Il << caso è differente: non prendermi per una ragazza ibseniana >>
(Il sole all’alba e il preteso “Punto Fermo” del “caro estinto” del 1939)
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1* Se oggi come oggi dovessimo parlare ancora dellvenerdì 25 marzo 1938 da Napoli (oppure dal 27 marzo, che era ‘domenica’, il ‘giorno del sole’: ma esattamente da dove e quando?), dovremmo forse fare i conti con la novità assoluta dell’asserita – ma non dimostrata – morte precoce del compianto Ettore, del caro estinto che sarebbe deceduto, ma non si sa dove e perché, non molto tempo prima del 3 settembre 1939, allorché scoppiò la seconda guerra mondiale con l’invasione della Polonia?
Davanti a questa novità, definita come un Punto Fermo – dunque, sarebbe questa la soluzione definitiva del “caso”, e più che deludente, una soluzione indubbiamente assai tardiva – saremmo allora forzati e costretti, quantomeno, a una serie d’improprietà, e alla mancanza di prove, e a uno spostamento di oggetti dovuto alla confusione di piani e di prospettive, recentemente introdotti – ma perché soltanto adesso? – con un breve articolo pubblicato nel 2012 dalla rivista ufficiale della Società di Fisica Italiana, Il Nuovo Saggiatore, e da un corposo saggio del 2013, rispettivamente da parte di autori diversi, il fisico Francesco Guerra e il dott. Stefano Roncoroni, nemmeno in sintonia tra loro.
I recenti Autori – nel tentativo o mal celato sforzo (?) di escludere in radice la possibile ricomparsa di Majorana, diretto nel luglio del 1950 in Argentina secondo una fotografia sulla quale non si sono finora registrate conclusioni certe e sicure sia per accoglierlo, che per escluderlo – hanno ritenuto opportuno rifarsi a vecchi, già noti, ma trascurati ‘documenti’, risalenti alla fine di settembre del 1939, che però non proverebbero in modo chiaro ed esauriente la morte prematura avvenuta molto mesi dopo la prima scomparsa nel marzo del 1938.
Operazione – dicevamo – tardiva assai e in ogni caso piuttosto anomala, giacché Edoardo Amaldi, nel 1966, a conoscenza degli stessi documenti, non solo li aveva tralasciati, scrivendo un profilo biografico del genio Ettore Majorana, scomparso all’età di 31 anni in circostanze misteriose, importante saggio pubblicato sotto l’alto patrocinio dell’Accademia dei Lincei, ma aveva altresì concluso il suo lavoro, comunque inficiato da gravi errori nel capitolo n. 8 conclusivo, sostenendo che (da allora in poi) non si èsaputo più nulla.
Per i menzionati Autori del 2012 – 2013 la verità ‘provata’ sarebbe un’altra, già nota alla famiglia nel 1939, ma non è aumentando la densità e moltiplicando il numero dei ‘misteri’ che può fornirsi la soluzione di un casodifferente, diverso da quello di una ragazza ibseniana: la definizione è dello stesso Majorana. Un caso clamoroso, oscuro ed enigmatico, accaduto ad esclusivo danno dei propri familiari.
Al massimo, si potrebbe cercare di turare una falla, respingere illazioni pericolose o infondate. Ma, alla radice del mistero possibile del dopo, da non confondere col prima e col durante, c’era un altro famoso saggio, ristampato ancora una volta nel 2011, in edizione riveduta e aggiornata, per cui – forse – Ettore Majorana – almeno negli anni ’50 – stava in Argentina, all’insaputa dei suoi familiari (Erasmo Recami, Il caso Majorana).
2* Anziché domandare a Recami, autore nel 1987 del fortunato e premiato saggio,‘perché’ e ‘come mai’ Majorana potesse essere arrivato da pupo pirandelliano nel 1938 in Argentina, ma senza un passaporto valido per i paesi d’oltremare, qui standone zitto zitto per così tanti anni, oppure chiedersi perché Leonardo Sciascia, nel 1975, l’aveva dato in un convento, anche dopo le bombe atomiche sganciate dagli Americani sul Giappone (agosto 1945), senza ricomparire e senza aver fatto saper nulla a suoi, ma suggerendo una morte abbastanza recente, prima del 1974, i recenti Autori ai quali si è fatto riferimento, cioè il prof. Francesco Guerra e il dott. Stefano Roncoroni, hanno preferito prendersela con la pericolosa e scandalosa fotografia pubblicata dal quotidiano La Repubblica domenica 17 ottobre 2010, con uno di tali Autori, Il Prof. Guerra, che ha colto l’occasione per avanzare nomi alternativi, in realtà improponibili, come Gustav Wagner, un gigante biondo, alto circa due metri, oppure Alois Brunner, che com’è noto agli esperti, scamparono altrove in anni diversi.
La fotografia del 1950, a bordo della nave italiana “Giovanna C.” diretta da Genova a Buenos Aires, era stata analizzata e giudicata da un ente preposto ai riconoscimenti come riferibile – con elevato grado di probabilità – all’aspetto fisico di Ettore Majorana, scomparso oltre dodici anni prima.
La presenza ingombrante, in quella stessa fotografia, del noto criminale nazista Adolf Eichmann in fuga dall’Europa, gettava un’ombra sinistra sul riconoscimento. Majorana sarebbe fuggito segretamente in Germania nel 1938, inscenando un suicidio, qui atteso; e terminato il conflitto, dopo essersi nascosto per alcuni anni, finalmente nel luglio del 1950, stava raggiungendo in nave Buenos Aires, sotto falso nome, per rifarsi una nuova vita, ‘dopo’ segretissimi trascorsi, sempre all’insaputa dei suoi familiari?
La foto del 1950 sanciva forse i successivi riscontri, rivelati per la prima volta nell’ottobre del 1978 dal giornalista Gino Gullace, corrispondente da New York del settimanale Oggi, secondo certe voci che già da tempo circolavano negli ambienti internazionali della fisica?
3* A parte i fatto che nel gennaio del 1974 il noto fisico Gilberto Bernardini, coetaneo e buon conoscente di Majorana, citato nelle sue lettere del 1933 da Lipsia, in cui si diceva bene del nazismo e di Hitler ormai arrivato al potere, avrebbe rivelato al prof. Giorgio Dragoni che la scomparsa di Majorana nel 1938 sarebbe dipesa da una fuga segreta in Germania per collaborare con le ricerche scientifiche belliche in vista di un conflitto che si preannunciava ormai alle porte, tale versione fu ribadita in pubblico, a Firenze, il 17 marzo del 1990, presente in sala lo stesso Bernardini, da Bruno Pontecorvo, altro importante fisico della scuola romana di Fermi a via Panisperna negli anni ’30.
Di Majorana si era già parlato nel 1974, a Princeton, in un ristretto gruppetto di fisici di fama (rivelazioni del noto fisico torinese Tullio Regge, nell sua autobiografia pubblicata nel 2012), secondo quanto avrebbe ricordato a Regge il fisico Mario Rasetti, subito dopo la pubblicazione della scandalosa fotografia su Repubblica nel 2010.
Gullace, giornalista molto più introdotto di quanto non si creda, era un amico di Regge, ma anche di Luigi Romersa, giornalista e scrittore, inviato speciale di Mussolini nell’ottobre del 1944 in Germania.
Romersa avrebbe qui assistito, sul Baltico, al primo test nucleare della storia, sperimentato dai tedeschi in modo alternativo, su scala ridotta. Lo ribadisce in un suo libro, Le armi segrete di Hitler (Mursia 2005, pagg. 48 ss., l’atomica tedesca, con parallela conferma da parte di Romano Mussolini).
Gullace era in ottimi rapporti anche col famoso costruttore di missili Werner von Braun, emigrato negli Stati Uniti (Operazione Paperclip) poco dopo la fine della guerra, insieme col suo staff tecnico d’avanguardia. Oltre che essere buon conoscente e amico di Tullio Regge negli anni ’70, Gino Gullace fu il primo a pubblicare certe ‘notizie’ sulla presenza di Majorana in Argentina. Tuttavia, nell’estate del 1974, durante una vacanza a Taormina, la vedova del premio Nobel Miguel Asturias (scrittore e diplomatico), si era lasciata sfuggire identiche notizie, riferite a Recami molti anni dopo da una testimone.
E’ vero che si continuò a lungo a favoleggiare su Nerone redivivo, quando era morto suicida, già da molto tempo, ed era stato sepolto a Roma per la pietà della sua schiava e amante Atte. Ma il “caso Majorana” nulla ha a che vedere con ‘Nerone’ (a differenza di quanto asseriva Segrè).
Le notizie raccolte da Erasmo Recami, coinvolgendo nelle sue ricerche, e in prima persona, anche Maria Majorana, sorella dello scomparso, si fondavano su tracce diverse, pressoché coincidenti, distinte e autonome. Da qui la ‘pista’ di Recami (dubitativa e inquietante) sull’Argentina, accompagnata da un bel << forse >>, indubbiamente cautelare.
Nessuno gli pose domande, nonostante l’evidente ‘anomalia’ di un ripiego o rifugio silenzioso di Majorana in Argentina. Forse andava ben così?
Come mai i suddetti autori, rispettivamente a conoscenza del contrario, non intervennero quando Recami pubblicò il suo saggio, che ha avuto successive edizioni nel 1991, nel 2002, e nel 2011? Nell’edizione del 2002 Recami accennava alla possibilità della fuga segreta in Germania, riportandosi a una “fonte” da lui taciuta e comunque da lui “non controllata” (dunque, con quale chiarezza d’informazione?).
4* Nel 2010 si è gridato allo scandalo. E si è parlato di una “bufala” (vedi Episteme Forum sul web). Sono stati affacciati nomi impossibili. Nessuno sa dire di chi si potesse trattare. La fotografia originale sembra essere sparita nel nulla. Nel 2011 furono poi aperte delle indagini investigative su un certo “signor Bini”, che però non rassomigliava allo “scomparso” (se ne accorse anche II Corriere della Sera).
Da ultimo, sono stati recuperati dai citati autori dei vecchi documenti, come detto, già noti ad Amaldi nel 1966, sostenendo che era questa la prova certa e provata, il vero “Punto Fermo”, cioè la chiave del grande ‘mistero’. Che non era più quello della scomparsa misteriosa da Napoli nel marzo del 1938, bensì l’enigma di famiglia, che sarebbe stato taciuto, e, con ciò, anche il mistero insondabile delle cause di morte, che sarebbe avvenuta nel 1939, con il resto a seguire, che non solo rimane nell’ombra, ma che dà luogo a una serie di vuoti ancor più strani e misteriosi. L’uomo della fotografia non è Majorana, sebbene nessuno ne conosca l’effettiva identità. Ma allora perché gli assomiglierebbe tanto? Perché qualcuno ne avrebbe sentito parlare a Buenos Aires (vedi il saggio di Recami e La cattedra vacante di Salvatore Esposito, Napoli 2009)?
