Esponenti del vecchio P.C.I. di livello nazionale e regionale all’epoca della segreteria politica di Alessandro Natta
sotto il colonnato del tempio di Minerva durante una Marcia della Pace negli anni ‘80
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1* L’arco temporale che va dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, adesso che il vecchio secolo – definito il secolo breve – è ormai tramontato alle nostre spalle (rimanendo però accanto ancora a noi almeno per alcuni aspetti), merita indubbiamente il nostro ricordo di cittadini di Assisi, non importa se in un frettoloso racconto, a larga maglia, su fatti e persone la cui ‘memoria’ copre ormai più di dodici lustri.
Ripercorrendo appena qualcosa delle passate amministrazioni civiche, che si sono succedute in questo periodo, cercando di recuperare il ricordo di chi non più tra noi, tenterò di cogliere quel filo che potrebbe unire l’attualità del presente al suo recente passato. Occorre però avvertire che non è questo un articolo con qualche ridottissima pretesa storica, ma una semplice narrazione a braccio, senza consultazione di carte, improvvisata intorno a un unico tema portante, che in definitiva è Assisi, con i suoi valori storici, culturali e morali, dal periodo del dopoguerra al presente.
Una ricostruzione abbastanza sommaria e anche imprecisa, diversamente dall’annuncio del titolo, sicuramente eccessivo, sebbene ciò voglia costituire almeno un tentativo – forse anche poco riuscito – di far affiorare, nei testimoni attuali, i loro più ricchi ricordi di cittadini partecipi oppure di protagonisti politici diretti.
Il secolo breve cambiò il globo. La scienza e la tecnologia l’hanno trasformato e rivoluzionato. Due guerre mondiali fratricide hanno poi determinato la fine del predominio europeo: certi esperimenti politici, ambiziosi e quanto insensati, sono miseramente falliti. La Provvidenza, o se volete la Madonna di Fatima, ci misero una pezza. Sicché il tessuto lacerato della storia è stato ‘rammendato’. Ma la sfida ricomincia sempre, è iniziata nuovamente col terzo millennio, mentre “errare” sarebbe “umano”. La storia del piccolo è parte viva della storia in grande formato.
Coloro che sono nati, per loro fortuna, dopo i tragici fatti della seconda guerra mondiale, e che sono cresciuti ‘democraticamente’ nel nuovo Stato Costituzionale e Repubblicano, guardino ai tempi lunghi, non scordando quel filo di refe che unisce le epoche e consente di cogliere antichi legami. Radici che vengono dal profondo, e che una città come Assisi ha conservato nelle proprie viscere.
Prima di tutto dovrò dire qualcosa delle origini storiche di questa città, che è forse più antica di Roma, fondata dagli antichi Umbri discesi dalle alture circostanti, nell’ultima età del bronzo o nell’età del ferro.
Maceo Angeli parlava di una Assisi quadrata, sorta in origine nella parte alta (preromana e poi medievale), e aveva ragione. Lì si apriva un bellissima porta (in Vicolo Bovi), con quattro grandi colonne, una delle quali affiorò negli anni ’20 del secolo scorso, a seguito di certi lavori edilizi.
Quella grande porta, che oserei chiamare la porta delle quattro stagioni, guardava al sole nascente a est e alla luna piena nella sua fase calante, là sopra il monte Subasio. I primi umbri, che furono i fondatori della città, possedevano già una concezione sacrale del tempo. Un tempo lungo quanto le stagioni del Grande Anno, tempo antichissimo, che però talvolta è come dissacrato, avendone osannato il momento transeunte, ma dimenticandone le radici profonde.
Le tre ‘esse’ del nome di “Assisi” (le sentite risuonare in modo sacro nella stessa benedizione alla città da parte di San Francesco morente: Benedicat tibi Dominus, sancta civitas deo fidelis, quia per te animae multae salvabuntur, in te servi altissimi habitabunt, de te multi ad regnum aeternum eligentur), significano forse Spiritus Sanctus Salvationis?
In Properzio le “esse” sono sette: la costante delle sette ‘sibilanti’ si ripete da un distico all’altro. Dice “Propertius”(IV, I, 65-66): scandentis quisquis cernit de vallibusarces, / ingenio muros aestimet ille meo! – Chi scorge le rocche che digradano dalle vallate, /costui paragoni queste costruzioni al mio ingegno! Gli risponde l’indovino “Horos” (IV,I, 125-126): scandentisque Asis consurgit vertice murus, / murus ab ingenio notior ille tuo! – S’eleva col suo vertice un muro sacro di Assisi fatta a gradoni, / quel muro diverrà ancor più famoso per via del tuo ingegno!
Alle sette “esse” ripetute dei due distici di Propertius, corrispondono le esse della benedizione di San Francesco. Asis – Assisi è nomen sacrum.
Ce ne accorgemmo dal “miracolo” di Assisi “città ospedaliera”, perché fu così preservata dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale, o lo riscoprimmo in seguito, negli anni del “miracolo economico”, da quel brivido di commozione che percorse allora l’aria, come un turbine benedetto e salvifico: da Santa Maria degli Angeli fino alla Basilica di San Francesco, con l’auto scoperta di Papa Giovanni XXIII, che sceso alla stazione di Santa Maria degli Angeli, nel 1961, da un treno speciale, percorse la ‘strada santa’ di Francesco, su fino alla Basilica, tra ali immense di folla.
Umilissimo, il Papa “buono” si mise a sedere sul ‘suo’ trono di pietra, nella Basilica Superiore, testimoniando il trionfo del francescanesimo in un tempo nuovo, quello della Speranza. Un’altra esse, ancora, e l’afflato dello Spirito.
La grande folla, assiepata lungo il percorso, in due grandi spartiacque, ai bordi della strada percorsa dal Papa Buono, sentì battere sopra di lei (molto più forte delle pale di un gigantesco elicottero bianco), le Ali dello Spirito Santo.
La terra di San Francesco, nuda e bruna al tempo dell’aratura, come il poverissimo saio. Poi il color d’oro della messe del Signore, per un tempo di maturazione.
Giovanni XXIII fu il “Papa contadino”; e le folle dunque compresero che c’era un’Italia nuova, pronta a nuovi passi, in un percorso provvidenziale di lavoro e d’impegno sociale. Dopo che Pio XII – caduto il fascismo e il nazismo – aveva sognato un’Europa Cristiana, almeno in Occidente, con l’Anno Santo del 1950 che fece risorgere l’economia del nostro Comune.
La bandiera italiana ha tre colori, due il gonfalone di Assisi. I Sindaci delle città recano a tracolla la sciarpa tricolore, e i Vigili dell’antico Municipio il gonfalone. Sono le feste di Santa Chiara, di San Rufino, e di San Francesco. La città ha i suoi valletti in calzamaglia, con giubba e chiarine. La torre della Campana delle Laudi, svettante di pietre bianche e merlata, ripete due volte l’armonia della sezione aurea, accanto al bellissimo tempio di Minerva. Il Duomo romanico, e le altre Basiliche, ci raccontano le “Storie di Assisi”.
Il sole, che sorge dal monte Subasio, entra da Porta Nuova, ove Arnaldo Fortini, illustre podestà negli anni tra le due guerre, volle che per il Centenario Francescano del 1926 l’arcone esterno fosse ornato dalla scritta gotica della benedizione di San Francesco che abbiamo ho riportato sopra.
Nelle Elegie di Properzio sette “esse” – due per l’antica Asis – scandiscono l’immagine solare della Città della Luce. Poi Frate Sole e Sorella Luna. Qui altre esse, preziose e delicate, come nel De bono pacis di Magister Rufinus, grande canonista dell’Università di Bologna, poi vescovo di Assisi, quando nasceva il Santo.
La parola PAX è unsacramento! Ed è questa la voce di Assisi, alle albe e ai tramonti. Quando, il silenzio, si raccoglie nel vento, e porta voci lontane.
Assisi suona come un nome sacro. Dante Alighieri aveva ben compreso ciò che di profondo e arcano si raccoglieva già nell’etimo di questa bianca città, legandolo all’immagine di Francesco quale Sole nascente. Ascesi è Oriente. Ed è il sole che s’innalza, radiante e crinito; ma anche l’acqua umilissima. Gli stessi simboli dei ‘mascheroni’ delle nostre antiche fontane. Il Leone e la Croce. Il Rosso e il Blu.
I simboli parlanti – e coniugati – del turgido gonfalone della Città. Non si tratta di una contrapposizione, bensì di intima unione nel ciclo perenne della Vita. Ed è questo il filo conduttore che avrei scelto per trattare rapidamente degli avvicendamenti politici nell’amministrazione locale, dal dopoguerra a oggi.
Con ciò, anche un omaggio ad Arnaldo Fortini, che aprì le porte spirituali di Assisi: ed è un atto doveroso, memore e grato. Quando morì, per lui cantò l’usignolo (Gemma Fortini, Arnaldo Fortini nella luce di Assisi, 1986).
Asu - in accadico – è il Sole (Giovanni Semerano, glottologo fiorentino, riteneva che il nome Assisi significasse invece piccolomonte: cfr. Le origini della cultura europea, vol.I, Olschki, Firenze, p.619). Il piccolo monte di Assisi si chiama Colle del Paradiso – sulla sommità del colle la rocca federiciana, ma anche un antichissimo “grabo” umbro in pietra rossa locale -mentre sul Colle dell’Inferno (o degli impiccati), sorse la Basilica voluta da Frate Elia. Nel 1239 i primi squilli della Campana Italiana che per secoli dondolò dal campanile sopra la verde vallata dei fiumi sacri: il Clitunno, l’Ocse, il Chiascio e il Tescio.
Assa è l’acqua. Aso è invece il fuoco, nelle c.d. tavole di Gubbio. Ma voi sentite sempre quelle esse. Le ‘sibilanti’ del ‘mistero’. E Assisi, nella sua limpida bellezza, è un luogo di arcani.
Assisi, l’Asis di Properzio, invece che Asisium (cioè un oppidum e non una civitas), dalla fine dell’età del bronzo era forse un sito astronomico per il computo del calendario agricolo, anticamente collocato sulla sommità del colle, che ripeterebbe il Paradiso, proprio da Giano che era il dio dell’anno. Là dove restano ancora oggi imponenti tracce di certe antichissime mura pelasgiche, come le volle appunto chiamare Alfonso Brizi nel 1908, c’era un recinto sacro e un allineamento di pali e corde. Dal “grabo” di pietra rosso calcare, gli auguri umbri scrutavano il volo notturno dei luminosi “uccelli” celesti.
Perfettamente orientato da est ad ovest, e con ampia vista a fronte sud, era quello il luogo ideale per stabilire facilmente, con semplici allineamenti di pietre e traguardi, gli elementi essenziali di un calendario agricolo stagionale, ripartito in mesi su base lunare (come l’antico calendario di Numa, ricordato da Plutarco).
