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IL TEMA ASTRALE DI AUGUSTO, IL SIDUS IULIUM
E L’OROCOPO DELL’INDOVINO HOROS
(Ovvero Properzio segreto nella misteriosa elegia proemiale del IV libro)
Abstract – Augusto confidava così tanto nel proprio destino che rese pubblico il suo oroscopo e fece battere una moneta d’argento con l’effigie del Capricorno, segno sotto cui era nato (Svetonio, Vita Augusti 94, 12). Il denarius argenteo citato da Svetonio – qui riprodotto – risale al 19 a.C., quando la datazione interna del quarto e ultimo libro delle Elegie di Properzio non va oltre l’anno 15, dopo di che il silenzio, rispetto al quale è arbitrario parlare di morte precoce e averne celebrato il Bimillenario nel 1985. Il Bimillenario della morte di Augusto è invece legato alla data del 19 agosto 2014.
La grandiosa e misteriosa composizione che inaugurava il IV libro delle Elegie fu sicuramente scritta per ultima. Qui compare – accanto ad altri enigmi – uno strano oroscopo, formulato dall’indovino Horos, di cui non si era stati in grado di venire a capo.
Creazione poetica profondamente enigmatica, bensì unitaria e inscindibile, perché di carattere autobiografico, in stretto raccordo col finale misterioso del primo libro, siamo perciò costretti a chiamarla Propertius-Horos , con l’indovino Horos che funge da “alter ego” di Propertius.
Ogni altra interpretazione di questa difficilissima elegia scadrebbe in contraddizioni insanabili.
Con riguardo alla stretta necessità dell’unità autobiografica, inscindibile ambiguamente in due tronconi separati e distinti, questa elegia investe anche l’intero significato dell’opera unica del grande poeta elegiaco, la cui integrazione nel regime di Augusto, dopo la sconfitta di Marco Antonio e Cleopatra, non solo era stata difficile, secondo l’opinione di Ettore Paratore (1936), ma fu letteralmente impossibile, coerentemente con la scoperta dell’esistenza di un Properzio segreto.
Un’attenta analisi logico-critica delle due elegie epigrammatiche di ‘sigillo’ del Monobiblos ha fatto emergere, con certezza assoluta, le identità nascoste di Gallus e della soror a lui speculare (I, 21 e 22: vedi gli altri pezzi presenti sul web).
Gallus era il padre del poeta, spietatamente sacrificato da Caio Ottaviano (divenuto “Augusto” nel gennaio del 27) sulle famigerate arae Perusinae alle idi di marzo dell’anno 40 a.C., mentre la sorella di Gallo era la madre di Tullo Volcacio, il giovane coetaneo dedicatario del primo canzoniere amoroso per “Cinzia”.
Lo sdoppiamento tra Propertius da una parte e Horos dall’altra è un’altra dichiarazione di doppiezza, finora non compresa, e non ci possono essere dubbi sullo stretto raccordo di questa composizione col sigillo d’Autore o sfragìs del primo libro, che senza i successivi libri sarebbe rimasto anonimo.
Il dato autobiografico è quel il legame che impone di considerare come insieme unitario tali elegie (tre per l’esattezza), con la quasi certezza che siano state l’inizio e la fine del ‘discorso poetico’ di Properzio, per un’opera unitaria e ingannevole – unum opus e fallax opus – la cui ispirazione, sempre fedele a se stessa, non coincide affatto con Cinzia (donna insistente, celebrata dal poeta di Assisi, che si era trasferito a Roma da bambino), ma la trascende.
La grandiosa elegia che inaugura il quarto e ultimo libro, composto di 11 elegie, ultima della quali è quella di Cornelia (la cui fedeltà coniugale stride con le infedeltà di Cinzia), presentava, nel discorso affidato all’indovino Horos, anche un indecifrabile oroscopo, che si conclude con un verso finale, di ammonimento o di maledizione, di cui mai si era compreso il significato: Octipedis Cancri terga sinistra time!
Le tante interpretazioni di Propertius-Horos hanno il comune difetto di ignorare Properzio segreto, che al contrario è la chiave di comprensione dell’opera unica (unum opus nel senso di opera unitaria). Le fallaci apparenze – la veste Coa di Cinzia – erano la ragione dell’inganno.
Properzio, ottimo conoscitore del cielo stellato, argomento poco preso in considerazione dalla critica, accennava anche al sidus Iulium (IV, 6), la famosa cometa color rosso sangue, apparsa nell’estate del 44, anno dell’assassinio di Giulio Cesare, alle idi di marzo, nella Curia di Roma.
Quante volte Properzio si riferirà ad Augusto sempre lo farà in maniera ambigua, rigonfia di retorica, palesando un forte grado d’insincerità, in linea con la sua ispirazione, caratterizzata dal categorico rifiuto dell’epica.
Siamo in grado di provare che Properzio segreto si estende altresì all’elegia proemiale del quarto libro. S’impone la rivoluzione radicale del paradigma. L’oroscopo di Horos fa parte di Properzio segreto.
Il riferimento ad Augusto in diverse composizioni, richiede un’indagine sul “catasterismo“o tema astrale del Principe, fondatore dell’Impero romano, con la rivisitazione del medesimo tema alla luce di autori contemporanei, quali Virgilio e Orazio.
L’architettura segreta delle Elegie non dipende da Cinzia, ma dal morto di Perugia – Gallus –, col cui mistero si chiudeva il Monobiblos.
In questo senso l’opera per Cynthia, cioè la Luna, donna mai esistita, non solo è unitaria, ma è anche fallace, cioè destinata all’inganno, pur restando un capolavoro elegiaco formale. Vi alludevano, in filigrana, il cangiante dio etrusco Vertumnus (IV, 2) e il verace indovino Horos (IV,1). Fino alla glorificazione celeste di Gallus, sacrificato sulle arae Perusinae, le cui ossa (non quelle di Cornelia) saranno portate tra gli avi gloriosi.
Finalmente si può rendere giustizia alla potenza poetica di Properzio, la cui tragica modernità e attualità reclamano una grandezza assoluta nella forza più autentica del dolore, pressoché estranea ai maggiori contemporanei, costretti invece a piegarsi ai severi dettami di Augusto, nonostante l’autonomia di Mecenate, e la grandezza di Virgilio, il cui dramma consistette, in punto di morte, nel rifiuto dell’Eneide, opera incompiuta, in cui non c’era una sola parola per Mecenate ancora vivente (Virgilio si spegneva misteriosamente nel 19).
La grandezza poetica di Properzio spicca come una gemma preziosa o un diamante inusitato, intrisa di dolore e lacrime, ma anche sorretta dalla speranza e dalla sublime confidenza col Fato.
All’indovino Horos, Propertius assegnò un compito di giustizia. Amore è un Dio di Pace, mentre Caesar deus – rispetto a deus Amor (non “Roma”) – finisce per rassomigliare all’ossimoro del nano Magno, con Cynthia – ambigua sempre e infedele – come simbolo dell’Umbria avvilita da Ottaviano nel bellum Perusinum, e però eternamente viva sull’acquoso Esquilino, qui dettando nuovi patti d’amore.
Augusto, vissuto fino 76 anni, il 19 agosto del 14 d.C. (767 ab urbe condita) spirava tra le braccia di Livia, che gli aveva dato una sola figlia, Giulia maggiore. La divinizzazione astrale di Augusto era avvenuta in vita, nell’esercizio del potere, celebrata anche nella monetazione.
Beato colui le cui ossa saranno portate in cielo. Questo è il valore di una vita degna.
Ossa è la parola chiave delle Elegie, senza la quale non vi sarebbe stata vera grandezza. Non sono le ossa di Cornelia, ma le ossa di Gallus Propertius.
Le Elegie sono un capolavoro di finzione – fallax opus – imposta dalla necessità: in alternativa, a Propertius sarebbe rimasto solo e soltanto il silenzio.
L’opera contiene cifre nascoste. Il compito di Horos era di fissarne meglio la chiave di lettura per un inganno. L’oroscopo è difatti lo strumento di una maledizione per Augusto, assassino di Gallo, padre del poeta rimasto precocemente orfano.
I passi in cui Properzio si riferisce alla gloria di Roma e ai destini di Augusto sono falsificabili.
Per esempio, se prendiamo i versi da 17 a 20 dell’elegia III, 22 (dedicata al ritorno in Italia, dopo alcuni anni di Tullo Volcacio, rientrato a Roma da Cizico, in Asia Minore), possiamo ottenere questo rovesciamento: < Edicant miracula omen Romanae terrae / quidquid natura posuit, ubique fuit. / Noxae apta magis tellus quam commoda armis: / Famam, Amor, tuae non pudet historiae > – I portenti mostrino il presagio alle Romane terre / qualsiasi cosa la natura pose, ovunque fu. / Terra più adatta all’inganno, che presta alle armi: / la Fama, o Amore, non fa vergogna alle tue storie.
Anche il lungo discorso di Horos, che risponde punto su punto a Propertius come suo alter ego necessario, è improntato a enigmatica ambiguità e a voluta doppiezza, rimaste in sospeso e qui meglio risolte.
Ne facciamo qui una analisi essenziale, per aspetti cardinali, trascurando elementi secondari o minori. L’argomento in esame è il misterioso oroscopo di Horos (nome più adatto per indicare haruspex: cfr. III, 8, 17 e sopratutto, III, 13, 59: atque utinam patriae sim verus haruspex! – proprio come Cassandra, nominata espressamente da Horos, e qui allusa al verso successivo), che non per l’etimologia stessa del termine (hora – horoscopus), associabile eventualmente a Horatius (W. Heubner, 2002: Horati Carmina 2, 17).
Le Elegie sono un labirinto di rimandi sottili, per cui è necessario un filo d’Arianna (Daedalium iter: come in II, 14), oppure nocturno solvens texta diurna dolo (come Penelope in II, 9, 6), ovvero un cavallo di Troia vincitore, arte di Pallade-Minerva (come in III, 9, 41 – dedicata a Mecenate).
Alcune crittografie in Virgilio e in Orazio (in forma di acrostici) alludevano già al tema astrale di Giulio Cesare e a quello di Ottaviano Augusto. Properzio ha impiegato crittografie molto più complesse: acronimi, acrostici mascherati (ma concettualmente snidabili come in IV, 6, 77 ss., per Cleopatra –Iside), telestici e mesostici, e persino anagrammi a tema guidato, per falsificare le espressioni formali del testo poetico.
L’argomento si apre e allarga al problema generale della riconoscibilità delle crittografie, che nelle Elegie ha aspetti peculiari di ordine logico-concettuale (appunto il tema dell’integrazione difficile, che in sé e per sé rimarrebbe sospeso a metà, nel limbo del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, senza poter individuare un corretto rapporto tra il tema doloroso della polvere etrusca e del dolore – cfr. I, 21 e 22 con II, 1 – e i temi elogiativi, insinceri e iperbolici, del regime augusteo).
Invece, importanti ragioni concettuali – la sfragìs del Monobiblos e il raccordo necessario con Propertius-Horos – costringono l’interprete, sgombro da condizionamenti e da pregiudizi, ad accorgersi delle grosse anomalie del testo poetico, che reclamano una verità occulta, nascosta al disotto della superficie apparente.
L’oroscopo di Horos fa parte integrante di tali anomalie risultando sterile ogni altra interpretazione o tentativo di risoluzione.
Il tema astrale di Augusto si svolse nell’ambiguità tra il segno della Bilancia (tema del natale) e quello del Capricorno (tema del concepimento). Horos lo risolverà con una maledizione occulta nel segno del Cancro (il tema astrale di Cynthia –Luna).
Tre parole: terga – sinistra – time, che appartengono al falso discidium da Cynthia, in IV, 1 si concentrano nel verso finale. Octipedis Cancri completa la riconoscibile crittografia con le iniziali di Octavianus Caius (o Gaius).