Il personaggio minuto, con gli occhiali scuri, capelli neri, alto tale e quale, del resto molto rassomigliante, checompare nella fotografia pubblicata nel 2010 da Repubblica, ripreso a bordo della nave italiana “Giovanna C.”, salpata dal porto di Genova a fine giugno del 1950 e diretta a Buenos Aires, sarebbe finora stranamente rimasto senza un nome ufficiale, mentre la fotografia fu sicuramente trovata addosso ad Adolf Eichmann, il criminale responsabile dell’Olocausto, catturato in un sobborgo di Buenos Aires da un commando israeliano, che lo trasportò segretamente in Israele, dove fu processato e condannato a morte (Tel Aviv, 1961).
La singolarità di questa fotografia, pubblicata nel 1989 da Simon Wiesenthal, il noto ricercatore di nazisti (riprodotta all’inizio), è indubbiamente quella di un probabile ex nazista di riguardo, in fuga verso l’Argentina, alto un metro e sessantotto, capelli neri, viso lungo, molto rassomigliante allo ‘scomparso’ del 1938, di cui lo stesso Wiesenthal nulla disse, nemmeno a proposito della nave, lasciando intendere che il viaggio sarebbe avvenuto nel 1949, mentre è oggi certo che avvenne nel 1950. Perché la fotografia originale sarebbe sparita? Va anche detto che ho potuto riscontrare che la foto era a più ampio campo, e che dunque Wiesenthal l’ha artificialmente ritagliata. A riprova della stupefacente e sconcertante superficialità con la quale certe critiche malevole e aprioristiche (una “bufala”), sono state affacciate a caldo da chi di queste cose evidentemente non s’intende.
5* Poniamo pure che si tratti di una somiglianza dl tutto casuale (che ci sia è innegabile, ma non varrebbe ai fini del riconoscimento tecnico forense): ma com’è possibile – allora – che degli altri due passeggeri nella fotografia si conoscano perfettamente le rispettive identità (il secondo, sorridente, con la pipa in mano, è Hebert Kulhmann), mentre del terzo non si sappia nulla?
Tra l’altro, la sorridente coppia di ex ufficiali nazisti dimostra un particolare rispetto verso il ‘piccoletto’, che senza dubbio è il personaggio principale del fotogramma, dandogli rispettosamente la destra, a debita distanza. Mentre costoro gli sorridono a lato, il personaggio di riguardo, ripreso frontalmente, rimane serio e compunto. Un quarto ha scattato la foto, sviluppata a Buenos Aires.
Così stando le cose, è impossibile fare a meno di pensare che, in effetti, con le buone o le cattive, Eichmann non sia stato costretto a rivelare tutto ciò che sapeva anche sui passeggeri di quella sua stessa nave, compreso chi scattò la fotografia. Quindi, il mistero dell’identità del terzo passeggero, quello dal fisico minuto e con gli occhiali scuri, sarebbe rimasto ‘tale’ proprio per la sua straordinaria e del resto assai poco spiegabile ‘particolarità’.
Se, infatti, si fosse trattato di un ufficiale tedesco, com’era nel caso degli altri due, la sua identità non sarebbe rimasta sconosciuta.
Di chi potrebbe trattarsi? Il caso rimarrebbe da appurare e da chiarire. Nulla di tutto di ciò è avvenuto da parte dei detrattori, che hanno parlato di “bufala”, di errore evidente, di equivoco, di impossibilità a priori, di pista sbagliata, di mistificazione e di mendacio. Come se fossero loro soltanto i detentori di ogni possibile certezza ufficiale, come se la libertà di ricerca e d’indagine fossero inesistenti. E peggio ancora, come se il “caso” fosse già stato risolto (‘dopo’).
Sia lui, oppure no, qui non importa, si è preferito ‘rispondere’ indirettamente, con un presunto attestato di morte prematura, derivante dalle espressioni di un estraneo: nella specie, una lettera in data 22 settembre 1939, da parte di un Padre Gesuita, Ettore Caselli, che rispondeva favorevolmente rispetto a una richiesta rivoltagli dal fratello dello scomparso, Salvatore Majorana, per l’istituzione di una borsa di studio, o pia fondazione di 20 mila lire nel 1939, a nome dello scomparso.
I recenti autori riportano la lettera di risposta, ma non quella di richiesta. Tutto poi rimane nel vago, non potendosi procedere, al momento, alla ricostruzione ‘necessaria’ dei fatti. Le espressioni contenute nella lettera di risposta del Padre Caselli: compianto Ettore, caro estinto, potrebbero essere frutto di un vicendevole equivoco. Del resto, Amaldi l’aveva scartata. E nessun grande ed ermetico segreto di famiglia, giacché quel documento glielo avevano fornito, in copia, i familiari di Ettore (ed è quanto è lecito presumere in base al breve articolo del 2012 pubblicato dal prof. Guerra, che si è guardato dal dire di più, a differenza di quanto invece avrebbe sicuramente dovuto fare: la verità a puntate avrebbe invero poco senso scientifico, ma molto di pretestuoso).
6* Preferendo, in questa sede, evitare l’argomento specifico della fotografia, che però resta ancora in sospeso, ne sono stati riportati gli estremi soltanto per notizia: una fotografia che riguarderebbe eventualmente soltanto il dopo del dopo, rispetto alla scomparsa del 1938.
Ma è cosa certa e sicura che i recenti autori di cui si è detto, hanno utilizzato materiali del 1939 già noti a Edoardo Amaldi, da lui scartati allorché nel 1966 diede alle stampe, ricordiamolo, sotto il patrocinio dell’Accademia dei Lincei, il noto lavoro biografico sul genio della fisica sparito nel nulla dopo aver lasciato alcune strane lettere e apparentemente aver agito in un certo modo, che non sarebbe poi quello di chi invece intendeva sopprimersi: quindi una sparizione dolosa, però senza un perché apparente (cfr., per es., Luisa Bonolis, Il genio scomparso, Quaderni de Le Scienze, anno 2002).
Amaldi stava forse nascondendo, pure lui, un terribile e indicibile segreto di famiglia, tuttavia partecipatogli dai familiari di Ettore, oppure disse la pura e semplice verità, come appunto gli constava, e cioè che, dal momento della scomparsa, non si era più saputo nulla? Nella versione dai fatti fornita dal prof. Guerra sono presenti buchi incolmabili. In pratica manca tutto. Ma copia della lettera del Padre Caselli è stata recuperata negli archivi romani (alias l’archivio Amaldi, com’è lecito presumere).
L’intero paragrafo finale (il paragrafo n. 8) del famoso saggio ‘biografico’ di Amaldi su Majorana, non sta in piedi: vuoi per errori evidenti, da una riga all’altra, e vuoi pure per aver invece ‘indovinato’ il termine testuale di scomparsa, magari solo fingendo di non conoscere – oppure effettivamente non conoscendo? – il testo esatto ed anche le date delle ultime lettere dello scomparso, sebbene Amaldi avesse avuto contatti diretti con Antonio Carrelli, il destinatario delle due ultime lettere di Majorana del 25 e 26 marzo 1938, col quale già aveva avuto un primo abboccamento, assai riservato, a Napoli, sabato 13 maggio 1950 (la cosa è certa). La non chiarezza sta anzitutto nei fatti; poi nelle parole. Ma da parte di chi?
L’argomento del caro estinto, ovvero del compianto Ettore Majorana, alla data certa del 22 settembre 1939 (cioè la data della lettera di risposta alla famiglia da parte del Padre Ettore Caselli della Provincia dei Gesuiti di Venezia, che in relazione alla richiesta di fondazione di una pia borsa di studio di 20 mila lire, pagata dalla madre dello scomparso, riportava appunto tali espressioni), non ne prova in alcun modo la morte effettiva, per cui il preteso “Punto Fermo” al riguardo, impegna viceversa a dover mostrare, adesso, la tomba e le spoglie mortali databili, se appunto si vuol essere creduti.
La “ricomparsa” nel 1950, anche secondo il forse di Recami, è ovviamente esclusa dalla seconda “scomparsa” nel 1939. Tutto verrebbe a dipendere dal Padre Caselli, ma gli autori più recenti, cioè Guerra e Roncoroni, non hanno o non avrebbero finora esibito nulla di veramente serio, solido e fondato.
Il preteso “Punto Fermo” è indubbiamente un boomerang. Anche perché le indagini degli inquirenti sono ancora in corso, dall’aprile del 2011. Ed è anche infondato nel merito, come appunto si ‘dimostrerà’, almeno nel senso che non è concludente. Dunque, non è in grado di provare nulla. Ciò è tanto vero che Guerra si è rifugiato nella nicchia protetta di una rubrica “Opinioni”, mentre Roncoroni lo ammette espressamente (allora, perché contraddirsi, parlando di “Punto Fermo”: forse per disorientare i lettori?).
7* E può ricominciare da qui la ‘vicenda’ della scomparsa, che avrebbe poi dato luogo al caro estinto, al compianto Ettore, vale a dire al “Punto Fermo” della morte prematura nel 1939, diversi mesi ‘dopo’ la sparizione del vivo. Sia che i propositi apparenti di suicidio, inizialmente, fossero sinceri; sia pure che non lo siano mai stati, che si trattasse cioè di una messinscena ingannevole (lo scomparso aveva con sé il passaporto, valido soltanto per i paesi europei, una rilevante somma di denaro, e sapeva persino nuotare, se vogliamo rimanere aderenti ai fatti: e non c’è dubbio che sia così, per cui le eventuali pretese oppure i vari pretesti per eliminare in radice o togliere di mezzo i fatti stessi, che sono assai scomodi, fallirebbero miseramente, poiché ne esistono abbondanti prove).
Onus probandi incumbit eo qui dicit. Non si può pretendere di aggirare o eludere il principio logico fondamentale dell’onere della prova, che resta valido in ogni settore, anche sul piano extra legale, sul presupposto, però errato, che il preteso “Punto Fermo” dia adesso luogo all’inversione dell’onere prova in ordine a fatti impeditivi o modificativi, per cui starebbe a chi lo metta in dubbio, a chi non sia d’accordo col significato del caro estinto, dover fornire la prova del contrario. Prova contraria del resto impossibile, poiché mancano dichiaratamente il certificato di morte, la tomba, il cadavere e tutto il resto.