Ruotando ai piedi del colle, sorse poco a poco la città antica: prima umbra, poi romana, infine medievale. Un bosco sacro, con due sorgenti, si situava sopra il ‘tempio di Minerva’, nella zona di Villa Fortini, e questo tempio della Piazza o Forum lascia scorgere, con le due scale asimmetriche ai suoi piedi, la preesistenza di un tempio molto più antico. Oggi, come venticinque secoli fa, era quella l’arce sacra e ad un tempo civile della città, sviluppatasi da un primitivo insediamento a monte. Qui sorsero i palazzi comunali, e lì nei pressi si trovava la casa di Farncesco, a sinistra oppure a destra della Piazza.
Giano, l’antico dio italico del tempo, l’inversione stagionale del sole sull’eclittica, dominava dal colle. Poi, il suo antico culto si trasferì a basso, a Mojano. L’epigrafia locale certifica “Giano Padre” (= Juppiter).
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Prendete questa premessa come una suggestione evocativa, ripensando ai due colori di Assisi, il blu del cielo e dell’acqua, e il rosso delle braci o del sole al tramonto. Quello scandentisque Asis di Properzio potrebbe essere persino l’evocazione di un candentisque Asis, con una “esse” in meno, come avviene infatti al tramonto, quando la città s’incendia di luce rosse come Troia, per risorgere bianchissima all’alba, se non fosse che i distici speculari dei versi 65-66 e 125-126 della prima elegia del quarto libro, contengono ambedue sette“esse” (con ciò un grande ‘mistero’, perché quelle mura di Assisi divennero universalmente “note”). Mistero del sacro, della memoria, e anche delle splendide pietre di Assisi, lavorate dall’uomo.
2* Arnaldo Fortini, illustre Podestà d’Ascesi (alla Sua grandissima Figura va anzitutto il nostro più caro ricordo), aveva genialmente intuito questa connessione. La Città del Sole, come lui amava chiamarla, ma non era un rimando a Campanella, bensì ricordando l’undicesimo Canto del Paradiso; e richiamandone, dunque, anche le antichissime origini, che si perdono oltre ogni memoria. Quel sole, che sorge su dal Subasio (l’alto monte, da cui la fertile costa d’Assisi pende: dominata – appunto – dalla sublime potenza luminosa dall’astro diurno); e, da qui, l’Oriente di Dante Alighieri: ambedue alludono all’ascèsi francescana.
Sole radioso, che poi batte alle porte della bianca Basilica Superiore e tocca la pietra dell’altare. D’esso loco nacque al mondo un Sole, come fa questo talvolta diGange. Sublime reminiscenza di archetipi, che collega l’uomo moderno all’uomo medievale, e, quest’ultimo, agli antichi umbri del castelliere del Subasio, nell’apologia dei simboli immortali della Vita.
Asisium fu poi municipio romano. Il bellissimo tempio della dea della saggezza e del lavoro artigiano, Minerva, simbolo dell’intelligenza, partorita dalla mente di Giove, ce lo testimonia direttamente, con la sua leggiadra magnificenza muliebre, e con la bellissima fronte grecizzante, che ripete il rapporto trascendente di Archimede, e che incantò Goethe nel suo Viaggio in Italia (1786-1788 ): Ciò che è nato alla vista di questo tempio è indicibile e porterà eterni frutti.
Come sapete meglio di me, Assisi è citata da Tolomeo nella Geografia e da Procopio nella Guerra Gotica: in quest’ultimo caso, per un interessante episodio militare di riconquista da parte dei Goti della città che era tornata in mano ai Bizantini. I Goti veneravano sant’Agata, appunto il nome del vicolo storico che sale al colle dietro la piazza di Assisi. Ma Assisi fu stranamente dimenticata nella Geografia di Strabone, nella sua pur accurata descrizione dell’Umbria. Forse non si trattò di un’omissione, dovuta a dimenticanza; ma di una deliberata volontà. Forse Strabone volle tacere il nome della città natale di Properzio, che a sua volta fu assai reticente prima di mutarsi nell’indovino Horos. In un’altra occasione proverò a spiegarne il perché.
Splendida l’immagine fisica della città, con le sue mura rosse e bianche, maestosamente digradanti dai contrafforti, e con l’ampia vista dalle sue terrazze della verde vallata: il Lacus Umber e la selva del Clitunno, dove Properzio catturava delicate lepri (II, 20, verso 23). Questa selva sacra venne ricordata anche da Svetonio nella Vita diCaligola (altro mistero, per il quale esisterebbe la spiegazione, del circa fanum sacro di Spello, ai bordi del lago che scomparve nel primo medioevo). L’antico monastero benedettino del Subasio, dove forse si ritirò – per morire – Magister Rufinus, s’affaccia dall’alto sopra quel lago prosciugato, definitivamente scomparso a seguito di altri lavori di bonifica in epoca rinascimentale.
La Chiesa del Vescovado, la prima chiesa cristiana di Assisi nel V secolo d.C., poi legata al clamoroso gesto di Francesco, che di fronte al vescovo e alle autorità del primo Comune, ruppe col mondo, così iniziando il suo percorso di santità: Non ti chiamerò piùpadre, disse rivolto a Bernardone, pronunciando le prime parole della preghiera cristiana: Pater noster / quis es in coelum: a significare la sua rinunzia all’aiuola che ci fa tantoferoci, ma anche alla piccola cerchia di quelle mura, sorse sopra i resti pagani della Domus musae, in cui risalta un magnifico viridarium con 96 specie diverse di passeracei tra foglie rosse a forma di cuore.
Il filo della storia risale dal tempo. Amore è un Dio di Pace. (Properzio). Fino al Pax et Bonum di Francesco. E sembra correre appena un breve passo.
Assisi è limpida, nella sua tunica risplendente; come nelle sue celate membra. Il magnifico portale di San Rufino è un inno ‘danzante’ agli ‘otto generi della pace’, secondo il De bono pacis di Magister Rufinus.
Dunque Pace e Bene! La magnifica sintesi del messaggio francescano, che spunta dalle maioliche, diposte sulle porte delle case di Assisi, viene da lontano, e sarà sempre attuale.
La Sala della Conciliazione ha questo nome dal 1929, quando, auspice Arnaldo Fortini, il Cardinal Gasparri vi firmò il primo protocollo d’intesa con lo Stato Italiano per il Concordato, mentre la scritta latina della sua soglia di ingresso è stata tratta da Valerio Massimo: << Chi varca la soglia della casa comune indossi la pubblica carità e dimentichi le cure private >>.
Nel 1210 il nascente comune medievale di Assisi si rese protagonista di un evento a dir poco eccezionale. I cittadini maggiorenti (maiores ) e i cittadini poveri (minores), affratellati in un unico patto, aboliscono i privilegi feudali e le prestazioni servili, con un atto di affrancazione collettiva dei servi della gleba e di altre consimili categorie di rustici (aldii, litones ecc.). Nel 1986 Assisi ha ospitato l’incontro mondiale delle religioni nel nome di Francesco, il santo universale della Pace, di cui nel 1982 ricorreva l’ottavo Centenario della nascita, che col sindaco “democristiano” Gianfranco Costa trovò una splendida cornice celebrativa con manifestazioni di carattere nazionale ed internazionale di grandissimo livello religioso e culturale.
Madre Teresa di Calcutta, fatta santa, fu accolta ai piedi di queste scale che salgono alla Sala della Conciliazione, dove Fortini volle porre le immagini dei Santi di Assisi. Quei santi, colpiti dal terremoto del 1997, con Francesco separato da Chiara per via di una terribile crepa, che però salvarono la città dalla catastrofe bellica: Assisi città aperta – Assisi città ospedaliera, come volle Fortini nel nome di Francesco. Nei conventi di Assisi si salvarono miglia di ebrei perseguitati dopo i fatti del 1943.
Nel durissimo periodo bellico degli anni 1943-1944 – grazie al vescovo Nicolini, a Don Aldo Brunacci (che ricoprì il De Bono Pacis), al priore di San Damiano, Niccacci, insieme ad altri eroici cittadini di Assisi (una targa li ricorda) – moltissimi ebrei poterono scampare dalla deportazione nei campi di concentramento nazisti. Fu un autentico miracolo, che aveva fatto seguito all’altro miracolo del colonnello tedesco Valentin Muller, fervente cattolico inviato dalla Provvidenza a comandare la piazza di Assisi e così a fungere da angelo custode dei luoghi santi durante la triste occupazione tedesca. Assisi, grazie al nome francescano, e ai suoi santi patroni, era stata dichiarata città ospedaliera dalle forze dell’Asse, per assidua opera di Arnaldo Fortini e del Centro Internazionale di Studi francescani. Ma il più grande miracolo è la pace. Raggiungerla e mantenerla ogni giorno. Con sé e con gli altri.
Occorre ricordare che negli anni stessi della nascita di San Francesco (verso il 1181-1182) fu vescovo di Assisi un grande teologo e canonista dell’Università di Bologna, il già menzionato Magister Rufinus, celebrato in tutte le storie del diritto medievale, così come viene citato in ogni testo di storia medievale lo straordinario episodio dell’affrancazione del 1210.
Magister Rufinus fu tra l’altro autore del De Bono Pacis, portentoso e modernissimo trattato a carattere politico-religioso, scritto in un latino splendido (si veda la accuratissima prefazione di Don Aldo Brunacci e la bellissima traduzione e restituzione del prof. Giuseppe Catanzaro allora Presidente dell’Accademia Properziana del Subasio, Editrice Fonteviva, Assisi, 1986). Con enorme ricchezza di riferimenti biblici, ma anche latini e greci, e in un bellissimo stile, agile e chiarissimo, il che la dice lunga sulla grandissima cultura di Rufino, vi si traccia la distinzione tra la pace d’Egitto (quella dei malvagi), la pace di Babilonia (quella dei traffici, dei commerci e delle ricchezze), e la pace Celeste (quella consegnata da Dio agli Uomini di buona volontà ). In quest’opera di eccezionale attualità, che non sembra invecchiata neppure un giorno, a parola PAX è interpretata in modo allusivo, filologico e simbolico, con enorme suggestività, e lo spessore di una grande competenza teologica. Piacerebbe pensare al vecchissimo Rufino come al ‘maestro segreto’ del giovane e inquieto Francesco, sull’orlo della crisi, in fitto ed amorevole dialogo col Maestro di Sapienza, da ansioso e acerbo interrogante, là nella grande sala voltata della biblioteca del monastero benedettino del monte Subasio, dove infatti venivano custoditi importanti manoscritti d’ogni genere di sapienza.
L’incipit del famoso “Cantico della Creature” ripercorre l’identico inizio delle Confessioni di Sant’Agostino, ma anche quello del Salmo 47.1: Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù, e la tua sapienza incalcolabile. Sarebbe bello poter ‘credere’ che la conversione di San Francesco nasca in nuce da simili colloqui e letture, e che possa trarre ispirazione dal De Bono Pacis spiegato per bocca del suo Autore a questo giovane inquieto, figlio del mercante fiduciario del grande e ricco monastero del Subasio.