NEL NOME DI CYNTHIA
1* Ho già dimostrato, aldilà di ogni dubbio, l’esistenza di “Propezio segreto”, anche se può rimanerne in sospeso l’entità effettiva, almeno per l’estensione di questa scoperta, che – nei fatti – rivoluziona il paradigma attraverso un vulnus della letteratura augustea, posta sotto l’egida del circolo letterario di Mecenate, nella dimora del grande etrusco, l’Odeon dei ritrovi tra poeti e i magnifici giardini sul colle Esquilino, ornati dalle statue della Vita e della Morte (oggi al Museo Capitolino).
La reticenza ermetica del grande poeta di Assisi – sia nei riguardi di Gallus, un parente stretto, morto alla fine del bellum Perusinum, che della misteriosa soror a lui speculare – era un enigma irrisolto, che tuttavia esigeva una ragione di verità, secondo un principio di coerenza riguardo alla biografia di Propertius dettata nelle sue linee portanti dall’indovino Horos, personaggio introdotto ad hoc nella grandiosa prima elegia del quarto libro, in realtà l’ultima composizione di tutta l’opera (unum et fallaxopus), più estesa di tutte le altre (150 versi: per 70 versi parla Propertius e per i restanti 80 parla l’indovino Horos, esperto di responsi e gran conoscitore della sfera celeste nell’arte della aerata signa movere pila).
Questa grande elegia proemiale – per nulla scontata – presenta – tra l’altro – un indecifrabile oroscopo che sembra terminare con una sorta di maledizione o avvertimento minaccioso: Octipedis Cancri terga sinistra time! – Temi ildorso funesto del Cancro (octopous – cioè dagli “otto piedi”).
Il riferimento dell’indovino sarebbe la costellazione del Cancro, uno dei 12 segni dell’eclittica. All’epoca, a causa della precessione degli equinozi, il solstizio estivo cadeva in questa costellazione, corrispondente al mese di giugno. Il Cancro è una costellazione visibile d’autunno e d’inverno, e quando di notte sorgeva il Cancro, tramontava a ovest il segno opposto del Capricorno, corrispondente a dicembre, mese del solstizio invernale con l’ora di luce più breve.
Era un dato scontato, sebbene ignorato per due millenni: Properzio non poteva aver creato una frattura confusionaria nei suoi tratti autobiografici, per cui un suo parente stretto – rimasto anonimo – era stato ucciso a Perugia, nell’anno 40 (alle Idi di marzo, in prossimità dell’equinozio di primavera), mentre il padre gli era morto in tenera età (non illa aetate ossa legenda), lasciandolo orfano con un patrimonio di terre falcidiato dalle confische di Ottaviano a favore del veterani di Filippi.
Oggi sappiamo chi fossero Gallus e la soror. Conosciamo che Gallus, il propinquus, non solo era il padre di Properzio, come del resto lasciavano già immaginare le parole di Horos; ma che suo crudele assassino fu Caio Ottaviano a Perugia, alle idi di marzo dell’anno 40, davanti a un altare fatto erigere a ricordo di Giulio Cesare, ucciso nella Curia a colpi di pugnale alle Idi di marzo dell’anno 44 a.C.
I Perusina sepulcra – ricordati con grande dolore dal giovane poeta esordiente al coetaneo Tullo Volcacio, in realtà figlio della sorella di Gallo, e quindi cugino di primo grado di Properzio – corrispondono perfettamente alle famigerate arae Perusinae ricordate dalle altre fonti (Seneca, De clementia)
La testimonianza ‘segreta’ di Properzio finisce per essere il documento storico più attendibile su quelle tristi vicende per l’antica Umbria (antiqua Umbriapatria del falso Callimaco Romano) nella guerra di Perugia, che si risolse in un assedio, nella caduta della città per fame, e in una strage dei caporioni locali.
Gallus, nonostante che il nomen possa indicare una gens, è un Propertius, mentre Propertia nostra – la soror di Gallus – è la madre di Tullo Volcacio (i Velcha erano etruschi originari di Perugia).
Gallus Propertius – duonomina rispetto ai tria nomina latini – era il padre del poeta, morto a Perugia in quella strage per vendetta, e cioè in circostanze affatto diverse rispetto a quanto il figlio potrà riportare al termine del primo libro.
Questa scoperta non può non avere un impatto decisivo anche nei riguardi di Ciao Ottaviano Augusto, di cui nel 2014 è stato celebrato il Bimillenario della morte.
Caio Ottaviano, nato il 22 settembre (calendario giuliano) dell’anno 69 (IX Kal. Oct., paulo ante solisexortum), moriva tra le braccia di Livia il 19 agosto dell’anno 14 d.C., all’età di 76 anni (a 19 anni, nel 44, Ottaviano, nipote di Giulio Cesare, si trovò invischiato nella lotta per il potere, uscendone vincitore unico con la sconfitta di Marco Antonio e di Cleopatra, dopo la famosa battaglia navale del golfo di Azio, il 2 settembre dell’anno 31).
L’immagine tradizionale di Properzio è falsa. Ed è falso anche il paradigma di poeta augusteo, nonostante l’epoca di pace che seguì, in 40 anni di principato. Con Augusto era sorto l’Impero romano, di segno criminale, se ripensiamo a Caligola e a Nerone, nonostante l’avvento del Cristianesimo.
Nel mondo romano circolavano, già da tempo, profezie e presagi su un grande rinnovamento, e appartiene a questa atmosfera di attese anche la famosa IV egloga di Virgilio a riguardo del puer e dei Saturnia regna. In età avanzata si volle fare di Virgilio una specie di profeta cristiano.
Le Bucoliche di Virgilio risalgono al 42-39 a.C. L’Eneide fu pubblicata nel 17, due anni dopo la morte del poeta che avrebbe preferito distruggerla. Il verso di Aen. II, 694: stella facem ducens multa cum luce cucurrit, fu riutilizzato per descrivere la cometa apparsa alla nascita di Cristo.
La quarta egloga, esaltata in età cristiana, presenta una simmetria di tipo pitagorico, costruita com’è attorno al profetico numero 7. Stava tramontando l’evo etrusco, gli aruspici ne erano presaghi.
La comparsa di una cometa nell’estate del 44, il c.d. sidus Iulium, si presentava nell’ambiguità: ricordava l’assassinio di Giulio Cesare nella Curia, alle idi di marzo di quello stesso anno, e l’aruspice Vulcanio (secondo l’interpretazione più probabile della testimonianza fornita al riguardo da Bebio Macro) vide in quella cometa un presagio della prossima fine del mondo, annunciata dall’avvento dell’ultima era etrusca (exitum noni saeculi et ingressum decimi).
La definizione di sidus Iulium, stella di Giulio Cesare, è di Orazio. Un riferimento al sidus Iulium è contenuto in Properzio (IV, 6, 59) nel contesto della decisiva battaglia navale di Azio.
Quale significato attribuire agli elogi del principe, assassino del padre del poeta?
L’estensione di ‘Properzio segreto’ – che è e resta un dato certo – deve senz’altro raggiungere la gamma della falsificazione delle lodi per Augusto, e dello stesso personaggio di Cinzia, donna elegiaca cantata già nel primo libro.
Quell’atteggiamento di distacco, notato in Properzio da Ettore Paratore nel 1936, poi definito integrazione difficile nell’ambito del regime augusteo, a stretto rigore, sarebbe un’integrazione impossibile.
2*Cynthia, nome della Luna, fu altro una creazione letteraria. E’ falso che fosse stata una Hostia di Tivoli (la versione data da Apuleio è un’eco sbagliata di grammatici), oppure una Roscia di Lanuvio. Cynthia meretrix oppure matrona stolata non poteva corrispondere ad alcuna donna reale riconoscibile a Roma. Altrimenti il suo nome infamato non avrebbe mai potuto mescolarsi con le glorie di Augusto e di Mecenate.
Il grande Studioso di Properzio, Paolo Fedeli, si è fermato a metà, non ritraendo tutte le necessarie conclusioni (Killing Cynthia, 2006).
L’aureaCynthia da Tivoli, figlia dell’infame HostiusQuadra di un macabro passo delle Quaestiones Naturales di Seneca, è un’illusione archeologica (Filippo Coarelli, 2004, si è sbagliato).
“Cedano” i sapienti all’evidenza: la parola di Properzio è quella decisiva. Cynthia forma potens – Cynthia verba levis è a immagine dell’astro notturno. La veste Coa di Cynthia è una coltre di nuvole che ricopre la bellezza di un corpo rilucente.
Le Elegie spesso indugiano in richiami astronomici, senza che quest’argomento sia mai stato preso in considerazione con adeguati studi critici.
Il presente contributo ha carattere innovativo anche in tal senso: dal sidus Iulium fino al catasterismo di Augusto, argomento oggetto di accurate indagini da parte degli specialisti: ad es. Patrizio Domenicucci, Astra Caesarum, Firenze 1996; Wolfgang Hubner, La vita, la patria e l’oroscopo di Properzio (Assisi, 2002, con una ripresa di argomento nel 2008: Maghi e astrologi in Properzio); Roberta Montanari Caldini, Horos eProperzio ovvero l’ispirazione necessaria (Firenze, 1979).
L’opera unica di Properzio si chiudeva con l’elegia di Cornelia, lambendo la casa regnante. Il significato di questa elegia, la numero 11, ultima del quarto libro che non è opera postuma o raccogliticcia, sta nella cifra stessa – XI appunto – e nella sua chiusa: et caelum patuit … / cuius honoratis ossa vehantur avis. (si spalancò ilcielo… agli avi gloriosi siano portate quelle ossa…).
Questo richiamo serve mettere in dubbio la teoria letteraria del carmen mixti generis con l’introduzione delle c.d. elegie romane, figura impiegata per passare dal poeta di Cinzia, che però si riferirà più volte a Mecenate e ad Augusto (tale dal gennaio dell’anno 27), al Callimaco romano dei nuovi Aitìa, cioè la dotta e raffinata poesia antiquaria in distici elegiaci. La forma apparente in Properzio è strumento d’inganno, è illusione ottica. Dichiaratamente le Elegie sono un’opera fallace (fallax opus).
La struttura del Monobiblos (primo libro delle Elegie per Cinzia) ha dato luogo a grandi dibattiti. Le 22 elegie di cui il libro si compone (con due epigrammi finali di 10 versi), corrisponderebbero all’intercalare biennale di giorni da inserire per il passaggio dall’antico calendario lunare di Numa e quello solare (354 giorni + 11 = 365), introdotto da Giulio Cesare nel 45. I versi complessivi della Cynthia sono 706: ne mancherebbero due – un distico – per completare il biennio lunare (708 giorni). Sarebbe possibile individuare dove l’ammanco si registrerebbe rispetto al testo tradito (certamente inficiato da diverse lacune). Non mi pronuncerò su quest’aspetto, mantenendomi su un altro livello. Contano, infatti, gli elementi assorbenti, in specie quelli di natura organica e razionale.
Cynthia è il nome stesso della Luna, Properzio è il sole (quest’affermazione può essere dimostrata). La critica ufficiale ha continuato a baloccarsi su “Cinzia” e su “Apollo Cinzio”, aspetti formali non rilevanti, con tanto di clausola metrica per la protagonista, in realtà puella destinata all’inganno.
Nessuna donna reale poteva stare dietro quel nome fittizio. E’ errato che l’elegia amorosa dovesse riflettere situazioni concrete, sebbene trasferite e idealizzate. Il caso di Catullo con Lesbia – Clodia fa parte di un altro sistema: Poperzio cita Catullo (e lo elude pure), ed ignora Tibullo. Properzio elegiaco d’amore o poeta erotico, tesi radicale, è formalmente tale, ma è sostanzialmente illusorio.
L’elenco (in II, 34) delle 5 donne elegiache romane: Leucadia di Varrone, Lesbia di Catullo, Quintilia di Calvo, Licoride di Cornelio Gallo, e – come quinta – Cinzia di Properzio, è altrettanto ingannevole. L’elegia “amorosa” del nostro Genio ha la caratteristica fondamentale di riferirsi a persona inesistente, almeno nel senso che nessuna donna del bel mondo romano (vuoi matrona di liberi costumi vuoi meretrice), poteva essere riconosciuta dietro il paravento poetico.