Per cui è evidente l’arbitrio di fondo e il pasticcio mistificatorio. Si asserisce la morte, a parole, sulla base di quanto scritto dal Padre Caselli, non mostrando però la lettera di richiesta che diede luogo alla risposta, e non sarebbe poi possibile provare il contrario: che morte non fu (difatti manca tutto). Chi ha preteso di ragionare o argomentare in tali termini evidentemente non sa nulla o quasi di logica probatoria, di prova logica. La morte si prova con la morte. L’onere di tale prova spettava a Guerra e a Roncoroni che hanno fatto tale affermazione. Tuttavia, aggirando il principio basilare, hanno preteso la prova della ‘smentita’. Il che è ridicolo e grottesco.
Chi si riduce al principio cardine del preteso “Punto Fermo”, sulla sola base delle parole della lettera di risposta del Padre Ettore Caselli, sta chiaramente giocando ‘con’ o ‘sui’ i concetti. Non è così che si dovrebbe fare scienza, ma è questo il modo migliore, come sembra, per ‘distorcere’, per ‘traviare’, e per ‘illudere’ (o illudersi). Il rimbalzo sulla famiglia investe direttamente la famiglia stessa. Il mistero del 1938 della scomparsa senza il cadavere è diventato a questo punto il grande e indicibile mistero del morto del 1939 ovvero del cadavere senza le sue spoglie e senza il certificato di morte.
Il certificato di morte mancava, necessariamente, anche per il Padre Caselli. Dunque, in base a che cosa egli poteva parlare di caro estinto? Le parole non possono mai sostituire i fatti, se occorre il ‘fatto’ concreto. Ma certe asserzioni è adesso necessario che siano provate con i fatti da chi appunto a parole le ha ripetute. E sempre la stessa domanda: perché soltanto ora? Forse perché l’uomo della fotografia rassomiglia troppo allo “scomparso” del 1938?
9* La morte si prova col cadavere oppure per equivalente: ad esempio col relativo certificato di morte. In casi come questi in cui, appunto, ci si riferisce a un decesso, di cui varie e diverse potrebbero esserne state le cause, non è ammesso alcun aggiramento del principio dell’onere della prova circa il fatto, allegando le semplici dichiarazioni di un terzo, un soggetto estraneo alla famiglia, che potrebbe aver frainteso alla radice la sottoposta questione, oppure essersi prestato a una certa operazione, di cui è chiara traccia nel fatto stesso che si sia accennato, contestualmente alla risposta, all’assenza di condizioni ostative, qui da intendere come riferite al piano religioso, che invero, se tutto quanto fosse stato chiaro e lineare, come appunto si vorrebbe far credere, allora sarebbe stato anche del tutto superfluo menzionare.
Ettore non si era suicidato. Il fatto implicito è questo. Che fosse poi morto in seguito, dopo un anno o poco più, ciò rimane non provato, sebbene asserito. A questo punto, chi sostiene la morte precoce, deve completare la prova: indicare almeno la tomba. Non c’è caro estinto senza il cadavere.
Il fatto del “nulla osta”, la circostanza dell’asserita “mancanza di ostacoli”, inquina già la necessaria limpidezza d’insieme, risultando – in primo luogo – che lo scomparso era rimasto in vita: lo si era a lungo ricercato, proprio per tale ragione. Il “mare” non ne aveva restituito il corpo. Non si poteva certo parlare di un suicidio, ferma restando la scomparsa materiale, dovuta al silenzio.
L’ostacolo – in termini di diritto canonico – del ‘suicidio’, veniva meno automaticamente. Del resto l’intestazione della fondazione poteva riguardare indifferentemente sia i vivi, che i defunti. Per cui il termine scomparso si prestava bene sia all’una che all’altra condizione, al vivo o al morto, e, pertanto il Padre Caselli, corrispondendo alla richiesta, poté impiegare le espressioni di compianto e caro estinto, che però avrebbero avuto ben altro peso e un’altra forza se egli avesse aggiunto: recentemente scomparso, come voi mi comunicate ecc. Invece sembra che il Padre Caselli restituisca alla famiglia le stesse espressioni, dolorose e preoccupate, da costoro probabilmente impiegate: “compianto” o “caro estinto” in quanto ormai non aveva più dato segni di vita, sebbene fosse scomparso da vivo (c’era infatti una traccia sicura, così disse la madre nell’appello a Mussolini del 27 luglio 1938 per l’intensificazione delle ricerche, ma anche questa traccia doveva essere caduta nei mesi successivi, per cui oramai si doveva prendere atto di una sparizione equivalente a una morte, sebbene mancasse il cadavere del “caro estinto”). Che cosa impediva alla famiglia di rendere funebre onoranza allo scomparso? I recenti autori pretendono di trasformare in un orrendo, terribile e indicibile segreto di famiglia, ignoto a parte della stessa, il semplice fatto che mancando la tomba, mancando il certificato di morte, e mancando la pietà e la memoria funebre, mancava anche il morto.
10* Il tentativo di forzare o falsare la fattispecie è trasparente nei recenti autori. Si trattava di un equivoco verbale, del resto chiarito allorché nel fornire poco tempo dopo la notizia a mezzo stampa della pia fondazione, sulla rivista Missioni che la pubblicava, si impiegava proprio il termine di scomparso.
Forse Majorana fu ucciso o rapito? Da un equivoco si può passare ad altro fraintendimento, trovando per quest’ultimo un possibile appiglio formale nella ‘velina’ (del S.i.d.) in data 6 agosto, in cui si ventilava la possibilità di un complotto contro gli interessi nazionali, come se Ettore non fosse scomparso da solo, senza alcun timore, revocando appena dodici ore dopo di viaggio notturno per nave le sue apparenti intenzioni del giorno prima. Tolto di mezzo dopo aver cercato invano un’accoglienza presso un paio di conventi gesuiti di Napoli, per fare degli “esercizi spirituali”? Il ridicolo nulla ha che vedere con presunti torbidi scenari politici, facilmente rimediabili (a meno che Majorana non fosse stato ricattato per ‘omosessualità’, all’epoca scandalosa).
Trascorso circa un anno dalla misteriosa scomparsa, la Polizia aveva ormai cessato le ricerche; mentre il Ministero dell’Educazione aveva emesso, e tardivamente, in data 6 dicembre 1938, il decreto di decadenza dalla cattedra, per abbandono o rinuncia. La famiglia, ormai, doveva perduto le speranze di ritrovarlo in vita, stante il lungo silenzio. L’affermazione gratuita che l’abbiano ritrovato una prima volta, ma sarebbe scappato di nuovo, e che comunque, alla fine, ne abbiamo in qualche modo ritrovato o recuperato il cadavere, procede a ritroso dall’enunciazione verbale del caro estinto, fatta però da un estraneo.
Occorre rendersi conto che non è possibile provare la metà di un fatto intero. Non esistono fatti reali a metà. Mezza prova non è una prova. Se mai è l’indizio di un fatto possibile, però ancora da provare.
Ettore lo si poteva credere morto, ma anche vivo. La fondazione riguardava ambedue i casi. Sia il vivente, che il defunto. Dunque non c’erano ostacoli. Non si poteva nemmeno parlare di suicidio; se mai, soltanto di un proposito rientrato, come da lettere da lui lasciate (si noti bene: “lettere” al plurale), recandosi da Napoli a Palermo, cioè un proposito iniziale, che poi loscomparso non attuò (come da comunicazione del Questore di Napoli al Rettore dell’Università, in data successiva al verbale di polizia del 18 aprile 1938, stilato davanti al Capo della Polizia Arturo Bocchini).
Padre Caselli non disponeva di un certificato di morte, che difatti è sempre mancato, per stessa ammissione degli autori del preteso “Punto Fermo”.
Da qui un primo rilievo, già dirimente. Il preteso “Punto Fermo”, fondato sulle dichiarazioni di un estraneo, senza neanche esibire la lettera di richiesta per la pia fondazione che ne costituiva il necessario antecedente, è sprovvisto di qualsiasi valore probatorio.
Quando si riportano certi documenti non si può fare a meno di esaminarne e valutare tutte le possibili conseguenze, oltre che i presupposti. Il dato in sé non può essere altro che una mera “opinione”, peraltro non calzante. E così finora è stato, per il primo autore (Guerra).
Si tratta comunque di un’iterazione in avanti, senza alcun reale fondamento. ‘Deceduto’ e ‘scomparso’ finiscono per tornare a essere sinonimi, non potendo chiarire nulla. Sia nel senso di ‘deceduto’, cioè ‘scomparso’, sparito nel nulla, senza più dare notizie, ma forse ancora vivo; che nel senso opposto di scomparso, giacché ormai deceduto, compianto o caro estinto, ma senza alcuna concreta memoria funebre. I fatti si equivalgono, si fondono e si confondono.
L’affermazione del compiantocaro estinto, che potrebbe essere un equivoco verbale, oppure rappresentare anche un complice frainteso, proveniva da un estraneo, che poi, e questo è certissimo, non poteva disporre di alcun elemento a sostegno di quanto stava dicendo, a meno che non fosse stato diretto testimone della salma (e complice di un occultamento).
L’immediatezza della riposta (il 22 settembre 1939), rispetto all’istanza, all’offerta di una ricca oblazione (il 21 settembre), sta solo a indicare che era stata la famiglia a parlare per prima di scomparso. Nella immediata risposta d’accettazione lo scomparso diverrà per Padre Caselli il caro estinto, il compianto Ettore, ma nella pubblicazione a stampa dell’avvenuta istituzione della pia borsa di studio sulla rivista dei gesuiti “Missioni”, il compianto Ettore Majorana tornerà (correttamente) ad essere il semplice scomparso.
Senza l’antecedente della lettera di richiesta, rispetto alla risposta conferita dal Padre Caselli, nulla si può dire o arguire di diverso. Ed è singolare che non sia stata prodotto il necessario antecedente (ma se è per questo, ci si è pure dimenticati del “passaporto” del caro estinto: dove sarebbe finito?).
11* I due recenti autori hanno giocato sull’equivoco o si sono illusi. In ogni caso hanno coinvolto una ‘trama’ implicita, che non solo è assurda già di per sé; ma che dà altresì luogo a insanabili contraddizioni interne, dipendenti fin dall’inizio da un non senso più che palmare. In contrasto con le espressioni testuali dello scomparso il 26 marzo: Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. QueI foglio portava su carta intestata un sole all’alba. “Domani” non era lunedì, ma era invece domenica: il giorno del sole. Quella “e” equivale a un poema (altro che ragazza ibseniana o il dramma di Erik Ibsen La Donna del Mare).
