e dalla stessa necessità. Equivocando in modo assoluto un passo di Erodoto(la legge della polis è l’immagine di Dike), frase di tutt’altro significato, e portando come esempio di rottura la figura di Socrate, Cacciari argomenta, erroneamente, che soltanto con il cristianesimo furono sovversivamente spezzati, in maniera definitiva, i legami fra gli dei e la società. Gli dei di ferro della “polis” radicavano l’uomo, lo riparavano dalla “de-cisione” (letteralmente parlando, dal “taglio”).
Fu il cristianesimo a dare una “tragica libertà” all’uomo, di cui la Chiesa è pienamente consapevole. << Per questo >> – secondo Cacciari – << tutta la cultura cristiana è un correre ai ripari contro la tragedia che ha provocato, una tensione disperata a riparare il pericolo che viene dalla frattura tra la Città di Dio e la città dell’uomo >>.
Perciò Blondet adesso afferra (ripensando in treno all’intervista: pag. 14) il reale significato di queste parole celato nell’ambiguità e nella copertura verbale. In realtà riflettono un progetto radicalmente contrario alla fede.
Anche il “nazismo” giocò su simili equivoci, perseguendo altri fini. Se esistesseuna dimensione autenticamente individuale, di vera responsabilità personale nella scelta, com’è appunto nella religione cristiana, cadrebbe ogni collettivismo. In questo senso, l’etica individuale sarebbe dirompente, assolutizzerebbe la persona, com’è in realtà, pur nei suoi doveri verso tutti gli altri, sempre pari a ‘se stessi’. Cacciari aveva preteso di cancellare, di abrogare i primi due comandamenti delle tavole della Legge di Mosè, per sostituirvi il vuoto. Ed eccolo qui, il primo zampino della “ bestia”, che relativizza l’assoluto, e assolutizza il nulla. Una stessa ‘umanità-merce’ era nei plumbei sogni di prometei illusi, che avevano ucciso la ragione, pur partendo dalle ‘cose’. Domandiamocelo davvero, visto che il distruttore del comunismo sovietico recava sulla sua fronte l’enorme voglia rossa del colpo mortale di piccone che sfondò il cranio di Trotsky.
E’ andata proprio così. Come ci ha mostrato la “storia”, con le sue “antistorie”, e il mio riferimento qui è al forse dimenticato Fabio Cousin e al più attuale Bruno Giordano Guerri. Una storia è fatta di antistorie. La parte oscura è compresente. Nessun narrato umano sarà mai veridico fino in fondo, Vangeli compresi. Vere, invece, le parole di Gesù. Chi ha con sé la ragione costui è chi produce i frutti. I frutti danno altro frutto. Che cosa ci sapranno ‘dare’, quali frutti, le tanto deprecate “democrazie” di massa, mediatiche e orgiastiche ? Ci potrà essere una coniugazione tra le istanze del socialismo, del capitalismo e della democrazia, come argomentava l’economista Schumpeter? Ed ecco che il semplice “lettore” che sono, che ha molto apprezzato il libro di Blondet, per colmo pretenderebbe di avere una risposta, ma dopo aver evocato un altro dei suoi modesti ricordi. Sotto un affresco di Giotto, conobbi tanti anni fa la Signora Z, un’esperta di linguistica, che parlava correttamente più di una mezza dozzina di lingue straniere, compreso il greco moderno, e che si definiva “prussiana”, con una casa sui Pirenei, non lontana da Lourdes, e l’altra casa a Berlino.
Scopersi, per puro caso, che una sua valigetta di considerevole mole era ricolma di valuta pregiata: marchi, dollari, sterline. Mi chiarì, allora, di essere un specie di “ambasciatore” della “massoneria internazionale”, non dopo avermi mostrato uno sguardo feroce, per me terrificante. Fatto è che ricevetti una sua lettera da Cipro, durante la famosa crisi politica cui ben presto seguì il conflitto greco-turco. Nel suo libro Blondet parla di massoneria e d’intrecci vari legati all’argomento. Lascio ad altri questa materia, che in Italia ha sempre e soltanto un basso sapore d’inciucio paesano, fatto d’interessi di bottega, il collante di una nazione dialettale, arlecchinesca e perciò così poco prussiana.
