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Properzio e Assisi

 

ASSISI – RICOSTRUZIONE DEL FORO SECONDO UGO TARCHI (1930)

 

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SESTO PROPERZIO E ASSISI

Abstract: Sesto Properzio, grande poeta di età augustea, cantore elegiaco di “Cinzia”, nacque ad Assisi? E’ questa l’opinione assolutamente prevalente, accolta e consolidata da tempo. Ma su quali basi si fonda tale presunta certezza? Le notizie autobiografiche, contenute nelle Elegie, unica opera di Properzio, e, parimenti “unico insieme” (unum opus), quali indicazioni forniscono? Perché, a differenza di Publio Ovidio Nasone, suo “sodale” bacchico (appena pochi anni li dividevano), da cui si ricavano direttamente elementi certi circa la data e il suo luogo di nascita (20 marzo del 43 a.C., nell’acquosa Sulmona – in Paelignis), invece Properzio è stato su di sé così reticente, pur parlando molto di se stesso? Che cosa sapevano di Properzio i suoi contemporanei, a Roma, perché apparissero o si rendessero inutili e superflui certi importanti dettagli, oppure si potesse escludere una certa dose di ambiguità e un certo riserbo? Tutti i grandi poeti del famoso circolo di Mecenate erano consci di poter sopravvivere alle rovine del tempo, ma non potevano essere sicuri che i loro elementi biografici sarebbero stati trasferiti oralmente, a differenza delle loro opere. A parte il De poetis di Svetonio, comunque giuntoci falcidiato, nelle loro opere sono perciò contenuti, qua e là, i loro dati autobiografici. Pertanto, che senso avrebbero avuto l’ambiguità oppure l’incertezza nei loro stessi accenni biografici? Perché Ovidio, che ebbe modo di trasferire alla posterità notizie preziose sui poeti latini della sua epoca, e che più volte si riferì anche a Properzio, in realtà – su quest’ultimo – appare quasi altrettanto riservato? Ovidio, relegato (8 d.C.) da Augusto al Tomi, sul Ponto Eusino, per un carmen e un error (oscuro “giallo” politico irrisolto, il cui scandalo investì direttamente la famiglia del Principe) morirà verso il 17-18 d.C. (iuxta oppidum Tomi sepelitur, l’odierna Costanza sulle rive del Mar Nero), non riabilitato neppure da Tiberio (Ottaviano Augusto muore nel 14 a.C.), nonostante i lamenti e le continue invocazioni di grazia o di perdono. Sappiamo, da Ovidio stesso, che aveva un fratello, che morì a vent’anni. Di Properzio, più vecchio di Ovidio di appena 4-5 anni, e non di più, apparentemente non sappiamo nulla di preciso: dove e quando nacque, quanti anni aveva al momento del suo esordio poetico a Roma (sicuramente nel 29 a.C.), quando dalla natia Umbria si recò con sua madre a Roma, quando e dove morì. Sappiamo soltanto che perse il padre da piccolo, che le sue belle terre in Umbria – arate da “molti giovenchi” – furono oggetto di esproprio (la tristis pertica), e che la sua era una nobile famiglia o gens di antiche origini, che questi possedimenti si trovavano tra Bevagna e Perugia, nella pianura centrale dell’Umbria antica contornata da “rocche”, che la madre rimasta vedova probabilmente morì a Roma, e che la guerra di Perugia (il bellum Perusinum del 41-40 a.C.) aveva in qualche modo inciso amaramente sulla sua esistenza. Infine, sappiamo anche che doveva essere già morto prima del 2 a.C. Ciò lo si ricava da Ovidio. Non sappiamo poi se avesse fratelli o sorelle, sebbene tutto lasci credere che fosse figlio unico. Il profilo autobiografico di Properzio, desumibile esclusivamente dal corpus delle Elegie e dalle altre scarse notizie ricavabili da Ovidio (ripetiamo: alquanto reticenti o vaghe), parrebbe affetto da una sorta di schizofrenia, stando almeno al livello attuale degli studi, là dove non ci si renderebbe conto che l’enigma della strana conclusione del Monobiblos fu invece una specie di cavallo di Troia. Grave pecca, potremmo dire, degli Studiosi di Properzio, per il resto ferratissimi, che abbagliati dall’opera amorosa, invero bellissima, hanno preferito affidarsi o limitarsi a indagini abbastanza superficiali circa la biografia del poeta, accontentandosi cioè di dati probabili e di elementi di contorno, però non sicuri, almeno in senso probatorio stretto, quali ad esempio: la domus Musae, ritenuta da Margherita Guarducci, ma a torto, come “casa” di Properzio e del suo “discendente” e suo “municipale” Paolo Passenno, una cui epigrafe locale ne attesta il collegamento con Assisi (tomba monumentale posta lungo la via che scende a San Damiano); vari indizi geografici contenuti nelle Elegie (tra cui la ricostruzione filologica del Lachmann per il toponimo Asisi in IV, 1, verso 125), unitamente alla concentrazione, in Assisi, di un elevato numero di lapidi della gens Propertia (all’incirca una ventina, di cui l’ultima lapide, purtroppo frammentaria, fu scoperta alla fine degli anni ’40 da F. Caldari, ma valorizzata da L. Sensi soltanto nel 2005, dando luogo a un altro giallo). L’aspetto paradossale dell’oscura e apparentemente enigmatica autobiografia di Properzio può essere riassunto nella sicumera, ovviamente dotta ma convenzionale, con la quale, nel 1985, fu celebrato il presunto Bimillenario della morte precoce, se appunto Propezio morì verso il 15 a.C. (la datazione interna del quarto e ultimo libro delle Elegie non supera tale data). In realtà, è un equivoco colossale, di cui anche gli Studiosi moderni non si sono o si sarebbero resi conto, e, con essi, neanche l’Accademia Properziana del Subasio, che però continua nell’opera, meritoria e generosa, dell’organizzazione (dal 1976) di prestigiosi Convegni Internazionali di Studi Properziani a cadenza biennale. Il trionfo delle forme (con la loro nobiltà e grandezza: ci mancherebbe altro), in realtà avverrebbe a discapito della materia oscura delle Elegie, opera enigmatica, e aggiungiamo noi di grande valenza occulta. Properzio v’inserì il suo segreto, e l’unum opus non può essere dunque compreso, se non se ne raccolgono, e decifrano, i copiosi segnali.

L’ammonimento di Vertumus – dio etrusco dei mutamenti – è inequivocabile: l’opera “fallace” (fallax opus), sì, potrà giovarsi di mille pregi; ma la sua “unità” vera, rimane nascosta. Chi ne raccoglierà il valore autentico? Chi saprà comprenderne lo scopo, e la natura inscindibile? Il che equivale a comprendere, in primis, chi sia Cinzia, perché possa in seguito essere accostata ai nomi altisonanti di Mecenate e di Augusto, e come e perché non possa darsi il caso di un’autobiografia – essenziale, rigorosa, insostituibile – che, a proposito delle ‘domande’ già sopra esposte (alle quali il reticente Ovidio non rispose), sarebbe altrimenti dissociata e fuor di luogo. “Properzio e Assisi” è, pertanto, un tema fondamentale, certamente di carattere prioritario. Aggirare l’argomento è forse comodo, ma il problema riaffiora in continuazione. Se si evita di risolverlo nella sua profonda e imperiosa sostanza razionale (purtroppo così hanno preferito fare gli Studiosi, evitando di assecondare la logica stessa di Sesto Properzio fino in fondo, cioè fino alle estreme conseguenze), i numerosi enigmi, che indubbiamente popolano le Elegie, rimarranno tali per sempre.

Fare come gli struzzi non giova, tanto più che il Nostro è un poeta assai più grande e potente di quanto non appaia, o sia sembrato fino a oggi, dopo due millenni. Non si comprenderà il suo “grido di dolore”, non si capirà l’esaltazione della massima “bellezza” di un’opera “unica”, piena d’ombra e di trasparenze, destinata non a “creare”, cioè fingere elegos, ma nata – già dal primo verso – come opera solitaria, più unica che rara. Cinzia, la prima e l’ultima. Unum opus, in tutti i sensi. Etrusco enigma davanti ai fati. E aruspice della sua patria, giacché Properzio è “Assisi”, e “Assisi” è, ugualmente, Properzio.

L’indovino e astrologo Horos sa bene ciò che dice, anche se è difficile comprenderlo, tenergli diero. Horos si è espresso per enigmi, ma non ha fallito un colpo. E nessun Callimaco Romano o carme di genere misto, tra poesia d’amore e poesia antiquaria. Ma un genio letterario, nato in Umbria – più grande di Omero, più grande di Mimnermo; un sommo poeta, un aruspice sacro, veramente nato ad Assisi, e, in un certo senso, grande come s. Francesco.

Umbria te notis antiqua Penatibus edit. Dunque: << time! >> (temi, dunque, le potenze somme del Cielo!). Asis-Asisi non è una prova certa (rimane una nobile soluzione, che è, insieme, di tipo filologico e di tipo metrico). Ma Asis è – e resta – il grande segreto di Properzio. Egli tacque o minimizzò le sue vere origini, in realtà disse pienamente tutta la sua vicenda, ma di nascosto. I geni non agiscono mai a caso. Essi superano ogni costrizione: quella del potere e quella del tempo. Ed è – allora – l’impronta sacra di Minerva, dea di Assisi, dea del tempo che scorre e dea della sapienza, una cui effige fu infilata nella tomba di s. Francesco (la salma del Santo recava al dito un anello di Minerva Pallade, però fatto sparire dopo il 1818), il cui antico tempio pagano farà, poi, da sfondo al miracolo giottesco del primo affresco della Vita del Santo (un telo di lino immortale, disteso ai suoi piedi, presagio illuminante della sublime “leggenda” della Verità), così come fece da sfondo, in IV,1 – Propertius-Horos, la grande e misteriosa elegia del ritorno, l’ultima composizione di Properzio – al suo amaro mistero.

Tutto ciò è “Assisi”. E lo è anche come “nomen sacrum”, perché Amore è un Dio di Pace (i.e. concordia civium – ovvero pace in terra). Ed è quanto sarà mostrato con persuasiva forza di verità nel suo unico insieme. Perché, ed è vero, < misteridiassisi > ha umilmente un suo filo conduttore, una sua essenza che appunto vorrebbero seguitare la trama infaticabile di ciò che si fa e si disfa ogni attimo: infaticabile tela di Penelope o arte di Pallade (cioè Minerva Poliade, assisa in trono). Con la vita che passa, e che rimane, affinché alla fine tutto quanto abbia un senso. Questo l’enigma, tale il mistero.

Senza il volere di Cinzia non una lacrima cadrà dai tuoiocchi. L’indovino Horos e la cangiante divinità di Vertumus (gli etruschi scrivevano a rovescio e i romani comunemente ne ignoravano la lingua) hanno il misterioso compito di rispondere agli interrogativi derivanti dall’epilogo enigmatico e reticente del Monobiblos e del suo seguito immediato. Cinzia non è mai esistita (Apuleio si sbagliava).

Mettimi addosso una raffinata e trasparente veste di Cos, e sarò una tenera fanciulla. Così dice di sé Vertumno. Quid iuvat ornato procedere, vita, capillos / et tenuis Coa veste movere sinus? Non è un errore dei copisti che questo famoso distico elegiaco sia stato ripetuto due volte in luoghi diversi. Il segreto di Properzio sta nella parola ambigua e polisemica, consiste nella reticenza parlante. La sua doppiezza è certa, mentre “Cinzia” è un puro nome, un alito di vento, una donna mai esistita. Non rimane perciò che Assisi, necessariamente occultata, oppure defilata. Somma grandezza: magne Poeta nostro! – e cioè, ancor più grande per i posteri.

I vari codici properziani, nessuno dei quali è veramente antico, riportano arcis o axis, anziché la lezione Asis o Asisi. Non è però difficile fornire la dimostrazione testuale che si deve trattare di Asis (metricamente compatibile, come ha dimostrato nel 1984 G. Bonamente). Rimane il fatto della stranezza del toponimo (giustificato da P. Poccetti nel 1997), accanto alla apparente mancanza di una prova certa che Properzio sia nato veramente ad Assisi, tanto che si è pensato anche a Bevagna, a Spello, e ad altri luoghi dell’Umbria antica, compreso Urbinum Hortense, nella zona di Collemancio nei pressi di Bevagna (G. Maddoli 1963). Perplessità anche sul lacus Umber, tra Bevagna e Assisi, che molti hanno preferito identificare con le antichissime e sacre fonti del Clitunno. La reticenza autobiografica di Properzio era però giustificata. Dunque nessuna forma di schizofrenia autobiografica o effettiva ambiguità, altrimenti inspiegabili. Il segreto di Properzio riposa nella sua opera unica; ma torna ad affiorare, in piena luce, a condizione che si sappiano identificare, e proseguire razionalmente, i suoi stessi segnali e le sue molteplici allusioni. Fin dal primo libro delle Elegie l’autore, allora anonimo dello stesso, dichiarò di nascosto di essere nato ad Assisi, specificando ineccepibilmente il luogo e le ragioni di tanta reticenza. Horos e Vertumnus completeranno il quadro biografico di un genio poetico, nato nell’antica Umbria da noti penati, e precisamente ad Assisi, la cui “integrazione” nel regime augusteo non era stata “difficile”, ma letteralmente impossibile, perché il morto di Perugia (si veda I, 21) era veramente il padre di Sesto Properzio, e non un parente stretto (propinquus), quale uno zio o un fratello maggiore. Anche in questo senso il fallax opus è unum opus, giacché l’inganno consiste indubbiamente in formali apparenze, mentre la sostanza della verità è una sola.

ASSISI – ASIS

1* Lo avevo compreso per conto mio. Prima che Paolo Fedeli lo dimostrasse,1 in questo rampognando Filippo Coarelli2: Cinzia è una donna elegiaca mai esistita, ed è pertanto un’invenzione letteraria (a differenza di Lesbia-Clodia, già cantata da Catullo).3 Non occorre dilungarsi oltre, Cynthia è un enigma. Nel suo nome incominciavano le Elegie (primo libro), che si chiudono (quarto libro attuale)4 con Cornelia (vicinissima alla “casa” di Augusto), morta giovane lasciando figli e marito piangenti. Ossa è la parola ‘chiave’ dell’opera unica (unum opus). Il cielo si è spalancato e le ossa di Cornelia saranno portate tra gli avi gloriosi.5

Se le Elegie sono un solo insieme, cioè un tutt’uno, non ci sarà alcuna variazione: Cornelia è il seguito necessario di Cinzia, che del resto non è mai morta, giacché è subito ricomparsa sull’Esquilino acquoso, dettando nuovi patti.6

La reticenza e ambiguità di Properzio, nella cui opera solitaria vano sarebbe ricercare un’impossibile diacronia, non riguardano “Cinzia”, bensì Assisi (alias il luogo natale), vale a dire una “rocca” o arx digradante a valle, posta nel cuore dell’Umbria antica, tra Perugia e Bevagna (e il lacus Umber).7

Il Monobiblos8– primo canzoniere amoroso per Cinzia – iniziava ricalcando un famoso epigramma efebico di Meleagro per il giovinetto Muisco. E terminava col mito efebico di Ila, amasio di Ercole, risucchiato dalle ninfe delle acque (qui non importano gli incroci e le polemiche letterarie tra Cornelio Gallo e il Virgilio delle Bucoliche), un mito alessandrino che in buona sostanza alludeva al fenomeno ottico della rifrazione (una sottrazione, un rapimento: ma anche ‘doppiezza’).9

Cynthia era un pretesto. Il nome che conta è quello di Gallus (diversi Gallus, e una sovrapposizione tra gli Amores di Cornelio Gallo e gli ignes di Properzio).10

Infine un altro Gallus, l’enigmatico propinquus (cioè “parente stretto” di Sesto Properzio: rectius, Propertius Gallus, padre del poeta, sacrificato alle idi di marzo dell’anno 40 a.C. sulle famigerate arae perusinae per odio e vendetta dello spietato e crudele Caio Ottaviano, che diverrà “Augusto” nel gennaio del 27, e che nel bellum Perusinum aveva rischiato grosso).11

Il mistero di Gallus e della soror (sorella di chi?)12 chiudeva dunque il primo libro di elegie d’amore per Cinzia di un giovanissimo poeta, esordiente a Roma, ma nato in Umbria, che tuttavia non si firmava, a differenza degli altri libri successivi.13 Due oscuri, bellissimi e reticenti epigrammi di dieci versi ciascuno sigillavano il Monobiblos, o primo canzoniere d’amore per una strana donna, Cynthia, tanto apparentemente concreta quanto invece bizzarra, indefinibile e contraddittoria, raggiungendo un pathos ineguagliabile. Massima simmetria e somma reticenza.14Ettore Paratore la definiva di tipo “alessandrino”.

Perché Properzio evitava di indicare il suo luogo di nascita, cioè Assisi (?)15, rinviando all’ultima elegia da lui composta, la grandiosa e misteriosa IV, 1 – Propertius/Horos – per un suo profilo autobiografico essenziale, che non sembra tuttavia accontentare la nostra legittima curiosità, almeno nel senso che lascerebbe in sospeso molte questioni, ingenerando degli equivoci o sovrapposizioni, mentre sarebbe dovuto rimanere un ritratto decisivo circa l’opera unica e l’autore? Tali ambiguità o incertezze riguardano il solo Properzio, esulando dal novero degli altri autori del Circolo di Mecenate e da Ovidio.

E’ chiaro che all’indovino Horos, alter ego di Propertius, non è stato affidato un ruolo grottesco, inattendibile o addirittura schizofrenico.16 Una volta dimostrato – e noi l’abbiamo già fatto17 – che il propinquus è il padre del poeta (esordiente nel 29 a.C., a Roma, all’età di 19 anni)18e inoltre che la soror di Gallus è la madre di Tullo Volcacio19, tutto adesso torna chiaro. Negare l’evidenza è impossibile. La presenza di determinati segnali in I, 21 e 22 comporta inevitabilmente una serie di conseguenze a cascata, del resto perfettamente ascrivibili al contesto formale, alle esigenze dell’autore, e alla natura stessa dell’opera. In I, 22 Properzio indica la sua terra natia, omettendo però il nome della città di origine. Rimarrà sempre nel vago, nonostante la congettura del Lachmann (1843)20per Asisi in IV, 1, v. 125.