Cynthia è il vero nome della Luna sia in Orazio, che in Claudiano (Galileo Galilei chiamerà di nuovo Cynthia la Luna). Properzio elegiaco d’amore è un abito formale necessario che nasconde un corpo d’altra sostanza.
Basta ripercorrere la prima elegia del Monobiblos per ricondursi poi alla veste Coa della seconda elegia e trovare conforto nella terza: la meravigliosa clausola poetica luna fenestras.
In I,1,1 e ss., Cynthia appare subito con i suoi occhi lunari: i “mari”. Properzio non s’ispirava supinamente a un riconoscibile epigramma efebico di Meleagro per il giovinetto Muisco. Lo provano i versi a seguire (19 ss.): Ma voi, che possedete la capacità di attirarela Luna giù dal cielo / e che con magici fuochi compiete gli incantesimi, / avanti, trasformate voi la ‘mente’ della nostra tiranna / e il suo viso diventi più pallido delmio!
Un genio di appena 19 anni era già maturo per una grandissima impresa: quella della vendetta dinanzi ai Fati. L’insana passione si alimentava da altri recessi. Se Cinzia conquistò Properzio con i suoi ocellis – i due mari della Luna piena, col brillante cratere Tycho, l’aurea bulla dei fanciulli umbro-romani che attingevano alla maturità fisica – sarà la veste Coa di Cinzia ad attrarre fatalmente il suo innamorato?
Distico struggente, quello della veste Coa, che si ripeterà di nuovo per Cinzia avviata al suo declino (terza e quarta fase lunare), sotto il dominio della megera che la prostituisce, la lena Acantide, la Spinosa, che rappresenta – come il Pretore dell’Illiria e il nano Magno – la terribilità odiosa e ridicola di Augusto.
Come le rose bianche del tempio lunare di Atena, a Paestum, bruciate in un’ora dalla vampa dello scirocco, è il senso della vita e della morte. Il rimpianto della bellezza eterna in Properzio è grandezza e dramma.
La morte del padre quand’era un bambino di non ancora otto anni, gli impresse il sigillo della grandezza, segnandolo per sempre e consegnandolo all’eternità.
Quale Cinzia – verba levis et forma potens – se non il Volto della Luna?
Ecco la fanciulla ed ecco il teschio della morte, le orbite vuote. Properzio è uno, non un cantore prezzolato o il nuovo CallimacoRomano, sprovvisto di un’anima ‘sine memoria et corde’.
Cinzia ha pianto su stoffe di sangue e porpora, in una dimora lontana del tempo, fantastica e riparata nell’altrove. Ella s’è assopita, Properzio è un’ombra veniente a notte fonda, alla luce delle fiaccole agitate dal vento, e il risveglio della donna avviene dolcemente, con la Luna che ama indugiare: luna fenestras!
La terza elegia del primo libro continua a falsificare la donna reale, poeticamente chiamata Cynthia, che è il nome della Luna. Dapprima i suoi occhi, mari lunari, poi la sua veste Coa. Nuvole trascorrenti sulla pallida luce divina.
Gli interpreti di Properzio, malati di classicismo, hanno dimenticato La Voce della Luna, così viva e potente in Pirandello, con Ciaula, nome di cornacchia, che emerge di notte dalla prigione della solfatara: la Luna, la Luna…
L’arte è a se stessa sempre identica, nelle sue infinite mutazioni: ed è pianto ed è luce bianca. Guai a scordarlo. La vita è porpora e sangue. La risposta della grande arte sta nel superamento di tutto. Consiste nella trascendenza rispetto alla realtà brutale. Il sangue deve sublimare, rendersi infine luce di stelle.
La veloce fanciulla scappa sempre, il suo giro è un mese, ed è “mente”. Una voluta “a girale” è il tempo della Luna, ed è anche il tempio dell’anno. Stava già ‘scritto’ nelle antiche pietre di Assisi che parlavano del segreto numinoso del tempo, che colloquiavano con le epifanie di prodigiose divinità diurne e notturne, secoli prima di Properzio: la domus della magica Musa, sotto la Luna a falcetto, appesa in cielo, con Venere vespertina in basso (Nomen – Omen).
Iside e Osiride. La Luna ricompone pietosa i pezzi di un solo corpo. Il tempo della Luna, dei fasti e degli annali, erano i chiodi delle porte lignee del tempio etrusco di Nortia. Qua non ulla meum femina norit iter = Nortia quae lunam fert numini melo. (Nortia che col canto guida la luna a un Dio). Ista meam norit gloriacanitiem: verso finale di I, 8 – che sembra imitare gli Amores di Cornelio Gallo e che introduceva il rozzo Pretore dell’Illiria, si straforma in < Nortia sit canitie gloriam meam > – sia Nortia, la dea lunare del tempo, la mia gloria nell’infinita vecchiaia…
Direi agli artefici solenni di un paradigma sterile che Properzio è altro da ciò che appare. Perché, quando egli introdurrà Mecenate nelle sue Elegie (II,1), lo farà giocando anche col nome di Virgilio [I, 8, 10: et sit iners tardis navita Vergiliis: le Pleiadi fanno qui bella figura nel gioco di parole).
Da dove venivano quei versi d’amore per Cinzia? Non da Apollo e nemmeno da Calliope (kalos ops), ma da Cynthia Luna: ingenium nobis facit puella = ubi fama lunae inspicit igne sol P. – “E’ la gloria della Luna lì dove guarda col suo fuoco il Sole di Properzio”.
Dovreste capire che Mens Bona – Minerva, che è la dea di Assisi (deaque Asis = si qua dea es), e che Horos avendo indicato la direttrice geografica sud-nord che dal centro ancestrale della prima Roma di Evandro raggiunge il vertice del tempio di Minerva ad Assisi passando da Bevagna e dal lacus Umber, sono la ragione del canto d’amore per Cinzia. Properzio ha terminato la sua impresa ed è il suo ritorno in Patria. La sua dea è Minerva. La dea di Augusto è Venere. L’Apollo di Properzio è figura retorica, in luogo di poesia, non il dio delle fortune di Azio.
E allora avrete finalmente compreso che l’ingegno portentoso di Properzio diverrà ancor più noto (murus ab ingenio notior ille tuo) che non quel magnifico complesso monumentale dedicato alla Sapienz, il tempio di Minerva ad Assisi.
Che resterà del tempio di “Apollo navale” sul Palatino? Che sarà di Roma e delle sue mura (moenia e non muros - murus) nutrite con l’aspro latte della Lupa? Il muro sacro appartiene alla Patria vera del falso Callimano Romano.
Assisi, in pietra rosata, s’incendia ai tramonti, come Troia in fiamme. Cassandra s’è aggrappata alla veste di Minerva. Minerva-Atena: dea lunare per eccellenza.
L’indovino Horos ricorda, adesso, la biografia di Propertius. Sono nuove lacrime. E il padre, e la madre. E le belle terre, tra Assisi e Bevagna, predate dalla triste pertica. Ed è il momento della dismissione della bulla aurea e della toga pretesta: il foro delirante e Apollo.
Chi non avverte la sequenza di un’andata e di un ritorno, la Patria dell’Umbria antica, il sangue versato e i Penati, Gallus e la necessità di una poesia armata di frecce nascoste e coperta dall’inganno?
Umbria Romani patria Callimachi! Il grido trionfale di Propertiusracchiudeinséla propria chiave: < Hinc Umbria patria illac ima Roma! >. Da questa parte la patria dell’Umbria, da quell’altra – agli antipodi della direttrice geografica di Horos – l’infima Roma.
Per comprendere Propertius bisogna capire l’indovino Horos, e la sfragìs o sigillo del Monobiblos si ricompatta con l’ultima elegia composta dal grande poeta di Assisi: Cinzia sta in mezzo, con Mecenate e Augusto. Il percorso esatto è questo, dal suo inizio fino alla sua fine. Ed è un ritorno, dopo aver compiuto l’opera. Una sola opera, un’opera ingannevole, opera profondamente unitaria (unum et fallax opus). Una sfida al Fato. Properzio aruspiceverace della sua Patria ha trionfato su Augusto, ed era quanto il poeta di Assisi chiedeva ai suoi lettori del futuro.
3* Siamo ormai pronti ad affrontare l’argomento: da un lato il sidus Iulium della tarda estate 44 e il “castasterismo” di Augusto, dall’altro Properzio e la Luna, con l’oroscopo misterioso di Horos. Senza scordare che se il Monobiblos o Cynthia si componeva di 22 elegie, giacché i due epigrammi finali rimangono separati, il quarto libro ne contiene adesso 11 (la teoria del carmen mixtigeneris non corrisponde a verità poiché la ricomparsa di Cynthia dopo il falso discidium del terzo libro, costituisce ancora una volta il tema centrale del quarto e ultimo libro, nonostante il presunto genere di poesia antiquaria sul modello degli Aitìa di Callimaco).
I richiami nelle Elegie ai temi di carattere astronomico sono molteplici, presenti in tutta l’opera. Properzio è un gran conoscitore del cielo stellato. Le ossa di Gallo dovranno essere ricondotte alla volta celeste. Non rileva quella tradizione letteraria che legava La chioma di Berenice di Callimaco al poetanuovo Valerio Catullo che ce la trasmise con la sua famosa traduzione [cfr. “Archimede”, in questo stesso sito].
Conone di Samo, grande amico di Archimede, scomparso prematuramente, è ricordato en passant da Horos, strano e sorprendente mago o indovino, che fa da contraltare a Propertius nella grandiosa ed enigmatica elegia proemiale del quarto libro, in realtà scritta per ultima, così come per primi furono composti i due epigrammi di sphragìs che sigillano in modo anonimo il primo libro. Il nome stesso di Horos richiama il dio egiziano Oro, ma anche il tema dell’oroscopo.
Horos si autoproclama egiziano, babilonese, e al tempo stesso stirpe di Archita di Taranto, il pitagorico amato da Platone. Ognuno di questi vanti ha il suo preciso scopo: Oro-Horus, rappresentato come dio Sole dall’occhio di falco, è figlio di Iside, dopo lo smembramento di Osiride; ma quale indovino babilonese egli è esperto di oroscopi, mentre come progenie pitagorica, presiede all’origine delle anime e al loro grande ritorno celeste [neopitagorismo romano].
L’indovino, alter ego di Propertius, serve per definire il senso arcano dell’opera unica – unum opus – il cui vero significato non corrisponde ai pregi apparenti assegnabili (fallax opus).
Come egiziano Horos allude all’opera labirintica, dai mille rimandi allusivi e dalle significazioni ambigue. Come babilonese ne testimonia il carattere di profezia veridica. Come pitagorico egli indica la dottrina del grande ritorno: le anime appartengono – infatti – alla Via Lattea, che da nord a sud attraversa tutto il cielo estivo nel nostro emisfero. Da un capo di questa grande via, con la nascita le anime discendono sulla terra, e dall’altro capo risalgono infine al cielo luminoso degli avi. La versione alternativa aquis per avis – presente in alcuni codici quanto all’ultimo verso delle Elegie – dipendeva da un’interpretazione non scorretta del pitagorismo, inerente all’elegia di Cornelia. Ed era il cielo di Cicerone nel De Republica, commisto alla dottrina platonica sull’immortalità dell’anima.
Cornelia, non generata da Augusto, a differenza della sua sorellastra, era una discendente di quella stessa antica e nobilissima famiglia degli Scipioni.
L’indovino Horos non è un personaggio comico, grottesco, oppure semiserio. Egli rappresenta l’altra faccia necessaria della stessa medaglia ed è l’incarnazione simbolica di Properzio segreto, la parte nascosta e indicibile di un’opera occulta (remote, in inglese).