Se non ci si è resi conto delle contraddizioni che derivano da certe pretese ricostruzioni, considerate invece un “Punto fermo”, ciò è dipeso dalla serie di argomentazioni su cui ci si è basati anche implicitamente oppure in modo presupposto, ma sempre senza un reale fondamento o un riscontro concreto.
Finora è stato registrato un solo elemento, dato e non concesso che la lettera sia autentica, e cioè che, per il Padre Caselli, lo scomparso era da considerare come alla stregua di un defunto, sebbene la pia fondazione potesse, indifferentemente, portare il nome di un vivo, oppure di un morto, evidentemente purché non suicidatosi.
L’efficacia indiziaria della lettera del Padre Caselli si arresta su questa soglia. Non può procedere in avanti, come nulla può provare a ritroso. Dal caro estinto non si arriva a poter toccare il cadavere, e non è ugualmente possibile ricavare, a ritroso, le spoglie mancanti. I lettori acritici sono stati portati a spasso. Oppure gli stessi autori non si rendono conto dei propri fatali errori di prospettiva. Il principio della prova, rimasto a metà, cioè arrestatosi alla mera enunciazione verbale del caro estinto da parte di un estraneo, impone agli incauti fautori del preteso “Punto Fermo” di esibire adesso le spoglie databili del compianto Ettore, dello scomparso, del caro estinto, se vogliono esser creduti, se appunto ritengono di poter essere degni di fede. Altrimenti, dovremmo pensare a un maldestro tentativo d’inquinamento. Tanto più che la foto somiglia alquanto; ma fu Recami il primo a parlare dell’Argentina, e nessuno allora protestò. Recami, dopo il 2010, dichiarò che ogni sospetto di nazismo nei riguardi di Majorana era ingiusto sul piano umano come su quello scientifico, diversamente dall’opinione espressa dallo storico della scienza Federico Di Trocchio. Recami dovrebbe tuttavia spiegare ai lettori perché abbia soppresso qualche passo scomodo delle lettere da Lipsia. Appunto, perché?
Che non potesse trattarsi del caso del caro estinto del 1939 era già implicitamente sottinteso e condizionato in radice dalla stessa fattispecie di riferimento: l’Aff.moEttore, nella migliore delle ipotesi, avrebbe giocato “a nascondino”, terminando il denaro che aveva con sé, e facendosi rintracciare, almeno da morto (morto ‘dove’ e morto ‘come’). Seguitano comunque a mancare il certificato di morte, il cadavere, la tomba, il passaporto, e persino la memoria o la pietà funebre. Il vacuum caratterizza il preteso “Punto Fermo” dei recenti autori, la presunta prova di morte, dalla quale – per ora – si ricava l’esatto contrario. Mancando il cadavere, o altra prova equivalente, come il certificato di morte, come la tomba, come la memoria o la pietà funebre, manca anche il caro estinto, il compianto Ettore Majorana. Siamo sempre all’inizio della vicenda, siamo ancora fermi alla data di martedì 29 marzo 1938, quando fu sporta denuncia di scomparsa, senza alcun cadavere. E non vale tentare di eliminare i fatti ‘scomodi’, di rimettere tutto in discussione: le lettere, quante fossero, se due o tre; le buste mancanti; i telegrammi, l’ultima lettera lasciata in stanza; anche il Bologna, e poi il soldi, il portafoglio, e il passaporto? Magari anche la testimonianza di Strazzeri, perché no: lui un complice? E poi l’infermiera, che da sola è già un poema: che rimarrà senza nome, sebbene citata in un verbale di polizia. Siamo sempre a ‘Pinocchio’. O alle “bufale”, rispetto ad assurde trame di complotto oppure circa una certa fotografia che rappresenta comunque un documento oggettivo, sia in senso positivo, che, all’opposto, in senso negativo.
Fu la madre a pagare – una tantum – la rilevante somma di 20 mila lire per la pia fondazione, mentre la sorella Maria ricercherà direttamente in prima persona, negli anni ’80, le possibili tracce in Argentina dello scomparso del 1938, assecondando Recami. Sempre la madre lo nominerà per testamento, più di 25 anni dopo, “per quando sarà tornato”. Il caro estinto è una pura invenzione ‘strategica’, se inteso come “Punto Fermo”. Il mistero iniziale della scomparsa, distinto e separato, lontano di mesi, un anno ed oltre, rimane intatto. Il caro estinto non spiega la scomparsa, tendendo a escludere il pericolo dell’approdo silenzioso in Argentina. Ma, allora, per quale ragione lo scomparso sarebbe clamorosamente sparito, a danno dei suoi cari, almeno la prima volta? E come poteva ignorarlo Amaldi? Ed è per questa ragione, quale sia il livello, confuso e contraddittorio, dell’ultimo paragrafo del suo saggio biografico, che Amaldi, nel 1966, affermava candidamente: Non si è saputo più nulla. La famiglia aveva saputo che era morto nel 1939 oppure aveva capito o saputo altro? Questo nessuno l’ha raccontato, se non esistessero quelle lettere del 1938, in una scomparsa per lettera.
Amaldi conosceva l’esistenza della lettera del Padre Caselli, copia della quale è stata rintracciata da uno dei due recenti autori, ma all’insaputa dell’altro, negli archivi romani de La Sapienza. Se Amaldi preferì ignorarla, dovremmo domandarci come mai riuscì ad acquisirla. Ma la risposta è molto semplice: una copia della lettera di Caselli gli fu fornita dai fratelli dello scomparso, proprio perché non conteneva alcun segreto di famiglia, alcun punto fermo.
Se l’originale di questa lettera fosse rimasto tra le altre carte segrete, come avrebbe fatto l’altro autore, cioè Guerra, a prenderne visione? Insomma, dov’è finito l’originale cartaceo? Fu poi trasferito a Pisa, all’archivio della Domus Galilaeana? Infatti, non figura nell’elenco Liotta delle carte di Ettore, contestualmente al lavoro biografico di Amaldi.
Che sia stato proprio così, lo lascia intendere il primo dei due recenti autori, quando scrive testualmente: << Copia di questa lettera è custodita presso l’Archivio storico del Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma “La Sapienza” >> (in altre parole, il vecchio archivio Amaldi).
L’ammissione è inequivocabile. I segreti non sono relativi, bensì assoluti. L’aver fornito ad Amaldi copia di quella lettera, poteva invece servire ad altro scopo. Sul fatto che dello scomparso non si era saputo più nulla, si potrebbe dubitare solo per altre ragioni.
12* Riportiamo il testo di questa lettera del 22 settembre 1939, sebbene non ne sia stata fornita nemmeno la prova di autenticità: A graditissima d’ieri. Ammiriamo sinceramente il Vostro atto generoso per il compianto Ettore Majorana. Il Signore premi la Vostra grande fede ed il Vostro santo affetto per il caro estinto. Possiamo assicurarvi che non vi è nessuna difficoltà per l’intestazione della Borsa di Studio al nome di Ettore Majorana, considerandolo come il fondatore e rendendolo partecipe di tutti i vantaggi spirituali connessi alla stessa fondazione. Con distinti ossequi.
Se non si produce anche la lettera di richiesta che attivava la riposta del resto immediata, non si potranno mai ricostruire i termini esatti della fattispecie.
Di sicuro, il Padre Caselli non disponeva di un certificato di morte. La “grande fede” potrebbe riguardare lo scomparso, trasformato nel “caro estinto“, per un frainteso. L’equivoco potrebbe essere derivato dal desiderio della madre di Ettore di voler fare una religiosa offerta in favore del figlio che non aveva fatto sapere più nulla, ma che dopo la “scomparsa”, era rimasto in vita. Il 26 era vivo, e scriveva che sarebbe ritornato a Napoli, all’albergo Bologna, dove risiedeva, rinunziando però all’insegnamento. E’ stato ventilato che ci sarebbe stato un incontro segreto con Carrelli, ma è assolutamente falso. Registriamo, tuttavia, diversi tentativi, tutti mal riusciti, per eliminare invano questo o quell’altro elemento di disturbo, per la ‘riconversione’ dei dati e dei fatti di scomparsa: il che non depone circa le migliori intenzioni dei recenti autori.
A prescindere dalle oscure e insondabili ragioni che avrebbero determinato tale fitto e inspiegabile mistero da parte della famiglia, un mistero sempre gelosamente custodito, e, addirittura, da una parte limitata della stessa, ma col quale si pretenderebbe, oggi, moltiplicando gli enigmi, di risolvere un enigma prioritario, e cioè il mistero della vera scomparsa, ricorrendo malamente a un’illegittima serie di presunzioni a cascata (c.d. praesumptum de praesumpto),checom’è notohanno non alcun valoreai fini della prova logicaindiziaria e per la possibile ricostruzione dei fatti, sembra dunque chiaro che alla serie di contraddizioni, in cui immediatamente scade il preteso “Punto Fermo”, sia nella sua enunciazione, che per gli effetti contrari che implicitamente ed esplicitamente vi si connettono, o che per tale via si determinano, possa altresì connettersi il pressoché maldestro tentativo di inibire o di voler escludere altre ipotesi, come quella della “improvvisa ricomparsa”, e, comunque, di voler fare a meno di un’indagine ermeneutica sulle cause remote, o movente occulto, di una sparizione dolosa, probabilmente occorsa per assai più serie ragioni di scopo, che non un vano e assurdo gioco a nascondino.
Non si è stati in grado neanche di indicare dove il decesso sarebbe avvenuto, ‘come’ e ‘quando’; infine, per ‘quale ragione’: se per cause naturali o per un fatto accidentale, se per suicidio oppure se fu una morte provocata da terzi.
Morto all’estero, senza assistenza medica e/o conforto morale e religioso? E dove sarebbe stato sepolto, e da chi?
Ecco cosa succede quando si fanno affermazioni, forti e categoriche, ma falla leggera, in modo superficiale, senza aver ponderato gli aspetti coinvolti o sottintesi. Compreso il passaporto, perché lo “scomparso” ne era fornito, all’inizio della vicenda, insieme a una notevole somma di denaro (per di più, sapendo nuotare). Senza sottacere che prima della pubblicazione su una rivista scientifica d’importanza nazionale della notizia del caro estinto, la Procura della Repubblica di Roma nell’aprile del 2011 aveva aperto un’inchiesta penale conoscitiva, evidentemente rivolta ad accertare qualcosa di particolarmente rilevante e significativo. Perché non aver informato prima la Procura, contribuendo così a definire e chiudere il caso, poiché si tratterebbe di un punto fermo, ritenuto tale dagli autori in perfetta buona fede?