Assisi si attaglia perfettamente, ma non è provato con certezza che il testo originale la menzionasse espressamente (come Asisi oppure come Asis). Nessun codice properziano è veramente antico (tutti discendono da un prototipo perduto, dell’VIII secolo, già conservato nella biblioteca palatina carolingia). E’ possibile, seppure improbabile, la lezione alternativa di axis o arcis.

Horos ha il compito di correggere Propertius. Ciò avviene in una prospettiva di consegna al tempo lungo dei fati e della storia. I generi della poesia attengono a pretesti formali, non sono qui né altrove la sostanza vera della composizione, che dobbiamo ritenere essere stata l’ultima l’elegia, appunto concepita come proemio del quarto e ultimo libro. Horos dopo aver apparentemente divagato introduce il tema biografico di Propertius, abilissimo escamotage.

Dall’evocazione di Minerva e di Cassandra, insomma le vicende di Troia, si passa alla biografia essenziale (e completa) del poeta. Attraverso nuove lacrime, e la descrizione geografica di un dato luogo, patria di origine, culminante in un distico che si raccorda strettamente, precisando, con quanto Propertius aveva già asserito 60 versi prima. Scandentisque Asis consurgit vertice murus, / murus ab ingenio notior ille tuo. Così dice Horos impiegando in questo caso una specie di ‘zoom’ modernissimo: Al vertice di Assisi risalente a gradoni sorge un muro, / un muro (questo) che diverrà ancor più noto per via del tuo ingegno.

Propertius aveva già detto, asserendo di essere il Romano Callimaco, nato però in Umbria (Umbria patria), che chi guardi le rocche (arces) che digradano a valle in questa parte della regione, con ciò stimi le vette del mio ingegno.21 Horos, passando al singolare (muros -murus ille), ha focalizzato la patria o luogo di nascita di Propertius, una città o rocca digradante a valle, caratterizzata da un muro su tutti gli altri. Ille murus, proprio quel muro. Un muro che diverrà ancor più noto, dunque un muro o complesso architettonico già noto, già considerato importante. Un edificio singolare, un impianto monumentale: vertice murus. Ed è esattamente il grande complesso del forum di Minerva, che su due ali lunghe cento metri ciascuna col suo tempio dominava la vallata. Un complesso allo stesso tempo civile e sacro,22 un murus e non moenia,23 cioè fortificazioni, almeno nel senso di un’opera grandiosa e rinomata.24

L’elegia a due voci, enigmatica e grandiosa dello sdoppiamento tra Propertius e Horos è un ambiguo e velato capolavoro di “arte allusiva”. Presa alla lettera, sembra che il poeta elegiaco umbro aspirasse infine a essere il nuovo Callimaco Romano, sebbene Cinzia compaia ancora per tre volte, in condizioni estreme. In realtà, il mascheramento nasconde il patriota dell’Umbria del bellum Perusinum ormai in piena età augustea e l’indovino Horos ne detterà il tratto biografico essenziale senza alcuna ambiguità possibile. Una sola vicenda e una biografia unitaria, senza ambiguità: unum opus, come confermerà il cangiante e mutevole dio etrusco Vertumnus, ammiccando dal vicus Tuscus. La vera chiave di lettura dell’opera unica era stata fornita già al termine del Monobiblos. Il morto parlante di Perugia, propinquus del poeta,25 e la misteriosa “sorella”26 condizionavano in radice l’impianto poetico. Horos ha il compito di ricondurre a un solo significato possibile un’opera unitaria (unum opus) dai molteplici pregi apparenti.

L’elegia dello sdoppiamento necessario che inaugura il quarto libro ha lo scopo di dichiarare il vero Propertius sotto il velo dell’illusione. Ed è l’elegia grandiosa del ritorno da Roma ad Assisi, ultima voce di un genio sommo. Dopo di che il silenzio, e non la morte precoce.27Causa perorata est.28

2* Forse mai notato in precedenza, Asis29si presta a meraviglia, in conformità al numero delle “esse” (6 esse), nei due passi affini di IV, 1, 65 (Propertius) e di IV, 1, 125 (sessanta versi dopo: Horos). Il che esclude le varianti di arcis o axis astrattamente possibili.30Asis o Asisi al genitivo, in luogo di Asisium.

Ci torneremo sopra. Intanto però cavo camposupposito campo confermano l’indicazione geografica di Assisi e il dramma di Gallus Propertius, il morto di Perugia, insieme ai Perusinasepulcra, alla pulvis Etrusca dolor!, agli eversos focos antiquae gentis Etruscae (dolorunica nata meo pulcherrima cura dolori).31

Ripeto che non è necessario dilungarsi troppo: quaeris – quaeritis. Tullo (tu che già sai), tu mi “chiedi”quaerisquali siano i miei Penati, quale la mia origine (unde genus), e quale la mia storia? Voi mi “chiedete” – quaeritis – da dove vengan fuori questi miei versi?

Properzio segreto si è occultato in I, 21 e 22. La sua non è un’autobiografia scissa in due tronconi distinti, quindi pressoché schizofrenica, con uno “zio” ucciso nelle retrovie, e in inverosimili circostanze, all’epilogo del bellum Perusinum (Perusina sepulcra), dopo essersi miracolosamente sottratto alle “spade” di Caio Ottaviano Cesare (nell’ultima mischia), e un “padre” di cui troppo presto si raccolsero le ossa in un’età assai precoce (cioè nella puerizia).32

I numerosi, insistiti, martellanti e coerenti ‘segnali’ di Properzio, andavano colti e seguitati fino in fondo. L’ho fatto, e dentro vi ho scoperto – ante tempus, sed! – “Mecenate” e “Assisi-Asis” (< ecce amice, mons et rus Asis > / Maecenas eques spem propitia umbri Properti! / Propertia nostra, soror et mater amici >).33

Mi soffermo un attimo sul distico finale di I,21: et quaecumque super dispersa invenerit ossa / montibus Etruscis, haec sciat esse mea. E’ il morto parlante di Perugia, Gallus, che così ha terminato il suo discorso. A parte il problema generale della genuinità testuale e i problemi interpretativi che ha sollevato questa chiusa, Gallo dice: E chiunque troverà delle “ossa” disperse sui montiEtruschi (nei dintorni di Perugia), costui sappia che quelle “ossa” sono “mie” comunque. L’episodio del morto parlante scampato per miracolo alla mischia furibonda al termine del bellum Perusinum, bensì ucciso a tradimento da alcuni ladroni oppure da militari rastrellanti in una vigliacca imboscata nelle retrovie, è chiaramente fittizio.34Gallus (Propertius), come tutti gli altri caporioni umbri della rivolta a difesa delle terre soggette a esproprio, fu crudelmente sacrificato alle idi di marzo del 40 a.C. sulle arae perusinae in onore di Giulio Cesare dalla implacabile vendetta di Ottaviano. Quelle povere ossa furono dunque “raccolte” pietosamente da una vedova e da un bambino (di otto anni non compiuti).35

Si comprende chiaramente che almeno i due epigrammi di sigillo del Monobiblos devono essere cifrati, giacché provvisti di tutti i segnali indicativi in tal senso.36

Di che ti meravigli? – Dammi una veste di Cos e sarò una cedevole fanciulla”… Cioè, versus-versus. Questo è quanto. Novo versu. La metrica quantitativa è scomparsa ed è emerso il nuovo, l’indicibile, il taciuto. Quella “porta chiusa” – un tempospalancata agli antichi trionfi – adesso ha “parlato”. Fino all’alba, col “canto degli uccellini”.37

Il segreto è Assisi. Questo l’enigma. Tacere era necessario. Appunto, per poter scrivere e tramandare. Il nuovo Demostene si trasformò immediatamente – poco dopo aver dismesso la toga pretesta e la bulla aurea – in un “sommo poeta”, molto più grande di quanto non sembrasse già (ed era già grandissimo, da subito: più grande di Omero nell’epica e più grande di Mimnermo in amore).38

L’aver taciuto inventando (e quali invenzioni!), riunisce il tratto biografico essenziale nella sua tremenda stringatezza, e rivela l’unità profonda dell’opera unica, dai molteplici pregi apparenti. Assisi è la chiave di volta. Togliete questo nome, e non resteranno che dolci versi, “tenui come pomice”, e una serie di enigmi insolubili. Properzio era un “vulcano”, come l’Etna, e le Elegie sembrano quasi un labirinto di specchi, bui o risplendenti, senza un vero filo d’Arianna. “Opera ingannevole”, appunto. “Sterile come arena”, se imbelle è l’esercito verbale che deve acquistarsi l’eternità. Haec tua castra! Fino agli astri, dove la grande via bianca del cielo – da polo a polo – prima genera la vita e poi la riporta con merito tra gli avi gloriosi. Le ossa di Gallus Propertius asisensis non rimasero polvere.

3* Esistono i Mani” (sunt aliquid Manes: letum non omniafinit). Mox sola tenebo – mecum eris. L’Empusa39 – Cinzia morta che appare in sogno – ha la doppiezza totale della morte e insieme dell’immortalità. E’ arte purissima, purificata dal dolore nella grandezza inestinguibile dell’anima. Il Signor Ego non è finzione, non è un gioco erotico letterario e autoreferenziale. Egli non appartiene agli elegiaci d’amore, ed è invece l’elegiaco per eccellenza: perché si tratta di “amore e morte”, celebrazione epica e pianto funebre, “flauto” nuziale e insieme “tuba” funeraria. Cinzia possiede altre virtù rispetto alle donne elegiache, viene da un altro universo e appartiene soltanto a se stessa. E’ come una fonte purissima d’acqua, ma dal fondo nero, oscuro, e queste sono delle apparizioni magiche.

In origine è lava infuocata, un eruttivo zampillo di fuoco indomabile, di cui resta la “pomice lieve” del verso amoroso, curato alla perfezione. Ed è cenere. Il “cenere” di una “fanciulla” paradossale, vecchia come la Luna o la Sibilla cumana. Tra le mille contraddizioni che la caratterizzano come una serie di ossimori, per ritrovare la vera “Cinzia” occorre almeno sapere dove veramente abiti. Quale sia la sua vera casa. Noi diciamo Assisi, confortati anche da III, 10.40 La casa ‘ubique’ di Cinzia è anche la “casa di Properzio”. Unico il loro ‘letto’.41 Le contraddizioni di Cinzia riflettono in buona parte quelle del suo creatore. Non ci può essere una distinzione oggettiva tra il poeta e la sua donna da lui cantata, ma ci deve essere una fusione, una sovrapposizione, una metamorfosi in atto come parto letterario necessario, anzi necessitato e condizionato.42

Assisi, città natia di Properzio, è il luogo segreto di una vicenda drammatica tenuta nascosta, non riferibile, ma non per questo esclusa in radice e confinata nel sempiterno sepolcrale silenzio del foro interiore di un genio sofferente. Non si può perdonare all’assassino crudele e spietato che vincitore nel marzo del 40 quelle vite avrebbe potuto risparmiare. Cinzia, che da sola prende il Monobiblos che, in ogni caso, non poteva non chiudersi in quella strana maniera in cui difatti effetti si conclude (elegie I, 21 e 22 filtrate attraverso la I, 19 e la I, 20 in cui rispettivamente si allude prima alla morte – Cinzia, io non temo i tristi Mani – e poi alla sottrazione di Ila), è il tema unico di un’opera solitaria, voluta e concepita come tale. Opera somma, opera rara, nella quale era stato detto tutto, senza alcuna possibilità di replica o cambio d’argomento: un vero pezzo unico. Il nome di Cinzia sarà poi accostato a Mecenate e ad Augusto. L’insistita teoria della poesia elegiaca, improntata a Fileta di Cos e a Callimaco, fonderà – nelle continue “ricusazioni” di un’epica serva – il distacco assoluto dal potere invasivo e pervasivo di Augusto. Caio Ottaviano Augusto, nipote di Giulio Cesare, aveva impresso una svolta radicale e irreversibile alla storia di Roma, già di origini incerte, prevalentemente mitiche, pretendendo di discendere da Venere e dalla stirpe di Enea profugo di Troia. Virgilio fu una vittima illustre di queste pretese o haud molliaiussa, mentre Properzio fu il solo a esercitare la più raffinata delle vendette: il magnificare esagerando, e poi di nascosto tutto il contrario, persino con insulti e una pioggia di maledizioni.43

Se esistono i Mani, se con la morte non tutto si estingue, per quale ragione una storia d’amore, comunque finita male (Cinzia – in IV,5 – è ormai di fatto sfiorita, ed è prostituita dalla “lena Acantide”, la “Spinosa”, dopo un asserito distacco di Properzio), dovrebbe adesso ricominciare di nuovo nell’inestinguibile ricordo di un tempo passato, la meravigliosa veste Coa, le bianche rose del tempio di Atena a Paestum, bruciate dalla calura nello spazio di un mattino, per concludersi in un ‘ritorno al futuro’ con una immaginaria ‘macchina del tempo’? Perché l’elegia IV, 5 precede quella di Tarpea, vittima di un amore non corrisposto, morta soffocata e sepolta sotto gli scudi dei Sabini di Tito Tazio conquistatori del Campidoglio,44 e come mai segue un’elegia celebrativa del tempio di Apollo sul Palatino (e della vittoria navale ad Azio nel 30 contro una donna, Cleopatra–Iside, senza citare Marco Antonio),45 mentre a seguire (elegie IV, 7 e 8) Cinzia morta compare in sogno e poi più viva che mai di nuovo sull’Esquilino?

L’investigatore attratto dalla sostanza, non condizionato dalla forma apparente, dovrebbe perciò convincersi che tali stranezze celano un profondo significato. Dovrebbe cioè accorgersi che il discorso di Horos e a seguire gli ammonimenti di Vertumnus (elegia IV, 2) già davano coerenti indicazioni suggerendo altre vie. E dovrebbe comprendere anche che “Assisi-Asis” è l’aspetto cruciale dell’intera questione, non potendo fare a meno di una necessaria unità biografica e di un filo conduttore interno.

Ricucendo la ‘trama minima’ delle Elegie, che si porrebbero formalmente sul solco letterario che da Varrone Atacino per Leucadia “sua fiamma” (dopo aver compiuto il poema di Giasone),46arriva fino agli Amores di Cornelio Gallo morto suicida perché inviso ad Augusto (passando anche per Catullo e per Calvo), con Sesto Properzio, che pone temporalmente al quinto posto le sue elegie per Cinzia, dobbiamo dire che il Monobiblos ebbe immediato successo nel Foro, che il giovane poeta non dichiarava apertamente la sua oscura vicenda esistenziale, che le scansioni temporali nelle elegie tendono a evaporare, che l’elegia d’amore, pur inferiore all’epica, che da lui veniva rifiutata, tuttavia si presentava, in quel giovane poeta di appena 19 anni, come sicuro veicolo d’immortalità (più grande di Omero e dell’antico Mimnermo), a differenza del genere del giambo (praticato da Basso) e del poema di Pontico su Tebe Cadmea. Questa insistenza sul genere elegiaco si può spiegare con l’ossimoro di Cinzia: potente nella bellezza – leggeranelle parole. Con Cinzia incardinata nell’ego del suo poeta,47che a sua volta rimane nascosto nella sua oscura vicenda biografica. Il tema centrale di Cinzia, esaltato nelle lezioni di “metapoesia” impartite in vari luoghi,48 anche a riguardo della nascente Eneide di Virgilio, è però smentito da Horos nel paradosso della “finzione” (che infatti dovrà perdurare), e da Vertumnus nella negazione che nel quarto libro il genere sia variato per argomento (unum opus). Pertanto le Elegie inducono a ritenere che Cinzia effettivamente nasconda un trucco genetico, in analogia alla sua primitiva descrizione (elegia I, 2), seguente alla presentazione di Cinzia come passione totale, insana e furiosa. L’ambiguità di Cinzia è coeva ed originaria, e l’andamento del Monobiblos vi aggiunge altri enigmi, come appunto la serie incertissima di vari Gallus, ed infine il Gallus di I, 21 con la speculare soror misteriosa. Horos avrà in bocca un ultimo Gallus, accanto a Lupercus, i due figli di Arria mater avara.49

Aspetti singolari, oscuri, pressoché incomprensibili, caratteristici soltanto di un poeta anomalo come Properzio, che nella serie degli elegiaci romani da lui tracciata, è indubbiamente un’anomalia. Lui il poeta dell’antica Umbria, di cui l’Umbria andrà fiera.50

ANALISI DEI DISTICI AFFINI IN PROPERTIUS – HOROS

1* Una grandiosa ed enigmatica composizione inaugura il quarto e ultimo libro delle Elegie. E’ una composizione doppia, nel senso che prima parla e si esprime Propertius e poi il discorso sarà definito e concluso da Horos nella sua veste di indovino e astrologo. E’ in questa difficile e oscura elegia che si registra il raccordo stretto col sigillo anonimo del Monobiblos e il completamento dei dati autobiografici del poeta umbro. Per raggiungere questo scopo, che non ha un carattere occasionale, cioè secondario e accessorio, ma principale e prioritario, era necessario introdurre due personaggi parlanti e un tema contrapposto e dibattuto: Roma e l’Umbria. Dallo sfondo antiquario della Roma primitiva di Evandro, prima dell’arrivo in Italia del mitico Enea,51Propertius arriva a parlare di se stesso, della sua arte, dei suoi nuovi progetti letterari: dovrà adesso cantare i destini di Roma, e l’Umbria ne andrà superba. Sarà lui, Propertius, il nuovo “Callimaco Romano”, però nato nell’antica Umbria. Date fausti auspici. Per te, o Roma, sorge l’opera: canterò i riti, i giorni, e gli antichi nomi di luoghi.52

Horos si raccorda criticamente alla voce di Propertius, emergendo come suo alter ego censorio. Il poeta vorrebbe cantare le mura sacre di Roma,53 nutrite dal latte della Lupa Marzia, sebbene esile sia il suo petto. Il nuovo Callimaco Romano, nato in Umbria (nel cuore dell’antica Umbria), sarà tutto al servizio della sua patria (Roma o l’Umbria?). L’ambiguità virtuale di Propertius si sospinge fino all’estremo limite del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. L’Umbria sarà fiera di questi libri perché un suo figlio, nato nel cuore dell’Umbria antica, è il poeta dei fati di Roma.