Cynthia morta in IV, 7 è una revenante (in francese), come Filinnio. Sunt aliquid Manes: letum non omnia finit. “Le ombre esistono”. Quisque suos patimur Manes: Ognuno soffre la sua ombra (Eneide, VI, 743). Il berillio al dito, combusto nel rogo funebre di Cynthia, è il sigillo stesso di Mecenate. L’apparizione in sogno di Cinzia morta – episodio simile a quello dell’Empusa raccontato da Filostrato nella Vita diApollonio, non è l’annuncio della morte prossima del poeta – mox sola tenebo – ma rappresenta il rito delle ossa – mecum eris et mixtis ossibus ossa teram – nel senso che ossa è parola chiave dell’opera e che i frammenti si corrispondono: le tabellae smarrite di Properzio e di Cinzia, vanno cioè riportate sull’Esquilino, dove Cinzia –Umbria regnerà per sempre, più viva che mai.
Properzio è aruspice verace della sua Patria. Aruspex non è termine lontano da oroscopo: ma si guardino le vie del cielo, anziché il fegato dell’animale. E c’è una sorpresa, che non potevamo non attenderci: la mia stirpe non ha degenerato – dice Horos – e qui impiega la parola propinquos al plurale!
Properzio mai canterà i destini di Roma! Non è compito che gli si addica,sotto Augusto, i cui elogi sono retoricamente falsi, e del resto anche falsificabili (pieni di maledizioni e d’insulti, occulti aculei).
Senza le indicazioni fornite da Horos e da Vertumus dio cangiante ed allusivo, le Elegie sarebbero incompiute. Invece sono un’opera unitaria, rivolta a uno scopo segreto, consistente nella revoca dell’omaggio dovuto al Principe e nel ricordo di un crimine, di cui Cynthia- Luna scandisce insania, dolore, passione.
La falsa insania d’amore è il falso Callimacoromano, difatti nato in Umbria. Ed è il rimpiantodell’infanzia, le belle terre di ASIS e la felice stagione dell’innocenza, precedente il bellum Perusinum, con le arae Perusinae, i Perusina sepulcra, e gli eversos focos dell’antichissima gente Etrusca (Perugia fu saccheggiata e messa a fuoco da Caio Ottaviano, con lo strazio di una feroce vendetta su circa trecento persone: questa la verità autentica di Properzio segreto).Se stava scadendo l’ultimo secolo di storia assegnato dai fati al popolo etrusco, Mecenate lo sapeva perfettamente, un aruspice sacro intendeva però riscattare anche quel dramma: pulvis Etrusca, dolor! – facendo risuonare una voce occulta che avrebbe varcato i secoli per l’eternità.
Se Properzio guarda al cielo, lo fa in una prospettiva metafisica di speranza. Tu, o cavaliereMecenate, favorisci la speranza dell’umbro Properzio (verso segreto in I, 22, 7). Ed è già stato detto tutto: tu proiecta mei perpessa es membrapropinqui.
Il propinquus in questione è Gallus, padre del poeta. Il ‘morto parlante’ di Perugia è il centro di gravità di un’opera ingannevole, destinata a eterna memoria d’amore, secondo le vere ‘origini’ del genere elegiaco.
Properzio nel quarto libro falsifica le “visioni” dello scudo di Enea dell’ottavo libro dell’Eneide. A decidere il destino del Principe fu la battaglia navale di Azio.
Virgilio, il poema gli fu estorto, ricorda e inventa la scena culminante: Cesare Augusto di qui, gli Itali in guerra guidando, coi padri, col popolo, con i penati e i gran déi, ritto sull’alta poppa: e due fiamme le tempie fortunate lampeggiano, appare sul capo la stellapaterna(il sidus Iulium). A fianco Agrippa, con venti, con déi favorevoli, arduo guidando la flotta: supremo onore di guerra, il capo della corona rostrata gli splende.
Nell’Eneide non ci fu posto per Mecenate, rimosso già dal 23 dalla nomenclatura di regime. Non c’è posto, per lui, nemmeno nel quarto libro delle Elegie, per la stessa ragione. Protagonista unico è rimasto Augusto, mentre Agrippa sposerà la figlia del Principe, avuta da Scribonia, Giulia Maggiore, sorellastra di Cornelia.
Lucio Emilio Paolo, figlio di Cornelia, fu marito di Giulia Minore, figlia di Giulia e di Agrippa. Cornelia, moglie di Paolo il censore, discendeva dalla illustre famiglia dei conquistatori di Cartagine, gli Scipioni. L’elegia di Cornelia, numero 11 del quarto libro che qui termina, è servita a Properzio nuovo Ulisse, per introdursi come un cavallo di Troia nella stessa casa del Principe. Uno speciale telestico serpentino ne marca il finale: ODISSEUS ASIS [senza la y].
Il tema celeste di Horos è ben posto. Nella tarda estate del 44, pochi mesi dopo l’assassinio di Cesare, sul cielo di Roma comparve una cometa fiammeggiante, color del sangue e a forma di spada. Con le feste del divo Giulio la cometa si prestò alla sua divinizzazione. Caesar deus. La follia provvidenziale della nascita dell’Impero romano fu il presupposto necessario per Cristo Rex Mundi.
Quando Properzio si apprestava a pubblicare la Cynthia nell’estate del 29, il 20 di agosto, ci fu a Roma, verso l’ora del tramonto, un’eclisse totale di sole (Fasti Siculi). E’lo stesso Ottaviano nei Commentarii de vita sua (fr. VI) a descrivere l’evento della cometa: Ipsis ludorum meorum diebus sidus crinitum per sepetm dies in regione caeli sub septemtrionibus est conspectum. Id oriebatur circa undecimam horam diei clarumque et omnibus e terris conspicuum fuit. Eo sidere significari vulgus credidit Caesaris animam inter deorum immortalium numina receptam, quo nomine id insigne simulacro capitis eius, quod mox in foro consecravimus, adiectun est.
Il tema del sidus Iulium fa parte di quanto si deve pur dire su Properzio segreto. Ne dimostreremo l’importanza e l’efficacia. Prima di tutto occorre riprendere l’argomento di Cynthia ovvero la Luna. Siamo sempre nel suo regno, come terrà a ripetere Horos.Nil erit hoc: rostro te premet ansa tuo – Non c’èscampo, un amo sempre ti terrà saldo per il becco. All’interno di questo verso si nasconde un’altra sorpresa: < Caesarem terret Horos: potiti nolunt > – Sarà Horos ad atterrire Cesare Augusto: gli ubriachi non vogliono. Dunque, è vero: l’oroscopo di Horos è terribile, tutto il contrario dell’oroscopo di Orazio per Mecenate.
4* Cynthia è legata a temi astronomici.Lo scopriamo sia dal nome, che da tanti altri riferimenti. Amore è un Dio di Pace(III, 5).Ed è questo l’argomento, elegiaco per eccellenza, che tiene il filo segreto tra la Romana Discordia civis (I, 22, 5), la polvere etrusca, Mecenate e Augusto, passando per Cinzia. Il grande Cesare è un nano. Lui la lena Ancantide e sempre lui il venale e rozzo pretore dell’Illiria nelle speculari elegie I, 8 e II, 16.
Cinzia non segue i fasci. Non è avvinta al potere. Un passo di III, 5 ha un marcato carattere astronomico. Il poeta ama Cinzia, che mai però gli disse ti amo, e solo quando sarà vecchio potrà dedicarsi alla conoscenza profonda delle “cause” e allo studio del cielo (che però già conosce benissimo).
Perché il disco del sole sia comparsocon i cavalli parati a lutto (le eclissi), perché Boote spinga il carro dei sette buoi (l’orologio stellare notturno e annuale delle stelle non occidue dell’emisfero nord), perché il carro delle Pleiadi brilli di una densa luce, perché le maree non debordino, e perché l’anno proceda nel suo cielo secondo le quattro stagioni. Queste le cause, mentre la causa di tutto è Cinzia.
I temi properziani toccano tre principali argomenti: Cinzia, la politica romana, e il cielo. Caelum patuit. Il cielo si spalancò. Per le ossa di Gallo, quelle di Cornelia fanno da pretesto: finalmente saranno portate in cielo, tra gli avi gloriosi.
Cinzia compie gli anni il giorno del solstizio estivo, che per i romani cadeva il 24 giugno. E’ questo il significato vero dell’elegia III, 10 – ambientata in Assisi, nella domus da cui si scorgevano in pianura le acque del lacus Umber. Non un grido rauco di gabbiano, tutto è sospeso nell’etere. La mattina sono comparse col sole all’alba le tre Camene, ai piedi del letto di Properzio, delicatamente risvegliato: visione meravigliosa, assolutamente perfetta; ma dove aveva dormito, quella notte, la bella Cinzia, quando la notte seguente il suo compleanno astronomico ella dovrà giacere con lui, dopo un baccanale metafisico, per le vie dell’amore?
Il contrasto sinergico tra sole e luna è assolutamente perfetto: al solstizio estivo il Sole è alla sua massima altezza sull’orizzonte, mentre la Luna bassa tende al fortemente al rosso. La “casa” di Cinzia-Luna è nel Cancro, la luna nel segno del Cancro è il solstizio estivo.
Qui l’acrostico MANE – nessuno se ne era mai accorto! – ripete per tre volte il segno di Cinzia! L’acrostico SIC in I, 22 ripete il segno di Properzio. Ancora per tre volte! “Ter” iter peragamus… Sic peragamus iter. Ed è vero, poiché la firma è autentica.
Cinzia, ormai sul viale del tramonto, prostituita dalla lena Acantide, potrà fingere due altre date di compleanno: il primo di aprile o le idi di maggio. Ma l’orrenda e laida Acantide, il nano Magno, e il rozzo e venale pretore dell’Illiria sono rappresentazioni di AUGUSTO, preso in giro a sua insaputa.
In questa elegia simbolica (mi riferisco alla elegia IV,5), inserita appena prima dell’elegia che celebrava retoricamente il grande trionfo di Azio ma su una sola donna, Cleopatra – Iside, e subito dopo l’elegia di Tarpeia, morta schiacciata sotto gli scudi dei Sabini (qui altro gioco di parole per Virgilio: o vigil, iniustae praemia sortis habes), ricorre il meraviglioso distico, carico di allusione, già presente in I, 2: Quid iuvat ornato procedere, vita, capillo / et tenuis Coa veste moveresinus… – ache ti giova, o vita mia, ornati i capelli, incedere nelle forme sinuose della tua veste Coa? Furono gli occhi o fu il corpo sinuoso di Cynthia a conquistare il poeta? Fu forse la Luna, fasciata nelle sue nubi? Luna fenestas. Qual è la “casa” di Cinzia? In quale domus ella abiterebbe? Anche sul Campidoglio (I, 16), benché non sia fatto espressamente il suo nome?
Siamo in tempo d’estate ed è l’ambientazione notturna di III, 20. Est tibi forma potens, sunt castae Palladis artes, /splendidaque a docto avo fama refulget. Qui è stata ripresa a metà la descrizione di Cynthia forma potens – verba levis. Potente è la tua bellezza, t’appartengono le caste arti di Pallade Minerva, e la tua fama risplende dal dotto avo. Questo passo suffragherebbe l’affermazione, fatta da Apuleio, teurgo neoplatonico implicato in un processo di truffa e captazione, che Cinzia fosse una Hostia, discendente da Hostius autore del Bellum histricum. Ma nessuna Hostia-Cynthia da Tivoli incrociò il destino di Properzio. L’aurea Cynthia è una libera creazione poetica di scopo. Diversamente, non avremmo avuto la voce occulta del grande poeta dell’opposizione segreta ad Augusto, assassino di Gallus alle idi di marzo del 40. – Devi morire, ripeteva Caio Ottaviano alle trecento vittime dell’Umbria e dell’Etruria, sacrificate sull’altare di Cesare.
Cinzia, più vecchia di Properzio, è la trasposizione elegiaca della tragedia del suo cantore: rappresenta l’Umbria prostituita da Ottaviano nelle circostanze salienti del bellum Perusinum. Il dato esistenziale di Properzio è il segreto delle Elegie.