13* Le contraddizioni stridenti non finiscono qui. A riprova del fatto che ben al riparo sotto il comodo l’ombrello protettivo di una rubrica intitolata Opinioni (le ‘opinioni’ di chi si è fatto pubblicare?), la cosa non era poi così ‘scientifica’, sebbene scientifico fosse il chiaro Nome dell’autore, noto fisico teorico.
Il punto fermo era dunque una semplice opinione, calata dall’alto, non tanto per chiarire, bensì – forse – per confondere?
Dopo quell’articolo ‘scandaloso’, comparso su La Repubblica. Con l’intento di escludere dal circuito un’ipotesi così pericolosa, di farla sembrare abnorme e falsa, senza entrare specificatamente nel merito? Come se il buco intermedio da colmare, 18 mesi dalla scomparsa, fosse di per se stesso innocuo, dando invece luogo a un enigma finanche peggiore; come se, moltiplicando gli enigmi, si potesse così pervenire a chiarezza; come se la scomparsa potesse trovare la sua naturale spiegazione in un folle gioco a nascondino, e non potesse infine mancare altro che l’inevitabile conclusione che la scorta di denaro si era ormai esaurita, ma non si riesce però mai a comprendere se il caro estinto si sia spento in Italia o all’estero, e in ogni caso ‘come’ ed esattamente ‘dove’: se tra i lupi, oppure tra i cristiani; se fu assistito o meno, e chi avrebbe poi avvertito la famiglia del morente oppure del cadavere.
La rivista gesuita Missioni forniva la notizia pubblica dell’istituzione della pia borsa di studio a nome dello scomparso, quando ci troveremmo davanti a un immane segreto di famiglia, gelosamente custodito, addirittura all’interno di una sola parte della famiglia stessa: la madre, che lo nominò per testamento, e la sorella Maria che prese parte alle ricerche in Argentina?
Gli ineffabili autori del caro estinto si sono sottratti al confronto con i fatti, i fatti precedenti e poi quelli eventualmente successivi. Quale il grado di affidabilità ‘scientifica’ se del caro estinto non si fornisce alcuna prova?
Saremmo costretti a un argomento di fede, scartando del tutto la ragione?
Tutto ciò, affacciando altresì, uno dei due recenti autori, a differenza dell’altro, che la morte sarebbe avvenuta all’estero, ma in un luogo imprecisato, prima del 21 settembre 1939: questa, infatti, la data di ricezione da parte del Padre Caselli, che rispondeva a tambur battente alla lettera di richiesta di Salvatore. Un luogo sconosciuto, posto al di fuori della giurisdizione dello Statoitaliano, proprio perché manca il certificato di morte, ma senza poter esibire, almeno al momento, la lettera del fratello del compianto, e men che meno il passaporto dello scomparso, diventato improvvisamente il compianto o caro estinto.
Come sarebbe stato riconosciuto, e da chi, il cadavere del caro defunto? Così verificandosi, parrebbe il caso, il fatto materiale dell’occultamento o della soppressione di cadavere, se le spoglie del caro estinto o del compianto furono riportate in “Italia”, rectius in territorio sottoposto alla giurisdizione italiana (i conventi ne facevano già parte dal 1929). Se invece le spoglie del caro estinto rimasero fuori campo, allora il decesso avvenne, evidentemente, tra primitivi del XX secolo, gente estranea a ogni civiltà, poiché con i Patti Lateranensi del 1929 erano stati regolati i rapporti giuridici tra Stato e Chiesa, e non poteva dunque darsi il caso di una morte segreta in un convento e di una sepoltura senza certificato di morte.
Infine, chi avrebbe avvertito i parenti, e come sarebbero stati rintracciati? Il vuoto del caro estinto comporta molti altri vuoti a catena. E’ questa forse la prova provata della morte prematura, il preteso punto fermo senza cadavere? Il corpo mancava fin dall’inizio, con la scomparsa.
E senza fare mai i conti con le lettere del 1938, con le modalità di scomparsa. Ma innescando, nel caro estinto o compianto Ettore, i termini offuscati e incomprensibili di una trama assurda, del resto non provata, a meno che non si produca almeno il passaporto; bensì, sullo sfondo, una storia implicita, ma oscuria, contraddittoria e inconcepibile, data per presupposta. C’è il vuoto della ragione, insieme al vuoto dei fatti. Padre Ettore Caselli, non disponendo di un certificato di morte, appena il giorno dopo sapeva esattamente come, dove e perché il caro estinto si era spento? Se ne era poi informato a titolo proprio, ciò significava forse che egli ne aveva accompagnato il trapasso, con la sua assistenza morale e religiosa? Perché allora la famiglia poteva pensare che potesse esserci qualche ostacolo alla fondazione? La famiglia, ovviamente, non apprese, dalla lettera del Padre Caselli, la notizia della morte del caro compianto. La famiglia doveva conoscere il fatto. Ma se temeva degli ostacoli, in che consisteva la conoscenza diretta, da parte della famiglia, in ordine al caro estinto?
Come si guardi alla cosa, non c’è altra spiegazione che tenga: la famiglia desiderava la fondazione, e pagò la madre; ma temeva qualche difficoltà, sebbene la fondazione potesse essere ugualmente intestata a un vivo come a un morto. Il Padre Caselli non poteva avere alcuna contezza certa del trapasso. La richiesta pervenutagli era ambigua, sicché lo scomparso a questo punto è divenuto il caro estinto, il compianto, la buonanima. Insomma la madre volle fare una generosa offerta con l’istituzione di una borsa di studio a nome del figlio sparito nel nulla, di cui si poteva supporre la morte, atteso il tempo trascorso, giacché Ettore aveva studiato dai Gesuiti, a Roma, fin da bambino. Era come per un senso di colpa. Infatti, per le madri, i figli rimangono bambini. La borsa di studio rappresentava un gesto pio; e col pio desiderio di poter ritrovare lo scomparso, raccomandandosi a Dio.
Ma il motivo sarebbe anche potuto essere un altro. La famiglia poteva aver compreso il significato velato di quelle lettere, in cui si alternavano segnali e stati d’animo diversi. In tal caso, dunque, la famiglia stava facendo sapere allo scomparso di aver capito, diffondendo un messaggio a mezzo stampa del seguente significato: Come vedi, t’intestiamo una fondazione, quindi anche tu ricordati di noi, come noi ci siamo ricordati di te. Preghiamo per te, ti abbiamo nel nostro cuore.
L’Aff.mo Ettore, difatti, aveva chiesto il ricordo piuttosto che il perdono: Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi .
Dopo è un avverbio assai significativo, insieme a se potete. Il 26 mrzo aveva fatto sapere di essere ‘vivo’: domenica, il giorno del sole, le sue ultime parole, dopo di che il lungo silenzio (poi, dopo e dopo: con ancora altri rinvii nelle sua lettere precedenti e nel testo delle sue lezioni).
14* Nulla si potrà dire almeno fino a quando non sarà esibita la lettera di richiesta di Salvatore, che per ora manca. E se questa ‘ora’ manca, quale ne sarebbe la ragione? La famiglia non ne conservò una copia, una minuta interna, mentre l’originale, adesso, non sarebbe più rintracciabile? Molto comodo. Però sappiamo almeno da parte di uno degli autori che Amaldi aveva avuto copia della lettera del Caselli, una copia che poteva essergli stata fornita soltanto dalla famiglia, e lui che egli preferì ignorare.
Evidentemente non si trattava di cosa rilevante, altrimenti Amaldi non avrebbe concluso il suo scritto del 1966 con quelle parole: Nonsi è saputo più nulla, e avrebbe evitato certi passaggi stridenti e contraddittori nel paragrafo conclusivo, con evidenti errori di data e una palmare contraddizione in questo senso: il 26 marzo Carrelli avrebbe ricevuto un telegramma lampo da Palermo, che però era stato spedito il 25 marzo, insieme alla lettera espresso. Evidentemente Amaldi era a corto d’informazioni; non gli erano state mostrate dalla famiglia le lettere di scomparsa, mentre gli era stata partecipata la lettera del Padre Caselli, il punto fermo di tutti i misteri?
E Amaldi ripeterà: << Tutti i tentativi furono vani, nessuna traccia fu mai piùtrovata >>. Amaldi è al tempo stesso informato e disinformato. Eppure aveva avito contatti diretti con Antonio Carrelli, che del resto conosceva benissimo. Come al solito, non quadra mai nulla. Ma nel febbraio 2012, dopo il pezzo su La Repubblica nell’ottobre del 2010, è arrivato un altro Amaldi, un fisico di fama nazionale e internazionale, a spiegarci tutto quanto occorreva sapere: Padre Caselli avrebbe appreso dalla famiglia come andarono le cose, ma la famiglia temeva che potessero esserci degli ostacoli, e allora il Padre Caselli immediatamente li rassicurò. E pagò in ogni caso la madre, perché era lei a tenere i cordoni della borsa. Perciò, il solo punto fermo emergente consiste in questo: che Ettore Majorana avrebbe giocato a nascondino, avendo dapprima inscenato una fuga, forse dolosa, ma pur sempre insensata. Se, invece, gli iniziali propositi di suicidio fossero stati sinceri ed effettivi, allora sarebbe bastata, da Palermo, una semplice telefonata, per rimediare a tutto. Ma fu lo “scomparso” a far scoppiare lo scandalo. Temeva, forse, di dover ricomparire, col passaporto in scadenza nel 1939, e i soldi in tasca, pur avendo scritto che sarebbe ritornato?
15* Si è arrivati a sostenere l’assurdo, il puro ‘non senso’, senza disporre di alcuna prova, anzi incastrandosi da soli nelle spire ambigue dei necessari precedenti. Ci si è forse illusi di poter eludere, di poter evitare o fare a meno del vero thema decidendum della scomparsa, rigidamente posto e genialmente predeterminato e prestabilito da un genio come Majorana.
In questa trappola sono caduti tutti insieme anche i fautori del complotto, cioè i propugnatori del caso esterno, del fatto involontario del rapimento e/o omicidio, il cui pericolo – grave e imminente – doveva essere già stato percepito dal soggetto per dover poi fingere un suicidio pro tempore, salvo ritornare in seguito, ad acque calme, ma revocando appena la mattina dopo ogni allarme… A tali aberrazioni concettuali portano i cattivi argomenti, non tenendo conto (senza dover qui considerare tutto il resto, che è poi tanto) del fatto essenziale che la scomparsa clamorosa, a danno esclusivo dei familiari, era stata voluta e determinata in prima persona solo e soltanto dal soggetto attivo, evidentemente per ‘suo’ uno scopo. Ma quale?