Scandentis quisquis cernit de vallibus arces, / ingenio muros aestimet ille meo. Chi guardi alle rocche che risalgono dalle valli, / costui stimi questi muri in base al mio ingegno.54 Non c’è alcun dubbio che ci riferisca alla valle centrale dell’Umbria, al cavo campo in cui scorre il Clitunno, da Bevagna fino al Tevere, fin sotto Perugia.55 In una località come una di queste rocche della verde e fertile vallata del Clitunno, Properzio è nato. Al termine del Monobiblos la descrizione del paesaggio è conforme: mi ha generato l’Umbria, in un luogo vicino a Perugia, fertile per le sue terre ubertose (proximo campo).56

E’ singolare che Propertius – ormai da tempo trapiantatosi a Roma – voglia di nuovo ricordare la sua antica patria dell’Umbria. E che lo faccia, adesso, in circostanze per lo meno non chiare, se non volutamente contraddittorie, certo non si spiegherebbe a meno di postulare un segreto nascosto. La necessaria razionalità d’insieme ingenera dunque un forte sospetto. Dalla Roma primitiva e mitica di Evandro si è passati alla storia di Roma e all’Umbria. L’opera letteraria promessa non potrà attualizzarsi. Dove corri, o Properzio, alla rinfusa, qua e là, tu incapace di cantare i fati?Horos è la seconda persona di Propertius, sua voce censoria occulta. <Tu non sei adatto a queste cose. Te lo dice un indovino verace, un abile scrutatore del cielo, capace di predizioni esatte>.

Questo il concetto essenziale inizialmente espresso da Horos che irrompe sulla scena smorzando gli ardori progettuali Propertius, presentandosi così, da subito, col suo affinato mestiere di astrologo provetto (aerata pila, cioè la sfera armillare di bronzo, e gli obliquae signa iterata rotae, cioè il ritorno delle costellazioni sull’eclittica).

C’era dunque bisogno di una piena smentita, garantita dall’escamotage dello sdoppiamento, che è tanto più incisiva per i suoi raccordi in base alla specifica collocazione.

Questa smentita o ennesima ricusazione di Properzio a celebrare i fati di Roma ha una valenza generale e onnicomprensiva, investendo interamente l’unum opus da cima a fondo. Basti considerare che il Monobiblos ha senso in conformità al suo sigillo, e che Propertius-Horos, elegia dello sdoppiamento necessario, è il sigillo finale dell’opera unica, che pur inaugurando il quarto e ultimo libro, in realtà racchiude in sé il vero significato complessivo, effettivamente l’ultima elegia di Properzio, prima del suo definitivo silenzio, con un hysteron-proteron costruito ad arte.

Questo schema razionale è la chiave di comprensione autentica di un’opera destinata all’inganno. Difatti si fonda sul ritorno definitivo di Properzio al suo luogo d’origine, dopo essere giunto a Roma da bambino, con sua madre, poco dopo la morte del padre (Gallus Propertius – cioè il morto di Perugia).

Roma, Bevagna e Assisi si trovano allineate sullo stesso asse geografico in verticale che da sud risale a nord.57 Non è un caso, bensì è il filo conduttore di Propertius-Horos che è dunque il sigillo autobiografico del poeta nella misura in cui ciò rappresenta e riassume anche il significato nascosto, però unitario, della sua voce poetica e presenza artistica a Roma nel circolo di Mecenate. Properzio è l’anomalia vera della grande poesia dell’età d’Augusto, voce solitaria e ribelle non intonata al coro.

2* Horos intende provare le sue capacità. Formula perciò uno strano oroscopo, il cui modello forse potrebbe essere rintracciato in Orazio,58ma le mere apparenze ingannano. L’indovino si vanta della predizione di morte per i due figli di Arria, Gallo e Luperco. Passa poi a Cinara, travagliata dalla lentezza del parto. Ella fece un voto esaudibile a Giunone, finalmente partorì, e toccò la gloria (sic) ai “libri” di Horos, il cui nome, accostabile a “Horops”, equivarrebbe a “oroscopo”, cioè, letteralmente, “osservatore della natività” (o del “sorgere” degli astri). Gli episodi di Arria e di Cinara, due donne completamente sconosciute, sono indecifrabili. Luperco potrebbe essere il soprannome di Marco Antonio (morto suicida in Egitto nel 30 a.C.). Dopo di che l’indovino, che aveva già evocato la caduta e la resurrezione di Troia a Roma, torna di nuovo all’Iliade con Cassandra che si aggrappa alle vesti di Minerva per cercare di resistere alla violenza di Aiace Oileo, ma la flotta greca vincitrice a Troia farà naufragio sulle coste dell’Eubea. A questo punto Horos introduce il tema biografico di Propertius, con un raccordo di “nuove lacrime”. Il poeta elegiaco che avrebbe voluto cantare i fati di Roma, si vede costretto ai suoi “astri” (alla vicenda del suo destino). Il punto di sutura tra mito e storia personale è in qualche modo Minerva, che vieta all’aggressore Aiace di strappare la profetica Cassandra dalla sua “veste”.

Tracciato da Horos – in modo essenziale ma saliente – il profilo biografico di Propertius, riportato alla sua terra d’origine, l’antica Umbria, l’indovino che si proclama veritiero ne inquadra l’arte poetica, legandola all’elegia d’amore. Un amo (uncum o uncino) lo tratterrà per la gola, a suo capriccio (il volere di questa forza) il giorno si muterà in notte, senza quel volere non una lacrima cadrà dagli occhi di Propertius, totalmente succube. L’elegia dello sdoppiamento si conclude con un verso di ammonimento o di maledizione: octipedis Cancri terga sinistra time! (temi il dorso funesto del Cancro o granchio dagli otto piedi: cioè octopous).

Che significa tutto questo? L’opinione prevalente ritiene che in un equilibrio calcolato Properzio abbia alluso all’ambiguità tra due generi letterari che lo riguardano da vicino: cioè l’elegia erotica e l’elegia eziologica sul modello di Callimaco.

Questa interpretazione che cerca di conciliare Cinzia con le c.d. elegie romane di carattere antiquario non sembra razionalmente fondata e perciò condivisibile. Lo esclude l’argomento decisivo della ricucitura dei dati biografici del poeta e la singolare situazione di stretto raccordo con il sigillo del Monobiblos. L’Umbria antica appare invece come il vero argomento nascosto, in contrapposizione a Roma (basterà rammentare che il bellum Perusinum derivò dalla Romana Discordia).59 L’ambiguità di Propertius-Horos (elegia IV, 1) deriva cioè dal nascondimento, mentre il filo conduttore rimane in ombra. Parti posticce ne velano lo scopo, distogliendo l’attenzione formale su particolari artificiosi. La parola chiave è ossa, le ossa del morto di Perugia. Propertius non può cantare la gloria di Roma giacché Gallus60fu una vittima sacrificale della Discordia Romana.

Diamo uno sguardo all’ingarbugliato oroscopo di Horos. Che cosa può significare il riferimento ai pianeti esterni, cioè l’astro di Giove che è propizio, il rapace Marte, e poi Saturno, grave su ogni capo? Che cosa apportano i Pesci, l’animoso segno del Leone, e il Capricorno bagnato dall’acqua Hesperia? Tre pianeti esterni e tre segni zodiacali. Un oroscopo affine fu utilizzato da Orazio per salutare la guarigione di Mecenate da una grave malattia. Il caro amico del grande etrusco si rifà alla Bilancia, al timido Scorpione, segno del tema natale di Orazio, e al Capricorno che regge il mare di occidente. Giove amico difese Mecenate dall’empio Saturno, così ritardando il volo del destino. Quando invece la caduta di un ramo minacciò la vita di Orazio, allora fu Mercurio d’aiuto.

Gli astri dunque condizionano la vita umana, mentre le stelle di Propertius appartengono a Cinzia (senza che Horos debba nominarla).

E che significherebbe, infine, quell’ultimo verso di Horos di ammonizione oppure di maledizione, riferito al segno del Cancro? Tra Properzio e Cinzia c’era stata la rottura (elegie 24 e 25 del terzo libro). Un abbandono di genere letterario? No. Non è così. Cinzia, infatti, ricompare fatalmente nel quarto libro. Perciò, in che cosa consisterebbe “Cinzia”, giacché non è mai esistita?

Se ci facciamo caso, la sequenza ordinata delle parole terga sinistra time corrisponde a parole analoghe già presenti nelle due elegie del discidium da Cinzia che chiudono il terzo libro. Non può essere un caso, tanto più che OctipediCancri richiama le iniziali di Octavianus Caius (o Gaius).61 Ne ho ritratto la conclusione che Properzio, che per i motivi di cui alla parte segreta del sigillo del Monobiblos non può cantare né Augusto né Roma, cantando il suo amor per Cinzia, ha rovesciato la situazione. Properzio ha fatto ricorso ad anagrammi per nascondervi il suo irrimediabile risentimento. Se dice bene di Augusto, in realtà lo maledice. Se canta Cinzia lo fa per non dover cantare Roma. Spettava all’alter ego Horos suggerire questa diversità. La biografia inscindibile di Propertius che perse il padre da piccolo, all’età di otto anni non compiuti, costituisce il tratto saliente dell’intero significato dell’opera poetica solitaria. Così occultato, il poeta dell’Umbria può gloriarsi dei suoi libri e della sua arte. Fingendosi il nuovo “Callimaco Romano”, ma pienamente consapevole del suo genio inimitabile, ha scritto elegie destinate all’inganno: elegie d’amore, per sfogare la sua passione d’altra natura, elegie dotte per contraddire la poesia cortigiana.

Prima di passare alla biografia di Properzio e all’Umbria antica, sua patria natale, diamo un ultimo sguardo alla prima parte dell’oroscopo di Horos.

Nel modello cosmologico geocentrico i pianeti esterni conservavano le loro maggiori orbite. Gli astronomi antichi ne conoscevano i periodi siderali. Pianeta significa stella vagabonda, stella che si muove, rispetto alla fissità degli altri astri.

Il periodo sinodico di Marte è di 780 giorni. Ogni 2,12 anni (con l’anno di 365,25 giorni come stabilito dalla riforma cesariana del calendario romano),Marte ritorna allo stesso punto sullo sfondo delle stelle fisse. Giove e Saturno hanno periodi sinodici brevi, ma periodi siderali molto lunghi. Rispettivamente 11,86 anni per Giove e 29,46 anni per Saturno. Se prendiamo come riferimento il sistema Terra-Marte, vale il fattore 2,12 sopra considerato ( 780: 365,25 = 2,12).

Se assumiamo i periodi siderali arrotondati e compensati di Giove e di Saturno, cioè 12 e 29 anni, moltiplicando tra loro i fattori (2,12 – 12 – 29), otterremo un minimo comune multiplo di 738 anni, o grande anno siderale. Se Roma fu fondata sul Palatino il 21 aprile del 753 a.C. (data cristiana rispetto all’anno zero), allora l’anno 15 a.C. (anno della datazione interna ricavabile dal quarto libro delle Elegie) corrisponde all’anno 738 ab urbe condita. Tale coincidenza depone a favore del significato occulto dell’oroscopo di Horos. Propertius sapeva che nell’anno 15 a.C. si era compiuto il grande anno siderale dei pianeti esterni rispetto alla fondazione di Roma. Quindi la maledizione finale di Horos che si dirige contro Caio Ottaviano con riferimento alla morte di Gallus Propertius alle idi di marzo dell’anno 40, suonerebbe in questi termini: < Irrita sede (giacché divenuto Augusto nel 27), C. Oct. signa criminis petat > (Dalla sua indegna sede C. Ottaviano domandi i segni del suo crimine). La sequenza tergasinistratime rinvia a dati versi del falso discidium da Cinzia, contenenti di nascosto pesanti maledizioni sui destini (fata) di Roma. Nessun “Callimaco Romano”, ma il poeta nascosto dell’Umbria avvilita.

3* Da Roma ad Assisi.Il temacelato in Propertius-Horos è quello della vicenda dolorosa di Propertius, che non poteva essere narrata altrimenti. Richiudendosi l’anello si è completato. L’umbro Properzio trasferitosi a Roma da bambino può ritornare per sempre nella città che gli diede i natali. L’umbro sentiero del Clitunno, che si dirigeva al Tevere, sotto Perugia, e sul Tevere affluiva poi l’Aniene, è recuperato a ritroso. L’opera è compiuta.

Propertius:

Umbria Romani patria Callimachi!

Scandentis quisquis cernit de vallibus arces,

ingenio muros aestimet ille meo.

E’ l’Umbria la patria del romano Callimaco!

Chi osservi quelle rocche risalire dalle valli,

quei muri costui paragoni al mio ingegno.

Horos:

Victor Oiliade, rape nunc et dilige vatem,

quam vetat avelli veste Minerva sua!

Hactenus historiae! Nunc ad tua devehar astra.

Incipe tu lacrimis aequus adesse novis.

Umbria te notis antiqua Penatibus edit

(mentior? an patriae tangitur ora tuae?)

qua nebulosa cavo rorat Mevania campo,

et lacus aestivis intepet Umber aquis,

scandentisque Asis consurgit vertice murus,

murus ab ingenio notior ille tuo.

Ossaque legisti non illa aetate legenda

patris et in tenuis cogeris ipse lares:

nam tua cum multi versarent rura iuvenci,

abstulit excultas pertica tristis opes.

Mox ubi bulla rudi dimissa est aurea collo,

matris et ante deos libera sumpta toga,

tum tibi pauca suo de carmine dictat Apollo

et vetat insano verba tonare foro.

At tu finge elegos, fallax opus (haec tua castra!),

scribat ut exemplo cetera turba tuo.

Vincitore Oileo, rapisci adesso e ama la profetessa,

che Minerva con la sua veste vieta di portar via!

Ma basta con le storie. Veniamo adesso alle tue stelle.

Comincia a prepararti rassegnato a nuove lacrime.

L’antica Umbria ti diede i natali da illustri Penati

(mento oppure la bocca della patria tua?)

là, dove la nebbiosa Bevagna stilla a valle,

e il lago Umbro d’estate intiepidisce le acque,

e della risalente Asis sorge un muro al sommo,

quel muro ancor più noto per il tuo ingegno.

E le ossa, in quell’età in cui non accade, raccogliesti

di tuo padre e tu stesso ti riducesti in tenui Lari:

infatti, un tempo molti giovenchi riversavano i campi,

ma la triste pertica ti confiscò le belle terre.

Subito quando la bolla d’oro ti fu tolta dal collo

e di tua madre davanti i dei indossasti la toga dei liberi,

allora Apollo ti dettò qualche verso

vietandoti di tuonare nel Foro delirante.

Ma tu fingi elegie, opera ingannevole (qui i tuoi accampamenti),

una folla di seguaci scriva sul tuo esempio.

In questi versi si notano ripetizioni di parole, scansioni ritmate di concetti, richiami e ricuciture dal sigillo del Monobiblos. Ed è veramente la parte che conta dell’ultima elegia ‘firmata’ da Properzio. Il resto è un riempitivo illusorio condizionato dall’inganno. Farebbe lo stesso se Gallus Propertius fosse nato a Bevagna, a Spello, a Urbinum Hortense,62 o ad Amelia. Sappiamo però, già dal sigillo epigrammatico del Monobiblos, che Gallus Propertius era un asisiensis.63

Che così fosse, lo abbiamo dimostrato in “Properzio segreto”: < ecce, amice, mons et rus Asis > (vedi, amico mio, questo è il monte e questa la campagna di Asis-Assisi). Ma lo dichiara anche Horos, alludendo a Minerva. Assisi umbra era caratterizzata da una zona monumentale, di grande impatto architettonico e di rara bellezza, col tempio di Minerva sorgente sopra la vallata. La Minerva di Assisi, statua greca “assisa” in trono, è ornata da una bellissima veste. Le coincidenze sono troppe, fermo restando che le fonti antiche abbondano su Bevagna, mentre Assisi è completamente ignorata, fino a Tolomeo e a Procopio, per cui non si capirebbe bene perché un edificio, cioè un muro già noto, e dunque rinomato, dovesse diventare ancor più noto e famoso, a meno di fonti perdute.64

Un altro problema riguarda l’identificazione del lacus Umber, interposto tra Bevagna e Assisi, distinguibile dalle ben famose, antiche e venerate fonti del Clitunno, assegnate da Caio Ottaviano a Spello.

Gli elementi nuovi da me individuati e raccolti anche nei pezzi dedicati alla “Casa della Musa”, dimostrano che Assisi è la città natale di Properzio e che il nome antico era Asis.

A questo punto dovremmo entrare nel merito della questione etimologica e geografica legata ad Asis, poiché le lezioni alternative di Axis o arcis recate da altri codici difettano del requisito costante delle sei “esse”65che accomuna le indicazioni di Propertius (verso 65) e quelle di Horos (verso 125) con un trapasso dal plurale generico al singolare specifico (muros-murus).

4* Nelle tavole di Gubbio, monumento linguistico umbro, troviamo il termine aso col significato di calore, cottura (ma secondo il Prof. Augusto Ancillotti il termine coincide con ‘asse’, ‘tavoletta’ in quanto identico al latino as assis).66 Stando a Giovanni Semerano il nome Assisi (che proverrebbe da Asu) significa “piccolo monte”.67

La lezione del Lachmann era a favore di Asisi, ma il codice Neapolitanus riporta Asis. Giorgio Bonamente nel 1984 dimostrò la compatibilità metrica di Asis nel relativo esametro. Oggi è comunemente accettata la lezione Asis per Assisi, sebbene Gianfranco Maddoli ciò contestasse nel 1963.