Dante, all’inizio dell’XI Canto del Paradiso, si riferisce ai difettivi sillogismi della filosofia, al giure, e agli aforismi. Per sofismi l’umanità non prende il volo. Ma l’afflato divino del De Bono Pacis trovò in Francesco l’interprete ideale, come in un percorso obbligato e necessario, segnato direttamente da Dio, tra teoria e prassi. Del resto, Francesco godette sempre della fiducia e del tangibile aiuto dei monaci benedettini del Subasio, cui spesso recava un simbolico paniere i pesci dal rimasuglio stagnante del Lacus Umber, mentre i monaci ricambiavano con l’olio. Una bocca parlante, da cui fuoriesce una croce, era nel segno autografo del Testamento del Santo.
Si spiegherebbe così anche perché, nel suo futuro percorso, Francesco non sia mai inciampato nell’eresia e sia stato invece ascoltato con piena fiducia dal Papa stesso, che aveva composto un’opera sul disprezzo del mondo. Chi, se non tramite i Benedettini del Monte Subasio, avrebbe potuto introdurre Francesco alla corte papale? La Provvidenza ama seminare su fertili terreni, predisposti affinché il chicco di grano che dovrà giungere a maturazione, non abbia a disperdersi.
Il giorno di Santa Chiara, un tempo il 12 di agosto, i valletti del Comune, dai merli della Torre della Libertà, con leggiadre e limpide chiarine baciate dalla prima luce del giorno, lo proclamano ai quattro angoli del mondo. Allo stesso modo, il portentoso Coro di Assisi sulle ali della mistica leggerezza angelica delle mani francescane del suo primo Direttore, l’indimenticabile Padre Evangelista Nicolini, ha rappresentato nel mondo la grandezza delle Laudi. Questa è Assisi; la sua carne purissima, sotto la leggiadra veste di luce.
L’iscrizione latina, posta sullo stipite della porta d’ingresso alla Sala della Conciliazione, così recita: Hoc limen intrantespublicam abiectis privatis induant charitatem. Ed è proprio Valerio Massimo, Detti e Fatti Memorabili, II, 1: Sicuro e ben ripostocuore della repubblica era la Curia, da ogni parte protetta e difesa dall’arma salutare del silenzio: coloro che ne varcavano la soglia dimenticavanogli affetti privati per assumere quelli pubblici. E qui, per davvero, una mano felice ha posto il suo sigillo. La mano era quella di Arnaldo Fortini, Presidente dell’Accademia del Subasio e Podestà di Assisi.
3* Assisi ammicca ai ‘suoi’ valori, e si trattiene nel ‘segreto’ dei suoi stessi tesori. Nel moderno c’è l’antico, e viceversa. In questo rapporto dialettico, che supera di gran lunga l’arco della vita dei singoli, si spendono i significati più profondi. Così, come nei Discorsi sopra la prima deca di TitoLivio del Machiavelli, e allo stesso modo nel bellissimo pergolato fiorito della “Volta Pinta” (probabilmente dovuta all’estro di un Raffaellino del Colle).
L’eccelsa fantasia delle allegorie rimanda a significati politici: un tempo era quella la sala municipale delle pubbliche udienze.
Il che ci pone davanti al grande messaggio ammonitore dell’inesausta dialettica tra antico e moderno, tra vecchio e nuovo; nella specie, tra i vecchi modelli consolidati e i giovani ambiziosi del ricambio, ma ancora inesperti, in un giuoco intricato di infinita arguzia, tra rimandi classici e messaggi ammicanti, lo scatenarsi di audaci simbologie sottolineate da detti proverbiali che sembrano tornare in mente dalle memorie della più antica saggezza popolare, immagini che enigmaticamente si alternano in un campionario di sciorinata vena creativa. La sala affrescata era quella dei pubblici affari. Si sostiene che Leonardo da Vinci e Machiavelli si incontrarono una volta ad Assisi. Ed è vero. Così come è vero che fu Dante in persona a suggerire a Giotto l’allegoria delle vele della Basilica inferiore (Franco Tardioli, Dante Alighieri francescano, 1983).
E siamo al punto. Una storia finiva (il medioevo), e ne cominciava un’altra (l’età moderna). Identica cosa – concentrata nel secolo breve – nel terribile passaggio per rifare l’Italia, dopo la sconfitta, fino alla resurrezione della democrazia. Terribili ricordi. Grandi speranze. Dai tragici fatti di guerra, quando il mondo sembrava ormai schiacciato dal male, Assisi fu di nuovo, nell’Anno Santo del 1950 e poi nell’Anno Francescano del 1982, una selva fiorita di bandiere, agitate da voli di Speranza. Nel ricordo di questi anni che ormai abbiamo alle spalle, dal dopoguerra a oggi, non si può fare a meno di richiamare questi “fili” ideali, che come in una delicata tela, ricamata “a punto francescano”, trattengono un disegno carico di significati, in una sorta di articolato e grande arazzo della memoria.
Arnaldo Fortini e Gabriele d’Annunzio sono stati gli autori della scritta in caratteri ‘gotici’ che contorna i nuovi affreschi del ‘900 del vecchio Palazzo del Capitano del Popolo: Per ogni azzurro filo/onde vien ritessuta la celeste leggenda / un pensier d’amore/ Non dirò Ascesi ma Oriente / finchè la pupilla e l’anima si ricordino per ogni bagliore di sole / che ride e fugge sulla dipinta argilla / d’un riflesso di sogno.
Ed è il sogno di Assisi, quell’Assisi di cristallo di Piero Mirti (che non fu mai sindaco di Assisi, bensì della vicina Bastia Umbra), che da giovane poeta scriveva questi versi finali di Mia antica Umbria (pubblicata sugli Atti dell’Accademia Properziana del Subasio nel 1955): Le bestemmie tra le pietre insanguinate, / I Suoi santi prega nel verdetemporale / E vuota i fiumi con le mani stanche.
4* Un doveroso accenno, il nostro, agli stessi simboli, e a quelle stesse allegorie che scrutiamo nelle antiche pietre delle facciate e i rosoni delle cattedrali. E’ il lavoro degli artigiani, l’opera quotidiana di cui si nutre il tempo, il delicato ricamo sotto antichi pergolati. Nella pupilla di Assisi è l’Anima del Tempo.
Per riconnettermi al secolo breve dovrò cominciare di nuovo dal Fortini (monarchico, amico del re Vittorio Emanuele III, amico di D’Annunzio), quando – con l’8 settembre del 1943 – cessò dall’incarico di Podestà (così allora si chiamavano, in gergo medievale, i sindaci di oggi: nome preso in prestito dal codice civile), per essere sostituito dall’ing. Checconi della organizzazione Todt, abile e onesto traghettatore dell’amministrazione civica in quel difficilissimo periodo che vide alternarsi l’occupazione tedesca delle truppe di Kesserling alla liberazione alleata nel giugno del 1944 (vedi Francesco Santucci, Assisi 1943-1944 – Documenti peruna storia, 1994).
I vecchi ‘assisani’ ricordavano ancora gli argentei aerei alleati, i Liberator americani, che partendo dalle basi del sud, si recavano a bombardare il nord, passando alti sopra la città, che ancora oggi si trova nel bel mezzo della ragnatela delle rotte internazionali.
Arnaldo Fortini, un Podestà ‘assisano’. Uomo di genio, venuto su dal popolo, ricchissimo d’intelligenza, di profonda umanità, e di una cultura superiore. L’autentico ‘benefattore’ di Assisi: un miracolo di san Francesco (Assisi aveva ancora bisogno di ‘miracoli’ e di ‘resurrezione’).
Grande storico del francescanesimo, patrocinò l’Anno Francescano del 1926, che vide poco a poco rifiorire la città, anche dai suoi balconi, con il matrimonio reale celebrato nella Basilica Superiore, quella della grazia divina e dello slancio verso Dio nel suo arioso e snello gotico all’italiana.
La regina Giovanna di Bulgaria, scampata alla tragedia della guerra che le portò via Re Boris, restò sempre fedele ad Assisi, e a San Francesco. Si era sposata nella sua Basilica. Nella Basilica inferiore, quella della sofferenza e dell’umiltà, la salma della regina sostò, una notte soltanto, per l’ultimo addio celebrato nel profondo mistero della Provvidenza.
L’Anno Francescano del 1926 fu di ‘resurrezione’. Nacque ad Assisi anche la squadra di calcio, che si chiamava Ascesi, coi suoi memorabili campioni: Paolocci portiere, Toni e Cassis i terzini (due convittori ‘dioscuri’), Papi all’ala sinistra, Prosperi centravanti, e Ceccucci di riserva. Gli anni volarono, e fu la guerra. E i morti dell’Africa, della Grecia, e della Russia. Giovani campioni di calcio, come i fratelli Canonichetti, ai quali venne intitolata la nuova sportiva del dopoguerra: quest’ultima aveva perso nel 1945 con la nazionale militare inglese per 11 a 1 (e c’è la leggenda di quell’unico goal che fu un rigore).
Intanto, ‘Assisi democratica’ aveva bisogno di un vero ‘sindaco’ – non più di un ‘podestà’: ma Fortini fu sempre un padre e un fratello, non un gerarca .
Il ‘sindaco’ – democraticamente eletto nelle prime elezioni ‘repubblicane’ (col referendum del 1946 era caduta la monarchia sabauda) – fu un altro avvocato, illustre ‘assisano’ pure lui: Giuseppe Sbaraglini, ricordato da una epigrafe antifascista di Corso Baglioni a Perugia.
Si trattava di un discendente del coraggioso Corazzo Sbaraglini, rimasto famoso nelle “Storie di Assisi” per un gran salto col cavallo onde sottrarsi ai suoi nemici (l’antichissima famiglia Sbaraglini aveva diritto di sepoltura nella cappella di San Martino, affrescata da Simone Martini, nella Basilica Inferiore).
Giuseppe Sbaraglini, il nonno socialista di Mirella Sbaraglini Ceccucci, era stato eletto deputato per il partito di Turati, e nel 1926, dopo l’avvento del fascismo, fu mandato al confino a Ustica, dove conobbe Gramsci, Nenni e Pertini. Il figlio Francesco, viceversa, era un fautore mussoliniano. Dopo la liberazione del Duce, a Campo Imperatore, e la costituzione della Repubblica Sociale, Francesco Sbaraglini si poté fregiare del titolo di “oratore ufficiale” della Repubblica di Salò. Nel 1945 fu processato a Milano, avendo come accusatore Terracini. Ancora una volta due fazioni, e due colori. Ma quella era vera tragedia.