In III, 20 – elegia che parrebbe completamente fuori posto – non è fatto il nome di Cinzia benché sia innegabile che a lei ci si riferisca. Sarebbe una prima notte d’amore, scordando il passato (ad esempio la I, 3).
Mi è data la prima notte!Fermati, o Luna, durante il primo amplesso! [Nel terzo libro, che volge ormai al discidium da Cinzia, ovviamente una falsa separazione, il nome della donna figura espressamente solo tre volte]. Occorre stabilire i patti. E’ necessario mettere per iscritto una legge per il nuovo amore: Amore stesso, con il suo sigillo, sancisce questi patti: testimone è tutta la corona della Dea stellata (cioè, Corona Borealis). Ci troviamo dinanzi alla stupenda scena o raffigurazione – proiettata sulla volta stellata – di una vicenda che non può non essere un sigillo d’autore. E va sempre ricordato il sigillo del Monobiblos, la cui firma era segreta.
La prima notte con Cinzia è simbolica. Cinzia-Luna si è trasferita sulla volta celeste perché si tratta di un amore sacro. Il patto d’amore è siglato nella Corona, nuovo cartiglio o signum, Dea notturna d’agosto, alta nel cielo verso occidente: verso PERUGIA se vista da ASSISI.
Corona Borealis è una costellazione debole, compatta e di rara bellezza (altro che la Chioma di Berenice!), creata dai Greci mediante l’eliminazione di un braccio di Atlante-Boote. Situata fra Boote ed Ercole (cielo estivo), è formata da sette stelle ad arco, cioè a modo di corona. Fu chiamata anche Corona di Arianna (Properzio si è riportato nuovamente alla I, 3). Arato di Soli la menzionava nel suo poema astrologico: glorioso emblemadell’assente Arianna, posto da Dioniso. Il divino Bacco-Dioniso, per ricordare quella sua grande storia d’amore, ormai Arianna era morta, trasferì la sua corona fra le stelle. Il mito è ricordato anche da Ovidio (Metamorfosi, VIII, 276-282).
Itestimoni in piantosi alzano: “La causa è detta”. Mentre la terra si riprende il prezzo della vita, si spalancò il cielo: Cornelia sia degna che le sue ossa siano riportate agli avi gloriosi. La glorificazione celeste di Gallo Properzio avviene per intermediazione, attraverso lo schermo di Cornelia. Cynthia-Luna ne è stata lo strumento paradossale. Ed è per questa ragione che le elegie del quarto e ultimo libro dell’unum opus dell’umbro Properzio sono 11 in tutto, mentre erano 22 quelle del primo libro.
La Luna e il Sole era i simboli o gli stemmi delle resistenze patriottiche, quella degli Umbri e quella degli Etruschi nella vallata centrale, con due fiumi xacri che l’attraversano, il Clitunno e il Tevere: rivolta contro Caio Ottaviano, nel bellum Perusinum. Cornelia, prossima alla casa del Principe, era il soggetto più adatto per contrapporre la glorificazione celeste di Gallo Properzio al tema astrale della divinizzazione in vita di Augusto risalente all’anno 19 a.C.
Il fanum di Spello, con origini risalenti al VI secolo a. C., rappresentava la lega politico-religiosa degli Umbri della pianura centrale, in connessione col fanum Voltumae di Volsinii, qui ricordando anche la tradizione facente capo a Nortia. Il rescritto di epoca costantiniana, ritrovato tra le rovine romane adiacenti al sito archeologico di Villa Fidelia a Spello, che non è un falso, come aveva dapprima ipotizzato il Muratori, prova una relazione stretta degli Umbri col fanum di Volsinii (a prescindere dalla identificazione di tale località: se il monte Landro, nei pressi Bolsena, dove di recente è emersa un’epigrafe, riportante il nome del dio etrusco Velth, che si porta adesso a sostegno dell’ipotesi qui si trovasse il fanum della lega delle 12 città etrusche, oppure se ad Orvieto).
In età ormai cristiana, il rescritto imperiale rimuoveva l’obbligo per i sacerdoti umbri pagani (quanto restava delle antiche istituzioni) di recarsi a Volsinii per le feste annuali, così ripristinando l’antica usanza. Ciò significa a tutta ragione che la solenne tradizione dell’Umbria era stata interrotta per un divieto d’identica fonte imperiale, così che non si può fare a meno di dover presupporre, ed è necessario, che l’interdetto derivasse da una disposizione tassativa, impartita da Ottaviano a ragione del bellum Perusinum, poi riassunta nelle vesti di Augusto.
Le fonti storiche permettono di arguire che Spello, gratificata da Caio Ottaviano con ampie estensioni territoriali, svolse un ruolo primario in quell’intricata vicenda politica, molto più importante e decisiva della vittoria di Azio.
L’assediante di Perugia, entro le cui possenti mura si erano rifugiati i soldati di Lucio Antonio e di Fulvia, aveva a sua volta rischiato di essere preso alle spalle. Tanto che si era dovuto fortificare, con adeguati ripari, mentre cingeva Perugia.
Il fatto decisivo avvenne nei pressi di Spello, a Foligno, quando gli eserciti accorsi da più parti in soccorso di Fulvia e di Lucio Antonio, e da Perugia se ne vedevano i fuochi notturni dell’accampamento, furono convinti a desistere sia con minacce politiche, che con la corruzione. Il fatto decise le sorti di Ottaviano che nel bellum Perusinum aveva veramente rischiato grosso. Da qui proveniva la spietata vendetta che si accanì esclusivamente sui capi locali della rivolta, tra questi ultimi il padre di Properzio, esponente militare degli interessi propri e di quelli di Assisi. La comunità umbra di Spello fu ampiamente gratificata con allargamenti territoriali, mentre calava l’interdetto sul fanum Umbriae che in antico sorgeva nei pressi. Questa ricostruzione, per nulla irreale, e tuttavia mai immaginata prima, sembra invece perfettamente rispondente: tanto più che il fanum di Spello – sorgente a 43 gradi esatti di latitudine nord – aveva una valenza sacrale strettamente legata all’omphalos od ombelico dell’Italia, giacché l’escursione secondo stagione dell’altezza del sole sull’orizzonte coincide con l’inclinazione del cerchio dello zodiaco, ovvero dell’asse terrestre, pari a 22,5 gradi e ai suoi multipli (47 gradi agli equinozi e 70, 5 gradi al solstizio d’estate).
Il lacus Umber lambiva le sponde del fanum che sorgeva su un rialzo naturale con due templi gemelli. I numi protettivi della lega dovevano essere la Luna e il Sole, gli astri principali che di giorno, e poi di notte, si specchiavano sulle stagnanti acque lacustri. La patria vera dell’Umbria – così in Properzio segreto – anche dopo la sconfitta di Sentino (295 a.C.) e la distruzione di Volsinii (254 a.C.), aveva conservato una sua identità, sebbene non sembra che l’Umbria centrale, a differenza dei Peligni, avesse preso parte alla guerra sociale, che fece tremare Roma. La progressiva romanizzazione dell’Umbria non aveva cioè un carattere politico quanto piuttosto un aspetto culturale: l’egemonia di Roma era un fatto consolidato, in specie dopo la sconfitta definitiva dei cartaginesi. Il rapporto intercorrente era quello tra socii con obblighi reciproci. L’influsso culturale di Roma si faceva sempre maggiore, e v’è certezza sul fatto che agguerrite coorti umbre parteciparono – con diritto di preda bellica – alle principali spedizioni romane per la conquista della Macedonia e della Grecia. Il bellissimo torso di dea assisa in trono – venerata ad Assisi come Minerva dalla bella veste – era un marmo greco del V secolo. Anche questo richiamo è stato remotamente inserito da Properzio nella grandiosa elegia proemiale del quarto libro, carica di significati autobiografici. Il tempio di Minerva ad Assisi, con due monumentali ali di magnifica grandezza (oltre 100 metri ciascuna) è il vero “oggetto” della descrizione profetica di Horos, carica di significati: E si eleva al vertice il grande ‘muro’ di Assisi digradante a valle, / quel muro chegrazie al tuo ingegno diverrà ancor più noto. Notior ille murus.
Non esiste alcuna traccia nell’antichità, di una descrizione della meravigliosa e imponente arce sacra di Assisi. Il nome di Assisi è taciuto da Strabone. Eppure la città era bella e importante, non a caso Properzio vi era nato. La gens Propertia era ragguardevole, di censo senatoriale. Un ramo di questa antica gente umbra si era trapiantato a Roma, e vi eserciterà incarichi non trascurabili. Un Propertius era stato re di Capena. Mentre i Volcacii – Velcha e i Maecenates erano originari di Perugia etrusca. Un Nerio Marte Properzio, il nonno oppure il bisnonno del poeta, aveva rivestito in Assisi la carica di marone. Nerio era il Marte umbro.
Tutto ciò sembra alieno a Properzio, che apparentemente non ne parla, ma vi è implicato. La chiave sta in Properzio segreto: a partire dall’enigma di Gallus e della soror a lui speculare, che andava raccolto e risolto.
Su questa solida base – che rende finalmente ragione dell’estrema reticenza del poeta e dei suoi trucchi – è possibile sviluppare, in piena concordanza di risultati, una ragnatela di relazioni e di richiami che investono il significato non illusorio dell’opera unica (unum opus), riguardando Cinzia, Mecenate e Augusto.
In questo stesso quadro si collocano Horos e Vertumnus, rispettivamente capaci di definire Propertius e di imporre un significato unitario a un’opera ingannevole (fallax opus). L’ambiguità necessaria di Properzio giocava sui doppi sensi, si mostrava e si negava allo stesso tempo. L’apparente mancanza di un filo conduttore, Cinzia negata dalla enigmatica sfragìs del Monobiblos,esaltava però il ruolo di Cinzia, donna paradossale, sfuggente e contraddittoria. La possibilità di una doppia lettura introdusse già il dubbio sull’integrazione del poeta nel regime augusteo, dubbio tanto più autorevole, quanto affetto da alcune non trascurabili incongruenze, giacché Properzio ha elogiato Augusto, anche se in misura enfatica, rigonfia e insincera.
Qual era il reale rapporto di Properzio con Mecenate e Augusto? Chi era Cinzia?
Il dubbio sull’integrazione difficile non può rimanere sospeso a metà, in una sorta di limbo. Un’integrazione difficile all’inizio, in seguito risolta a favore? Oppure un’opera ingannevole, di cui occorreva rintracciare la chiave nascosta? La risposta non si arresta a metà. Non è cosa opinabile. La verità, quella vera, è l’integrazione impossibile, mascherata dallo strumento necessario del successo.
Properzio è stato costretto a un compromesso formale, consistente nella finzione sistematica, sull’orlo della insincerità. La presenza certa delle chiavi nascoste ne rivela il trucco e rovescia la finzione. Horos è l’alter ego necessario di Propertius, lo sdoppiamento conferma il deposito occulto di Properzio segreto al termine del Monobiblos.
A questo punto occorre trarre a conclusione l’estensione effettiva della gamma delle finzioni. L’analisi del tema del sidus Iulium e dell’oroscopo di Horos (con riguardo al catasterismo di Ottaviano Augusto), diviene aspetto cruciale, fermo restando ciò che la nostra analisi ha già fatto affiorare sull’enigma di Gallus e della soror, e sulla comparsa inattesa del nome di Mecenate nel sigillo anonimo del primo libro delle Elegie (verso segreto in I, 22, 7: MAECENAS EQUES SPEM PROPTIA UMBRI PROPERTI).
IL SIDUS IULIUM
1* Siattribuisce all’ateniese Metone, figlio di un certo Pausania, la scoperta (432 a.C.) di un ciclo astronomico di 19 anni. Aristofane, dopo averlo punzecchiato nelle Nuvole, nel 414 lo mise in scena per scorticarlo negli Uccelli.