Nel caso del caro estinto, lo scomparso avrebbe inconsultamente incrudelito due tre volte di seguito sui propri cari.
L’Aff.mo Ettore, così egli stesso si era firmato, il che fa sempre parte del themadecidendum, predeterminato e accuratamente ritagliato nel suo spazio logico esclusivo, li smentisce tutti seccamente, accanto alla lettera del 22 gennaio con la quale aveva chiesto la parte liquida dell’eredità paterna. Il 18 gennaio, 4 giorni prima, Ettore aveva fatto intendere a Giuseppe Occhialini, col quale si era imbattuto casualmente a Napoli, che se lui avesse tardato di qualche settimana, allora non lo avrebbe più incontrato. Le voci dei testimoni contano, e non se ne può trarre argomenti per un complotto.
Tuttavia il preteso ‘complotto’ potrebbe esserci stato dopo, per “togliere dalla circolazione” uno che stava ormai ‘scomparendo’ verso la Germania. Se non fosse – però – che certe voci, certamente serie e non trascurabili, lo dettero invece in Germania (pur non potendo farne il nome); che esistono strani documenti del febbraio del 1947 che si riferiscono a un misteriosissimo M.; e che infine, secondo altre voci, degne di fede, sarebbe fuggito in Germania (così Gilberto Bernardini, secondo Giorgio Dragoni), mentre per Bruno Pontecorvo, che nel 1950 da Roma era fuggito segretamente in Russia, Majorana sarebbe finito all’Ovest (anziché all’Est).
Le lettere del 1938 e i comportamenti di Majorana inchiodano da soli i ‘dirottatori’ della corretta ragione, smentendoli in radice. Può bastare, per tutti quanti, la lettera del 22 gennaio 1938. Ettore richiedeva la parte liquida della sua eredità, e introduceva, dal nulla, un’infermiera. Costei gli avrebbe fornito indirizzi per pensioni, dove mai andrà a stare.
Dal 23 febbraio in poi egli si stabilirà in una certa stanza dell’albergo Bologna, dove rimarrà fino al momento della scomparsa, e dove poi sarebbe dovuto ritornare, domenica mattina all’alba, giorno 27 marzo, o al più tardi lunedì28. Concetti chiave, e anche parole assai significative, che difatti si ripetono dal prima al dopo. Nella scomparsa c’è dunque un ordito remoto, un filo occulto che regge tutto l’insieme, e in un solo modo, costringente ed esclusivo.
Il thema decidendum del caso differente (da quello di una ragazza di Ibsen) fu perfettamente delimitato e circoscritto dal geniale Autore di quelle lettere, in una scomparsa per lettera, nessuna delle quali è falsa (Stefano Roncoroni ha preteso di mettere in dubbio la lettera Alla mia famiglia, lasciata lì in stanza, avendo da me saputo e credo anche compreso che tale brevissimo scritto, autografo e firmato da Majorana con un Aff.mo Ettore, è la chiave di volta dell’intero impianto; anche Guerra ha tentato di più volte con me di mettere in dubbio le ultime lettere, con scuse apparentemente prive di valore, dunque pretestuosamente).
Veramente mai nessuno – da allora in poi – ha mai saputo comprendere, in termini razionali, che la storia segreta di Ettore può essere raccontata e spiegata, fin nei dettagli, con le sue stesse parole?
Se ciò non è stato mai fatto, e non lo sappiamo, quanto ai suoi fratelli, ciò non vuol dire tout court che così non fosse mai avvenuto. La verità autentica di Majorana è ricostruibile, è dimostrabile, ed è costringente. Ed è poi questa la realtà fondamentale e decisiva, di cui è necessario tener conto.
16* La clamorosa scomparsa avvenne per lettera, a esclusivo danno dei suoi familiari. Per quale ragione? Il thema decidendum – perfettamente definito e ritagliato da Ettore – è esattamente questo. Il fatto colpiva gli affetti più cari. Soltanto i suoi cari, e nessun altro, nemmeno Carrelli, utilizzato ad hoc, erano stati messi in condizione di poter arrivare a capire, a cose fatte, le vere intenzioni. E poiché, a un certo momento, lo scomparso deve aver detto il falso,allora, quando iniziò a mentire? Infine, quale sarebbe la discriminante, certa tra il caso diciamo personale (quello di una ragazza ibseniana) e il caso differente, senza un solo granello di egoismo?
Si trattava forse del caso umano e miserevole di un uomo solo, isolato dalla realtà, triste, disperato, effettivamente in crisi esistenziale, oppure era quello il caso differente dello scienziato nucleare d’avanguardia, costretto nel 1938 a sparire volontariamente, celandone per causa di forza maggiore i motivi e la destinazione?
Il 9 marzo 1938, scrivendo alla madre e alla sorella Maria, Ettore scherzava allegramente e alludeva assai. E’ impossibile che Majorana non avesse accuratamente ritagliato gli estremi della questione, poiché egli spariva a danno dei suoi. Ed è esattamente così, come sarà mostrato e dimostrato (sia in questa sede, che un pezzo successivo, molto più esteso e diffuso).
Insomma, è vana pretesa far finta che non esista, e che non possa esistere, un delineato e molto ben circoscritto thema decidedum, per poi eluderlo comodamente, facendo perciò dello scomparso un caso di stupidità (così i fautori del complotto ai danni di Ettore) oppure un caso di follia (dal caso Asperger, all’assurdità del gioco a nascondino, per arrivare al caro estinto).
L’abbandono della razionalità, e il voler sempre fare a meno delle lettere, che sono ovviamente i documenti fondamentali, comporta una serie di aberrazioni e di contraddizioni evidenti, già in buona parte messe in luce.
Se si ragiona da lato esterno di Carrelli, non si arriverà a capo di nulla. Agli estranei fu impedito l’accesso alla verità (occultata) della sparizione. Non così, invece, dal lato interno, con riguardo ai familiari, riunite tutte quante insieme quelle lettere e una volta soppesati accuratamente tutti gli elementi logici della questione, consistente difatti in una silenziosa scomparsa ovvero nel mancato ritorno (indipendente fin dall’inizio da qualsiasi fattore esterno).
Le lettere del 1938 costituiscono formalmente la rappresentazione unilaterale di una messinscena dovuta a cause di forza maggiore (fuga segreta); ma contengono parimenti nel proprio seno la verità autentica circa il movente e la specificazione degli ulteriori dettagli rimasti a disposizione (come dalle ultime parole dello scomparso).
Nel loro insieme, le lettere del 1938 stabiliscono rigidamente lo spazio logico del thema decidendum, cui la famiglia doveva attenersi, recuperando da qui ogni frammento delle effettive intenzioni, dopo le vane ricerche e il perdurante silenzio, di chi non era ritornato; un fatto inspiegabile, se non alla condizione di una scomparsa volontaria, quindi di carattere doloso, con la messinscena di un’andata e ritorno Napoli-Palermo, per coprire scopi e destinazione, non altrimenti confessabili: non rivelabili nemmeno ai propri cari, che avrebbero potuto comprenderlo soltanto ‘dopo’, parecchio tempo dopo, sicuramente diversi mesi, almeno quanto durarono le ricerche senza esito.
Un’operazione ermeneutica e logico-critica, da compiersi solo e soltanto a tavolino, resa accessibile ai soli familiari, e ad essi soltanto, dopo aver riunito insieme quelle lettere. Avrebbero potuto e dovuto capire il significato di quel gesto, e conservare la loro fiducia nel “ricordo” (ricordatemi vivo).
Nulla poteva essere ‘detto’ prima, e a maggior ragione in seguito; ma poteva ugualmente essere ‘detto’: ed è questo il chiaro segno del genio.
Il caso era differente da quello di una ragazza ibseniana, senzaun solo granello di egoismo. Una scomparsa dolosa e premeditata, a ragione però di un lutto impossibile (a priori che ex post). Con la chiusura rivelatrice del circuito logico, dopo tre giorni, ovviamente senza il cadavere. Ma era anche una presa di distanza. La scomparsa era altresì una vera auto-cancellazione, un andarsene altrove, rimanendo estranei e ben discosti da ogni altro aspetto di ordine morale coinvolto, ma altrettanto inevitabile.
17* Le lettere del 1938 sono caratterizzate da tre livelli, distinti e separati, ma strettamente allacciati. Ciascuno di essi è capace di ‘dire’ da solo la verità della messinscena, ma ognuno serve all’altro per la specificazione di motivi e per gli ulteriori dettagli. Insieme i tre livelli di cui sopra, i primi due di ordine testuale diretto, compongono un flusso d’informazione a doppio senso di marcia, in avanti e all’indietro, un circuito logico che si richiude su se stesso, dove all’imput corrisponde l’output e viceversa, in modo costringente, senza alcuna ambiguità o incertezza residuale.
Primo livello
Si tratta di segnali, avvisi o avvertimenti. Ci sono tutti, eccome, lungo una serie congruente e confluente. Basta solo avere a disposizione il testo di quelle lettere. Negarlo è impossibile. Chi osasse sostenere il contrario violerebbe ogni criterio di evidenza e di certezza.
Secondo livello
E’ il sillogismo testuale della stessa stanza presso l’albergo Bologna, in via Depretis 72. Il teorema logico è costringente, già da solo rappresentando l’essenziale. L’assenza del cadavere si è trasformata, a quelle condizioni prestabilite, nella prova costringente che il lutto era impossibile e che perciò la scomparsa era dolosa e programmata. Ciò spiega l’astuzia del polisenso. Scomparsa per Carrelli, lutto impossibile per la famiglia. Carrelli potrà e dovrà credere al caso personale, a uno smarrimento esistenziale, ma la famiglia potrà comprendere la verità. Da qui le ‘finzioni’ dei citati autori, nel loro vano tentativo di togliere acqua al catino, ma con le proverbiali conseguenze di aver buttato via tutto: l’acqua sporca e il bambino, senza aver dimostrato nulla.
Non spiego analiticamente i primi due accennati punti, che essendo testuali, possono esser individuati leggendo attentamente e in modo corretto le lettere del 1938, ritraendone conclusioni certe. Nel mio sito web saranno illustrati presenti tutti i singoli passaggi, del resto alla portata di chi chiunque sappia dedurre senza commettere errori logici. Mancherebbero però gli ulteriori dettagli (ultime parole dello scomparso), ‘ rimasti ’ a disposizione.