L’8 settembre 1943 anche Assisi festeggiò la caduta del fascismo, con gran balli in Piazza grande. Tornata a casa, la allora giovanissima nipote dell’avv. Giuseppe Sbaraglini, la Signora Mirella, abbagliata dai canti di libertà, lo trova in casa, in un angolo lontano, appartato nell’ombra, sprofondato sulla poltrona, in un grande e misterioso silenzio, gravido di pensieri, appena rotto da due parole: Qui comincia la guerra civile. E aveva ragione! Per questa ragione l’inno repubblicano, musicato dal maestro Navaro su parole scritte da Goffredo Mameli, oggi dice e ripete Fratelli d’Italia. Come Romolo e Remo, Parte di Sopra e Parte di Sotto, oppure il “bipolarismo” che si allontanava dal “consociativismo”. Fole o racconti.
Nel 1946 Sbaraglini viene eletto sindaco socialista di Assisi, ormai su con gli anni. Il suo socialismo era ‘saragattiano’ (congresso di Firenze del 1947).
Assisi, nell’immediato dopoguerra, era una città poverissima, pressoché priva di risorse economiche, spogliata delle sue forze, e quasi riagguantata dal buio medioevale. Si faceva letteralmente la fame. Giuseppe Sbaraglini fu un uomo onestissimo, di grande saggezza e ottimo intendimento, ed anche molto bravo e coraggioso come avvocato (i fascisti gli bruciarono lo studio e dell’episodio resta appunto quella lapide di Perugia). Amava la sua città e la sua gente di un amore sincero e profondo. Si adoperò molto per Assisi. Ottenne, ad esempio, la parificazione ‘statale’ del Liceo Classico Properzio (un vanto culturale per la città, che fu ricca di scuole).
Curò, in particolare, i lavori pubblici e l’edilità (una vera emergenza subito dopo la guerra), e mirò poi al rilancio dell’artigianato cittadino come base economica fondamentale. In quegli anni difficili era sparita ogni forma di turismo, che rinacque soltanto con l’Anno Santo del 1950, sotto il candido pontificato di Pio XII, che aveva conosciuto l’anticristo. Qui convennero ad Assisi i cattolici di tutto il mondo per ringraziare il Santo della Pace.
La città recuperò in quegli anni – con immenso sforzo – le possibilità di una ripresa, ma quelli di Sbaraglini (1946-1947) furono in assoluto gli anni più difficili. Sbaraglini morì nel 1947, in corso di mandato, e con lui fu rimpianta una di quelle rare figure di autentica “assisanità”. Culturalmente elevato, umanamente generoso, imparziale ed efficiente. Bisogna però dire che in Assisi, ancora assai popolata e sempre centro di riferimento per il territorio circostante, ma con una montagna poverissima, vi erano nel loro genere diversi personaggi che animavano – e caratterizzavano – la vita politica, culturale, sociale ed economica cittadina. Ricordarli tutti è impossibile. Tra questi personaggi spiccava il contraggenio di Maceo Angeli (artista, pittore, e comunista fervente), la sorprendente figura di un Cencetto Silvani (fuoriuscito in Francia durante il fascismo). C’erano due sapienti farmacisti, Fioravante Caldari e Pietro Cogolli, e il “retrè” dei loro “laboratori chimici” era una specie di circolo culturale iniziatico, forzatamente ristretto a pochi intimi.
Vanno ricordati anche i tanti abili artigiani della città: Casagrande, Rinaldi, Papi, Berlenga, “Zuru-Zuru”, tanti altri… S’incontravano la sera – dopo una giornata di intenso lavoro – nell’animatissimo circolo operaio (belle tavole imbandite, pur cariche di duri sacrifici).
Il circolo operaio era distinto – ma non contrapposto – al circolo bene del Subasio (dove nobilmente e amabilmente si giocava a scacchi, alle carte e al biliardo, e si leggevano giornali più informati, organizzando anche incontri e dibattiti: occorre ringraziare l’infaticabile avv. Gino Costanzi, che con opera generosa, ha salvato e preservato questa istituzione cittadina che può vantare antecedenti illustri).
Assisi era una città di artisti (Francesco Prosperi, le cui opere hanno acquistato grande valore di testimonianza e di coerenza artistica; il pittore e incisore Laurenzi; Riccardo Francalancia che ha lasciato un notevole segno nella storia dell’arte italiana del ‘900); ma anche una città vivace, di laboriosi maestri d’arte (stampatori, falegnami, muratori, sarti, marmisti, scalpellini, fabbri, cordai, sellai, calzolai ecc.); tipi “socratici” o “sofistici”, senza i quali non ci sarebbe stata nessuna economia. C’erano poi i capomastri, i geometri, gli ingegneri, gli appaltatori edili, degli ottimi operai edili, e una di queste figure era proprio Perotti, un grande esperto di restauro edilizio. Insomma, Assisi era – anche negli anni più difficili – una città viva e in piena salute: laboriosa, accorta, sagace e onesta. Con l’andare del tempo queste energie e questi valori hanno un po’ ‘mutato pelle’, la logica dei nuovi tempi li ha dirottati altrove. Sull’infaticabile città artigiana, da campana a campana, sembrò a un certo punto prevalere la gaia cittàbottegaia, per dirla col grande poeta livornese Giorgio Caproni. Ma occorre ricordare, ancora una volta, che lo spirito imprenditoriale moderno nacque dal grande artigianato ed è quindi doverosa la memoria di quanti faticando il giusto costruirono dal nulla lavoro e occupazione, produzioni economiche e le nostre stesse istituzioni civili, democraticamente rappresentative.
La politica dei “tempi nuovi” iniziò a “dividere”. Nel 1948 ci fu la rottura da parte di Alcide De Gasperi del c.d “patto d’azione”, dietro la spinta di necessità politiche preponderanti, di carattere europeo e mondiale, ma la città di Assisi era sempre rimasta unita nel lavoro e nella fatica. A poco a poco, con grandissimi sacrifici, ci si stava riprendendo dalla guerra e dalla crisi economica del dopoguerra. L’amministrazione municipale era la “casa di tutti”, condotta in quei primi anni con estrema saggezza dall’avv. Sbaraglini, che nonostante le asprezze del magrissimo bilancio, ricercava sempre e soltanto il bene comune, con i conti in regola, e si sforzava d’ottenere il massimo, impiegando il poco o il pochissimo disponibile.
Assisi, auspice lo stesso Fortini, che ne agevolò la costruzione, vide sorgere negli anni ‘20 l’imponente edificio del Collegio Nazionale degli Orfani dei Maestri, di cui Veneziano fu Rettore nel dopoguerra, e dal quale collegio uscirono il dott. Pio De Giuli, il dott. Giovanni Rossetti, nonché gli avvocati Franco Matarangolo e Mario Tedesco, tutti quanti, negli anni, consiglieri comunali, e poi sagaci amministratori cittadini, come assessori.
Tutto sommato, una grande risorsa economica per la città, il Convitto, una città del resto priva di commerci, nella povertà diffusa, che non fossero le sanissime botteghe di consumo, il mercato del sabato, due o tre negozi di stoffe (questi ultimi vendevano ciò che restava degli avanzi del magazzino anteguerra).
Dopo Sbaraglini, che non terminò il mandato, venne il turno del sindaco Sebastiano Veneziano (1948-1952), un pedagogista laureato in scienze politiche e – come abbiamo già detto – Rettore del Convitto Nazionale. Egli era “socialista”, proprio come l’avv. Sbaraglini.
Veneziano, che era di origini siciliane, fu ‘assisano’ d’adozione, lasciando il buon ricordo del primo sindaco in carica per tutto l’arco del mandato.
Fu un amministratore onesto, ben gradito alla cittadinanza. In questi anni, sempre di più si stava affacciando la “dialettica partitica”, con vivaci scontri anche in ambito amministrativo municipale, tra il cartello di maggioranza e le minoranze, in luogo dell’unanimismo imposto in precedenza dal regime.
La ricostituzione dei partiti politici in seno alla dialettica democratica, la progressiva affermazione democristiana in ambito nazionale con le elezioni del 1948, l’opposizione della sinistra, la così detta ala “social-comunista” (la Costituzione Repubblicana era giovane assai, né poteva, come in un libro dei sogni, risolvere – a semplice compulsazione – ogni problema economico o storico-sociale), furono altrettanti fattori attivi di progresso, che su scala municipale segnarono le ragioni corrette di un nuovo modo d’essere della Città (il Sindaco, a quei tempi, era una diretta espressione della maggioranza consiliare elettiva); e, in particolare, del più che vivace dibattito politico sulla gestione amministrativa della cosa pubblica (strade, scuole, servizi pubblici, e quant’altro: a quell’epoca la fiscalità era impostata su basi municipali).
Si stava affacciando, poco a poco, in una cittadina storicamente papalina e clericale, ma anche affamata e bisognosa di tutto (compresa la necessità di acqua potabile di cui moltissime abitazioni erano allora sfornite anche nel centro storico), la dialettica “partitica” con vivaci scontri polemici (e persino certe battutacce salaci: Brutti, Piccoli, Storti e Malfatti – I Democristiani…).
Intanto cresceva, sempre di più, il pur magro livello dei redditi, e con l’Anno Santo, grande evento di pace dopo la guerra europea, Assisi (con un sindaco socialista, ma con funzioni tutto sommato imparziali di un ‘podestà medievale’ chiamato da fuori, e, del resto, per sua stessa natura e carattere, assai temperato e moderato: Veneziano), conobbe il rispuntare del sole del turismo, la sua principale risorsa, come già nel primo scorcio di secolo.
Furono quelli gli anni ‘meravigliosi’ del “sogno dell’avvenire” (almeno per chi avesse avuto un tozzo di pane). Mancandone, ci pensò la Pia Opera Pontificia d’Assistenza (P.o.a), sovvenzionata dal piano Marshall (in Assisi se ne occupò, in particolare, Don Mario Pierluca). Ma fu, anche così, che ci si avviò al primo sindaco liberale: dopo tantissimi anni, a cavallo tra il t.u. della legge comunale e provinciale del 1915, che continuava a valere per certi parti, e il testo unico del 1934, che invece maturò a piena gloria nell’età democristiana – prima della riforma del 1993, con l’elezione diretta del sindaco. Si trattava del dott. Giovanni Cardelli, un ‘assisano’ “doc”, allora amministratore delegato della Perugina.
La vicenda storica delle aziende municipalizzate è iscritta nella storia del diritto italiano. Si inserisce, oggi, nel decreto legislativo sulle autonomie locali. Sono cambiate forme e regole, ma la sostanza del servizio – reso imparzialmente, e senza scopi di lucro, nei confronti della collettività – dovrebbe ugualmente seguire il criterio dell’utilità marginale, rispetto al sacrifico rappresentato dal corrispettivo. Oggi, però, il fabbisogno pubblico è drammatico, poiché la collettività è fortemente indebitata. Il rischio è grave, e i controlli finanziari non sono sembrati sufficienti. Si potrebbe ripensare all’antica lezione dei primi amministratori pubblici del dopoguerra, che prima di indebitare l’ente, facevano i conti con la preposta Cassa depositi e prestiti. Oggi, le così dette autonomie locali, hanno continuo bisogno di entrate fiscali. Ciò non bastando, sono costrette a ricorrere a svariati stratagemmi. Eppure si potrebbe essere più virtuosi, operando diversamente.