Al tempo di Metone tutti i calendari greci erano lunisolari, nel senso che i mesi erano teoricamente lunari (il primo giorno del mese lunare era determinato dal novilunio), mentre l’anno era solare.
Il mese sinodico lunare ha una lunghezza media di 29,5 giorni (le quattro fasi lunari, per 28 giorni, secondo numero perfetto pitagorico, determinavano la settimana: seguiva il periodo della caeca nox, in cui la luna non era visibile prima che spuntasse di nuovo a Ovest così iniziando il nuovo ciclo).
I mesi civili erano di 29 o 30 giorni, sicché l’anno lunare durava 354 giorni, mentre l’anno solare corrispondeva a 365 ¼ giorni. Per mantenere il raccordo stagionale era necessario introdurre un mese a intercalare in capo a qualche anno. L’intercalare annuale era pari a 11 giorni, 22 giorni in biennio.
Il calendario “numano” si fondava sui giorni intercalari. Metone utilizzò il dato già noto ai babilonesi, che 19 anni solari corrispondono abbastanza bene a 335 mesi lunari sinodici veri. Ciò comportava un intercalare di sette tredicesimi mesi in tale periodo.
All’epoca di Solone (VI sec. a. C.), l’anno bisestile comprendeva un mese di 36 giorni. Ogni anno comune era seguito da un anno bisestile e formava così un ciclo biennale o trieteride di 738 giorni. Ciò implicava un anno in media di 369 giorni (in eccesso). Fu Eudosso a segnalare (dopo il 387 a.C.) che gli egiziani impiegavano l’anno solare di 365 ¼ giorni. Fu perciò introdotto un periodo quadriennale (tetraeteride) di 1461 giorni. Il modello previde in seguito un periodo di otto anni (ottaeteride) di 2922 giorni distribuiti in 99 mesi. Ma con l’andare del tempo anche questi cicli dovevano manifestarsi inadeguati.
Il ciclo di Metone (235 mesi lunari ovvero 19 anni solari) considerava il lasso di tempo necessario affinché la terra, la luna e il sole riprendessero le loro rispettive posizioni. Il “grande anno” di Platone, che al termine di 76.000 anni riconduceva alla configurazione iniziale degli astri, derivava da un multiplo di 4000.
Callippo (330 a.C.) scoprì che il ciclo di Metone faceva l’anno solare più lungo di 1/76 di giorno e propose un ciclo di 27.759 giorni ripartiti in 76 anni. Un ulteriore perfezionamento fu operato da Ipparco. Avendo notato che Callippo aveva allungato l’anno tropico di circa la trecentesima parte di un giorno, suggerì un ciclo di 111.035 giorni, distribuiti in 304 anni. Aristarco suggerì in seguito un ciclo di 2434 anni, ancor più preciso.
Il ciclo di Metone ebbe inizio il 27 giugno del 432 a.C. sotto l’arcontato degli Apseudi di Atene. Il ciclo probabilmente prevedeva 110 mesi di 29 giorni e 125 mesi di 30 giorni (calcoli attinti dalla pratica babilonese). I nomi dei mesi erano gli stessi impiegati ad Atene. Metone collocava gli equinozi e i solstizi a 8 gradi nei rispettivi segni zodiacali. Ipparco scoprì la precessione degli equinozi.
Tolomeo, fiorito in età cristiana, sapeva bene che la prima ricerca da fare nella teoria del sole era quella della durata dell’anno, confrontando i ritorni del sole ai punti solstiziali ed equinoziali. Non gli sembrava che l’anno durasse esattamente 365 ¼ di giorni. Ipparco aveva individuato la durata delle stagioni e conosceva la durata dell’anno tropico (365 giorni e ¼ meno 1/300).
Ipparco determinò anche il mese sinodico della luna (la teoria lunare è molto più difficile), accanto al mese anomalistico e al mese draconitico (i valori trovati da Ipparco corrispondevano a quelli già noti ai babilonesi).
I valori dell’anno tropico e dell’anno siderale di Ipparco sono molto vicini a valori moderni (il valore moderno per l’anno tropico è di 365 giorni, 5 ore, 55 minuti e 12 secondi; il valore dell’anno siderale è 365 giorni, 6 ore, 9 minuti e 9,74 secondi). L’eccesso dell’anno tropico di Ipparco era di appena 6 minuti (un valore già noto agli egiziani).
Eratostene avrebbe poi individuato il valore dell’inclinazione dell’asse terrestre (l’eclittica), cioè la causa dell’alternarsi delle stagioni. Nell’anno 46 a.C. Giulio Cesare, con l’aiuto di eccellenti astronomi egiziani, provvide alla sistemazione del calendario romano.
Quando sorse l’alba del primo gennaio del 45 a.C., ossia le calende di Januarius del 709 a.C., i Romani si risvegliarono con un nuovo calendario, all’epoca uno dei più precisi del mondo, sebbene ancora imperfetto, e del resto soggetto agli errori dei sacerdoti ancora nominalmente in carica. Le necessarie correzioni furono apportate da Augusto.
2* L’egemonia politica di Romaesigevaormail’adozione di un calendariosolaremoderno, uniforme e preciso. In qualche modo il calendario cesariano è legato alla vicenda d’amore con la giovane regina d’Egitto, Cleopatra.
Racconta Svetonio che GiulioCesare riorganizzò il calendario, che l’assemblea dei sacerdoti, inserendo a suo piacimento giorni i mesi, aveva abbandonato in un disordine tale che le feste del raccolto e della vendemmia non cadevano più nelle giuste stagioni. Properzio e Assisi, sua città natale, hanno a che vedere con la riforma del calendario romano. Anche perché il tempio di Minerva ad Assisi, impianto monumentale di grandiosa bellezza, ha marcati caratteri lunari, sebbene finora sfuggiti. Anzi, diversi monumenti antichi della cittadina umbro-romana, presentano singolarità di ordine archeoastronomico. [Vedi al riguardo altri nostri interventi, a proposito della c.d. domus Musae, del sito archeologico di Santa Rosa, e per quanto concerne la copia coeva della statua originale di Augusto nei panni di pontefice massimo, che dal marzo del 12 a.C., festa del Quinquartus, ornava il foro civile e lo spazio sacro antistante al tempio pagano, sicuramente dedicato a Minerva, sebbene anche questo dato sia stato messo in dubbio con scarsezza di argomenti. Mi riprometto uno studio originale anche sul tempio di Minerva intorno al quale si sono registrati equivoci e fraintesi].
A maggior ragione, dunque, la storia di Giulio Cesare con Cleopatra è in questo senso esemplificativa, poiché la struttura del Monobiblos, come abbiamo già ricordato, sembra corrispondere all’intercalare di giorni per il passaggio dal calendario lunare a quello solare (in tal senso Thomas. H. Habineck, Propertius,Cynthia, and the Lunar Year, Latomus 1982, XLI, 589-596).
Nell’ottobre del 48 a.C., un siciliano di nome Apollodoro riuscì, con un trucco, a presentare Cleopatra a Giulio Cesare, che era appena giunto ad Alessandria.
Cesare aveva allora 52 anni: alto, biondo, di bella corporatura – secondo la descrizione di Svetonio. Cleopatra, di anni ne aveva 22. Cesare era giunto in Egitto inseguendo Pompeo Magno dopo la grande vittoria riportata contro di lui a Farsalo. Pompeo fu assassinato da un militare della corte egiziana. Morto Pompeo, Cesare fu costretto a rimanere in Egitto per risolvere gli intrecciati e difficili problemi dinastici nell’interesse di Cleopatra. Durante un banchetto, secondo il poeta Lucano, Cesare sentì parlare per la prima volta del calendario solare degli Egizi. Aveva iniziato una conversazione con un dotto, che appunto gli spiegò che l’anno si basava sul sole, misurandolo col sorgere eliaco di Sirio e le inondazioni del Nilo. La durata delle stagioni era di 90 giorni per l’estate e per l’autunno, e rispettivamente di 92 per l’inverno, 93 per la primavera (circa poco più di 365 giorni in tutto). Nel giugno del 47 a.C. Giulio Cesare ripartì per Roma, lasciando tre legioni a Cleopatra, rimasta incinta di lui. Il Senato lo nominò dittatore per altri 10 anni. Una statua di bronzo fu eretta in suo onore nel Foro e furono proclamati quaranta giorni di celebrazioni per festeggiare le sue vittorie.
Arsinoe, la sorella di Cleopatra, che aveva appoggiato gli avversari di Giulio Cesare, fu fatta sfilare in catene.
Nel primo semestre del 46 Cesare provvide alla riorganizzazione del vecchio calendario romano, una riforma che costituiva anche un potente simbolo.
Secondo Plutarco, Cesare si servì dei migliori matematici dell’epoca, tra cui primeggiava l’astronomo alessandrino Sosigene (risale a tale periodo il De astris, opera attribuita a Giulio Cesare, ma probabilmente non propriamente sua, bensì di Sosigene).
Il calendario romano si fondava sull’anno lunare di 12 mesi, cui occasionalmente venivano aggiunti, dai sacerdoti preposti, giorni e mesi, allo scopo di mantenere l’anno nei confini stagionali. Questo calendario si è era guastato sia per gli abusi, che per la sua imprecisione. Cesare stesso vi aveva contribuito, giacché aveva già detenuto la carica di pontefice massimo e – dal 52 a.C. – aveva inserito un mese supplementare per una volta soltanto. L’errore era quasi di due mesi. Secondo la leggenda era stato Romolo (nel 753 a.C.) a fondare il computo del tempo.
Il preteso calendario ‘romuleo’ aveva 10 mesi e l’anno si componeva di 304 giorni. Secondo Ovidio, era stato scelto il numero 10 come le dita delle mani e come i 10 mesi di gestazione (decem menses anche per Cinzia).
In realtà, il calendario romano dovuto a Numa si componeva di 12 mesi lunari e prevedeva 11 giorni a intercalare, più esattamente 22 giorni in un biennio.
L’anno iniziava dal primo marzo e prevedeva la distinzione tra kalendes, nones e ides. La maggior parte degli altri giorni del mese lunare non aveva un nome preciso. Ad es. l’ 11 marzo era definito come 5 alle Idi. Le idi erano il giorno 15.
Numa introdusse i mesi di gennaio (il mese delle ‘porte’) e di febbraio (il mese delle ‘febbri’). L’anno lunare era di 354 giorni, ma per superstizione rispetto ai numeri pari (distinzione tra fas e nefas) fu aggiunto un giorno (355).
Adottando il calendario greco di 365 giorni ¼, i Romani aggiunsero un mese ogni otto anni (il sistema dei giorni a intercalare dava luogo a un giorno in meno ogni 4 anni). I giorni fasti (cioè legittimi) caratterizzavano le ricorrenze.
Il nucleo della riforma cesariana del calendario era identico al sistema adottato da Tolomeo nel 238 d.C.: un ciclo di tre anni di 365 giorni, seguito da un anno bisestile di 366. Tale sistema impose poi la riforma gregoriana del calendario moderno.
Per riportare il calendario a un allineamento con l’equinozio di primavera, che la tradizione supponeva si verificasse intorno al 25 marzo, Cesare ordinò che due mesi ulteriori fossero aggiunti all’anno 46, uno di 33 e l’altro di 34 giorni, da inserire tra novembre e dicembre. Grazie a un altro mese già inserito a febbraio, l’anno 46 finì col durare 445 giorni (ultimus annus confusionis).
Per sistemare la riforma Cesare spostò il primo dell’anno da marzo a gennaio, più vicino al solstizio d’inverno. Il sistema dei mesi era di 30 o 31 giorni, ad eccezione di febbraio, che contava 29 giorni nell’anno normale e 30 giorni in quello bisestile. Successivamente il Senato trasformò in Iulius il vecchio mese Quintilis.