Terzo livello.
Ci sono pure i dettagli ulteriori, sempre rimasti a disposizione(vi si accede tramite due parole chiave, sempre funzionanti, fornite dallo scomparso: sole e Hitler).
18* Qui mi limiterò a due – tre momenti, tuttavia chiarissimi e già esaurienti. Tutto il resto figurerà a suo tempo.
* Non allarmarti Alt Segue lettera.
E’ impossibile mettere in dubbio il testo, corretto ed esatto, del telegramma del 26 marzo per Antonio Carrelli, che fu fedelmente riportato, tre giorni dopo, nella segnalazione uffciale di sparizione fatta da Carrelli al Rettore Salvi dell’Università di Napoli con lettera riservatissima. Il testo fu anche trascritto dai fratelli dello scomparso, e poi il telegramma fu poi consegnato da Carrelli alla famiglia, insieme alle altre due lettere da lui ricevute sabato 26 marzo e domenica 27, un’ultima lettera per espresso, conoscendo alla perfezione i tempi postali e servendosi di una nave che funzionava anche da traghetto postale (Ettore Majorana è sempre stato ironico, pungente e caustico: lui sì che poteva permetterselo).
Quale “lettera“?
Le lettere per Carrelli erano due. La prima, da Napoli, spedita il 25 marzo; la seconda, invece, era un espresso, inviato da Palermo sabato 26 marzo, su un foglio di carta intestata del Grand Hotel Sole – Palermo, di Vincenzo Sole, recante il logo o insegna di un sole all’alba (e in bella evidenza anche due numeri di telefono). Anche la dicitura dell’albergo (a stretto rigore nel 1938 così si sarebbe dovuto chiamare) contiene un messaggio nascosto. Ma fermiamoci qui, ad alcuni aspetti principalissimi.
Chi avrà spiegato il sole da Palermo, e la melodrammatica espressione del 26 marzo: Il mare mi ha rifiutato e… (la e rappresenta un perfetto esempio di non sequitur: e, perciò, ritornerò subito, via mare…, domani, all’albergo Bologna, con arrivo all’alba domenica 27, il giorno del sole, precedendo il recapito materiale dell’espresso a Carrelli), avrà risolto il caso. Per farlo, c’era una sola maniera, ovviamente predeterminata dallo scomparso. Non c’è scampo per le verità presunte, per asserzioni non provate, e, comunque, assurde, che svaniscono come neve al sole davanti alla verità autentica del vero Autore di se stesso. Parole e fatti, insieme. Le stesse parole e gli stessi fatti, tutto quanto finalmente spiegato. Ettore, che era un genio di natura, sapeva bene le ragioni, certamente necessarie della sua ambiguità, e delle sue apparenti, ma volute, e al tempo stesso indicative contraddizioni. Il vero senso delle lettere del 1938 è questo. Ogni tessera torna adesso al suo vero posto in un mosaico, che Majorana aveva appositamente scompaginato.
E da quando egli avrebbe iniziato a mentire, giacché almeno una volta ha sicuramente mentito? Ovviamente, iniziò a mentire dal 19 marzo. Lunedì – cioè il 21 marzo: data dell’ equinozio di primavera – così aveva fatto sapere a Salvatore, sarò impegnato all’anagrafe e altrove / perciò vi mandoun telegramma / sottolineando la sua residenza provvisoriamente all’albergo Bologna, dal 23 febbraio fino al 25 marzo, in via Depretis 72, proprio in quella stanza.
A questo punto basta rileggere la lettera del 23 febbraio, in cui annunziava di aver scelto di stare all’albergo Bologna. Dalla nuova stanza che gli avrebbero dato il giorno stesso, avrebbe visto fra tre mesi il passaggio corteo di Hitler, in visita a Napoli il 5 maggio 1938, per una grande parata navale nelle acque del golfo; ma il corteo non passò mai per via Depretis. Hitler scesa dal treno alla stazione di Chiaia, e il corteo sfilò sul lungomare, per portarsi sulla Piazza del Plebiscito. Via Depretis non c’entrava nulla, ma il richiamo al nome del Capo del governo di cui il nonno di Ettore era stato per due volte ministro, e il richiamo di Bologna dove insegnava fisica sperimentale lo zio Quirino, erano già delle chiare indicazioni orientative.
Ci saranno altri tentativi, sempre invano, per eliminare i fatti scomodi, per cercare di fare piazza pulita di tutto: dunque, persino col dubbio che Ettore non sia mai andato a insegnare a Napoli, come invece lui per primo aveva voluto. In realtà, a stretto rigore, la sua cattedra doveva a essere per Palermo.
C’è da fidarsi delle sole parole di Majorana: tutto il resto è impossibile o è falso. Falsa la lettera d’addio lasciata in quella stessa stanza? Si arrivati anche a questo, e, ben inteso, chissà come la pensa Recami: sarebbe forse lui il falsario? Tutti zitti, ma i recenti autori direbbero che non è vero che avesse il passaporto e che avesse i soldi con sé, e tanti. Tutto falso. False anche le lettere per Carrelli (mancano le buste: qualcuno sa troppo, e noialtri nulla?). Falso il telegramma per Carrelli (falso il Carrelli, dunque). E invece è tutto vero.
19* Da Palermo è arrivato un sole. Non c’è dubbio. Ed è l’ultima lettera dello scomparso. Prendiamo adesso la parola “sole” (il vuoto intermedio, da un passaggio all’altro, come si può ben dimostrare, è stato altrimenti colmato in forma autentica), e applichiamola (spero – preso sono due anagrammi), come chiave d’anagramma (anche il genere in questione fu giustificato passo passo da Majorana), al testo del telegramma per Carrelli, che così si trasforma:
Margine altra lettera Alt Un sole
Era questo il modo esatto per farsi riconoscere, ma è non il solo esempio.
Ad esempio, aveva ‘detto’: Telegrafo un anagramma e levare l’alt = all’anagrafe e altrove+un telegramma (punti assai sensibili in termini logico-critici, facenti parte essenziale del testo della lettera a Salvatore del 19 marzo 1938, prima della scomparsa, che comprende una tetralogia e che non è distaccata dal seguito come invece si è finora creduto senza impiegare coerentemente gli strumenti della ragion critica). L’esempio può bastare, anche se si tratta di una lunga catena in cui ogni singolo anello si collega e si salda all’altro secondo un dato sviluppo.
I dettagli ulteriori, a disposizione, sono implicati dai due livelli testuali precedenti. C’è un doppio percorso, in andata e ritorno, costringente ed esaustivo, che dà luogo a un circuito logico nel flusso dell’informazione.
Cosicché, a ulteriore esempio, la prima frase dell’ultima lettera da Palermo per Carrelli: Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera, applicando la stessa parola chiave sole diventa un’altra rivelazione: Esterni i miei veri anagrammi per lettera il sole che sta a lato.
‘Esternare’ significa ‘rivelare’,‘manifestare ad altri’. Abbiamo qui la seconda, immediata prova di autenticità per i dettagli: < i miei veri anagrammi >.
20* La stringa in questione, di 52 caratteri, è enorme (le stringhe in latino dei due famosi anagrammi di Galileo per Keplero si limitavano a 37 caratteri). Ciò non toglie che per gradi, tramite la parola “sole”, si possa arrivare a risolverla, con garanzia di verità autentica: < miei veri anagrammi >, una volta indicato e giustificato il genere per traslitterazione, ovviamente per tentativi, ma pur sempre guidati e sorretti dalla ragione.
Ciascun passaggio, grado dopo grado, è perfettamente individuabile lungo il percorso razionalmente corretto e peraltro già indicato e stabilito dai due livelli testuali precedenti. Le parole chiave sono due: sole e Hitler (quest’ultima appartiene al teorema logico della stessa stanza dell’albergo Bologna, dal 23 febbraio in poi).
Che la stanza fosse rimasta sempre la stessa, è questione che riguardava i familiari: la stanza dell’albergo Bologna dava su via Depretis, n. 72 (che è il rovescino di 27, domenica 27 marzo). Adesso si capisce anche perché il giorno 26, sabato, scriveva domani e perché invece nel telegramma per il Bologna diceva invece lunedì. [Per il folto elenco degli errori banali e delle sviste dei soliti distratti, che poi pretendono verità assurde, occorrerebbe un diffuso lavoro a parte].
Ed è questa la vera ragione, per cui il 25 marzo registriamo un poi orale (per la sua bella allieva Gilda Senatore, simbolo di vita), con due dopo messi per iscritto, e perché nella lettera fondamentale del 23 febbraio, andando ben oltre il mese di marzo, avesse detto fra tre mesi (nelle lettere del 1938 i rinvii temporali sono diversi, contenuti anche nel testo delle lezioni consegnato a mano alla Senatore la mattina del 25 marzo che non era giorno di lezione).
Ogni breve frase incisiva, ogni espressione particolarmente interessante sul piano della logico-critico, appartiene alla medesima intelaiatura nascosta.
A ciascuna di queste espressioni concettose corrisponde una rivelazione congruente e significativa una volta individuato il ricorso alla traslitterazione (che, come è noto, dà luogo a numeri fattoriali enormi: ma ciò non significa tout court che sia assurdo l’avervi fatto ricorso, ben inteso per espressioni contenute, qualora ne siano già state fornite le chiavi).
Per tentativi, dunque provando e riprovando, ma quando si ha la certezza dell’anagramma e se ne possieda l’essenza del relativo contenuto nascosto, i dettagliocculti possono essere recuperati con certezza pressoché assoluta.
Quanto poteva valere il segreto della bomba atomica, in data 2 marzo 1938!, per l’amico Giovannino Gentile, un brillante fisico teorico? Equivaleva a una stringa enorme di circa 100 caratteri: << Sono contento degli studenti, alcuni dei quali sembrano prendere la fisica sul serio >>. Nessuno potrà mai credere che invece è stato detto: < Sono qui in essere gli studi sulla fisica del nucleo di uranio, tanto comprende il bario restante >? Carrelli vedeva e così poi riferì, che Ettore, a Napoli, era tutto concentrato in certi suoi studi di cui però non intendeva parlare. Ancora una volta rimangono incastrate certe parole: “studi” e “fisica”. Agli “studenti”, di cui era contento, egli non fece mancare il più bel testo di fisica teorica che fosse stato finora prodotto ad uso universitario. Appena tre mesi. E appena tre giorni.