In ogni caso non bisogna confondere i termini esatti della questione. Un conto è l’affermazione che Properzio sia nato ad Assisi, ricavata induttivamente e per esclusione dalle indicazioni geografiche ecc. di Horos e di Propertius sopratutto nel sigillo del Monobiblos, altra cosa è la giustificazione etimologica e filologica di Asis.

Nel 1964 Armando Salvatore68 si pronunciò chiaramente a favore di Assisi in base alle indicazioni e descrizioni geografiche al termine del Monobiblos e in Propertius-Horos (elegia IV,1).69 E’ noto dalle fonti che Bevagna aveva seguito le parti di Antonio contro Ottaviano. Ma non è un argomento preclusivo per Assisi, che del resto raccoglie la massima parte delle lapidi della Gens Propertia (circa una ventina).70

La domus Musae valorizzata da Margherita Guarducci come “casa di poeti” o “casa della poesia” confermerebbe le origini assisiati di Properzio, ma su questo faccio rinvio ai miei interventi critici.

Armando Salvadore faceva osservare che il verso 125 messo in bocca a Horos esige un nome di luogo, altrimenti sarebbe incomprensibile a quale murus (al singolare) ci s’intendesse riferire. Pertanto è Assisi (sebbene ciò non escluda una diramazione a Bevagna della gens Propertia).

La congettura del Lachmann, col lieve emendamento in Asisi, che elimina l’omeoteleuto che potrebbe avere originato Asis, costituirebbe una felice soluzione, sebbene la lezione Asis sarebbe un unicum nella storia della lingua e della toponomastica latina (su cui, appunto, si fondavano anche le obiezioni di Maddoli). Per il Salvatore la lettura del Lachamann è un’ottima soluzione sul piano paleografico, anche se potremmo trovarci davanti a un caso di aplografia (di semplificazione dei segni grafici oppure di corruzione del testo). Era pertanto auspicabile che la linguistica recasse una qualche luce sulla intelligenza del nome Asis. Il che è avvenuto nel 1997, con un articolo di Paolo Poccetti Sul nome preromano di Assisi in margine alla restituzione testuale di Properzio IV, 1, 125.71

Prima di ripercorrere il tema linguistico, vorrei ricordare che in luoghi speciali di “Properzio segreto” ho potuto rintracciare il nome Asis, con mia sorpresa. Uno di questi luoghi speciali è il richiamo a Mens Bona, in III, 25, 19. Guarito dalla insania amorosa, il poeta invoca la Dea Ragione, consacrandosi a lei. Mens Bona, si qua dea es (“giacchè sei una dea”), si trasforma in deaque Asis (e “dea” di Assisi).

La radice – mens è molto interessante.72 Insomma “Properzio segreto” (e ci sono ottime ragioni per ritenere che sia così) mostra di conoscere il ruolo di Minerva ad Assisi e il culto che le era dedicato come dea della saggezza. La sorpresa di tali collegamenti occulti deriva anche dal fatto che Horos si rifà al caso di Cassandra aggrappata alla veste di Minerva, prima di passare al profilo biografico di Propertius connotato da nuove lacrime. Se poi ci si richiama a vertice murus (scandentisque Asis consurgit vertice murus), sulla base della linea geografica sud-nord pressoché perfetta che allinea Roma, Bevagna e Assisi, allora la cosa diviene parlante: Horos ha inteso alludere al magnifico complesso monumentale civile e sacro (murus) del tempio di Minerva ad Assisi, contornato da ali murarie gigantesche, estese ciascuna per oltre cento metri (notior ille murus ab ingeniomeo = “e quel muro diverrà ancor più noto per il mio genio”).73

Soltanto Assisi allinea tutte queste caratteristiche. Accanto al Properzio che oggi leggiamo coesiste un “Properzio segreto”. La scoperta è sicura, sebbene si possa dubitare sulla sua effettiva estensione. Quanto all’intensità della copertura o cifra remota dovrebbe far riflettere il fatto che il Monobiblos è anonimo (sebbene firmato segretamente) e che il nome di “Assisi” qui sarebbe dovuto comparire, se non ci fossero state assolute ragioni di riserbo. La singolarità delle varianti Axis,arcis, Asis si spiega anche in base a tale necessaria riservatezza, che era già in precedenza una copertura omissiva o trasformativa. Properzio non intendeva rivelare le sue origini assisiati per ragioni politiche inerenti al bellum Prusinum. Ma Asis compare segretamente nel sigillo del Monobiblos: ecce amice mons etrus Asis. E compariva già in I, 20 (mito di Ila).74

Il silenzio su “Assisi” nel Monobiblos indica un massimo riserbo. Perché tacere? E’ evidente che la vicenda reale di Gallus – il morto parlante di Perugia – non corrisponde per niente rispetto a quanto figura in I, 21 come racconto in prima persona del morente. Ciò significa anche che ragioni oggettive impedivano di riferire o riportare la verità, considerato altresì il fatto che il Monobiblos, unico libro delle Elegie a non essere espressamente firmato, rimaneva anonimo. Ed anche se Horos intendeva, senza dubbio, riferirsi ad Assisi, non è infine provato che Asis figurasse in modo espresso nel testo originale. Al contrario, noi abbiamo mostrato – e razionalmente giustificato – che il nome Asis compare più volte, segretamente, in luoghi cruciali. Pertanto non resta altro che fornire la dimostrazione dell’attendibilità filologica e linguistica del toponimo originario Asis (anziché Asisi secondo la ricostruzione del Lachmann).

Il Prof. Paolo Poccetti, dopo aver scartato l’ipotesi dell’interpolazione tra gli affini distici di Propertius e di Horos (versi 65 -66 e versi 125 -126: e ciascuno di questi distici risponde a un suo scopo, la loro rispettiva autonomia e separatezza è poi perfettamente giustificata dai nostri argomenti, e così pure il loro stesso nesso funzionale), affronta la questione, prima richiamando il Pasoli (sue alcune argomentazioni filologiche in favore di Asis, ulteriormente sviluppate dal Fedeli), e mettendo infine in luce che la forma dittongata Aisision attestata da Tolomeo, induce a ritenere lunga la vocale iniziale del toponimo, per cui la forma vocalica sarebbe salvaguardata da Asis.

Secondo Fedeli la lettura Asis consente il mantenimento del ritmo spondaico del verso 125, che ben si accorda all’immagine della città che si arrampica sul colle e all’idea di una faticosa ascesa.75

In epigrafia romana si registrano due indicazioni: Asis e Asi, ritenute però abbreviazioni di Asisio (attestato da Cil XI 5384). Qual è l’argomento probante? Asso secondo il Bonfante è il nome di un uccello rapace. Assa significa invece torrente. Se ad esempio la forma Brendam può stare per Brundisium, Asis (forma al genitivo) potrebbe stare per Asisium. Asis rappresenterebbe l’antica forma umbra del nome della città del Subasio (monte Subasio). Altra ipotesi è che un esito umbro al nominativo si avrebbe rispettivamente in As (se derivante da Asos) e in Asis (se derivante da Asios). Il toponimo Asis ricadrebbe nella terza declinazione latina. Properzio avrebbe riportato quanto più fedelmente gli era possibile l’uscita genitivale umbra. Il tema As – Asis sarebbe quello migliore (con –as = acqua che scorre, torrente).

Il problema linguistico posto da Asis ci sembra comunque risolto in virtù di due considerazioni che si integrano reciprocamente: 1) non c’è dubbio che il luogo geografico indicato da Propertius in I, 21 al termine del Monobiblos, corrisponda ad Assisi e che il medesimo luogo, questa volta indicato e descritto da Horos, sia indubbiamente la città umbro-romana di Assisi; 2) la versione Asis è attestata anche da “Properzio segreto”, sulla cui esistenza, se correttamente vi si ragiona sopra, non sussisterebbero dubbi o ambiguità.76

Pertanto appare definitivamente accertato e risolto il problema della città natale del poeta delle Elegie, e sebbene la domus Musae – di per sé – non abbia vera efficacia probatoria (diversamente da quanto ritenuto in passato),77 tale effetto probatorio è comunque raggiunto da una lapide properziana frammentaria, rintracciata per primo da Fioravante Caldari, nel 1950, durante gli scavi eseguiti a sue spese nella c.d. domus Musae poi valorizzata da Margherita Guarducci, lapide ricomposta (con altri tre frammenti minori), letta e pubblicata da Luigi Sensi nel 2004.78

Secondo questa ragguardevole lapide che doveva avere un carattere ufficiale di pubblica memoria è comunque possibile individuare in “Sesto Properzio” il fondatore del teatro romano di Assisi, i cui resti ancora permangono nella parte alta della città.

Ciò ha un importante impatto o ricaduta immediata sulla biografia di Properzio, almeno nel senso che i suoi rapporti con Assisi rimanevano, ma anche nel senso che da Roma, dove presto si era trasferito anche per chiare ragioni di formazione e di studio, molto probabilmente fece ritorno definitivo nella sua città natale.79

AUTOBIOGRAFIA DI SESTO PROPERZIO

1* Caio TranquilloSvetonio scrisse un’opera pervenutaci incompleta sulle vite dei maggiori poeti latini d’età augustea. Non vi figurava la biografia di Properzio, accanto a quelle di Virgilio, di Orazio, e di Tibullo. Se Sicco Polenton, umanista plagiario, avesse voluto eliminare la vita di Properzio da quest’opera di Svetonio per appropriarsene, non avrebbe scritto che il Nostro era nato a Bevagna.80 Sulla vita di Properzio sappiamo soltanto ciò che risulta dalle Elegie e quel poco che Ovidio vi ha aggiunto: ad esempio, che il poeta di Assisi doveva essere già morto nel 2 a.C. Del resto, tranne la notizia riportata dal grammatico cristiano Fulgenzio Planciade dell’esistenza di un verso di Properzio di genere non elegiaco, sappiamo soltanto che scrisse una sola opera, dopo di che il silenzio. Ma voler arguire la morte del poeta ancora in giovane età da questa improvvisa scomparsa dalla scena letteraria non solo è azzardato, ma è anche assurdo.81

Se Dante Alighieri non si recò mai a Parigi (qui avendo letto le Elegie),82 allora il primo a riscoprire Properzio fu il Petrarca, trascrivendo il codice francese già appartenuto alla biblioteca carolingia. Le vite di Properzio scritte dagli Umanisti a premessa delle loro edizioni – dal Polenton dal Volsco al Beroaldo – ignorano sistematicamente Assisi. Giovanni Pontano, grande umanista umbro, forse possedeva un esemplare del Monobiblos, in bellissima pergamena, ove eran versi di Properzio non dati alla luce.83

Ricostruire i dati biografici essenziali di un poeta antico significa, se possibile, stabilire la data e il luogo di nascita, l’anno e il luogo della morte, e le esperienze maturate. Senza poter contare su quanto è ricavabile dalle Elegie di Properzio non sapremmo assolutamente nulla. E il bello è questo: apparentemente, dalla sua unica opera non si ricaverebbe una biografia non ambigua o incerta, mentre è del tutto razionale ritenere che questo non dovesse mai capitare. Non ha alcun senso che il poeta l’avesse fatto a suo danno. Al contrario, ciò è un argomento fondamentale per ritenere che l’opera, nascondendo dati essenziali, in realtà ce li abbia comunque conservati. Da qui l’esistenza di “Properzio segreto”, che una volta ritrovato il bandolo della matassa, finisce per parlare da sé. Chi pretenda di negare la bontà delle nostre ‘scoperte’, dovrebbe dimostrare l’impossibile: che Properzio abbia preteso di ingannare anche se stesso.

Prima che il Prof. Giovanni Polara fungesse da relatore di sintesi dei Convegni Internazionali Properziani organizzati ad Assisi, tale importante ruolo era svolto da Francesco Della Corte. Mettendomi di nuovo nei panni dello studente liceale di ben oltre mezzo secolo fa, quando al liceo statale “Properzio” di Assisi le Elegie nemmeno le conoscevamo, vorrei qui riportare un estratto della vita di Properzio desunto dal Disegno Storico della Letteratura Latina di F. Della Corte, Loescher Editore, 1984.

Circa negli stessi anni un cui vedeva la luce Tibullo, nasceva in Umbria, forse ad Assisi, Sesto Properzio, fra il 50 e il 47. Era ancora fanciullo, quando anche le sue terre vennero confiscate a favore dei veterani di Filippi. Ma ben più grave fu il danno che la guerra di Perugia portò a tutta la regione in cui egli era cresciuto. La sua famiglia ebbe a subire, in questi fatti d’armi, perdite che non si cancellarono mai dal cuore del poeta. Privo del padre, si portò a Roma sotto la guida della madre , che lo volle avviare agli studi oratori, perché divenisse un avvocato. Ma la prorompente vocazione poetica e l’amore non permisero a Properzio di continuare i costosi studi. Unico conforto gli rimase la poesia. A eccitare il suo estro poetico era intanto una donna, da lui chiamata Cinzia, il cui vero nome era Ostia o forse Roscia; donna colta e sensibile che amava la musica, la poesia e la danza, ma teneva un contegno non certo irreprensibile. Ammaliato dalle sue arti, il giovane finisce a poco a poco per centrare tutta la sua attività attorno a questa donna; e la sua passione, fatta com’è tutta di slancio, di calore, di impeto, raggiunge ora le gelosia, ora l’ira, ora lo sconforto, ora la disperazione, come si avverte nel suo liber I (Monobiblos)di 22 elegie, pubblicato nel 28. Un siffatto libro, così sincero e convincente, ebbe presto diffusione in Roma. Giunse nelle mani di Mecenate che, estimatore di cose belle, volle conoscere l’esordiente poeta, e lo trasse nel suo circolo, sebbene Orazio fosse piuttosto scettico su questo elegiaco, dato che per l’elegia non nutriva simpatia. Migliori rapporti Properzio ebbe con Virgilio.

Nel 23 Properzio pubblicava altri due libri di 34 e di 25 elegie, in modo da formare una raccolta di “tres libelli”, giuntaci in cattive condizioni di testo e con frequenti lacune. Mecenate insisteva perché anche lui si adeguasse ai tempi nuovi e includesse fra gli argomenti del suo canto la propaganda politica a favore di Augusto. Ma Properzio, sempre più incapricciato della sua donna, che lo tradiva spudoratamente, fino a divenire la favola di tutta Roma, sempre più deciso ad abbandonarla e ogni volta sempre più irretito dalle sue arti, si dichiarava incapace di scrivere di altro se non del suo amore. Tuttavia, poiché a Mecenate che lo proteggeva, e forse soccorreva nella sua non brillante situazione finanziaria, non poteva negare un contraccambio di cortesie, si commuoveva per la morte del giovane Marcello, nipote di Augusto, si esaltava per la vittoria di Azio o per la spedizione contro i Parti, pur non rinunciando ai suoi temi d’amore.

Ma quello che non ottenne l’amichevole pressione di Mecenate, compirono il tradimento e il distacco di Cinzia. Deluso, scoraggiato, stanco e forse sazio, Properzio lascia la lirica d’amore per gettarsi con tutto il suo entusiasmo a cantare gli argomenti ufficiali. Con il liber IV Properzio è completamente recuperato dal cesarismo, e incluso tra i cantori ufficiali dell’impero. Nel frattempo anche Cinzia viene a morire. Il ricordo della bella donna, che ha penetrato di sé tutta la vita del poeta, appare trasfigurata nell’alone del ricordo. Con una strana gioia egli percorre tutte le tappe del suo amore, ricorda aneddoti e fatterelli, ad ognuno dei quali è rimasto agganciato un brandello della sua giovinezza.

Come Catullo, come Tibullo, anche quest’altro grande amante morì, forse nel 15 a.C., poco più che trentenne.

Fermiamoci qui. E’ valido questo profilo di Properzio, del resto conforme alla tradizione?

La risposta è negativa, con tutto rispetto del grande Francesco Della Corte. Una prima crepa veniva da un saggio di Ettore Paratore pubblicato nel 1936, all’apice del fascismo. Paratore insinuava coraggiosamente per quell’epoca che Properzio non era ben integrato nel regime augusteo, che insomma era un ribelle.84

La letteratura d’età augustea è tutt’altro che limpida. Tibullo non era vicino ad Augusto, per quanto molto amico con Orazio. Orazio nel 42 a.C. aveva militato a Filippi contro Ottaviano e Marco Antonio (finse di essersi salvato nella nebbia). Virgilio in punto di morte voleva che l’Eneide fosse bruciata. Ovidio fu relegato al Ponto (8 d.C). Mecenate fu rimosso nel 23 dalla direzione delle lettere e poco tempo prima della morte fu pubblicamente infamato in un processo. Insomma, Augusto fu un tiranno, un freddo calcolatore, l’affossatore definitivo della Repubblica per necessità e convenienza. L’impero romano, con la sua grandezza e i suoi vizi, nacque da Augusto (Tiberio ne proseguì l’opera). Nell’Eneide, pubblicata nel 17 a.C., non c’è una sola parola per Mecenate. Properzio non nominerà Mecenate nel quarto e ultimo libro delle Elegie.

Il consueto profilo biografico di Properzio è minato nelle fondamenta dall’aver creduto che Cinzia fosse stata una donna reale, sebbene più vecchia di Properzio.

Ciò è impossibile a priori: una “Cinzia” riconoscibile a Roma non avrebbe mai potuto figurare accanto ai nomi di Mecenate e di Augusto. Cinzia non è mai esistita. Properzio ha inventato la sua donna elegiaca.

Il Monobiblos non fu pubblicato nel 28, bensì nel 29. All’epoca Tullo Volcacio non era più a Roma. Aveva seguito suo zio in Asia Minore. L’opera dell’esordio poetico fu finanziata da Mecenate (ce lo fa comprendere “Properzio segreto”, ma vi allude anche Vertumnus dal Vicus Tuscus).