Poco sopra, avevo invece accennato al problema “politico” dell’etica. Chiarisco meglio il mio richiamo. San Alberto Magno (1193-1280) scrisse un’opera di etica, intitolata De Bono. Contemporaneo di Innocenzo III, il famoso Papa delle “decretali”, un Magister Rufinus, canonista benedettino dell’Università Bologna a metà del secolo precedente, i cui “decreti” sono stati raccolti in Germania in un corposo volume edito negli anni ‘50 del secolo scorso, fu invece vescovo di Assisi, verso il 1280, cioè all’epoca della nascita di San Francesco. Rufino scrisse pressappoco in questo periodo, forse solo un po’ prima della nascita del Santo, uno straordinario trattatello, il De Bono Pacis, collocabile senza dubbio dopo la pace di Costanza tra i Comuni e il Barbarossa. Magister Rufinus è stato anche il canonico della omonima Cattedrale romanica di Assisi, la cui bellissima facciata, risalente all’incirca a quest’epoca, potrebbe addirittura essere ispirata a un’opera profetica di Gioacchino da Fiore, il Decem salpterium chordarum. Rufino tenne il discorso d’apertura del Concilio Lateranense III. Fu amico dell’Abate Pietro di Monteccassino (il famoso monastero benedettino distrutto nella seconda guerra mondiale), nella cui biblioteca si è conservato il prezioso manoscritto numero 238 di questo straordinario trattatelo sul sommo bene della pace tra gli uomini e la pace con Dio.
Molto probabilmente Rufino fu egli stesso abate dell’antico monastero del Monte Subasio, un imponente edificio di antichissima e meravigliosa struttura architettonica, non lontano dall’Eremo francescano delle Carceri.
Magister Rufinus, di probabili origini francesi, poteva essere stato ospite del monastero benedettino di Fonte Avellana (qui si consideri l’etimologia del toponimo, che richiama direttamente la “colomba” del Paraclito col soffio vitale della parola Pax). Si potrebbe azzardare un rapporto tra il giovanissimo Francesco e Magister Rufinus, ancora in vita nel 1202, anno della morte di Gioacchino da Fiore. Si salderebbe, così, un misterioso “circuito” dello Spirito, su pochi acri di terra assisana, che dal poeta latino-etrusco Sesto Properzio,“fervente poeta d’amore” (è di Properzio il verso: Amore è un Diodipace), porta alla famosa benedizione francescana del Pax et Bonum, ispirata se non ripresa direttamente dall’opera di Rufino.
Con ciò vogliamo soltanto accennare a una singolare trama dello Spirito Santo, senza doverci rifare a tortuose evocazioni esoteriche. L’operetta di Rufinus è straordinaria. Si tratta di un meraviglioso testo letterario, politico, morale, giuridico, teologico e metafisico, il cui “incipit” si diparte dall’interpretazione simbolica della stessa parola PAX: Come dunque per pronunziare la lettera P le labbra si spalancano di più, affinché la voce stessa formata sia profferita, così tutte le cose, che erano nascoste nel segreto dei disegni divini, quasi suono della voce concepita nel cuore, hanno incominciato a formarsi e ad aprirsi per l’opera della creazione, per arrivare alla “pace perfettissima” della “ Gerusalemme celeste “ (libro primo), e attraverso la serrata analisi della “Pace tra gli uomini” (libro secondo), alla riconciliazione nel bene dell’intero consorzio umano.