21* Così che quel melodrammatico e iperbolico Il mare mi ha rifiutato e… (col relativo ‘non sequitur’ del presunto ritorno a Napoli, dopo la presunta andata a Palermo – sic: sempre via mare – con l’indicazione dell’albergo Bologna come luogo d’appuntamento mancato: e proprio quella stessa “stanza“), adesso rivela finalmente il movente occulto della fuga segreta dell’Autore di quelle strane lettere: < Ma mai rifiuto a Hitler >. Dovendosi anche sottolineare che rimangono in uso le stesse parole determinanti: come “lettera”, “rifiutare” ecc. Ma è l’intera ragnatela delle rivelazioni nascoste a comporre un quadro d’insieme, assolutamente configurato e significativo, in tutte le sue componenti.
Non è questa la sede per fornire tutti quanti i “dettagli“, per mettere in evidenza la completa inter-relazione fra le singole componenti di un puzzle molto ricco di cui, prima di tutto, si è costretti ad accettarne i fondamenti razionali a differenza delle parole al vento, delle false prove, e delle ipotesi insensate che fino a oggi sono state avanzate.
Perché mai dover rinunciare alla totale auto evidenza di una scoperta logica necessaria, imposta a tavolino, com’era ovvio dover fare, per lo scorrere invano del tempo, in nome del caro estinto, del presunto “Punto Fermo” che non solo costituisce o dà luogo a un puro ‘non senso’ di carattere sostanziale, ma che anche dal punto di vista formale della prova impone inevitabilmente il necessario riscontro diretto, che invece è stato fatto mancare?
Il caro estinto è un equivoco verbale, un frainteso, però contrabbandato per verità. Il lettore che non fosse d’accordo dovrebbe andare lui a cercare le spoglie datate del morto in un luogo che i cauti-incauti autori recenti non solo non rivelano ma dichiarano pure di non conoscere. E’ veramente il colmo. Non solo si tratta di una palese violazione dei criteri logico-scientifici per la ricerca, ma anche d’implicazioni complessive di ogni ordine e grado, che dal punto di vista sostanziale vengono azzerate. Ci si riferisce al ‘dopo’, e non alla scomparsa in sé, rendendola assurda e incomprensibile. Snaturandone comunque il quadro complessivo e trascurando, alla stregua del non essere (cioè tamquam non essent), le lettere dello scomparso che al contrario costituiscono il documento essenziale e imprescindibile di un fatto clamoroso, voluto come tale, però evitabilissimo, il cui thema decidendum è lontano anni luce da ciò che si è cercato di argomentare (se non piuttosto di nascondere), a 75 anni dalla scomparsa. Agli ingenui lettori ‘distratti’, ma anche agli appartenenti al mondo della fisica e delle scienze, si è richiesto un puro atto di fede contro ragione, mentre la verità in fieri fino al 26 marzo derivava esclusivamente dal thema decidendum ritagliato e predefinito da un genio all’interno del suo stesso esclusivo spazio logico.
22* Se ci si rivolge al ‘dopo‘, in modo però assurdo, ma indubbiamente strumentale, il ‘prima’ appartiene comunque alla “verità autentica” dello “scomparso”. Come stavano le cose? Poi, dopo e dopo. E diversi altri rinvii. Fra tre mesi, spero che cirivedremo presto ecc. ecc.
Oggi la gente va molto di fretta, la prassi o routine operativa, l’operazionismo deteriore, esemplificato dagli algoritmi pur utilissimi, hanno pressoché eliminato o messo da parte il pensiero “critico”, mentre capacità di riflessione e attenzione alle realtà profonde, hanno per così dire cambiato natura e obiettivi esistenziali. La formula “concetti = operazioni”, inevitabile nella scienza moderna, che si fonda sulle relazioni, ma senza poter indagare le cause ultime, non vale tuttavia in ambiti più sottili, dove è implicato un altro tipo di realtà. Il “caso differente“- ricordiamolo ancora una vota: “differente” da quello di una ragazza ibseniana, cioè degno di un vir, di un uomo solido, con i piedi ben piantati a terra (qui l’espressione è di Giovannino Gentile), va risolto con le stesse parole impiegate dallo “scomparso”, cui è stato fatto il grave torto del puro ‘non senso’ di una morte precoce, tutta ancora da provare, ma già totalmente al di fuori della realtà, e, del resto, ugualmente contra rationem, violando la razionalità delle sue stesse lettere.
NON ERA UN CASO PERSONALE, MA UN CASO DI FORZA MAGGIORE (vis cui resisti non potest), SENZA UN SOLO GRANELLO DI EGOISMO = Oggi un molo si orna del sole (e non ‘di’ sole, ma “del” sole).
Oggi, venerdì 25 marzo, ore 18 circa, quando il molo ‘passeggeri’ del porto di Napoli si ornava dei raggi del sole ormai al tramonto sul mar Tirreno.
Sciascia, che a dir suo non s’intendeva di numeri, bensì di parole, avrebbe forse intuito, introducendo in una nota del suo saggio sulla scomparsa di Majorana, Stendhal e la criptografia.
Ilse potete, notato da Sciascia – << doporicordatemi, se potete, nei vostri cuori, e poi perdonatemi >> – stava per poste e te-legrafi’. Il telefono non fu mai utilizzato, nemmeno quando veramente occorreva. Chi non ragiona, o rifiuta di farlo, non sa dove va a parare (non ha riflettuto abbastanza). Scadendo o scendendo negli equivoci, e contraddicendosi, perché si è preteso di fare a meno dei fatti di “scomparsa” come delle stesse lettere, oltre che del cadavere effettivoe dei veri significati. Mentre, rimanendo aderenti al thema decidendum imperativamente imposto e ritagliato accuratamente dal compianto in modo circoscritto ed esaustivo, sicché il percorso logico critico fosse una strada obbligatola, si perviene a risultato, ciò non ostante i recenti autori hanno creduto di dare la soluzione (oppure hanno fatto finta).
Sono stati eliminati persino gli altri familiari di sesso femminile dell’Aff.moEttore, ai quali però nella riposta di nulla osta si rivolgeva collettivamente il Caselli, per farli poi rientrare di rimbalzo, ma senza produrre il necessario antecedente, cioè la lettera di richiesta di Salvatore al Padre Caselli, nel lutto invisibile ma certissimo per il caro estinto. Quale immane segreto? Non è moltiplicando gli enigmi che si può far credere di aver risolto il caso.
A tali ripieghi di certezza indubitabile, tardiva di vari decenni, si è fatto ricorso nell’ottica di poter eliminare il pericolo potenziale forse o probabilmente rappresentato da quella fotografia a bordo della nave “Giovanna C.” diretta a Buenos Aires nel luglio del 1950? Anche la pista di Recami sarebbe un abbaglio? Un altro frainteso quanto Mario Rasetti sentì dire da alcuni fisici d’ importanza mondiale, nel 1974, a Princeton, riferendolo a Tullio Regge (vedi autobiografia 2012), dopo la pubblicazione su La Repubblica della fotografia o “ricomparsa di Ettore Majorana” nel 1950?
Mario Rasetti, ricordiamolo, aveva sentito dire da fisici come Rabi, Wigner e Weisskopf che lo ‘scomparso’ si era spento da poco. E Bruno Pontecorvo, a Firenze, il 17 marzo 1990, alla domanda che su che “fine” secondo lui avesse fatto Majorana, così rispose: E’ finitoall’Ovest (lui, Pontecorvo, che nel 1950 finì segretamente all’Est, ricevendo nel 1953 il Premio Stalin).
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La lettera di richiesta del fratello maggiore Salvatore per la pia borsa studio intestata a Ettore, ricevuta in data 21 settembre 1939 da Padre Ettore Caselli, che rispondeva in data 22, non sarebbe stata conservata, nemmeno in velina, e pertanto sarebbe questa la precisa ragione per cui finora non sarebbe stato possibile esibirla?
Perché Amaldi che nel 1965 disponeva del resto, cioè la riposta del padre Caselli, scartò questo materiale, affermando categoricamente che “nulla più si era saputo”? Infine: che garanzie si potrebbero avere sull’autenticità di questa lettera del Caselli alla famiglia? Anche questo aspetto dovrebbe esser vagliato, insieme al “passaporto” mancante (scordato dai soliti distratti?), e, al solito, col cadavere che non si trova mai.
Senza alcuna memoria o pietà funebre. Senza alcuna chiarezza. E poi senza alcuna ragione, giacché è assurdo il presupposto di partenza: che, nella migliore delle ipotesi, l’Aff.mo Ettore intendesse sul serio “giocare a nascondino”.
Alla famiglia una speranza lui gliela aveva già data. Era ‘vivo’. Sebbene Bruno Russo – e prima di lui Emilio Segré – abbiano voluto suggerire o far intendere che Ettore si fosse buttato a mare durante il viaggio di ritorno in nave da Palrmo a Napoli. Il primo non avendo compreso che c’era, purtroppo, quell’eloquentissima e…(sul seguito della storia, che non è questo: e c’è difatti chi non l’ha ancora capito, diremo ancora di seguito sul web); e il secondo forse intendendo che si sarebbe dovuto buttare in acqua, con tutto il cappello marrone, per evitare la scoperta di una “scomparsa a bordo”, istituto giuridico già regolato dalle norme sulla navigazione vigenti prima del nuovo codice.
Chi abbia compreso che a Roma lo scomparso da Napoli non aveva mai avuto un’in-fermi-era, nemmeno quando stava male sul serio per via della gastrite, ed era una forte dispepsia di cui si era ammalato a Lipsia, capirà finalmente cosa significasse la strana infermiera di Napoli, mancando nella prima lettera scritta da Napoli, unica della serie delle lettere del 1938, l’anno XVI dell’era.
Nessun oscuro complotto a danno di Majorana, di cui avvertendo il pericolo, sarebbe derivata quella sua scelta di voler scomparire dalla circolazione: una decisione cheera ormaiinevitabile, ma affatto improvvisa. Senza un solo granello di egoismo. Bensì avvertimenti, o ‘avvisi’, inseriti infra-parole anche in questa stessa definizione autentica del proprio caso, un “caso differente” – appunto – da quello di “una ragazza ibseniana”: “abile avviso” di chi, infatti, sparendo in quella maniera per lettera, ovviamente rimaneva ” in vita”.
Farò seguire altri interventi sul “caso Majorana” anche perché sono stato io ad accorgermi, diversi anni, fa della netta rassomiglianza con lo scomparso del 1938, di quel terzo passeggero con gli occhiali scuri, ripreso a bordo della nave “Giovanna C.” che salpata dal porto di Genova, era diretta a Buenos Aires nel mese di luglio del 1950.
(avv. Arcangelo Papi, gennaio 2014)