Ciò è tanto vero per Assisi, in cui le ultime amministrazioni civiche non hanno mai gravato la popolazione di sovrimposte e aggravi addizionali. Segno – questo – di buona amministrazione, nella fiducia che sia stata anche corretta.
5* Giovanni Cardelli (1952-1956), assisano dai bei tratti nobili, di matrici liberali, amministratore delegato della Perugina, divenne sindaco di Assisi proprio in questa fase di maturazione e di transizione, che s’incamminava verso i prodromi del c.d. “miracolo economico”. Fu eletto in base ad una lista civica, chiaro segnale che in politica si stava verificando una mutazione.
La contrapposizione partitica tra cattolici e nostalgici, tra sinistra social-comunista e centro-destra (la c.d. “legge truffa” del ministro Scelba è del 1953 ), si stava accentuando sull’onda delle scelte nazionali, necessariamente filo-americane (Clara Boote Luce era, a quei tempi, la giovane e bella ambasciatrice americana in Italia, in quell’Italia del dopoguerra bisognosa di tutto).
Stavamo ora scoprendo la libertà, con le sue energie e i suoi costi. Cardelli curò l’acquisto del Palazzo del Popolo, che apparteneva a privati. Durante il suo mandato fu redatto il piano Astengo, che portava il nome dell’illustre urbanista dell’Università di Venezia, che fu maestro dell’architetto assiate Giulio De Giovanni. I bilanci comunali erano in ordine, secondo la logica formale e quella contabile del pareggio. La città conobbe una forte ripresa civile e culturale anche attraverso apposite “riunioni conviviali” che videro la presenza – e il fervore intellettuale – degli esponenti della cultura cittadina, i membri della storica Accademia Properziana del Subasio: Paolo Biffis, Francesco Maria Sergiacomi, la professoressa Covino, Fioravante Cadari, Prosperi, Maceo Angeli, e via dicendo.
A questa elevatezza di capacità e di sensibilità intellettuale, in un certo senso corrispondeva anche la bravura professionale dei vari stampatori.
L’arte tipografica è stata sempre un’attività di grande qualità tecnica e di generosa creatività nel nostro territorio, di cui – oggi – le pregiate tipografie Zubboli e Vignati continuano, appassionatamente, la nobile tradizione.
Stavano già maturando i presupposti per la famosa “legge speciale Assisi” (a cuore dall’allora Ministro per l’economia, il democristiano Campilli). Innumerevoli furono i viaggi a Roma degli esponenti politici locali (soprattutto democristiani), che si batterono con risolutezza (compreso mio padre, allora segretario della DC), per ottenere questo vantaggio che fece sì che una antichissima e immacolata pianura, già verdeggiante di campi e biondeggiante di messi, potesse essere attrezzata ad attività industriali: vale a dire, “produzione e lavoro”. Sic tempora mutant.
Era il 1956. L’anno stesso della morte di J. Joergensen, che era giunto ad Assisi per la prima volta nel 1925 in una notte incombente di stelle, risalendo a piedi, dalla stazione, l’itinerario francescano, oggi “mattonata”.
Assisi ricevette il suo miracolo: col turismo e con l’industrializzazione del territorio, quando il grano non era più una stretta necessità. Per ogni evento c’è sempre un prezzo da pagare. Questa volta fu l’uscita storica dal medioevo rurale e l’ingresso nella modernità dell’intera piana francescana: Nihil vidi dulcius quam vallatam meamspoletanam. Malgrado tutto, rimane sempre bella, con la cupola bella del Vignola (stando a un sonetto del Carducci): la quale cupola reca la stessa data della costituzione america: anno 1776.
Con questo ‘opinabile’ “miracolo economico” cessò, tuttavia, il massiccio fenomeno dell’emigrazione della popolazione locale nelle miniere belghe (come Marcinelle), o nelle gradi fabbriche francesi e tedesche. Assisi riuscì finalmente a sfamare i propri figli, restituendo dignità al suo popolo afflitto, che per secoli e secoli l’aveva accompagnata nelle tante vicissitudini della sua lunga storia.
6* Col consolidarsi dell’egemonia democristiana, finalmente ispirata – oltre mezzo secolo dopo – ai valori del cattolicesimo sociale della Rerum novarum di Leone XIII, emanata nel 1891 (il punto di partenza della politica sociale della Chiesa: Papa Gioacchino Pecci era stato vescovo di Perugia), Assisi, luogo santo (nel 1950 si erano addirittura mosse le Madonne, richiamando folle di pellegrini sul sagrato della chiesa di S. Maria degli Angeli), iniziò ad avere i primi segni del benessere. Cambiarono le abitudini. La roba vecchia fu gettata (compresi i preziosi vecchi caldai di rame). Fecero ingresso nella case i primi elettrodomestici (Dino Aristei e Enzo Balducci furono i primi giovani a inserirsi in questo nuovo settore, quando i negozi di Del Bianco e dei fratelli Damiani era già quelli storici del primo ‘900).
Vennero la Seicento e subito dopo la mitica Cinquecento, ma gli artigiani dell’anteguerra avevano la passione per la “Moto Guzzi” 500 (meglio se rossa fiammante).
Sempre imponenti, come già in passato, le grandi processioni cittadine, tempestate dal profumo di nuvole d’incenso, l’incedere lunghissimo dei tanti seminaristi che erano ospitati in immensi edifici; e dietro ai paramenti sacri, una folla di canti e litanie. La processione del Cristo Morto era lo sfogo della resurrezione dell’appetito…, con negozi riccamente addobbati di ogni ben di Dio in quel venerdì santo di morte sacra e di lutto.
Assisi ebbe finalmente il suo primo vero sindaco “democristiano” nella persona di Francesco Ardizzone (1956-1960 ), altro “podestà” siciliano (nel senso di sindaco venuto da fuori).
Ardizzone era un funzionario dell’Amministrazione Finanziaria (evidente la connessione con la legge speciale per Assisi). Uomo mite, onesto e riservato, sensibile scrittore – a tempo perso – di racconti per fanciulli, fu un sindaco pacifico e laborioso. Questi gli anni della ripresa economica, e del consolidamento dell’intesa con il clero.
In particolare, si distinse, a questo riguardo, l’opera culturale di Padre Giorgi, allora priore di San Damiano, che dalle elevate frequentazioni democristiane a Roma, riportava in Assisi il fascino della grande cultura cattolica. Intanto, la Cittadella Cristiana, già presente dal 1944 con i primi “focolarini” di Don Giovanni Rossi, stava già dando i suoi più alti frutti (nel 1961, P.P. Pasolini concepì – proprio ad Assisi – il suo Vangelo secondo Matteo, un capolavoro dell’ultimo neorealismo ).
In questi anni particolari si affacciò alla politica cittadina anche il compianto Piero Mirti, eletto allora per le liste del partito repubblicano (i repubblicani di Assisi provenivano direttamente dal pensiero risorgimentale di Mazzini, cui era stata intitolata la via principale del Corso, già Ceppo della Catena). Poi Mirti divenne una figura di spicco del “socialismo” umbro, ma senza potersi affermare completamente. Giornalista “mancato” (come diceva lui stesso: e talvolta se ne rammaricava), ma scrittore autentico. Anni di passaggio, si potrebbe dire. Ma che passaggio! Assisi riscoprì appieno il suo “colore blu” cielo profondo, ma anche il “rosso” fuoco altra metà del Gonfalone. Un “rosso” che poteva fare la sua “parte del leone” nei vivacissimi scontri politici, anche a proposito del laborioso progetto del nuovo ospedale (nel 1968: quando entrò in vigore la così detta legge Mariotti di riforma ospedaliera, prima del regionalismo nel 1970); scartato quello iniziale del campo sportivo, che avrebbe infastidito il silenzio claustrale di San Damiano.
Il complesso ospedaliero fu poi realizzato col primo regionalismo, dopo gli anni settanta, grazie anche all’apporto dei giovani di allora, gli assai vivaci e combattivi consiglieri dell’opposizione: Giuliano Comparozzi e Carmelo Caratozzolo, dirigenti regionali; con Franco Righetti di Rivotorto, e Lilio Rossi, allora in carica come “segretario” politico della sezione del P.c.i. di Assisi, in epoca “berlingueriana” (quella della c.d. “terza via”), ecc. ecc., che precocemente, a quei tempi di svolta, si erano ben inseriti nella vita politica cittadina, operando un “ricambio giovanile” (era l’epoca giusta).
Abbiamo fatto un gran salto in avanti, posponendo l’ordine temporale. Ma vorremmo ricordare, rapidamente, anche i giovani esponenti democristiani, repubblicani e socialisti, che varcate la soglia del 68, negli anni ‘70 si erano affacciati – con grande impegno – alla vita pubblica, immettendovi il senso nuovo dei tempi, che sempre di più si stavano modernizzando. Tra questi, l’impegno del prof. Francesco Frascarelli, ispirato al progressismo cattolico, accanto a quello ‘laico’ – in senso repubblicano – del prof. Giorgio Bonamente e del prof. Roberto Leoni, che si radicava nel pensiero politico di Giovanni Spadolini. Né vanno dimenticati gli esponenti di altri partiti, tra i quali spiccavano il prof. Massimo Zubboli e il Generale Federico Caldari, referenti cittadini e capilista. Sarebbe, poi, un torto non ricordare anche l’impegno “socialista” dei giovani giuristi e avvocati Mario Tedesco e Franco Matarangolo, due ex “convittori” ben accasatisi ad Assisi.
Riprendendo qui l’ordine temporale sopra tralasciato, venne il turno del secondo sindaco democristiano, Romeo Cianchetta (1961-1965), che si era laureato in lettere ed era figlio di un maestro elementare capitato ad Assisi per l’insegnamento, pure lui ‘assisano’ d’adozione. Si trattava di consolidare il potere amministrativo, già in mano alla DC; di assestare la gestione del municipio sulle nuove coordinate politiche nazionali; di riscuotere il premio del “miracolo economico” su scala locale; e, infine, di rinsaldare i rapporti con il clero, potere invisibile – ma reale – nella città di Assisi.