In un’epoca globalizzata come la presente, quando l’Onu ha emesso numerose risoluzioni sul c.d. “capitalismo etico” (sull’Onu, Blondet, in particolare a pag. 226), il trattato medievale di Rufino giunge attualissimo, attraverso la distinzione, coerentemente argomentata con gran mole di richiami biblici e con riguardo alle stesse fonti classiche greche e romane, tra la “pace d’Egitto”, quella di “Babilonia”, e la “pace di Gerusalemme” celeste. Inutile chiarire oltre che la pace d’Egitto è quella delle “potenze” del male, la pace di Babilonia è quella dei “mercati”, mentre la pace di Gerusalemme è non solo quella storicizzata e immanente dell’umanità in concordia, che sarà la stessa pace del messaggio francescano, ma anche e soprattutto la pace “con Dio”.
Occorrerebbe attingere direttamente a questo eccezionale trattatello per rendersi conto della sua stupefacente ricchezza e assoluta modernità, tali da non credersi. Il male, che insidia l’uomo dall’interno stesso della storia, è in definitiva il male dei non vedenti, cioè degli accecati di spirito: Frapponendosi tra eletti e reprobi immensi spazi, ed essendosi rafforzato in mezzo il grande caos, comead opera deglieletti non potrà essere alleviata l’infelicità dei malvagi, così ad operadei malvagi non potrà essere inquinata la felicità degli eletti.
Questa chiusa finale del De Bono Pacis di Magister Rufinus riflette il super vos non prevalebunt nell’intelligenza serpentina del male presente e nell’afflato d’aria e fuoco della Colomba che s’innalza.
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L’affresco di Blondet sulle trame della “dissoluzione” è assai articolato e intricato. Una folla di nomi, di fatti e di relazioni, percorre il libro e lo popola di un raccapricciante contenuto di “verità inaudite”. In queste mie pagine già sarebbe cosa grata averne potuto rendere appena un’idea. Del resto Blondet potrebbe aver esagerato nella sua tremenda visio sanguinis, cruda e diretta; oppure nella valenza tragica, evocativa e simbolica, di tutto ciò. Ma potrebbe anche aver visto giusto, al di là della folla di personaggi chiamati in causa e delle trame d’ombra del male assoluto che ritiene di aver snidate.
Chiudo con le sue stesse parole (pag. 238), e con un invito a leggere questo saggio portentoso e allucinato.
<< Ma quale mondo è ? >> (l‘Innominato, incontrato da Blondet in un bar, adesso sospira e guarda l’orologio). E’, infatti, << il mondo della Potenza. Il concretissimo mondo della Shakti. Ma il mio treno sta per partire. Lei pensi a dare al suo libro forma di romanzo>> (proprio come nel riferimento a Marc Saudade, pseudonimo dell’ignoto autore di Bersagli mobili: vedi pag.223). Infatti, stando all’Innominato, E’ il solo modo per diffondere notizie non deformabili, mi creda.
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La storia e la politica ‘come se’ fossero materia di un romanzo, oppure una specie di doppia scrittura. Proprio per questa stessa ragione avremmo anche la “doppia navigazione” di Platone, e persino l’inopinata esistenza di un “Properzio segreto”, scomodo e feroce testimone anti-augusteo.
Ma l’umanità è stata posta, liberamente dal suo Creatore, dentro la ‘sua’ propria storia, nel‘suo’ stesso ‘giardino di peccato’, qui nel tempo che ha fretta, per decidere sui suoi ‘frutti’. Solo così l’umanità intera può ‘ri-conoscersi’, salvarsi o condannarsi da sé, anche se la coscienza individuale rimane perfettamente integra, sebbene spesso ‘vittima’ della menzogna, dell’oppressione e del traviamento? Non di solo pane vive l’uomo, ma “anche”di pane. Una volta sfamati, si ha allora bisogno dell’acqua viva, che salva l’anima. La Verità ritorna alla Storia, che si è fatta “disegno supremo”. In altre parole, la storia è “disegno di Dio”: un grande albero carico di frutti, come quando torna la bella stagione, sì, col canto della Promessa. Il tempo non potrebbe avere altro valore o significato che questo. Non disperiamo, ogni messe va a maturazione, la falce non vince il chicco di grano.
(Arcangelo Papi, 2013)
*Questo modesto articolo risaliva in origine a prima dell’attentato alle due torri dell’11 settembre 2001