Come poeta esordiente Properzio doveva essere giovanissimo. Basso e Pontico dovevano già essere noti, sebbene di essi sia rimasto soltanto il nome. Che Properzio abbia esordito a Roma, in giovanissima età, lo fa comprendere Horos, ma risulta anche da altre circostanze: il primo amore fu una servetta, poi venne “Cinzia” più vecchia di lui. Ciò è tipico di un diciannovenne. Il poeta nacque nel 48 (pochi anni lo dividevano da Ovidio).85

Che sia nato ad Assisi è stato già dimostrato. Ciò non esclude che l’importante gens Propertia fosse presente anche a Bevagna.86

Un Propertius sarebbe stato antico re di Fidene. Nerio Properzio, avo del poeta, era “marone” ad Assisi. La sorella del padre del poeta era andata in sposa a un Volcacio-Velcha di Roma (i Velcha, di rango consolare, erano etruschi originari di Perugia). Costei è la madre di Tullo Volcacio, pressoché coetaneo di Properzio (se mai più vecchio del cugino stretto di Assisi). I Volcacii avevano dato due consoli, nel 66 e nel 33. Mecenate doveva avere qualche legame di parentela col Tullo Volcacio console nel 66, giacché possiamo cogliere in tal senso una allusione trasversale di Orazio in Carmina III, 8 (compleanno di Mecenate).87

Anche i Maecenates erano originari di Perugia,88 per quanto la madre del grande etrusco era una principessa di Arezzo, ramo dei Cilnii.

Un blando rapporto di parentela doveva pure collegare Properzio a Mecenate (lo si ricava da II, 34 a condizione che Linceo sia Mecenate, e non il poeta Vario, come anche è stato fatto sembrare da Properzio, ma per allontanare sospetti). Il nome di Mecenate, che inaugurava il secondo libro, non poteva non chiuderlo, sotto l’allusivo pseudonimo di Lynceus.

Properzio andò a Roma, con sua madre rimasta vedova, poco dopo la morte di suo padre, Gallus Propertius, il morto parlante di Perugia. L’umbro sentiero del Clitunno, affluente del Tevere, allude a questo trasferimento, così come le belleterre di Tullo Volcacio, ritornato dall’Asia Minore, sono quelle delle campagne intorno a Perugia. Il trasferimento a Roma di Properzio rimasto orfano sta a significare che la sua famiglia poteva contare di appoggi nella capitale. Ciò è giustificato dalla presenza certa a Roma di un ramo della gens Propertia e dall’appoggio parentale che potevano garantire i Volcacii-Velcha, ramo etrusco molto ben inserito a Roma da tanto tempo. Il trasferimento da Assisi a Roma dipese ovviamente anche da esigenze di formazione adeguata per quel fanciullo. Assisi non avrebbe potuto offrire nulla a un bambino così intelligente e dotato.

L’esordio letterario del giovane poeta a Roma avvenne col segreto patrocinio di Mecenate, che volle prima attendere gli esiti del Monobiblos, senza esporsi di persona.

Properzio non avrebbe potuto proseguire nella sua produzione letteraria se non aiutato da Mecenate. Il loro rapporto era di un tipo differente giacché il poeta era più giovane di una generazione rispetto a Virgilio e a Orazio.

In questo senso, Properzio rappresenta un’anomalia, sebbene la sua presenza nel circolo di Mecenate compensasse la parallela militanza di Tibullo e di altri poeti elegiaci del circolo di Messalla.

Un Ligdamo poeta del circolo di Messalla potrebbe essere stato il giovane Ovidio, che con questo stesso nome compare nelle Elegie, prima come servo di Cinzia e poi come servo di Properzio.

La Cynthia o Monobiblos fece il suo esordio nel 29 nel foro delirante, ma nacque a Roma sull’Esquilino, dove appunto Mecenate, nella regio IV a cavallo con la regio III, teneva il suo famoso circolo letterario, e persino un auditorium immerso in bellissimi giardini dai quali si poteva scorgere Tivoli.

Questa zona di Roma, attraversata da nuovi acquedotti,89era frutto di una bonifica recente (in precedenza era stata una zona cimiteriale, piuttosto malsana). Là dove gli acquedotti si riunivano, nella zona chiamata della Speranza antica (ad Spem veterem), sorgeva un antichissimo tempio della Speranza (Spemvetus) dedicato nel 447 a.C.

Nel verso 7 di I, 21 compare in nome di Gallus, il morto parlante di Perugia. Una serie di pro-per serve già a indicarne la gens. Nel corrispondente verso 7 di I, 22 apprendiamo che questo Gallus è propinquus – cioè parente stretto – del poeta. Non desti meraviglia che un anagramma, de resto suggerito e guidato, riveli adesso questa metamorfosi portentosa dell’esametro sulle ossa sparse di Gallus:

MAECENAS EQUES SPEM PROPITIA UMBRI PROPERTI.

Uscendo dalla regio I si arrivava a porta Capena.90 Lungo la via Appia, subito dopo porta Capena, era il tempio di Honos et Virtus dedicato nel 234 a.C.91

Properzio, a Roma, non abitava sull’Esquilino, ma era questa – per antonomasia – la sua residenza poetica ufficiale.92 Per riceverne il premio, qui sull’Esquilino dovevano essere riportate le tabellae smarrite (cfr. III, 23).

Properzio finge che Tullo Volcacio chieda notizie su di lui: quale la sua stirpe (genus), chi siano i suoi Penati. Come se Tullo non lo conoscesse già e avesse perciò bisogno di informarsi. Pretesto retorico (tu quaeris – tu mi domandi), cui il poeta ricorre per presentarsi, tuttavia rimanendo nel vago. La risposta sono i perugini sepolcri (Perusina sepulcra), la discordia Romana, le ossa di Gallo, e l’Umbria prossima a Perugia (supposito campo). Non fa meraviglia che in I, 22, verso 1 si nascondano le Esquilias (cioè l’Esquilino di Mecenate).93

Indubitabili e stringenti raccordi verbali e concettuali legano strettamente il sigillo o sphragìs del Monobiblos volutamente omissivo ma firmato segretamente al saliente profilo autobiografico di Properzio messo in bocca all’indovino Horos come suo alter ego. Il morto di Perugia era il padre del poeta. La sorella di Gallus Propertius è la madre di Tullo Volcacio. L’autobiografia di Properzio è adesso completa. Probabilmente Sesto Properzio94era figlio unico.

La lapide di Assisi già ricordata, recuperata in frammenti nella c.d. domus Musae, ci fa conoscere che Properzio ritornò definitivamente ad Assisi, in conformità all’impianto allusivo di Propertius-Horos (elegia IV, 1 scritta per ultima, sebbene posta per prima), e che qui molto probabilmente morì e fu sepolto.

Le elegie giovanili II, 13 – 14 – 15 sembrano anche alludere a certe ‘volontà testamentarie’ precoci, con la “tomba” del poeta.95 Nell’elegia II, 15 è richiamato il mito lunare di Endimione.96

E’ sorprendente la presenza in Assisi di un bellissimo esemplare di sepolcro marmoreo romano recante ad alto rilievo il mito di Endimione.97

Il sepolcro è stato recuperato, nell’alto medioevo, da un imponente monumento funebre che sorge non lontano dall’abside del duomo romanico di San Rufino. Erroneamente datato al III secolo, appartiene invece al II secolo, databile verso il 140.98

Sarebbe bello pensare che Paolo Passenno, suo discendente e concittadino, abbia voluto onorare la memoria di Sesto Properzio con un heroon posto nei pressi del teatro romano iniziato dal poeta, trasformandone la prima sepoltura in un monumento di pubblico ricordo e di grande venerazione.99

Era opinione di Hertzberg, sulla base delle lettere di Plinio il giovane riferite a Paolo Passenno Properziano, che Sesto Properzio fosse tornato vivo ad Assisi e che sposatosi in questa città, vi avesse avuto dei figli. Questa opinione trova adesso un forte appoggio anche nell’elegia VI, 1 (cioè Propertius-Horos), giacché si può dimostrare con solidi argomenti, come ho appunto fatto, che si tratta della chiusura ovvero del sigillo finale del vero profilo biografico d’autore, lasciato in precedenza in sospeso, col suo definitivo ritorno in Assisi, sua città natale, da cui era dovuto partire da bambino, poco dopo la morte di Gallo sacrificato sulle arae Perusinae da Caio Ottaviano.100

Il grande Cesare Ottaviano, che nel 27 diverrà Augusto, fu il bersaglio occulto di Properzio. Lui il nano Magno, il venale Pretore dell’Illiria, la vecchia e spinosa lena Acantide che prostituì Cinzia-Umbria.

Il Magnus Deus Caesar sarà forse potente in guerra, ma solo Amore è un Dio di Pace.101

Properzio ‘capo segreto’ di una ‘congiura italica’ contro il Principe di Roma “caput mundi”? Forse. Ma il poeta di Assisi vinse comunque la sua sfida: le Elegie resistono nel tempo, come il tempio di Minerva dea di Assisi.

Noi abbiamo ritrovato nel togato acefalo del Museo romano di Assisi le stesse fattezze di Augusto “pontefice massimo”. Il piede lisciato dalle carezze secolari e “capite velato”. Il complesso monumentale di Minerva era veramente importante nell’antichità, anche se non ce n’è stata tramandata memoria scritta (notior ille murusvertice murus). Ma vorremmo chiudere questo pezzo, altrettanto anomalo, del tutto fuori dai canoni, con le stesse parole del Poeta (II,19), che sembrerebbero dar ragione ai fautori di Bevagna, come sua città natale:

La mia audaciasi spinga a catturare tenere lepri

a trafiggere uccelli con frecce fatte in casa

là dove il Clitunno con le sue selve vela la corrente

e l’onda lava i buoi candidi come la neve.

Tu mia vita ogni volta che avrai un desiderio pensa

che verrò da te tra pochi giorni.

Allora le selve solitarie non potranno distogliermi

e neppure i vaghi ruscelli tra muscosi anfratti

* dal ripetere il tuo nome continuamente variato:

all’assente nessuno voglia arrecar danno.

 

  • Quin ego in assidua mutem tua nomina lingua
  • < Quin ego Asis dua mutem nomina in tua lingua >
  • adsenti nemo non nocuisse velit.

 

***

 

A corredodi questo scrittoproduco le seguenti immagini:

  1. Minerva dalla bella veste ‘assisa in trono’
  2. Porta romana antica di Bevagna, che guardando ad Assisi, con l’ombra della meridiana che segna il mezzogiorno vero, indica la linea sud-nord.

* Horos era un indovino verace, a lui è stato affidato come alter ego il non facile compito di ‘dire’ tutta la ‘verità’ su Propertius.

 

 

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1 Si veda Paolo Fedeli: Killing Cynthia, in Atti del Convegno Internazionale di Studi Properziani, Assisi 2008, pag. 3 e segg. E’ del resto ovvio che nessuna donna riconoscibile – Hostia o Roscia che fosse – poteva essere accostata, nelle Elegie, ai nomi altisonanti di Mecenate e di Augusto. Perciò, chi è Cynthia? In IV, 7 è come una nuova Empusa, un revenant. In IV, 5 era una prostituta. In IV, 8 – sull’acquoso Esquilino – Cinzia è tornata a essere ciò che è sempre stata: un immortale travestimento, una tela di Penelope, e un vero cavallo di Troia, “arte di Pallade”; un simbolo, cioè, di perfetta ambiguità, al confine tra genere elegiaco tenue e poema epico occulto ma impossibile, secondo l’incerta etimologia di “elegia” come compianto funebre e lamentazione amorosa.

 

2 Vedi Filippo Coarelli in Assisi, Roma, Tivoli. I luoghi di Properzio, Atti del Convegno Internazionale di Studi Properziani, Assisi 2004, pagg. 99 segg. Per cui Cinzia da Tivoli sarebbe stata una Hostia figlia del famigerato Hostius Quadra. Una matrona stolata – ripudiata e di liberi costumi – di pessima fama, come il padre, ucciso per mostruosità e aberrazioni sessuali dai suoi stessi schiavi, poi mandati assolti da Augusto. E’ evidente l’incompatibilità concettuale di Cinthia-Hostia, tale secondo Apuleio (Apologia, 10).

 

3 Vedi II, 34, ultima elegia del secondo libro, per il catalogo delle “donne elegiache” menzionate da Properzio, fermo restando che “Linceo” non può che essere lo pseudonimo allusivo di Mecenate, ratione materiae che con riferimento all’elegia premiale del secondo libro, che si apriva in chiaro col suo nome. “Cinzia” è contrapposta all’epica virgiliana dell’Eneide, poema iniziato nel 29 e in realtà mai terminato, anzi destinato ad essere distrutto. Linceo non può non essere Mecenate, per quanto gli studiosi properziani abbiano escogitato altre soluzioni, forzando tuttavia il vero significato di questa fondamentale elegia sulla ”metapoesia”, ovvero “poesia sulla poesia”, il cui intento remoto, ma effettivo, era quello di lasciar comprendere la realtà di “Cinzia” come creatura letteraria necessaria e recondita. Nelle Elegie di Properzio, opera misteriosa, si nasconde anche la falsificazione di Catullo e di Calvo. Tutto ciò non è stato compreso, ma è possibile dimostrarlo.

 

4 E’ preferibile pensare a 5 libri di elegie, per un totale di 96 composizioni, anziché le attuali 92. Non mancano solidi argomenti a sostegno di tale affermazione.

 

5 Le Elegie terminano in modo inusitato. La spiegazione convenzionale delle c.d. elegie romane, quelle del Romano Callimaco, però nato nel cuore dell’antica Umbria!, deriva da un equivoco consistente nell’aver scambiato le apparenze per ciò che esse non sono.

 

6 La teoria del “carme di genere misto”, che può essere fatta risalire a P. Fedeli, per cui ai libri per Cinzia seguirebbero elegie di carattere antiquario o eziologico sul modello di Callimaco, si rifà alle forme, obliterando gli ammonimenti allusivi di Vertumnus e misconoscendo il compito biografico sostanziale affidato a Horos. Da qui anche le perplessità circa il quarto libro, che sarebbe una raccolta disomogenea di elegie, curata da un editore frettoloso e distratto. I termini della questione sono irreali. L’opera è un unicum, un solo insieme, ed è peraltro un capolavoro solitario. Infondata anche la pretesa scomparsa precoce di Properzio, il 15 o poco dopo. False prospettive derivanti dal non aver inquadrato e risolto il problema di fondo, in effetti consistente nell’enigma del propinquus e della soror in I, 21 e 22. Pertanto la voce poetica di Properzio, che scrisse per necessità, censurandosi, viene riportata al genere amoroso elegiaco, un genere letterario che scomparirà immediatamente dopo Ovidio, che sicuramente era a conoscenza di alcuni risvolti segreti su Properzio, anche se non tutti.

 

7 La sttile questione del lacus Umber merita la massima attenzione. Diversi autori suppongono che Properzio si riferisse alle fonti del Clitunno, fiume sacro citato più volte dal poeta. Il fatto che ne faccia menzione soltanto Horos (in VI, 1, 124) è fattore decisivo, anche in ordine ad Assisi-Asis (distico a seguire). Tutto ciò fa parte di Properzio segreto, integrandone gli elementi necessari. Effettivamente un invaso d’acque esisteva in antico tra Bevagna e Assisi, lambendo Spello. E quando ci riferiamo a Spello dobbiamo sottintendere l’enigma del fanum Umbriae che sorgeva ab antiquo nei pressi, fino a oggi mai ben compreso dagli studiosi in base al famoso rescritto d’età costantiniana, giacché è stata ignorata la singolare valenza astronomica del sito religioso-militare.

 

8 Preferisco il termine al maschile. S’intende il primo libro delle Elegie, operetta d’esordio del giovanissimo Properzio, risalente all’anno 29 a.C. Numerosi e pregnanti gli enigmi che qui si contengono. Ivi compresa la struttura o filigrana nascosta di tale primo canzoniere amoroso, che ha lasciato molto discutere. Ma tutto dipende da chi è Cinzia, dichiaratamente una donna ambigua al massimo grado, più vecchia del suo giovane cantore, nel senso di donna fatale e di un amore tragico, dolente e contraddittorio.

 

9 Non interessano, in questa sede, i precedenti mitologici del calco properziano di Ila, bensì porre in luce che il fenomeno della rifrazione ottica (immagine del bastone, che immerso nell’acqua, appare spezzato), allude alla parte nascosta o sottratta alla vista dell’opera unica. La I,20 è una geniale creazione per esaltare la superiorità del vero Gallus di I, 21 su tutti gli altri, invero indefinibili e sfuggenti Gallus del Monobiblos, e così pure le differenze profonde, per sostanza vera, tra le Elegie e gli Amores in 4 libri di Cornelio Gallo, opera elegiaca interamente perduta. Ma Cornelio Gallo, importante generale romano nella campagna militare contro Marco Antonio e Cleopatra –Iside, non solo fu uno degli ultimi a vedere i vita la regina d’Egitto a Canopo, ma lui stesso fu costretto nel 26 a.C. al suicidio per avversione di Augusto.

 

10 Fuochi d’amore – come leggiamo in Properzio in I, 6, 7: illa mihi totis argutat noctibus ignes o come riferisce Ovidio – oppure fuochi notturni d’accampamento militare? Tenete in mente questa noticina, ché vale un tesoro nascosto. Haec tua castra, dirà Horos. In I, 5 per la prima volta compare un Gallus: << infelix, properas ultima nosse mala >>. Quando parlerà di sé il vero Gallus (in I, 21), così esordirà: << Tu, qui consortem properas evadere casum >>. Properzio non ripeterà più questo verbo: “properare”. Il doppio enigma, fondamentale nelle Elegie, chi è il propinquus e chi la soror, può essere sciolto ricorrendo ai segnali verbali insieme alle indicazioni concettuali. Non c’è dubbio che il genio esordiente si mantenne fedelissimo, fino all’ultimo, all’unica Cinzia vera che egli conobbe: la sua arte sublime, il suo sommo mistero. Peggio per chi non lo comprende. La verità è questa. Il resto rimane un testo poetico raffinato e contorto, destinato a illudere, ma unico strumento a disposizione per trasferire ai posteri un segreto da scorgere. Ovviamente, l’arte del Nostro fu un cavallo di Troia, in questo senso più grande di Omero e dell’antico Mimnermo messi insieme. Properzio a questo intendeva riferirsi, conscio della sua grandezza e della sua diversità. L’opera unica ha la sua inscindibile unità. E’ una sola cosa, è un solo insieme. Certe volte basta leggere al contrario, come scrivevano gli Etruschi, e si notano allora altri efficaci segnali. Le contiene in sé il citato verso di I,21. Chi sarebbero Gallus e la soror, quando l’esordiente poeta tocca i vertici della vera Poesia? Lo abbiamo spiegato in Properzio segreto, dandone la perfetta dimostrazione: Gallus è il padre di Sesto e la soror, che è un Propertia comune tra di due, è la madre di Tullo. Al di fuori di tale condizione le Elegie sono un’opera ingannevole, sebbene destinata a ingannare Augusto, l’asaassino di Gallo Properzio alle idi di marzo del 40 a.C. a Perugia (le famigerate “arae Perusinae” delle fonti storiche ovvero i Perusina sepulcra rivolto a Tullo Volcacio – Velcha).