Un grande Papa contadino aveva cominciato a benedire le folle. La società si stava aprendo. I valori della partecipazione – e del lavoro – cominciavano a sostanziare i contenuti della “democrazia”.La Chiesa cattolica si era immersa nella densità dei tempi. Dopo la morte di Papa Giovanni, e nello spirito del Concilio Ecumenico, Don Aldo Brunacci proseguiva in Assisi il dibattito cattolico in seno alla modernità, con particolare riguardo ai temi sociali del cattolicesimo e con riferimento alla formazione intellettuale dei giovani universitari che si stavano affacciando alla realtà. Operazioni assai delicate, che del resto riuscirono tutte quante magnificamente bene, anche al sindaco Cianchetta, un giovane energico, maturo e ponderato, aduso a disciplina militare, ma anche a mitezza di consiglio. Astuto ed accorto, quanto bastava per portare avanti le politiche di assestamento e di ripresa cittadina. Del resto, nel Paese, si stava manifestando un’altra “spinta” – la seconda dopo gli anni ’60 – alla crescita economica (nonostante una crisi intermedia, a cavallo degli anni ’60, caratterizzata da una momentanea involuzione, anche politica, sulla strada delle aperture sociali), la quale era culminata col “centro sinistra” voluto dal Partito Socialista di Nenni con la Democrazia Cristiana (1963), e con la nazionalizzazione dell’E.n.e.l. (la disponibilità di energia è uno dei principali fattori del progresso economico in paese “trasformiero”, povero di materie prime).
L’Italia si stava avviando sulla strada della rinascita e del consolidamento democratico, uscendo anche dal suo isolamento come “paese europeo” (il Trattato di Roma, istitutivo della C.e.e., risale al 1957).
L’opera di risanamento di quel genio dell’economia che fu il ‘liberale’, ma ‘cattolico’, Luigi Einaudi, primo Presidente della giovane Repubblica, dopo il referendum e la caduta della monarchia, aveva comportato, negli a venire, lo straordinario effetto della parità della lira col dollaro. Tutto ciò aveva dato i suoi frutti, anche sul piano dell’immagine internazionale del nostro paese. Grazie al lavoro degli Italiani, e alle imprese che si moltiplicavano ovunque e che si erano ormai imposte anche all’estero in determinati settori (edilizia, meccanica, costruzioni navali ecc.).
Cianchetta si ispirò al quadro di rinnovamento che si stava già preparando con un straordinario fermento. Il maestro di scuola Enzo Boccacci, ‘assisano’ purosangue, venne eletto nel 1961, come consigliere comunale, nelle liste democristiane, e di lì prese avvio la sua carriera politica, sotto il sindaco Cianchetta. Assisi stava diventando una città diversa, ormai in linea coi tempi.
7* Gli anni che vanno dal 1965 al 1970 – col sindaco “democristiano” Giorgio Costantino, altro “podestà” venuto da fuori, in quanto estratto dai ranghi stessi della pubblica amministrazione – videro i prodromi di quella che poi fu chiamata la “contestazione “ (che era nata in Francia, nel 1968, col movimento studentesco di Cohn Bendit, e si era sviluppata poi in Italia, nel 1969, in parallelo alla grande protesta sindacale dei metalmeccanici).
Il sindaco Costantino fu eletto in conseguenza di alcuni attriti interni alla Democrazia Cristiana locale, divisa in correnti, e la sua nomina fu dovuta, in particolare, alle sue caratteristiche di indipendenza ed imparzialità, e di sagace amministratore, cresciuto nei ranghi dell’amministrazione pubblica.
Va ricordato che a quel tempo il consiglio comunale determinava tutto quanto: elezione di sindaci e assessori, e la sua stessa crisi di organo rappresentativo, che in attesa di nuove elezioni, quelle dei soli “consiglieri”, veniva gestito – in ordinaria amministrazione – da un preposto commissario prefettizio.
Come ex segretario comunale, Costantino si rese ‘garante’ di una corretta gestione economico-amministrativa, che appunto necessitava. Assisi crebbe turisticamente. Furono rafforzate le misure logistiche dell’accoglienza e si sviluppò, in parallelo, il tessuto cittadino, mercantile e turistico, sempre in maggiore crescita, nel rifiorire dell’economia generale. Tuttavia, la crisi della società italiana, tra utopie a buon mercato e la via seria dello sviluppo, cominciò a farsi sentire, anche in ambito locale, tant’è vero che, per mancanza di numeri, e d’intese politiche cittadine, si dovette ricorrere al ‘commisariamentoprefettizio’ (dott. Mario Vaccaro, 1970-1972).
Per uscire da questa crisi ‘politica’ ci volle un altro ‘assisano’ verace. Venne così il turno di Enzo Boccacci, il gran patrono della costruzione dello Stadio di Assisi, quando già era assessore nella Giunta Costantino (si tratta di una bellissima attrezzatura sportiva, dotata anche di piscina olimpionica, sepolta tra gli oliveti, inaugurata nel 1969 in occasione delle Universiadi, e legata ai più bei ricordi dello sport locale, dopo il vecchio campo sportivo di Piazza Nuova, nel cuore antico della città romana, oggi parcheggio pubblico sotterraneo voluto dalla Giunta del sindaco Costa e poi completato col sindaco Romoli).
In questo periodo sorsero su tutto il territorio numerosi impianti sportivi, belli e funzionali, e iniziò l’era del “tempo libero”, importantissima nella società moderna. I colori “rossoblu” di Assisi sono ritornati sul loro campo sportivo dopo un’assenza di oltre venti anni, quanto gli anni dei nostri calciatori, anche se non sono più i tempi dei grandi derby comunali, contro i colori ‘papalini’ dell’Angelana, quando – in quegli anni favolosi – il grande campione Anton Valentin Angelillo, il cui record di reti è ancora imbattuto nel campionato italiano, onorava – con la sua classe di grande giocatore e allenatore – i colori vincenti della popolosa e attiva ‘frazione’ di Assisi, il capoluogo “rosso-blu”.
Boccacci, figlio di un maestro, anche lui insegnante elementare, fu sindaco per due tornate elettorali (dal 1972 al 1978 e dal 1978 al 1982).
Al suo nome è stato intitolato lo Stadio degli Olivi, da lui fortemente voluto. Era un assisano autentico, innamorato di Assisi. Si trovò ad amministrare in anni difficili, quelli della contestazione, e poi del piombo, quando la pressione politica addosso alla Democrazia Cristiana si era fatta insostenibile e, via via, si andavano annunciando, attraverso sonore sconfitte, le crepe del potere, che passavano anche da un’intolleranza della società “modernista” verso istituti giuridici e sociali considerati ‘obsoleti’ (il 1974 fu l’anno del referendum sul divorzio).
I comunisti di Berlinguer reclamavano l’inserimento nel governo, vale dire la fine di quella conventio ad excludendum che aveva caratterizzato l’età democristiana, e di cui, nel frattempo, Amintore Fanfani era divenuto il ‘simbolo’ del “conservatorismo”, mentre Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse nel 1976, era il ‘controsimbolo’ del rinnovamento.
Boccacci si trovò a fare i conti con i ‘due’ colori del gonfalone: il rosso e il blu. E se la cavò molto bene. Puntò sull’edilizia scolastica, sulla ripresa dell’economia montana, sulle infrastrutture e la viabilità. Furono completate le opere di elettrificazione per le zone depresse della montagna.
In occasione di ricorrenti crisi occupazionali nell’area industriale della pianura (ad es. i licenziamenti della Colussi entrata in crisi produttiva), egli seppe far ricorso a istituti giuridici pubblicistici, magari destinati ad altri scopi, come la “requisizione in uso”, onde poter far fronte alle drammatiche emergenze del lavoro, che videro l’occupazione del Municipio da parte dei licenziati (la prima “occupazione” si era verificata nel 1972, un anno critico, durante il periodo del “commissariamento prefettizio”, con tanto di bandiere e scritte che penzolavano dalle finestre). In quell’altra occasione, con la crisi delle fabbriche della zona industriale pianura, si trattò di un’occupazione di tutt’altro genere.
Nel 1970 era entrato in vigore lo Statuto dei Lavoratori, e di lì a poco sarà riformato anche il “processo del lavoro”.L’Italia stava entrando in una nuova fase, difficile ed incerta, caratterizzata da un periodo di pericolosa inflazione a due cifre.
Varcato lo spartiacque degli anni ’80, venne il turno di Gianfranco Costa (1982-1985), giovane e preparato cattolico ‘idealista’, esponente di spicco della cultura “francescana” della Democrazia Cristiana di Assisi. L’elezione di Costa fu in vista del Centenario Francescano del 1982, straordinaria occasione nazionale e internazionale per il rilancio dell’ideale (con valenza interna dati i trascorsi degli anni del piombo) della pacificazione sociale e della pace mondiale, nella distensione tra i blocchi (il muro di Berlino crollerà nel 1989, ma Costa era già da prima amico personale di Lec Walesa, leader sindacale polacco, poi premier della Polonia cattolica).
La città di Assisi avrebbe potuto tenere alta la “lampada” del messaggio di pace francescano, e ricercare le vie migliori del dialogo tra i popoli. Cosa che puntualmente avvenne. Nella mia memoria, nel fondo dei miei occhi, c’è ancora la gioiosa immagine dello spolverio luminoso delle bandiere di tutto il mondo, esposte nei luoghi più degni della Città, agitate a mazzi dal vento, sulla facciata dei palazzi comunali, nel loro variopinto assembramento di colori. Il sindaco Gianfranco Costa seppe leggere perfettamente le cifre del tempo e attrezzò Assisi a “capitale mondiale” della Pace, toccando i vertici della reale vocazione di questo “luogo sacro”.
Se ne videro tutti i frutti successivi, nel 1986, con l’elezione di Assisi a luogo d’incontro delle Religioni mondiali, evento clamoroso e al tempo stesso degno di un’epoca nuova dello Spirito (secondo le “profezie” di Gioacchino da Fiore, cui sembra appunto ispirarsi la facciata romanica del Duomo di San Rufino, così cara alle ricerche del prof. Franco Prosperi, che di recente ha pubblicato al riguardo il suo terzo libro: in quegli anni, o forse prima, Prosperi era stato consigliere d’opposizione, fervente innamorato di Assisi, artista ispirato e attento tutore dei valori della cultura assisana, come del resto il pittore Claudio Carli, che come pochi, sa leggere la “luce” dei luoghi antichi di Assisi e dei suoi incomparabili silenzi).
L’evento dell’incontro ad Assisi di tutte le religioni fu di quelli che lasciano un segno indelebile, e di tale importanza che Papa Giovanni Paolo II vi si richiamò, ancora una volta, per un nuovo incontro di preghiera, qui proprio ad Assisi.
Nel segno della continuità dialettica, che presuppone i più grandi valori dello spirito, fu l’amministrazione Costa a preparare con energia il terreno dei grandi eventi, avendo fatto le ‘prove generali’ per l’indimenticabile Anno Francescano del 1982. Da allora Assisi si è rimessa sulla strada, già indicata al mondo, da Arnaldo Fortini. Costa inseguito divenne consigliere regionale, proseguendo nella operazione d’inserimento di Assisi, concreta e operosa come ai tempi di Fortini, in una prospettiva ideale di risalto mondiale (si potrebbe dire, usando le sue stesse parole: La testa fra le stelle, i piedi perterra). Ma Gianfranco Costa non fu il sindaco del 1986. In quell’anno era divenuto ‘primo cittadino’ Pietro Profumi.