La riforma cesariana fu migliorata da Augusto nell’8 d.C., anche perché nel 44 a.C. il collegio dei Pontefici aveva iniziato a inserire un anno bisestile ogni tre anni invece che ogni quattro. Il Senato decise poi di onorare l’imperatore dando al mese Sextilis il nome di Augustus. Questo mese, che aveva già 30 giorni, adesso non poteva avere meno dei 31 giorni del mese Julius: per cui fu tolto un giorno al mese di febbraio. Il numero dei giorni di ciascun mese si sistemò per come vale anche oggi. Nel 10 a.C. Augusto fece costruire un grande orologio solare o meridiana orizzontale, utilizzando un obelisco, fatto trasportare dall’Egitto, che orna oggi Piazza del Popolo. Nessuno poteva fare a meno di osservare che Augusto era anche il signore del tempo.
Nello stesso periodo in cui Cesare stava mettendo a punto il nuovo calendario Cleopatra giunse a Roma insieme al fratello dodicenne, con lei regnante in Egitto, Tolomeo XIV. Probabilmente li accompagna Sosigene. Cleopatra, che aveva già partorito il figlio del dittatore, fu ospitata nella villa di Cesare, sul Gianicolo. A Roma fu scandalo.
L’arroganza di Giulio Cesare fu causa del suo assassinio, alle idi di marzo del 44, quando il Senato si era riunito per decretare una campagna militare in Partia, che avrebbe dovuto iniziare il 18 marzo. Colpito verso mezzogiorno da 23 pugnalate, Cesare spirò nella Curia. Nel mese di luglio di quello stesso anno comparve una vistosa cometa, di colore rossastro. La comparsa di questa cometa fu sfruttata a fini politici dal giovane nipote di Cesare, allora diciannovenne, Caio Ottaviano, destinato a diventare Augusto.
Perché mai queste vicende s’intreccerebbero con Properzio e con Assisi? Stiamo cercando di raccontarvelo. Non scordate le luttuose vicende della tragedia, per l’Umbria antica, del bellum Perusinum, la misteriosa e strana morte di Gallus (elegia I, 21), l’orientamento astronomico della domus Musae di Assisi (sfuggito a tutti), e il bellissimo tempio di Minerva, dal marzo del 12 a.C. ornato con la statua di Augusto pontefice massimo a riprova dell’importanza del grandioso monumento che si ergeva sulla pianura e della sua valenza lunare o significato calendariale, testimoniato in questo caso da un altare sacro dei 12 mesi dell’anno, anch’esso sfuggito alla comprensione degli archeologi. Ciò che vi stiamo narrando è cosa straordinaria e del resto corrispondente.
Il tempio di Minerva ad Assisi risaliva all’epoca della riforma cesariana del calendario, non a età augustea, ed è – esso stesso – collegato a Properzio segreto (tramite l’indovino Horos, il suo enigmatico oroscopo, e il discorso di riposta a Propertius). Ve ne convincerete scorrendo queste pagine e ritornando poi agli altri pezzi già presenti sul sito web misteridiassisi.it dedicato a verità nascoste ma dimostrabili. Il tempio di Minerva è l’ultimo edificio del grande foro di Assisi. Fu costruito un nuovo tempio, che sostituiva il tempio precedente, in quello stesso spazio, ornato dalla statua greca di Minerva che era preda bellica.
Nella zona archeologica di Santa Maria delle Rose, sondata dall’Antolini agli inizi dell’800, sono presenti reperti altamente significativi, mentre la facciata della chiesa cristiana, che qui insiste riflettendo preesistenze umbre, è perfettamente orientata a sud, guardando verso Bevagna. L’arco trionfale che vi si affianca conduceva a un bosco sacro posto sulle pendici del colle, di cui rimangono due antiche sorgenti. La zona templare era dedicata al culto di Giano, divinità dell’anno, di cui sono presenti in Assisi epigrafi d’epoca romana. Una porta dedicata a Giano padre, sorgeva poco più in alto, e il terreno oggi occupato dal castello federiciano era lo spazio sacro da cui, con allineamenti e traguardi, si ricavavano gli elementi essenziali del calendario agricolo, rispetto al sorgere stagionale del sole.
Assisi, il cui nome – in Properzio e sempre per bocca di Horos – sarebbe Asis, pur presentando affinità con la radice –as, nel significato di ‘acqua’ oppure di ‘luogo elevato’ o piccolo monte, in realtà è affine ad Axis – parola presente in alcuni codici properziani, il cui valore indica appunto un ‘asse astronomico’.
Si potrebbe pensare anche alla contrapposizione, funzionale e vitale di acqua e di fuoco, Asu in accadico è il Sole, mentre aso nelle Tavole i Gubbio è sinonimo di ‘calore’ o di ‘fuoco’. I colori del gonfalone medievale del Comune di Assisi erano il blu e il rosso, acqua e fuoco. Ma Asis-Axis in luogo di arcis (nel rispetto numerico delle 6 ‘esse’ presenti negli speculari esametri di IV, 1, 65 Propertius e IV, 1, 125 Horos), è la versione preferibile per indicare la piena corrispondenza tra Axis e Asis, pervenendo alla conclusione che Asis, toponimo alquanto sorprendente per i glottologi, significava in origine il luogo sommitale dell’insediamento primitivo di Assisi quadrata, posta sul versante est della collina, nella piccola gola che da quel lato va verso il monte Subasio, con riferimento al culto di Giano, divinità principe del mondo italico. Del resto tutta la zona circostante, compresa la prima propaggine del Subasio, cioè Monte San Rufino, è caratterizzata dalla presenza di numerosi castellieri umbri, oppida d’altura a forma di ellisse.
Il castelliere di Monte San Rufino, appena sopra di Assisi a quota 1099, è un importante sito archeologico poco noto e per nulla valorizzato, in cui sono stati scoperti nel ‘900 meravigliosi bronzetti votivi dedicati a Nerio-Marte.
Un singolare reperto d’epoca umbra (III-II secolo a.C.), qui di seguito riprodotto, rappresenta poi le 4 girali del moto lunare mensile e le 4 girali o spirali dell’anno. La connotazione simbolica, di tipo archeo-astronomico, non lascia dubbi rispetto alla disciplina di settore, in verità poco frequentata e conosciuta, molto spesso ignorata. Con la conseguenza esiziale che sulle antiche memorie di Assisi umbro-romana si è fatta confusione, come peraltro dimostra la situazione equivoca in cui si collocherebbe anche la domusMusae della Guarducci, ‘casa di poeti’ oppure ‘casa della poesia’, presunta casa di Properzio, rispetto alla natura archeologica del sito. La vera casa o domus di Properzio si trovava invece poco più a monte, ed è la c.d. “casa del larario”.
Se si va a consultare un saggio di archeoastronomia (disciplina recente, introdotta in Italia dal noto astronomo Giulio Romano dell’Università di Padova), ci si accorge che spirali simili sono state censite e classificate da Cossard nel 2010, nel preciso significato di spirale destrogira e spirale levogira con riferimento alle stagioni e alla loro alternanza, rispetto all’altezza del sole sull’orizzonte e alle date dei solstizi e degli equinozi. L’immagine è eccezionale sia per la sua collocazione in una zona archeologica importantissima ma sempre trascurata, che per il suo significato simbolico.
La secolare Accademia Properziana del Subasio in passato forse non disponeva di strumenti concettuali per afferrare aspetti simili. L’Accademia di oggi di tutto s’interesserebbe (minutaglie assai dotte, ricorrenze, celebrazioni, aspetti storici, folclore e costumanze, ritratti di personaggi, pubblicazioni impegnative), meno che delle presenze oltremodo affascinanti di un passato remoto apparentemente muto? Al contrario, la voce più autentica di Assisi sta in stupendi dettagli, in pietre risparmiate dalla pietà del tempo in nome del sacro, nella sua eccezionale continuità, poco appariscente, ma sempre viva e presente.
Le spirali del basso rilievo d’età umbra preromana, non solo rappresentano il tempo della luna con le 4 stagioni dell’anno, ma restituiscono i tratti di un’anima antichissima, voce e segno d’ammonimento per quest’epoca sciatta e profana.
Sarebbe bene riflettere e poi inchinarsi alla limpida verità della bellezza sacra, che è l’anima vera del tempo e dei suoi segni. Ammirate:
3* Properziosi riferisce al sidus Iulium in IV, 6, versi 59-60: At pater Idalio miratur Caesar ab astro: << Tu deus; est nostri sanguinis ista fides >>.
L’elegia sesta del quarto libro è dedicata al tempio di Apollo navale sul Palatino e alla celebrazione memoriale della decisiva battaglia navale nel golfo di Azio.
Il “grande Cesare”, alias Augusto, ha sconfitto una donna: Cleopatra. L’elegia commemorativa ridonda di elogi per il Principe di Roma, modulando – ma non imitando – l’occasione e l’intonazione del Carme Secolare di Orazio.
In questa elegia, che fa specchio alla III, 11 – assunta dal Paratore a modello dell’integrazione difficile di Properzio nel regime (da cui la formula successiva di “voci politiche in Properzio erotico”), cosa mai notata prima si rintracciano acrostici orizzontali e verticali, diluiti per evitarne la comprensione immediata, inneggianti a ISIS, vale a dire a Cleopatra “nuova Iside” (il titolo le competeva ufficialmente, con l’approvazione di Marco Antonio). Anche Cynthia, che nonseguiva i fasci, era seguace di Iside. Iside era stata evocata apposta nella elegia precedente della lurida lena Acantide. Il finale della III, 11 contiene un trucco magistrale: due volte la dedica ad ANTONIO ottenuta con suprema intelligenza in ripetizioni speculari di coppie di lettere – ANTONIO = IONOTNA – sia che il marinaio entri o lasci il porto.
Non dobbiamo guardare alle apparenze, alle circostanze elogiative, sebbene la stessa celebrazione di Augusto vincitore appaia comunque prolissa e insincera, talvolta ridicola nelle esagerazioni. Il tema generale era politicamente imposto dalla necessità, mentre il taglio specifico, rispetto alla celebrazione, insomma il momento topico, è una libera scelta del poeta. In questo spazio particolare, così selezionato, Properzio ha racchiuso i significati nascosti del suo atroce dissenso e persino del suo odio.
Ad esempio, per quanto alcuni critici abbiano avuto il sospetto che Properzio fosse stato filo-antoniano (a quell’epoca era ancora un giovinetto), l’ultimo verso della III, 11: Caesaris in toto sis memor in Ionio – o marinaio, sia che tu entri o chetu esca dal porto, memore tu sia in tutto il mar Ionio di Cesare vincitore ad Azio, si presta a questa metamorfosi: < Actio ore os sis memoris Antonii > – o marinaio, nel golfo di Azio sii tu la bocca di Antonio che ricorda (gioco di parole os - oris come ‘bocca’ e come ‘golfo’ o ‘insenatura’). Ma la cifra è ANTONIO come è stato già detto poco sopra.
La presenza dell’acrostico ISIS in IV, 6 (elegia che rendendo più ridicolo quel passo già visto dell’Eneide, in cui Augusto è vincitore sotto il segno divino della stella di Giulio Cesare, adesso lo vede schierato contro le navi di una sola donna, Cleopatra, mancando ogni riferimento a Marco Antonio), certamente inficia tutta la composizione. Si potrebbe obiettare che IS-IS è un’iterazione facilmente ricorrente in lingua latina, per nulla indicativa; ma se si va a guardare bene, si scorgono – nella frequenza e collocazione particolare di ISIS in certi passi, lì con le dovute cautele – i chiari segni dell’intenzione.