 

11 Le fonti storiche, adeguatamente spurgate da quanto attiene al ‘vincitore’, lasciano intendere che Caio Ottaviano rischiò moltissimo nel bellum Perusinum, preso tra due fuochi. Infatti, dovette proteggersi alle spalle, trincerandosi a sua volta, e fu poi costretto a ricorrere a tutte le astuzie e forme di corruzione, per cavarsela. Lucio Antonio e Fulvia lo avevano attirato in una trappola. Fu a Roma, e a Foligno, che Ottaviano vinse. Poi, Perugia cadde per fame. In ciò consiste la vicenda vera, di cui Gallo Properzio fu una delle vittime. Da qui, gli accenti (stupendi) di dolore di un genio della grandissima poesia: e sono la polvere etrusca, il dolore, i fuochi rovesciati, la morte. Tanto costò il tradimento alla famiglia più nobile di Assisi, la gens Propertia, quando la Romana discordia mise gli uni contro gli altri. E non un episodio, bensì una tragedia. Quindi Cinzia, nome della Luna come la dea Nortia degli annali, è il simbolo di questo dramma che pervade tutta l’opera, fino alle sue estreme conclusioni trasferite nel personaggio di Cornelia, prossimo alla casa di Augusto, poiché si trattava della figlia di Scribonia, natale da un matrimonio precedente a quello con Ottaviano. Scribonia, sposata a Ottaviano dopo aver ripudiato la figlia di Fulvia, figliastra di Marco Antonio, ripudiò anche Scribonia, come lui stesso scrive, per perversità di condotta (da Scribonia ebbe una figlia, Giulia, che dopo la morte di Marcello andò in sposa ad Agrippa; le due Giulie, figlia e nipote, furono confinate da Augusto per perversione). Properzio era l’esatto contrario di un poeta cortigiano. Lui l’aruspice verace della sua Patria avvilita, l’antica Umbria. Horos ripercorrerà una sola fatale biografia.

 

12 Questa la ‘domanda’ di un grande e illustre studioso come Ettore Paratore. Per una diffusa disamina critica sull’enigma del propinquus e della soror nel Monobiblos, vedi E. Paratore, Le Elegie di Properzio, Roma, Corso accademico 1970-71. Vi ho già rivelato la soluzione provata dell’enigma fondamentale e condizionante delle Elegie, finora sfuggita. Ed è esattamente così, giacché le prove testuali sono schiaccianti, e del resto senza alcun contro fattuale. Spero che ve ne rendiate conto, sebbene alcuni noti Studiosi, ai quali ho comunicato tale scoperta, sembrino non avere il coraggio di avallarla, pur accettando la serietà della ricerca e con ciò anche il suo fattore rivoluzionario.

 

13 La c.d. sphragìs o sigillo del Monobiblos è un capolavoro di reticenza “alessandrina”. Capolavoro lo è sopratutto per la massima densità poetica che qui tocca veramente i vertici. Properzio aveva appena 19 anni. E’ falso che subito dopo il successo riportato a Roma sia entrato a far parte del famoso circolo poetico di Mecenate sull’Esquilino. Mecenate già lo proteggeva. Fu lui e non Tullo Volcacio a sobbarcarsi le spese editoriali (presso gli arcinoti fratelli Sosii del vicus Tuscus). In I, 1, 26 troviamo già presente l’invito: amiciquaerite auxilia. Tu quaeris, o Tullo, tu domandi chi io sia, e Voi altri quaeritis, domandate da dove vengano questi miei versi. Non è Apollo, non è Calliope: ma è Cinzia. Dunque il tema è dell’Autore, e le risposte andavano cercate. Lì dove stanno. Con la sua firma di autenticazione, ovviamente. Cioè, l’umbro Properzio.

 

14 Simmetria speculare tra il propinquus e la soror, reticenza sull’intera vicenda, sul luogo di origine (Assisi), e su altre particolari circostanze circa il morto di Perugia. Ma un concentrato di segnali indicatori.

 

15 I luoghi delle Elegie in cui sono contenuti i dati autobiografici essenziali di Properzio sono principalmente due: il sigillo del Monobiblos e Propertius / Horos (elegia IV,1). Tale singolarità è rilevante nella stessa identica misura per cui Horos dovrà fungere da alter ego di Propertius. Pertanto l’ambiguità e la reticenza sono funzionali e profondamente significanti per la comprensione stessa dell’opera. Se ci si discosta da questo criterio si finisce fatalmente per evadere dal tema. La ‘questione properziana’ dell’integrazione difficile, inaugurata dal Paratore nel 1936 e che parrebbe oggi alquanto marginale, almeno nel senso che non godrebbe più di gran favore, trova invece piena linfa negli enigmi di Propertius-Horos. “Properzio segreto” non è una mia gratuita invenzione, ma una realtà tangibile, sia pure che in tal caso si preferisca confinarlo in limiti circoscritti, anziché estenderne l’impatto al significato occulto dell’unum opus. A me sembra che non esistano pregiudiziali a un’estensione completa. Non esistono contro fattuali impeditivi, anche a riguardo di Cinzia e del ruolo del mito nelle Elegie, certamente molto esteso fin dal primo libro. Ne consegue che l’acutissima analisi di Ettore Paratore, prevalentemente incentrata su III,11, raccolga alcuni aspetti emergenti, trascurando tuttavia la parte nascosta dell’iceberg (non vista, non potuta cogliere). La tesi radicale globale, comportante cioè l’integrazione impossibile, sarebbe giustificata da cifre nascoste, con riguardo ad Augusto e alla grande vittoria di Azio che ne comportò l’ascesa. E difatti – tramite anagrammi e acrostici inseriti con cautela in IV, 6: Isis con riguardo a Cleopatra – è possibile riscontrare il resto essenziale delle parti nascoste dell’opera unica. La cartina di tornasole di tale sistema di nascondimenti consiste nell’esatta interpretazione di IV,1 e vale a dire nel ruolo di Horos in dialogo sottile con Propertius. Va da sé che il confine tra sostanza occulta e apparenza debba sembrare labile, ciò facendo parte dell’inganno. L’intero insieme delle Elegie – tesi radicale – è dunque condizionato dall’identità del morto di Perugia e da quella della misteriosa “sorella”, mentre Cinzia – che è un’invenzione letteraria e che del resto non poteva corrispondere a una donna riconoscibile a Roma – è il pretesto di Properzio per potersi esprimere, cioè per consegnarsi alla posterità esclusivamente in quelle forme ingannevoli. Cosicché il Pretore dell’Illiria, la lena Acantide, il nano Magno ecc. sono rapprsentazioni nefaste di Augusto, di cui il genio letterario di Properzio si è abilmente servito. La doppiezza essendo un carattere essenziale dell’opera, per un verso è e rimane formalmente un capolavoro elegiaco, per il resto è un vero cavallo di Troia, introdotto nella cittadelle delle lettere sull’Esquilino, vale a dire la corte di Mecenate. Il corrispettivo del trucco è dato dall’allusività costante ad altro, e dalla impiego linguistico polisemico: opera destinata all’inganno (fallax opus), illusione ottica di una “doppia immagine” in uno, come negli studi della moderna “psicologia della Gestalt”.

 

16 Sulla figura di Horos si veda, ad es., A. La Penna, L’integrazione difficile – Un profilo di Properzio, 1977, pagg. 91 ss., nonché il saggio di Roberta Montanari Caldini, Horos e Properzio, Firenze 1979.

 

17 Vedi “Properzio segreto” e altri pezzi sulla Domus Musae presenti nel mio sito web.

 

18 Che sia stato così non è difficile provarlo. Va aggiunto che nella tarda estate del 29 ci fu un eclissi totale di sole visibile da Roma.

 

19 La gens Volcacia, originaria di Perugia, corrispondeva ai Velcha di stirpe etrusca, epigraficamente attestati anche ad Assisi. E’ altresì probabile un rapporto di parentela tra i Velcha e i Maecenates, anch’essi di Perugia. Pertanto è attendibile un rapporto indiretto anche tra Mecenate e Properzio, del resto alluso in II, 34 (giacché “Linceo” non può non essere lo pseudonimo di copertura di Mecenate).

 

20 Il primo a ritenere che Properzio fosse nato ad Assisi era stato Angelo Poliziano nel 1474, seguito da Lilio Gregorio Giraldo e dal Lipsio (Joost Lips). Così si esprimeva il Poliziano: Asisi legendum: quod oppidum nunc Asisium dicitur, patria S. Francisci. Il Lachmann nel 1816 seguì il Canter, un umanista olandese, accogliendo la lezione scandentisque arcis. Non sembravano accettabili le trascrizioni Axis recate dal Codice Daventriensis e Vaticanus, e neppure Asis del cod. Neapolitanus, che non poteva rientrare in alcuna forma latina. Fu soltanto verso il 1843 che il Lachmann accettò la forma Asis, emendandola in Asisi. Era la sua risposta all’Hertzberg, che propugnava Bevagna (Mevania), mentre lo Scaligero aveva indicato Amelia. Nel caso di Virgilio, di Orazio e di Ovidio non ci fu mai questione. Come mai soltanto per Properzio, che molto teneva alla sua patria dell’Umbria antica (Umbria te notis antiqua Penatibus edit)?

 

21 IV, 1, 64-66: Umbria Romani patria Callimachi! / Scandentis quisquis cernit de vallibus arces, / ingenio muros aestimet ille meo.

 

22 Il foro e il tempio pagano esastilo, sicuramente dedicato a Minerva Poliade, assisa in trono e dalla bella veste, opera scultorea classica del IV secolo a.C., probabilmente preda bellica di una valorosa coorte di Assisi che combatté coi Romani in Grecia.

 

23 Moenia nel senso di cinta muraria difensiva sono invece la mura di Roma cresciute dal latte della lupa Martia (cfr. IV, 1, 56).

 

24 Di cui abbiamo riportato il disegno eseguito dall’architetto Ugo Tarchi negli anni ’30 del secolo scorso.

 

25 Cioè Gallus Propertius, padre del poeta, giacché Horos non sta facendo confusione di date e di avvenimenti, bensì ripercorre una sola biografia essenziale, senza alcuna ambiguità sostanziale.

 

26 Cioè Propertia nostra s.e.m. amici soror et mater di Tullo Volcacio – che è la trasformazione razionale certa, costruita abilmente come tale, del legame stretto tra Sesto Properzio e Tullo Volcacio-Velcha: “pro nostra semper amicitia” (per la nostra sempiterna amicizia).

 

27 Esistono valide prove sulla sopravvivenza e sulla discendenza. Una di queste prove certe è la lapide properziana rintracciata per primo da Fioravante Caldari nel 1950 e valorizzata da Luigi Sensi soltanto nel 2005. Vedi i nostri due pezzi sulla Casa della Musa.

 

28 Vedi i versi finali dell’elegia di Cornelia, IV – 11.

 

29 Giorgio Bonamente, 1984, ha dimostrato la compatibilità metrica di Asis – genitivo – rispetto alla lezione del Lachmann per Asisi. Comunque pare sia sfuggito il solido argomento del conforme numero delle “esse”, sei in tutto, non soddisfatto da arcis o da axis.

 

30 Rimandiamo a un numero monografico su Properzio della rivista “Subasio”, anno VIII, n. 1 del 30 marzo 2000. La banalità di certe interpretazioni convenzionali esalta il non senso globale di certe pretese. Umbria patria Romani Callimachi !- dichiarazione ironica e di sfida, auto proclamazione di Propertius - contiene in sé una netta sconfessione: Hinc Umbria patria illac ima Roma. Ed è l’elegia del ritorno, come sarà presto chiarito in maniera ineccepibile. “Qui la patria dell’Umbria, di là l’infima Roma”. Ed è Assisi, posta al vertice dell’asse geografico che da sud a nord passa per Roma e per Bevagna. Ma era possibile, tacendo ancora una volta il luogo natio, la lezione arcis, da arx, adesso al singolare, come murus, oppure la lazione axis – axis (asse, polo).

 

31 Ad loca in I, 22 – II, 1 – II, 25 e IV, 1.

 

32 Dice Horos, collegando padre e madre: ossaque legisti non illa aetate legenda / patris et in tenuis cogeris lares [...] matris et ante deos libera sumpta toga. Precocemente raccogliesti le ossa di tuo padre, ti riducesti a poveri Lari e davanti agli dei di tua madre dismettesti la toga dei giovinetti. Ossaè il termine stretto di raccordo tra il sigillo del Monobiblos e la biografia profilata da Horos. Le cattive interpretazioni non possono non cedere il passo alla logica testuale d’insieme. Gallus Propertius era il padre del poeta, e il verbo proper.as ne racchiude a sua volta il principio identitario:”Propertius asisiensis”. Non averlo compreso è la pecca dei formalisti, che innamorati di Cinzia, mai esistita, hanno bevuto “i riflessi” dell’acqua, senza capire il “bastone spezzato” (la “rifrazione” necessaria del genio poetico di Properzio).

 

33 Si tratta anagrammi, perfetto sistema di occultamento. Ma non è qui un puro effetto del caso (le permutazioni fattoriali lo consentirebbero ampiamente!), bensì un discorso guidato “da un filo nel labirinto” (altra immagine properziana). Vedi “Properzio segreto”.

 

34 Ciò non è stato compreso ad es. da uno storico acuto come G. Bonamente (2002), che tuttavia vi riscontra una chiamata a correo per Caio Ottaviano Augusto.

 

35 La mia scoperta è ampiamente certificata. C’è dunque certezza. Del resto Properzio esordì a 19 anni. Tutto il resto è semplicemente falso e contraddittorio.

 

36 Fa parte delle indicazioni la fitta serie insistita dei “pro – per” in I, 21 e 22. Seguendo tale traccia si perviene a conclusione. Inserendo la chiave “Propertius” nel verso di “Gallus” si ritrovano le arae perusinae, alias i sepulcra. Quelle le ossa. Non fa meraviglia e non è dunque un puro caso che nel verso 7 corrispondente di I, 22 si legga la firma d’autore coinvolgendo Mecenate. E caso non è che nell’ultimo verso di I, 21 si debbano trovare i luoghi certi: < mons et rus Asis >. E’ confermata anche in altri luoghi (ad es. in I,20) la presenza di Asis. Era questo l’antico nome di Assisi umbra? E quale il significato del toponimo, se appunto di lessico accettabile?

 

37 92 elegie di un’opera mutila, corrotta in più parti, e forse 5 libri. E 96 specie di passeracei, id est il magnifico viridarium della c.d. domus Musae ad Assisi, di cui abbiamo riprodotto un dettaglio, con foglie rosse a forma di cuore (drupe della pianta del caffè). Nella I, 16 – ianua Tarpeiae – luogo misterioso del Campidoglio, una porta degli antichi trionfi e carri dorati, Cinzia non è nominata. Un Propertius fu re di Fidene al tempo dell’antica Veio. La CIL XI 5389, lapide in antico umbro di consacrati confini, ci ricorda il marone Nerio Properzio, nonno o bisnonno del poeta. La memoria ha vinto il tempo, ed è portentoso, giacché ciò attiene letteralmente al mistero del sacro. Peggio per chi non lo comprende.

 

38 Cinzia, forma potens – verba levis, non è una Nannò, una qualsiasi “bambolina”, ma una potenza tremenda. Ella abita in luoghi speciali, ed è ombra, fuoco, purpurea lana, pianto, esaltazione, dolore, e passione patria. Cinzia è l’Umbria afflitta e prostituita da Ottaviano. La quinta donna elegiaca di Sesto Properzio proviene, infatti, dagli Inferi.

 

39 In IV, 7 Cinzia appare in sogno a Properzio poiché i Mani esistono e non tutto si dissolve con la morte. Tale apparizione, di rara efficacia poetica, potrebbe ricollegarsi a una tradizione di revenant, di cui l’episodio dell’Empusa, sarebbe un’eco: una fanciulla, morta appena sei mesi dopo le nozze, cominciò ad apparire di notte e a frequentare la casa di un certo giovane. Qui non importa il riferimento preciso, ma il fatto che Cinzia appaia in sogno, con questa stessa identica concretezza, preannunziando a sua volta la morte prossima del poeta (che però non va presa alla lettera, anche perché Cinzia non è mai esistita).

 

40 A ben guardare, l’enigma di Cinzia dai più compleanni, attiene alla “casa della Luna nel Cancro” il giorno del solstizio estivo. Ed è questo il segreto implicito di III, 10 – in cui si celebrava la ricorrenza del giorno felice (sole rubentenatalis nostrae signum puellae). Ad Assisi, in una bella e vasta domus, riccamente affrescata, da cui si scorgevano – verso Bevagna – le sponde del lacus Umber (i gabbiani qui non appartengono a un panorama marino).