Se ci riferiamo a quest’avvincente “modello” per Assisi, è perché i tempi hanno garantito che Assisi ha eccezionali possibilità d’inserimento di rilievo mondiale, tanto è vero che, con la prima amministrazione civica del sindaco Bartolini (assessore alla cultura il prof. Mario Romagnoli e vicesindaco l’ing. Claudio Ricci), la città si è potuta garantire persino una delegazione di rappresentanza dell’O.n.u., inaugurata in una grande cornice di richiamo.
Il “capitalismo etico”, nel progetto generale della politica portata avanti dalle Nazioni Unite, potrebbe trovare, nello “spirito di Assisi”, un momento di grande importanza, anche per la pacificazione dei popoli.
8* A Costa seguì l’amministrazione del sindaco Pietro Profumi (1985-1988), sotto cui si svolse il formidabile evento del 1986, ma con le prove generali dell’anno francescano del 1982, sotto il sindaco Costa. Si trattò, in effetti, del primo sindaco “fuori le mura”, almeno nel senso della sua provenienza dal circondario. Un chiarissimo segno che si erano ormai avvicendati i rapporti città-territorio, con una forte “de locazione” dei centri nevralgici in ambito extramurario. Profumi fu un sindaco, ancora una volta,‘espressione’ della preponderanza cattolica e democristiana. Egli è stato il pervicace assertore del rilancio istituzionale degli interventi e dei servizi collettivi municipali, puntando – in modo particolare – sulla diffusione culturale e sul rilancio degli interventi in materia scolastica. Intanto stavano avanzando lentamente (con riguardo anche alle politiche d’integrazione dell’azione amministrativa municipale con quelle portate avanti dalla Regione), le condizioni per un ricambio con particolare riguardo alle nuove realtà economiche, sociali e territoriali emergenti, che nel ventennio successivo alla legge speciale per Assisi, avevano raggiunto piena maturazione.
La società italiana, concretizzatosi il grande sforzo della modernizzazione e dell’integrazione sociale, aveva adesso bisogno della distribuzione dei servizi di utilità sociale e di una diversa dialettica territoriale tra il centro e le periferie. In raccordo con le politiche regionali, il cui impatto e la cui importanza si erano notevolmente cresciuti sia a livello d’azione diretta che in chiave di programmazione e di collegamento, la municipalità di Assisi (sempre a forte componente “democristiana”) individuò, al termine del mandato democristiano di Profumi, un altro sindaco “territoriale” nella persona del socialista “craxiano” Edo Romoli (1988-1992: stava però finendo la stagione del “garofano rosso” del dopo Nenni), esperto urbanista, efficiente e decisionista, insomma il candidato ideale cui affidare il municipio negli anni della ricchezza distribuita e del benessere diffuso.
Anche in questo caso, si trattava di un esponente del territorio, secondo l’opportunità di un nuovo rapporto tra la città (essenzialmente a vocazione turistica) e le periferie produttive, agricole e industriali (assai popolose e molto attive) .
La modernità ha sconvolto l’antico e tradizionale rapporto tra ‘città’ e ‘campagna’: la prima, era una realtà amministrativa ed artigiana, in posizione centrale e direttiva; la seconda, una realtà agricola, in posizione dipendente e subordinata. L’odierno rapporto non solo ha carattere policentrico, ma anche diversa vocazione. In questo senso, i sindaci “territoriali” rappresentano l’attualità del nuovo modello di equilibrio delle distinte energie e sinergie, ed in maggior misura, i mutati rapporti sia di densità demografica, che di diversificazione dei ruoli. Come, appunto, nel caso tipico di Assisi, in cui il filone della ricchezza ha origine principalmente dalla risorsa turistica, e in moneta sonante. Queste risorse ‘primarie’ rivolano poi nelle altre attività produttive attraverso la mediazione dei canali bancari. Una ricchezza, però, sempre ottenuta attraverso la sagacia, il lavoro, e le capacità imprenditoriali, destinata a ritornare all’ente municipale per mezzo dei tributi, per essere poi ripartita in spesa sociale per interventi e servizi pubblici. Quindi un circuito virtuoso, che non può essere turbato, se non con gravi rischi, e a pena di rilevanti danni collettivi.
Il sindaco Romoli comprese bene l’importanza cruciale di questi fattori. Curò l’arredo urbano, promosse la risorsa turistica, delocò risorse attraverso la pianificazione urbanistica, premiando, col decentramento, il diversificato carattere del territorio comunale.
L’avanzamento di quegli strati sociali che in passato erano stati i più sacrificati, condusse, dal “socialismo” di Edo Romoli (munito di un ottimo pacchetto personale di preferenze), all’affermazione “comunista” in Assisi (la prima dopo la svolta nazionale della “Bolognina”). Ciò avvenne con con la nuova legge sottol’amministrazione diretta “sindaco”, ‘tutto assisano’, Giuliano Vitali (1993-1996), fisico atletico più da generale goto, che da duce bizantino. Brillante studente, e valente medico ospedaliero, la sua elezione derivava dai segni dell’epoca. Il bisogno popolare di rappresentatività adeguata; il premere dei ceti meno inseriti, per il loro giusto riconoscimento sociale. Del resto, col primo sindaco dal ‘colore rosso’ dello stemma, il giro di boa del circuito “democratico” aveva percorso tutto il suo itinerario.
Il vitalismo del sindaco Giuliano Vitali intese, in effetti, procacciare alla municipalità una dignità di partecipazione collettiva, fondata sui nuovi criteri della dialettica democratica, e, soprattutto, sulle misure di socialità portate avanti dalla sinistra, anche a livello regionale, dopo anni di logoramento nazionale all’opposizione. L’importanza delle Regioni a statuto ordinario si era accresciuta notevolmente attraverso nuove competenze per materia, e Romoli divenne allora assessore regionale.
Dopo il mandato del sindaco socialista Edo Romoli, c’era stato l’avvicendamento di Claudio Passeri, sindaco nuovamente “democristiano”, espressione politica della frazione di Santa Maria degli Angeli. Passeri venne scelto come sindaco dal consiglio comunale del tempo, durante il periodo di Tangentopoli, quando vennero a galla i nodi della moralità pubblica, a lungo trascurati. Claudio Passeri, dirigente regionale, originario della sempre più importante, produttiva e popolosa “frazione” di S. Maria degli Angeli, fu dunque insediato in un momento difficilissimo. Non si trattava di un incarico comodo, perché si era aperta una caccia ai “ladri”, criminalizzando certi partiti. In quegli anni, essere un rappresentante politico “democristiano” inserito nelle istituzioni, non solo imponeva i consueti oneri del servizio, ma esponeva a feroci malevolenze e a facili ironie. Tutto sommato si camminava sui carboni ardenti, proprio come san Francesco.
Vitali e Passeri furono i due sindaci locali di raffronto, nel momento delicatissimo del passaggio nazionale attraverso la tempesta di Tangentopoli che provocò il crollo dei due maggiori partiti di governo lasciando una sorta di vuoto. E’ chiaro che i poteri politici umbri, di ben altro orientamento, premessero per l’ottimo Vitali, come “alternativa” possibile del “ricambio”. Malgrado tutto, i numeri effettivi non erano tutti dalla sua parte.
Per le elezioni amministrative locali del 1993, dopo lo scandalo di “Tangentopoli”, era stata creata una lista civica capeggiata dalla “star televisiva” Mino Damato, noto al grande pubblico per aver “camminato” in diretta sui carboni ardenti davanti alle telecamere, in una trasmissione televisiva restata famosa. Si era difatti creato un certo vuoto politico, a livello locale, dopo la crisi dei grandi partiti nazionali. In base alle nuove regole della legge n.81 del 1993 la carica del sindaco veniva a dipendere dalla elezione popolare diretta, con conseguente stabilità del mandato, nei cinque anni previsti (non più soggetta, cioè, a crisi interne d’alleanza “partitica” e a “ribaltoni”). A ciò si accompagnava il potere autonomo del sindaco di nominare e di revocare i singoli componenti della giunta municipale. In questo modo il sindaco scelto a suffragio diretto diveniva il protagonista principale della politica locale, spettando al consiglio municipale una funzione politica rappresentativa, di garanzia e di controllo.
Candidato “democristiano” nel 1993 alla carica di sindaco fu ancora Costa, che pur possedendo sulla carta i numeri dell’eleggibilità, almeno in seconda tornata, restò frustrato dalla mancata possibilità di un “cartello” d’accordo di “liste”. Prevalse perciò Vitali, che pure non aveva avuto, al primo turno, la supremazia numerica su Costa. Assisi stava entrando, da protagonista, nella nuova logica del bipolarismo, che a livello nazionale ne avrebbe viste delle belle, di lì a poco.
Nel frattempo, Berlusconi aveva vinto le elezioni politiche nazionali, ma il governo cadde per il famoso ribaltone. Vi si sostituì il “centro-sinistra”, prima con Prodi, poi con D’Alema. Soltanto nel 2001 Berlusconi tornò al governo.
La logica del “bipolarismo “ (una logica tutto sommato sperimentale e ancora imperfetta) esige di per sé il principio dell’alternanza. Alternanza che nel Comune di Assisi già si era precocemente manifestata con l’elezione maggioritaria del sindaco di centrodestra Giorgio Bartolini (1997-2001), esperto commercialista, anche lui proveniente dalla emergente realtà sociale dell’ importante “frazione “ (si fa per dire) di S. Maria degli Angeli.
Bartolini fu eletto per la seconda volta consecutiva, ma la legge impediva la sua terza elezione. Di conseguenza, egli svolse il ruolo di vice-sindaco, col sindaco in carica Claudio Ricci, un ingegnere esperto in materia turistica, già vice sindaco all’epoca del secondo mandato di Bartolini.
Assisi ha sempre mostrato una tendenza politica “centrista”, moderata e cattolica, con punte di conservatorismo, in buona sintonia con l’andamento generale del Paese. Non è forse una favola ciò che si sostiene, che cioè Assisi anticipi i tempi come piccolo laboratorio della politica che conta, quella su scala nazionale.
Ne costituisce una riprova il fatto che con larghissima maggioranza di consensi, il sindaco Bartolini sia stato rieletto per la seconda volta (2001-2006), senza alcun ballottaggio. Un tale favore esprimeva dunque grande fiducia sul piano personale, essendo altresì il certo segnale dell’orientamento dell’elettorato municipale verso il “centrodestra”. Il “colore blu” era di nuovo in auge, radicato nella tradizione ‘democratica’ e ‘cattolica’ di Assisi.