 

41 E’ vero che nelle Elegie sarebbe vano rincorrere gli sviluppi di una trama amorosa e una piena certezza di luoghi (per esempio: da Baia al Clitunno, e poi dal Clitunno all’Aniene e a Tivoli). Il luogo vero è l’Esquilino, dove andrebbero infine riportate – per ricevere un premio – le deperditae tabellae o cerae (III, 23). Ma da I, 3 sappiamo che “Cinzia e Properzio” abitavano insieme in un luogo ai confini dei giorni e delle notti, baciato in silenzio dalla luna trascorrente (luna fenestras). Cinza e il poeta sono una cosa sola, fino all’ultimo. Ed è l’Esquilino il luogo, ricco d’acque, dove saranno dettati “nuovi patti d’amore” (Cinzia morta è più viva che mai!). La dissociazione apparente non è schizofrenia o licenza poetica, ma segnale e spiegazione di un senso arcano. Assisi, forse mai nominata, oppure una volta soltanto (Asis), non solo ricompare più volte, di nascosto (se si cerca), ma è il vero tema conduttore delle Elegie, di cui Horos s’incarica del senso ultimo, con l’aiuto immediato di Vertumno. Il paesaggio stesso dell’antica Umbria finirà per parlare: la relazione strettissima tra il “sigillo” non firmato del Monobiblos e il fitto discorso di Horos che corregge Propertius (= ultima elegia composta fingente da proemio), difatti contiene “il filo del labirinto” dell’unum opus. E tutto ciò appartiene a un solo ambito in cui arte e significato si compenetrano perfettamente, fondendosi per necessità senza alcuna grinza. Dobbiamo scegliere tra un poeta terso, elegante, emotivo ma tenue, e un poeta tragico, robusto e nascosto. Argomento decisivo le lacrime, giacché la poesia erotica (per modo di dire) del Nostro, ha l’energia di un vulcano ed è spesso profondamente commovente se si seguono i suoi fili emotivi di “amore e morte”, ben al di là di “Cinzia”, ma dentro di noi lettori, non importa se lettori moderni, cioè mediati da due millenni, se immedesimati nel Signor Ego, nel dolor e nel furor, sia il “flauto” dei banchetti – vedi come io regno – o la “tibia” funebre degli addii. E le ossa, disperse sui monti Etruschi, e la memoria dolente. Contraddizioni violente tra antica Patria dell’Umbria, figli da non donare alle armi, accampamenti di parole, Amore è un Dio di Pace, e Cinzia equivoca e contraddittoria, creatura letteraria emersa da un altrove (mai mi disse ti amo). Cinzia è dentro Properzio, non ha un’esistenza autonoma, sebbene debba apparire libera (la contraddizione è voluta, ed era necessaria). Cinzia è di Tivoli perché in giorni chiari Tivaoli appariva netta negli azzurri vista dall’Esquilino. E’ aurea perché eterna, incorrotta. La prospettiva fallace dell’aurea Cinzia da Tivoli (lo apprendiamo nel quarto libro), serviva a dirottare lo sguardo indagatore della ‘censura’ augustea: non si dove a scorgere l’Umbria, dalla parte opposta. I luoghi di Cinzia divergono dai luoghi di Properzio. Il punto in comune è l’Esquilino. L‘elegia del ritorno – IV, 1 – guarda indietro, alle origini, ma non si distacca. Cinzia è l’Umbria; dal Tevere, di nuovo al Clitunno. Eterna fedeltà alla Patria, dacché il furore e lo smarrimento antico del fanciullo, rimasto orfano, si è poi mutato in un amore di donna, s’è fatto metamorfosi e trasferimento psicologico per rimanere divampante e sempre acceso come ignes. Un dramma, vissuto in quell’età felice in cui altro sarebbe dovuto accadere, rimase piaga aperta, sanguinante, continua contraddizione: odio e amore, contrasto e alternanza, questi essendo i caratteri opposti e contraddittori di Cinzia elegiaca, dove il dolore campeggia, ed è pianto antico, e sono sempre nuove lacrime. Amore e morte, potenze immani. Bacco e Arianna, Amore e Libero. E sono purpuree lane, lacrime prima di prendere sonno. C’è poi la Luna: il pallido volto della fanciulla, e insieme il teschio dalle orbite vuote. Un trascorrente raggio di luna placa il furore, trasfigura l’umano momento, trascende e sublima nell’arcano. Credo che la sensibilità di un poeta d’età classica come Properzio non fosse aliena a questa ridda di sensazioni contrastanti e di violente coabitazioni, risolvibili nel canto accorato e in potenti immagini. Un nuovo grande erotismo, in cui l’epica dell’esametro s’è tolta una costola, un piede metrico per partorire “Cinzia”, nome della luna: << Unica nata meopulcherima cura dolori >>. Se non è Apollo, se non è Calliope (dal bel canto), è “Cinzia”. Ma “Cinzia” nasce dal “dolore”. L’arte del Nostro è molto più potente del suo travestimento, della sua “causa” formale. Ed è una metamorfosi necessaria.

 

42 Altrimenti ricadremmo per forza di cose nella battutaccia salace di un epigramma di Marziale per cui la fama di Properzio gli veniva dalle tante corna, altrettanta fama, che gli avrebbe messo Cinzia. Invece la “Cynthia”, cioè il Monobiblos, ebbe immediato successo nel “Foro”, e questa indicazione ha certamente un valore conforme alla tesi di “Properzio segreto”. Basta, infatti, fare un collegamento di riferimenti testuali con quanto dirà poi Horos riassumendo il profilo biografico di Propertius. Il fatto che Apollo abbia vietato al giovane poeta di darsi alla carriera legale, in altri termini alla politica, al cursus honorum che gli sarebbe venuto parlando dai rostri, del foro di Roma, definiti “deliranti”, comporta una stretta attinenza, certamente non episodica, con la scelta fortunata della poesia elegiaca per Cinzia. E chi poteva averlo così bene consigliato, aiutato e indirizzato, se non Mecenate in persona, che diverrà in seguito l’interlocutore privilegiato, in certi casi – come in II, 34 – opportunamente schermato in modo da ingenerare una possibile, ma anche oscura confusione con Vario, poeta epicureo ma anche curatore-redattore dell’Eneide virgiliana, che stando al grande mantovano doveva essere bruciata con la sua morte? La letteratura d’età augustea è contornata da gialli. Anche l’allontanamento di Mecenate nel 23, con la congiura di Murena, dalla direzione delle lettere è un altro giallo. Nell’ultimo libro delle Elegie (riportabile all’anno 15) il nome di Mecenate è scomparso. E non compariva nemmeno nell’Eneide, nata faticosamente sull’Esquilino. Una volta dimostrato testualmente, in modo diretto, che il morto parlante di Perugia è il padre di Properzio e che la misteriosa soror, che gli è speculare, è poi la madre di Tullo Volcacio, sorella di Gallo Properzio, tutto torna chiaro, con firma segreta d’autore e la stessa invocazione, al cavaliere Mecenate, di favorirne le speranze. L’umbro Properzio fu costretto a fingere, e la polisemica espressione di Horos at tu finge elegos, fallax opus, haec tua castra! – chiude il cerchio. Non c’è altro modo di accostarsi all’unum opus se non per ricucitura unitaria di frammenti sparsi o scaglie indicative, opportunamente disseminate nei quattro libri delle Elegie mantenendo in perfetto equilibrio le giustificabili apparenze illusorie.

 

43 Per anagrammi guidati concettualmente, in modo ellittico in base al contesto ridondante, ma anche per scaglie e frammenti sparsi da reinserire nei luoghi deputati è possibile falsificare “Cinzia” e gli elogi esagerati per il principe, pervenendo a giudizi trincianti, perfettamente recepibili, e del resto giustificati in modo saliente da altre cifre nascoste. Diversamente, non si sarebbe potuto far nulla. Negli stessi versi coesistono due ‘versi’ di significato opposto (versus – versus, ma senza dar luogo a facili riscontri o riconoscimenti pericolosi oppure a sterili casi di verso ricorrente leggibile al contrario, oppure ad acrostici sporadici come in Virgilio e in Orazio). Properzio impiegò altre forme, come alcune combinazioni verbali pre-segnalate, utilizzò anagrammi suggerendone la chiave di base, e in caso molto importante e particolarmente indicativo di tutt’altra intenzione, fece impiego anomalo ma insistito di un acrostico, ripetuto anche in orizzontale. Al margine estremo dell’ambiguità tollerabile, non c’era altra maniera per esprimere il proprio dissenso. L’ambiguità dei contenuti e degli atteggiamenti, innestati nel tema elegiaco, portava alla possibilità di una integrazione difficile, scavando adeguatamente. Cercando meglio, facendo cioè a meno del peso formale dell’arte e postulando anche il corrompimento della metrica (la metrica di un testo poetico scritto rimaneva un vincolo formale necessario, ma non una condizione insostituibile per i significati ‘altri’, per il messaggio occulto), si sarebbe scoperta l’incompatibilità e l’estraneità del poeta al predominio di Augusto non più discutibile sul piano politico a pena di severissima repressione. Qualcuno doveva pur farlo, e costui fu il giovane umbro di Assisi, così vendicandosi genialmente di un crudele assassinio, non tollerato dalle leggi morali non scritte della pietà nei fatti bellici, o comunque derivante da sete di predominio, in contrasto con l’idea politica repubblicana. Nel trapasso epocale al nuovo regime, provocato dalle fazioni che a Roma avevano a lungo lottato tra loro fin dal tempo di Mario e Silla, si stava consumando anche l’evo etrusco. Non è un caso che in Properzio ciò riemerga in chiaro con la questione degli espropri di terra anche in Umbria per i reduci di Filippi (la tiste pertica) e col bellum Perusinum (Perusina sepulcra). Ricudendo la trama, all’indovino Horos è stato delegato da Propertius il compito non episodico e non puramente occasionale di determinare un’essenziale autobiografia d’autore assolutamente funzionale all’opera unica. Là dove il Monobiblos si chiudeva, l’enigmatica e grandiosa elegia proemiale del quarto libro definiva in conclusione l’intero percorso poetico in termini biografici, e cioè come videnda principale. Cinzia è la cifra apparente e formale di un viaggio poetico o percorso remoto embricato nell’io. Una sovrastruttura, rispetto alla vera narrazione, altrimenti impossibile. Per conseguenza, se all’elegia Propertius – Horos viene sotratto il suo significato autentico, il suo vero scopo (ovviamente giustificato con apparenze bastevoli a illudere), le Elegie vengono svuotate di scopo, rimanendo l’impianto formale incapace di giistificarne gli enigmi. Se invece vi si coglie – e a ragione – l’idea o il sugegrimento autentico di un ritorno, a questo punto tutto torna chiaro. Al posto di Cinzia riemerge Properzio, col suo dramma. Assisi è fondamentale per la ricostruzioone di questo intimo percorso che va appunto dall’esordio precoce nel 29 fino al silenzio definitivo nel 15. Il che non significa affato la morte, come erroneaente si è supposto, e si è continuato acriticamente a reputare necessario, accantonando i veri problemi di un’opera unica così diversa da tutte le altre di genere elegiaco, pretendendo di inserire la “Cinzia” nel solco dell’elegia romana (pura invenzione), altresì disattendendo le sottigliezze insite nell’elenco degli stessi elegiaci dettato da Properzio al termine del secondo libro, che è un trionfo di cifre allusive che vanno ambiguamente da Varrone a Cornelio Gallo, facendo leva su aspetti “inferi” (la morte della misera Quintilia o il suicidio di Gallo), passando per Lesbia divenuta famosa come una nuova Elena (il tema allusivo dell’Iliade, ironico e tragico, è sempre presente in Properzio). Certo, è impresa difficilisima pensare di raccogliere a unità concettuale le tante diverse situazioni e i diversi momenti di Cinzia elegiaca (cioè l’apparente vicenda amorosa), con le lezioni di poesia elegiaca impartite da Properzio, le sue ricusazioni a cambiae genere, le varie composizioni dedicate a Mecenate e ad Augusto, i nuovi riferimenti a Tullo nel terzo libro (III, 22), le elegie antiquarie del quarto libro, dove è sembrato che il tema di Cinzia fosse ormai esaurito, credendo perciò che il ruolo di Horos ribadisse, comunque, la vocazione esclusivamente elegiaca di Propertius. Nonostante l’episodio di Lycinna (III, 15 – elegia che meglio si sarebbe inserita nel Monobiblos), Cinzia, che è stata la prima, sarà veramente anche l’ultima: nel quarto libro ritornerà tre volte, in modo speciale. Properzio stesso ha falsificato Cinzia, escludendo che la sua densa storia d’amore fosse una strana storia sentimentale, e non invece un simbolo. Horos ribadisce in Cinzia questa valenza speciale. Parimenti corregge Propertius che vorrebbe cantare i destini di Roma. In realtà, l’indovino alter ego afferma ciò che Propertius non potrebbe dire direttamente: che Cinzia non era Cinzia, che la trama nascosta è un’altra, e che questa trama è una sola lo spiegherà il cangiante Vertumno, mentre le c.d. elegie romane o di argomento antiquario – sul modello delle “cause” o aitìa di Callimaco – sembrano irrompere, al termine della vita poetica del Nostro, dalla impossibilità di continuare con Cinzia dopo il discidium (ovvero derivare da una raccolta postuma di un editore alquanto distratto). Vero è, invece, che anche questi pochi casi del quarto libro rispondono a un progetto, mirando a falsificare alcuni temi dell’Eneide, nelle c.d. visioni dello scudo di Enea, o la celebrazione di Roma nel Carmen Saeculare di Orazio, riprendendo il tema di Azio (IV, 6) e di nuovo il magnifico tempio di Apollo, fatto erigere sul Palatino da Augusto, accanto alla sua casa privata, inaugurato nel settembre del 28 (elegia II, 31). La ricicitura o ripresa di certi temi non è casuale. Cinzia è un simbolo più che una donna elegiaca. L’unità nascosta dell’unum opus ruota necessaiamente intorno alla autobiografia segreta del poeta. Quanto basta per affermare che effettivamente si tratta di un’opera “ingannevole”, travestita in Cinzia, e non il comporre elegie d’amore: bensì un fatale destino, inscritto in un oroscopo apparentemente impenetrabile, terminante con un oscuro avvertimento o minaccia, che a stretto rigore non potrebbe riferirsi alla storia d’amore per Cinzia, già sconfessata al ternine del terzo libro. Propertius-Horos si sviluppa al margine dell’ambiguità, al suo punto estremo di confine. Perché qui figurebbe tardivamente il nome di Assisi, una volta sola, e non nel sigillo del Monobiblos? La nostra analisi consiste sostanzialmente nel dare una risposta a tale domanda. Il che comporta anche un’indagine preliminare sulla lezione Asis oggi accettata.

 

44 L’elegia I, 16 era ambientata in un misterioso angolo del Campidoglio, accanto alla porta di Tarpea, di nota pudicizia, mentre impudica è la padrona – non nominata, ma non c’è ragione per dover escludere Cinzia – di un’antica casa, spalancata un tempo ai trionfi. Perché certi temi tendono a un ritorno variato? Cosa si nasconde dietro quella soglia parlante?

 

45 Composizione iperbolica e ridondante, i cui eccessi celebrativi attingono all’ironia, concludendosi infine nella magnifica indifferenza di un vate il cui calice scintillerà per i raggi del nuovo giorno, cantando un carme. “Augusto è un dio”. Ingenium positis irritet Musa poetis – Ispiri la Musa i poeti a convito: e qui vediamo si – is – is, una prima volta in sequenza orizzontale, nella stessa riga, seguiti da analoga sequenza i-s-i-s in verticale – a distanza di scurezza per così dire ‘protetta’ – ma ribadita dalla seconda sequenza orizzontale si – is – is : sive aliquid pharetris Augustus parcet Eois, quando Cleopatra alla quale di fatto ci riferiva nello scontro navale di Azio sotto la protezione di Apollo, non solo è qui l’unica avversaria, una donna, ma è lei la nuova Iside, come impose di chiamarla Marco Antonio.

 

46 Un poema che riprendeva il tema delle Argonautiche di Apollonio Rodio.

 

47 Paul Veyne definirà Properzio il “Signor Ego”.

 

48 Si veda Elio Pasoli, Poesia d’amore e “metapoesia”: aspetti della modernità di Properzio, 1975, ove è richiamato anche un saggio di Ezra Pound del 1917 sul particolare linguaggio ‘properziano’.

 

49 C’è chi ha voluto cogliere nell’episodio di Arria un riferimento alla clades lolliana oppure un richiamo criptico a Marco Antonio (Lupercus). Su Arria e Cinara nulla si sa poiché non esistono precedenti, mentre sembra razionale che Properzio abbia voluto appaiare le sorti di Gallo nel bellum perusinum e poi di Marco Antonio in Egitto, rispetto ad Arria che qui sarebbe il simbolo di Roma. Per anagrammi si potrebbe ricostruire a senso gli eventuali sottintesi che il testo poetico non permette di scorgere.

 

50 Antica Umbria è certamente un manifesto storico, oltre che politico e geografico. Eppure sull’Umbria antica Properzio non dirà mai nulla di particolare, se non riferendosi alla vallata centrale, al fiume Clitunno che l’attraversa da est a ovest, alle sue stesse terre, al bellum Perusinum e ai Perusina sepulcra. Il quadro implicito di riferimento è come una fotografia, fissata per sempre su una certa data.

 

51 Un Licofrone di Calcide è autore dell’oscuro poema in trimetri giambici, la Cassandra o Alessandra, con la saga di Enea e persino una menzione degli antichi Umbri. Il Licofrone della Pleiade era autore di brevi anagrammi elogiativi della coppia regnante in Egitto, Tolomeo e la regina Arsinoe.

 

52 E saranno invece i Fasti di Ovidio, non le poche “elegie romane” di Properzio. Mentre la lettera di Galla a Postumo (elegia IV, 3) sembra anticipare le Eroidi del fertile poeta peligno di Sulmona, più giovane appena di qualche anno.

 

53 Moenia e non muros. Moenia – fortificazioni, muri di cinta – non ammette il singolare. Murus significa invece muro di una città o di un edificio (civile o sacro).