L’attuale sindaco di ‘centrodestra’, Claudio Ricci, che non è di origini ‘assisane’, è stato eletto al primo turno. Egli è in carica dal 2006. La sua opera, solerte ed attiva, improntata a professionalità manageriale, prosegue sulla scia delle due consecutive amministrazioni dell’esperto sindaco Giorgio Bartolini, che dovette affrontare, ma con successo, la terribile emergenza del terremoto del 1997. L’attuale amministrazione di Claudio Ricci è impegnata al rilancio economico e turistico della città, che negli anni ’80 aveva perso la presenza di un importantissimo festival di musica classica, il festival Amor-OttorinoRespighi, che concentrava in Assisi i più grandi musicisti del mondo, compreso il Mozarteum di Salisburgo (il dott. Ezio Mancini, anche lui per un certo periodo consigliere comunale, fu uno dei grandi ‘patroni’ di questa importantissima manifestazione estiva, che si è fatta molto rimpiangere).
L’amministrazione locale è sommersa di competenze, si addossa molti oneri, ed è dunque un vanto, per Claudio Ricci come già per Giorgio Bartolini, non solo il contenimento della pressione tributaria a livello comunale (senza aggravi e addizionali), ma anche il rifacimento dell’intero sistema viario del capoluogo, a conforto della bellezza di Assisi. L’attuale amministrazione si fonda su impulsi di tipo manageriale e sua una oculata gestione finanziaria. In quest’ambito, sarebbe augurabile che la Città possa tornare ad ospitare eventi internazionali, come appunto meriterebbe.
9* Amministrare una città piccola ma importante come Assisi non è cosa semplice. Ciò per varie ragioni. Il territorio è ‘piccolo’ (appena al di sopra dei 25.000 abitanti), ma il suo nome è ‘grande’, universalmente ‘conosciuto’ e ‘riconosciuto’. Dunque, Assisi, ha la “dimensione d’immagine”, o meglio il “valore” di una grande città. Ed è un luogo “ internazionale”, con una vasta gamma di relazioni di ogni tipo, e per quanto si tratti di un ‘piccola città’, deve tuttavia essere attrezzata alla grande, per poter accogliere, con piena capacità e dignità, i suoi tanti turisti, nel rispetto di tutti i valori culturali, ambientali e paesaggistici che essa incarna.
Assisi ha dunque una doppia immagine: una interna e l’altra esterna.
Quella quotidiana e ‘rutinaria’, di chi vive ordinariamente da queste parti; e quella esterna, eccezionalmente rilevante, che deve ‘saper spendere’ il proprio nome a livello mondiale, ma che le sarebbe richiesta in ogni caso.
Coniugare i due aspetti è un problema difficile di per sé. Recuperatasi molto bene dalla tragedia del terremoto (l’amministrazione Bartolini resterà nella storia per questo fatto), Assisi ha davanti a sé la prospettiva lunga dei tempi a venire, gravidi di incognite sul piano mondiale, ma anche ricchissimi di possibilità.
Non sappiamo interpretare i segni dei tempi, in specie di fronte ai grandi e drammatici eventi che sono via via riapparsi alla ribalta mondiale dopo la rottura dell’equilibrio forzato tra i due blocchi. Il tempo presente viene normalmente ‘vissuto’, piuttosto che perfettamente ‘inteso’ e ‘compreso’.
Ma se guardiamo indietro al tempo che è trascorso, come appunto abbiamo cercato di fare in queste rapide pagine, possiamo pensare di scorgere certi fili del percorso, una trama che magari soltanto dopo molti anni apparirà leggibile. I tempi presenti sono difficili, gravidi di incognite. Non sappiamo cosa possa riservarci il futuro, ma siamo sicuri che il “nome di Assisi” resterà in alto, essendo di per sé già una garanzia.
Il nostro modesto intento, confinato brevemente all’ultimo periodo civico dal dopoguerra a oggi, è stato quello di ripercorrere un possibile ordinamento dei segni intravisti, con la speranza di esserci, almeno in parte, riusciti, e, soprattutto, con l’augurio che il senso della “cosa pubblica” non venga mai meno per coloro che oggi hanno (e per coloro che lo avranno in futuro) il delicato compito di rappresentare la collettività e di svolgervi il proprio servizio.
Assisi è una città antichissima, carica di simboli parlanti e di significati palesi. Ne vorrei cogliere uno per tutti, con quanto si riferisce a una anonima tomba gotica, la cui “pietra” rosata del Subasio è posta all’ingresso della Basilica Inferiore. L’iscrizione fa così: Publica privatis antepones, hic iacet.
La tomba è anonima. Restano le buone intenzioni, che impegnano a grandi responsabilità: che Assisi, cioè, abbia sempre i suoi “custodi”.
10* Che dire del presente, con l’ultima stagione politica del sindaco Claudio Ricci, che è originario di Marsciano? Ricci “tecnocrate”, giacché ingegnere turistico. L’Italia è in crisi. Crisi profonda, non soltanto una crisi economica, dovuta all’enorme debito pubblico e al pedaggio pagato per l’appartenenza all’Eurozona: ma anche una crisi istituzionale profonda, con una forte crisi demografica (invecchiamento della popolazione e denatalità), e una crisi del c.d “sistema Italia” (l’apparato pubblico e privato nella sua interezza). Una popolazione di pensionati, coi “giovani” che non riescono ad inserirsi nel sistema. Crisi scolastica, crisi della “formazione lavoro”, crisi degli apparati, crisi aziendale. E un fisco pesante, pesantissimo, che sottraendo risorse ai privati, pone il problema dell’efficienza marginale della “spesa pubblica” e del “limite” ultimo dell’indebitamento. Il comune di Assisi sembra ancora sano, l’economia turistica locale ha trovato un “rimedio” con l’elezione di Papa Francesco: Assisi fa parte dei grandi itinerari religiosi che portano a Roma, il colpo economico è meno duro, sebbene ci sia stato un calo del turismo “italiano” nell’Umbria e anche in Assisi. La città visse in passato dell’interazione economica tra territorio rurale e artigianato cittadino, rimpolpata dal turismo (il gettito turistico è andato sempre di più crescendo, mentre le campagne si sono industrializzate). Oggi però il quadro è diverso: il turismo è la prima voce dell’economia locale, è scomparso l’artigianato, e le piccole e medie imprese si trovano in difficoltà. La Regione Umbria – con le due Province – rischia di diventare un ente “inutile”, un “peso” economico eccessivo. Assisi si è terziarizzata (turismo e burocrazia). E’entrato in crisi anche il settore dell’edilizia, che storicamente era una delle caratteristiche economiche tipiche. Il quadro è difficile, gravido di interrogativi.
Il rovesciamento istituzionale delle c.d. Autonomie Locali (avvenuto con legge costituzionale n.1, sotto il Governa D’Alema, che nel 1999 ha riformato il Titolo V della Costituzione), ha mostrato tutte le sue “pecche”: lo Stato rimane sempre il punto di riferimento essenziale, mentre i Comuni rappresentano il primo e fondamentale momento di “aggregazione sociale”.
Le Autonomie intermedie – anche di rango costituzionale come le Regioni – sono in crisi, la loro “pletoricità” istituzionale è divenuta evidente (numeri eccesivi, spesa incontrollata). Rimangono i Comuni, che tuttavia dovrebbero essere razionalizzati come territorio, dando luogo ad “unioni”. Ciò per ragioni di spesa e per linee di efficienza. La politica economica è qualcosa di più che non la semplice “politica” e basta. Nemmeno le c.d. “privatizzazioni” hanno sortito buon effetto. Gli enti inutili territoriali sono manifestazioni evidenti di passati sperperi. La razionalizzazione delle strutture è pressoché indilazionabile. La “cosa comune”, segno primo della civiltà (dal municipio romano al comune medievale, fino all’età presente: la civitas comporta la civilitas, mentre i cives si rinnovano nel tempo nel segno del progresso morale e materiale), è la base stessa della “socialità” (societas civilis).
Chi sostituirà il sindaco Ricci, dopo due mandati ormai non rieleggibile ai sensi di legge, dovrà tener conto dei valori storici di Assisi, delle passate esperienze, e del segno nuovo dei tempi. Salendo quelle scale, si ricordi del motto tratto da Valerio Massimo, e poi dei Santi di una “Città di Luce”.
Ripensi al Fortini, senta risuonare il “Coprifuoco”. Poi guardi al nuovo mattino, comprendendo che chi fu giovane invecchiò, e che il ciclo è questo: ma attenti a non confondere il declino rassegnato, con la speranza del nuovo. Il nuovo sorge ogni volta da un trapasso felice della custodia dl tempo. Un po’ come avveniva nella Roma dei primordi con le vergini Vestali. Il potere è fertile, il potere è corrotto. Dipende da chi ne custodisce il vero significato.
Fu questa la ragione per cui i magistrati comunali infilarono nel dito della mano destra del cadavere di San Francesco un anello con l’effige della dea Minerva. Sapienza laica, ma anche istinto sacro.
L’accusa di Properzio (I, 22, verso 5) era quella della “discordia civile”: cum Romana suos egit Discordia civis. Un anagramma ne rovescia, però, il significato: < Concordia civium surgit si deos amas > (la Concordia dei cittadini sorge dal rispetto deisupremi valori). Per quest’unica ragione il nostro povero “racconto” sulla “municipalità” di Assisi del dopoguerra, esigerebbe, nonostante gli evidenti limiti, un qualche ‘ascolto’. La memoria non è un peso, ma un valore.
(Arcangelo Papi)
* Ringraziai la Sig.ra Mirella Ceccucci Sbaraglini, scomparsa di recente, per la preziosa carrellata di ricordi, che mi auguro di non aver mal riportato, a proposito di suo padre, l’avvocato Giuseppe Sbaraglini, primo sindaco di Assisi nel dopoguerra. Eventuali errori o imprecisioni, in cui posso essere caduto con riguardo a fatti e persone, sono miei soltanto. Mi scuso, inoltre, per eventuali omissioni e/o giudizi riduttivi rispetto al valore effettivo dei personaggi o di altre persone non ricordate, trattandosi di valutazioni personali di un soggetto esterno alla politica. Ho cercato soltanto di trovare un filo conduttore, nel nome di Assisi. Ed è per questa precisa ragione che dedico queste pagine anche alla cara memoria del dott. Enrico Ceccucci, scomparso di recente dopo una lunga vita di lavoro, vero innamorato e custode di Assisi, nella sua lunga e laboriosa attività di costruttore edile di grande capacità, massima sensibilità e grandissima esperienza. Enrico Ceccuci era il marito di Mirella Sbaraglini. La vita di una città ripete storie e vicende affini, ma sempre diverse. Ognuno di noi è una sfumatura passeggera del tempo, ma le cose migliori sono destinate a restare: fossero parole soltanto, o vaghi ricordi, purché condivisi.