 

54 Propertius, versi 65-66.

 

55 Al cavo campo corrisponde, in Silio Italico, l’umbro antro.

 

56 Vedi I, 22.

 

57 Vedi anche la riproduzione in appendice della porta più antica di Bevagna che guarda ad Assisi, la cui meridiana settecentesca a stilo, al mezzogiorno vero, indicando la verticale dell’ombra proiettata, determina anche l’asse geografico perfetto ‘sud-nord’.

 

58 Vedi Orazio, Carmina II, 17, 17-30.

 

59 Vedi I, 22.

 

60 Che un Gallus si riaffacci al termine delle Elegie, aldilà dell’episodio inventato di Arria, è la prova del nascondimento posticcio e dell’unico filo conduttore. Gli sfoggi di Horos sono altrettanto inconsistenti che le insincere espressioni di Propertius. Ciò che rileva è il dato geografico del ritorno da Roma in Umbria, che si concentra su Assisi (vertice murus).

 

61 Vedi al riguardo “Properzio segreto”.

 

62 Che Properzio fosse natio di Urbinum Hortense sull’altro versante collinare rispetto ad Assisi, posta nelle vicinanze di Bevagna, città umbra estintasi nel IX secolo d.C., era opinione motivata del Prof. Gianfranco Maddoli, espressa nel 1963, e censurata nel 1964 dal Salvatore. Nel 1916 il prof. Raffaele Elisei di Assisi, pubblicava un aggio teso a dimostrare le origini assisiati di Properzio. Nel 1935 Valter Giorgiallberti pubblicava un lavoro diretto a dimostrare le origini mevanati. Non si può escludere che le terre della gens Propertia fossero molte estese e che un ramo della gens fosse presente in altri luoghi, certamente a Bevagna. Gli argomenti del Maddoli meritano attenzione, con particolare riguardo a Paolo Passenno Properziano, che non sarebbe il Paulus Passenius amico di Plinio il giovane. Secondo il Maddoli Asisrappresenta una corruzione del testo, non essendo un termine altrimenti conosciuto.

 

63 Lo dimostra l’impiego accorto del tempo verbale properas, presente in soli due casi, anche se impiegato da Ovidio negli Amores.

 

64 Properzio è sarebbe stato l’unico a nominare “Assisi”, ignorata persino da Strabone. Ma sorge il sospetto di una memoria abrasa ad arte. L’impianto monumentale di Assisi è difatti degno del massimo rispetto, anzi è di rara bellezza. ll tempio era sicuramente dedicato a Minerva, come proverebbe anche una cifra recondita reperibile in III, 25 (Mens bonadeaque Asis).

 

65 Ovviamente sul presupposto che il testo trasferito corrisponda all’originale ignoto.

 

66 A. Ancillotti – R. Cerri, Le tavole di Gubbio e la civiltà degli Umbri, Perugia 1996, pag. 342.

 

67 G. Semerano, Le origini della cultura europea, vol. I, pag. 619, Firenze 1984. In accadico asu significa il sole.

 

68 Vedi La patria di Properzio ed aspetti del paesaggio umbro nel tardo-antico, in Ricerche sull’Umbria, Gubbio 1964, pagg. 379 ss.

 

69 Ho già ricordato i lavori dell’Elisei e del Giorgialberti, dai quali si ricava l’intera questione già dibattuta e disputata in passato.

 

70 Un accurato studio di Giovanni Forni ha riguardato I properzi nel mondo romano con unaindagine prosopografica mentrealtri importanti lavori di G. Bonamente 2002 (Properzio, un esponente dell’aristocrazia municipale di Asisium nella Roma di Augusto ) e di F. Coarelli 2002 (Assisi, Roma, Tivoli: i luoghi di Properzio) hanno asseverato Assisi.

 

71 Vedi Atti dell’Accademia Properziana, Saggi e studi in memoria di Salvatore Vivona, a cura di G. Catanzaro, Assisi 1997.

 

72 Si veda al riguardo G. Dumézil, La religione romana arcaica, Rizzoli 1977, pagg. 408 ss. Del resto, ‘Minerva lunare’ dovrebbe condividere la radice ‘mens –Mnerva’. Mens Bona sarebbe un epiteto o un attributivo di Minerva.

 

73 Assisi è stata implicitamente paragonata a Troia (le sue mura rosate s’incendiavano ai tramonti come succede anche oggi). Che il tempio non sia di Minerva è un’aberrazione del tutto infondata. La dimostrazione sta in Properzio, che ricorda implicitamente anche la statua della dea ornata di magnifica veste, ma in ogni caso esistono argomenti salienti sia per attribuire che per datare questo tempio, ornato per la sua importanza da una statua di Augusto in panni di pontefice massimo. Lo scopo del mio sito sul web è appunto quello di fornire dimostrazioni sfuggite agli studiosi. Ciò che conta è l’efficacia dell’argomento specifico di prova, non le supposizioni a latere., quasi sempre ‘estrapolate’ dall’insieme contenente.

 

74In I, 20 compare un Gallus, che dovrebbe essere Cornelio Gallo, poeta e generale romano originario della Gallia Narbonense., autore degli Amores in quattro libri per Lycoride. Perché tanti Gallus nel Monobiblos, a partire da I, 5, e un ultimo Gallus anche in Propertius-Horos? L’elegia I, 8 riprendeva (col pretore venale dell’Illiria che insidia Cinzia) uno spunto poetico da Cornelio Gallo (il tenero piedino dell’amata e le dure nevi alpine). In I, 19 Properzio introduceva il tema della morte. In I, 20 riprendeva il mito efebico di Ila, il giovinetto fatto scomparire dalle ninfe delle acque. In questa elegia “Gallo” è citato tre volte: al primo verso, nel verso 14, e infine nel verso 51. L’apostrofe è sempre al vocativo: Galle. Senza dover spiegare troppo, ecco la singolare metamorfosi di tali versi: < Pro te, o Galle, manus: hoc continue memoro > – < Galle, pater, neque culex semper dire ossa > – < o Galle, his montibus Asis more tuo serva >.

 

75 Si dovrebbe però osservare che Assisi primitiva sorse in alto e che poi si sviluppò in basso a buccia di cipolla, mentre l’immagine della città ai tempi di Properzio dove a essere quella di una serie di gradoni o terrazzamenti sostenuti da possenti muri di sostruzione. In Dante (IX canto del Paradiso), Assisi è Ascesi (dalla parte di Oriente).

 

76 Se si analizza correttamente la situazione inerente alle elegie di sigillo del Monobiblos non firmato da Properzio esordiente nel campo della poesia elegiaca (cioè i due epigrammi conclusivi di I,21 e I, 22), ci si dovrà accrogere che una pioggia di segnali necessari e sufficienti vale a identificare senza ambiguità in Gallus un Propertius, e nella soror la madre di Tullo Volcacio. Con questo sistema di combinazoni scompare ogni ambiguità, giacché Horos ribadirà che Properzio perse il padre da bambino. Gallus non poteva essere uno zio, fratello del padre di Sesto Properzio, poiché “Propertia nostra” tiene luogo di sopravvivente unico. Nè ad Horos era stato affidato il compito di dettare un ritratto biografico schizofrenico dell’alter ego Propertius. Non si scappa: il morto parlante di Perugia è veramente il padre del poeta, sacrificato dalla crudeltà di Caio Ottaviano sulle famigerate arae Perusinae, ovvero Perusina sepulcra del testo poetico, insiene ad altri trecento capoioni di una rivolta che non riguardava soltanto la tutela delle terre dalle requisizioni militari, ma anche la patria dell’Umbria, come dimostra chiaramente la situazione di Norcia, che prse parte alla rivolta ed elevò persino un monumento in onore dei congiurati.

 

77 Si è pensato che l’attribuzione a Paolo Passenno (in età traianea), e, in precedenza, a Sesto Properzio, della c.d. domus Musae, o “casa della poesia”, fosse la prova decisiva che Properzio nacque ad Assisi. Due seri ostacoli si contrappongono a tale opinione: 1) il fatto che il Paolo Passenno Properziano epigraficamente attestato ad Assisi potrebbe non essere il Passenio Paolo di due lettere di Plinio il giovane che lo identificava come municipale e discendente di Properzio, pure lui poeta elegiaco; 2) il fatto che i resti della domus Musae, sebbene si presentino come una specie di criptoportico, tuttavia non identificano una casa di abitazione, del resto con affreschi di età successiva a quella augustea. Su tale ultimo aspetto, e cioè che la domus Musae sia altro, si vedano – al riguardo – i pezzi presenti in questo stesso sito web, per cui se l’autore del graffito domum oscilavi Musae fu, come tutto lascerebbe credere, proprio il poeta latino Decimo Magno Ausonio, allora è proprio questa indicazione, una firma autentica sotto forma di elegante gioco di parole, il dato saliente del raccordo tra Properzio e Assisi.

 

78 E’ un giallo anche la curiosa vicenda di questa lapide frammentaria, che attiene poi a un mandato testamentario per il completamento del theatrum di Assisi iniziato da un Sesto Properzio (quasi sicuramente il poeta), mentre una lapide funebre in marmo cipollino, proveniente da Bevagna, ricorda la “moglie” di un “Sesto Properzio”. Per la lapide rintracciata nella domus Musae e illustrata da L. Sensi si vedano gli Atti del Convegno di Studi Properziani del 2005, pag. 61 e ss. Il teatro romano di Assisi sorgeva nella parte alta e più antica della città, accanto all’attuale duomo romanico di San Rufino. E’ stata messa in dubbio la presenza in questo luogo, a ridosso della cinta muraria, di un teatro, allegando ragioni di spazio. In realtà i resti ancora visibili all’esterno ed anche all’interno di alcune abitazioni, ne dichiarano indubbiamente la natura di cavea teatrale, la cui scena si addossava alla cinta muraria nella zona di Piazza Nuova, al cui esterno sorgevano il circo e l’anfiteatro, di cui rimangono cospicui resti, sopratutto per l’anfiteatro, la cui cavea è pressoché intatta. L’Assisi umbro-romana sottostà a quella attuale, mentre i templi pagani sono stati incorporati nelle prime chiese cristiane della antica comunità. Il magnifico complesso monumentale del tempio di Minerva e del foro civico è perfettamente visibile nelle sue parti principali ed è stato poi ricostruito nelle parti sommerse o perdute. Si trattava di un complesso di grande estensione con due ali laterali, ciascuna di circa cento metri, caratterizzate da mura possenti in calcare rosa del monte Subasio.

 

79 Era questa anche l’opinione di Hertzberg, altro grande filologo ottocentesco, che pur non conoscendo questa lapide, affiorata soltanto negli anni ’50 del secolo scorso, grazie a Fioravante Caldari, riteneva che Properzio si fosse sposato e che fosse ritornato ad Assisi, dove rimanevano le sue terre e i suoi possedimenti, certamente non abbandonati all’incuria.

 

80 Vedi A. Pizzani, Le vite umanistiche di Properzio, in Assisi e gli Umbri nell’antichità, 1996, a cura di G. Bonamente.

 

81 Nulla autorizza a ritenere che Properzio sia deceduto poco dopo l’anno 15 a.C., celebrandone il Bimillenario della morte nel 1985 così come invece è stato fatto. Anzi, è da ritenere vero l’esatto contrario. Che cioè Properzio si sia ritirato ad Assisi, qui concludendo la sua esistenza.

 

82 Non è impossibile che ciò sia accaduto.

 

83 La notizia ci perviene da Francesco Frondini, dotto assisiate del ‘700, e il collegamento col Pontano, da noi fatto, non è improbabile. Conta tuttavia il fatto che la notizia già fornita da Fulgenzio Planciade abbia altri appoggi, nel senso che le Elegie racchiudessero un mistero, e non nel senso che Properzio avesse provato a scrivere altro (ad es. un’opera non elegiaca o che fossero stati conservati i suoi primi conati poetici della cui notizia allora sarebbe Horos la fonte).

 

84 Su quest’aspetto dell’integrazione difficile di Properzio faccio rinvio – per consensi e critiche – ai seguenti articoli e lavori essenziali: Rosa Maria Lucifora, Voci politiche in Properzio erotico (ideologia e progetto politico in II, 16 e III, 11), Bari 1999; E. Paratore, Gli atteggiamentipolitici di Properzio (in Atti 1985); H. Trankle, Properzio poeta dell’opposizione politica? (Atti 1981); E. Lefévre, Properzio e i suoi tempi (Atti 2000).

 

85 In IV, 8 Properzio segreto ci farebbe sapere di essere nato nel mese di maggio. Alle idi di marzo del 40 non aveva ancora compiuto otto anni.

 

86 Vedi in ogni caso G. Bonamente, Properzio, un esponente dell’aristocrazia municipale di Asisium nella Roma di Augusto, Atti 2002. Per i parenti romani di Properzio vedi R. Syme, L’aristocrazia augustea, Rizzoli 1993.

 

87 Il console dove aver vissuto a lungo e questo è l’augurio per Mecenate da parte di Orazio che gli stappa una bottiglia di buon vino col sigillo dell’anno stesso del consolato.

 

88 Tali origini perugine, che sono attestate da Massimo Pallottino, trovano del resto un appoggio concettuale nelle Elegie e nuova conferma in “Properzio segreto”.

 

89 L’acqua Appia vi scorreva in sotterranea.

 

90 Nell’elegia IV, 3 – lettera di Galla a Postumo (che era un Properzio) – compare porta Capena, oltrepassata la quale ci si trovava al tempio

 

91 R. Staccioli, Guida di Roma antica, Rizzoli 1986.

 

92 Per la giustificazione di queste affermazioni e gli ulteriori dettagli rimando a “Properzio segreto”.

 

93 Anche per questa serie di rivelazioni rimando sempre a “Properzio segreto”.

 

94 Che si chiamasse Sesto (nel sistema onomastico bimembre) lo apprendiamo soltanto da Servio, tardo commentatore di Virgilio. Ed è sempre Servio che ci fa sapere che un antico re Propertius era connesso con le origini delle città di Capena e di Fidene.

 

95 Come ho già mostrato in “Properzio segreto” tutti i distici funerari che Properzio applica a se stesso sono falsificabili. E’ pertanto inutile ripetersi.

 

96 E nudo era Endimione, quando avvinse la sorella di Febo (la luna), / e con la dea tutta nuda, raccontano, si giacque.

 

97 Questo sepolcro romano di Assisi è legato alla leggenda di San Rufino, primo vescovo di Assisi, che si fonda su un sermone ad hoc di s. Pier Damiani, palesemente inventato.

 

98 Un sepolcro pagano col mito di Oreste ma di affini tratti stilistici, presente nei musei vaticani, si colloca verso il 130 – 140 d.C.

 

99 Di questo imponente monumento, sorgente accanto ai resti del teatro romano di Assisi con tanto di cella sepolcrale a valle, ma spogliato ormai di tutti i suoi rivestimenti fino a far affiorare il solo scheletro in calcestruzzo, in realtà sappiamo pochissimo. Quale migliore collocazione che questa, per una magnifica sepoltura trionfale di Properzio, in età imperiale, a cura del suo discendente?

 

100 Vertice murus –come leggiamo in IV, 1, verso 125 – allude (vertice) al timpano del Tempio di Minerva, che su due possenti ed estese ali murarie, di circa cento metri ciascuna, sovrastava la campagna sottostante, caratterizzando Assisi in modo inconfondibile. Il richiamo di Horos al caso di Cassandra, ch si aggrappa alla veste di Minerva, ci riporta alla statua della dea presente in Assisi, priva della parte superiore, adornata da una magnifica veste, le cui ricche frange spuntano ai suoi piedi (Minerva Poliade assisa in trono). Il verso 118 – quam vetat avelliveste Minerva sua! – si trasforma in un saluto: < Ave Minerva stella quae visum vetat! – Ave Minerva stella che acceca lo sguardo! >. Il verso 143 riferito a Horos – nil erit hoc: rostro te premet ansa tuo – si trasforma in < Caesarem terret Horos : potiti nolunt >. In ogni caso non credo affatto che il significato di Propertius-Horos consista nell’ammonimento a Propertius di non lanciarsi nella difficile e rischiosa impresa della lirica civile, perché la sua Musa sarà sempre quella della poesia d’amore. Affermazioni di questo genere non solo girano intorno alle mere apparenze, lambendone appena la superficie, ma fanno torto alla logica di un genio come Properzio. Il poeta ha sigillato la sua autobiografia, e ha ribadito che le Elegie sono opera ingannevole. Il lettore dovrà capire da solo che lui non poteva fare diversamente. Tra Orazio e Properzio non doveva correre molta simpatia. Alceo aveva abbandonato il suo scudo salvandosi la vita. Orazio riuscì a salvarsi a Filippi. Properzio, che di ciò si gonfia, sarebbe – secondo Orazio – il nuovo Callimaco romano, anzi il nuovo Mimnermo. Dice Orazio (in “A Floro”): << Ci colpiamo l’un l’altrocome due gladiatori sanniti, sino a quando il lumi non si accendono >>. I gladiatori sanniti combattevano al buio. Properzio scrisse anche al buio, nascondendosi. Questo lo abbiamo provato. Perché dunque lo avrebbe fatto, se le Elegie formalmente tacciono oppure mentono sul suo vero dramma familiare? Per chi scriveva Properzio, a due mani? Che cosa sapevano di lui, della sua vita, della sua famiglia, i suoi lettori romani del Foro delirante? Del grandioso tempio di Apollo navale sul Palatino è rimasto appena un mucchio di mattoni, mentre il leggiadro tempio di Minerva, dea di Assisi, sta ancora in piedi alla luce del sole, davanti al mondo. Properzio scriveva per i fati, vendicandosi così di Augusto assassino di suo padre. Ha avuto ragione lui, il Nostro poeta di Assisi, perché esiste veramente un secondo Properzio, aruspice verace della sua patria, l’Umbria antica schiacciata e sconfitta per sempre nel bellum Perusinum che fu l’ultimo rigurgito patriottico dopo le sconfitte nel terzo secolo a.C. e l’assimilazione a Roma prima della guerra sociale (I secolo a.C.).

 

101 E’ possibile trasformare in anagrammi di odio e di severa censura i vari passi elogiativi delle Elegie in cui compare il nome Caio Ottaviano Augusto: vedi “Properzio segreto”.

 

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