La costruzione maliziosa di IV, 6 ha il suo valore speciale. Properzio è un vate che in poche parole se ne frega di Augusto. Una lunga preparazione cerimoniale, pressoché solenne, che infine termina con lo scintillio del vino rosso versato nelle sue coppe al primo sorgere del sole. Così il poeta ha trascorso la notte. Nell’ombra i suoi velenosi aculei. Ottaviano era stato l’assassino spietato di Gallo a Perugia. Sono trascorsi all’incirca 25 anni (siamo nel 16, per il quindicennio di Azio). L’elegia è inserita tra quella di Cinzia ormai sul viale del tramonto, prostituita dalla lena Ancantide, e quella di Cinzia che riappare in sogno. A seguire ci sarà Cinzia più viva che mai, di nuovo presente sull’Esquilino, di ritorno da un rito sotterraneo a Lanuvio. Rito di fertilità, che Cinzia ha superato indenne (e lei una meretrice!). Ed è l’Esquilino di Mecenate, dove Properzio non abitava, ma dove dovevano essere riportate – da chi le avesse trovate – le perdute tabellae o cerae. Un ricco avaro (ancora Augusto, ed è lui il “nano Magno” di IV, 8) non potrà scrivere su di esse. Properzio non si è venduto al potere. Properzio segreto è una certezza. Lo dimostra anche l’aggettivo Idalio, riferito a Venere nell’evocazione del sidusIulium – ovvero la cometa rosso sangue comparsa nell’estate del 44.
Il padre Cesare, dalla stella di Venere, guarda ammirato Ottaviano, vincitore ad Azio. Perciò Tu seiun dio: ed è questa la prova in te del nostro comune sangue – così Properzio fa dire a Giulio Cesare. Ma anche questi versi, come altrove, si prestano a essere falsificati. Adit pater ab alio astro Caesar miratur: Ut deus; est nostri sanguinis ista fides. [qui il ‘comune sangue’ è quello di Gallo, padre di Properzio]. Non è Giulio Cesare, ‘padre’ di Ottaviano Augusto. E’ Gallo, il padre di Properzio, crudelmente trucidato, che adesso s’avanza come una stella mentre di lui ne resta ammirato Cesare da un’altra stella. Ed è la stella luminosissima di Venere, insomma di nuovo Iside, giacché Venere aveva anche quest’appellativo (Plinio II, 37).
In Virgilio (Bucoliche, IX, 47) l’astro del 44 è quello di Cesare Dioneo (con Dione madre di Venere oppure Venere stessa). Properzio ha mutato l’epiteto, rendendo così più certa e sicura l’indicazione di Iside – Cleopatra inserita come acrostico.
Il verso a seguire adesso è di una chiarezza meravigliosa: “Come un dio”; ed è questa la prova ‘certa’ del sangue comune (Properzio era figlio di Gallo, mentre Ottaviano era soltanto il nipote di Cesare, perché figlio di una sua sorella: sangue non paterno, dunque, ma sangue languido e indiretto!).
Ciò che di Properzio si pretenderebbe aver egli cantato in favore di Augusto, non solo non è spontaneo, suonando insincero, ma è veramente falso.
La IV, 6 qui in rapido esame, terminava con questo distico: Sic noctem patera, sic ducam carmine, donec / iniciat radios in mea vina dies – Così trascorrerò la notte, tra le coppe, cantandoun carme, finché / la coppa non scintilli ai raggi del giorno. Ancora una metamorfosi: < Sic necat patrem, sicam carmine duco, donec / incedit iis anima divina rosae > – Così uccide il padre mio, con un carme allora io reco la mia spada, finché / non penetri in essi l’anima divina della rosa >!
Gallo fu tra le vittime fatte sgozzare da Caio Ottaviano in onore di Giulio Cesare sulle arae Perusinae alle idi di marzo dell’anno 40. Il canto segreto di Properzio vale per tutti gli eroi dell’Umbria, morti a Perugia.
La spada uccide, il canto invece introduce in quelle vittime innocenti l’anima divina della rosa, il suo profumo immortale in luogo del sangue: quale riscatto migliore? Invano si affanneranno gli storici: trovino i Perusina sepulcra prima di argomentare solenni sciocchezze ideologiche.
Horos aveva anche il compito di smentire Propertius. Il poeta di Cynthia-Luna ha cantato un amore insano (strano assai) e ha cantato Augusto (ironicamente). La verità è altra: Propertius ha cantato in segreto l’Umbria avvilita da Ottaviano ed ha maledetto Augusto, principe di Roma assassina. Mai ne canterà i fati. Anche le parole di Propertius (cfr. IV, 1, vv. 67-70) sono false (e falsificabili).
Roma, fave, tibi surgit opus: date candida cives / omina… (Favorisci, o Roma, per te l’operasorge ecc.), si trasforma radicalmente: ROMA, CAVE OPUS: TIBI SURGITVATES, CANDIDA FIDE (il ribaltamento sta in fave trasformato in cave = ‘evitare’, ‘guardarsi da’). ORoma, guardati dalla mia opera: per te, sorge un vate di limpida fede.
E’ vero che il genere dell’anagramma è del tutto aleatorio, come nei risultati degli ambigui ‘responsi’ della Sibilla (cfr. Cicerone, De divinatione II, 111, ss.), ma Properzio segreto è veramente un caso differente. E non si fonda su anagrammi, soltanto. Ma su cifre certe, la cui autenticità è innegabile, una volta scoperte.
4* La prima attestazione di Corona Borealiscompare in Ferecide. Properzio scriveva elegie in quattro o in cinque libri dal 29 al 15 a.C. e la riforma cesariana del calendario era in pieno vigore, mentre l’astronomia dell’epoca era dominata dal neopitagorismo facente capo a Nigidio Figulo e all’insegnamento stoico di Posidonio (teologia astrale). Da poco una nuova costellazione celeste era stata coniata a Roma: si trattava del Caesaris thronus. L’atlante Farnese riporterebbe questa costellazione dedicata al trionfo celeste di Cesare. L’unica attestazione letteraria del Trono risale a Plinio (II,178). Nell’atlante Farnese il Trono sembra collocato a nord del Cancro. Il Cancro è il segno che ospitava il sole al momento della nascita di Giulio Cesare. La cometa del 44 sarebbe comparsa in questo segno, per cui non è chiara la distinzione tra il sidus Iulium (la cometa transitoria del 44) e il thronus Caesaris (una costellazione stabile).
La definizione di sidus Iulium – stella di Giulio Cesare ovvero dei Giulii – deriva da Orazio (Carmina I, 12, 47). Orazio ha dedicato l’ode ad Augusto. Cresce, oscura nel tempo, come un albero, la fama di Marcello, e l’astro Giulio brilla più di tutti, come fa la luna tra i pianeti. L’intento adulatorio è smaccato, iperbolico. Non fa certo onore a un poeta, che come Archiloco, finse di aver smarrito lo scudo in battaglia o di essere stato salvato da una nuvola. Orazio militò a Filippi, tra le schiere dei cesaricidi con Bruto e Cassio. Ma Orazio si era adeguato e adesso tesseva le lodi del Principe (siamo dopo l’anno 27, ben lontani dal 44).
L’astro Giulio qui significa che Augusto è l’astro assoluto di Roma. L’eredità di Cesare era un fatto ormai stabilito. Caio Ottaviano dal 44 in poi aveva superato tutte le prove. Sconfitti Marco Antonio e Cleopatra, sebbene a Roma perdurasse per così dire l’istinto repubblicano, Augusto era l’egemone incontrastato: stava nascendo l’Impero. Orazio ne è consapevole e per quanto strettamente legato a Mecenate, che dal 23 in poi subì un oscuramento, sa mantenersi in equilibrio rivendicando i suoi privilegi.
Virgilio, vittima delle requisizioni che avevano colpito anche Mantova, cooptato da Mecenate, e poco dopo si aggregava Orazio, anche lui si rese conto della politica di Ottaviano e la assecondò. Siamo nella fase triunvirale, Ottaviano esercita poteri in Italia. Si è registrato un accordo, la pace di Brindisi. Le Bucoliche, composte tra il 41 e il 38, riprendono i temi siciliani di Teocrito e anticipano il felice destino di Ottaviano. Dafni, perché osservi il sorgere antico degli astri? Ecco, è apparsa la stella di Cesare Dioneo, per cui i campi si allietano di messi e l’uva prende colore sui colli soleggiati… (ecloga IX, vv. 46 ss.).
Questo passo si riferisce anch’esso alla comparsa del sidus Iulium nella tarda estate del 44, pochi mesi dopo l’assassinio di Giulio Cesare nella Curia.
Tutto porta via il tempo, anche la memoria. Non sarà così per i Giulii, Cesare e suo nipote Ottaviano, che sulla Storia imprimeranno ciascuno il proprio sigillo.
Anche nell’Eneide, iniziata nel 29 e mai terminata (l’edizione del poema, che Virgilio in punto di morte avrebbe voluto distruggere, fu curata da Vario Rufo e Plozio Tucca, e l’opera fu pubblicata nel 17, due anni dopo la morte del poeta, che comunque seguitava a destare sospetto), ci sono riferimenti al sidus Iulium.
Oltre che nelle visioni dello scudo di Enea, vi si accenna altrove. Nel secondo libro, quando la fiamma lambisce il capo di Iulio senza bruciarlo (v. 682 e ss.), è una cometa che appare ad Anchise (v. 693 e ss.). Anche nel primo libro è forse possibile scorgere un’allusione al sidus nelle parole rivolte da Giove a Venere sui futuri destini degli Eneadi (v. 286 e ss.). Un’altra allusione (V, 527 e ss.) compare nella similitudine tra la freccia scagliata da Aceste e un sidus crinitum.
Se per caso la Storia avesse premiato Hitler o Stalin, davanti a quali monumenti letterari ci saremmo ritrovati? Perché fare un’eccezione per Augusto? La grande letteratura è forse affetta da un male grave, consistente nell’alterazione della verità? A questo punto, ‘Properzio segreto’, in tutto e per tutto, somiglierebbe a un eroe, e, prima ancora, a un genio assoluto. La Storia è arcana quanto la Vita. E’ un enigma, e i versi del Cantico dei Cantici aenigmata sunt illa. Quanto il Quoelet.
Virgilio e Orazio molto si piegarono al potere, Properzio invece mentì. Quant’è grande l’arte? Qual è la sua autonomia? Virgilio dovette rifare la dedica delle Georgiche, dopo la caduta in disgrazia di Cornelio Gallo nel 26 (nell’anno 30 a. C. importante generale romano nella campagna d’Egitto contro Marco Antonio e Cleopatra,e prima ancora poeta elegiaco d’amore). Gallo fu costretto al suicidio e Properzio (II, 34) così lo ricorda: Gallus, mortuus inferna lavit vulnera acqua! – Gallo, morto da poco, lavòle sue ferite nelle acque infernali!
Il terzo libro delle Elegie [ma nulla a che vedere con gli Amores in quattro libri di Cornelio Gallo che fu uno degli ultimi a vedere ancora in vita Cleopatra a Canopo: e il presunto suicidio di Cleopatra è assai sospetto!]così terminava: Has tibi fatalis cecinit meapagina diras: / eventum formae disce timere tuae! – Queste fatali maledizioni contò la mia pagina: impara a temere la fine della tua bellezza! Meritava “Cinzia” queste ‘maledizioni’, per ricomparire nel quarto libro, in modo a dir poco struggente, ed infine trionfante, dando alle Elegie la potenza e il fascino di un mistero? C’è sempre qualcosa che non quadra. Ambigua anche la figura dell’etrusco Mecenate, di sorprendenti costumi e abitudini, che nella fase cruciale dello scontro di Ottaviano con Marco Antonio e Cleopatra era per così dire l’occhiutissimo ministro degli interni di Ottaviano a Roma.
L’elegia 26 del secondo libro – Cinzia in sogno, che ha fatto naufragio nello Ionio e rischia dunque di affogare, le chiome appesantite dall’acqua – è un capolavoro di allusività. Tutto è doppio e tutto sta insieme: Cinzia e Properzio sono una cosa sola. Morire sul corpo di Cinzia (“un cuore e una capanna”) sarà destino non inglorioso. I fiumi della Grecia si rivolteranno, e qualcuno dirà: Sorgi, poeta, dalnostro talamo!Nessuna tenebra oscurerà le stelle, purus et Orion, purus et Headus erit –puroOrione e puro anche il Capretto.Anche qui,un’immagine astronomica, molto importante e criptica, che sembra rifarsi a Virgilio, egloga IX, acrostico HAEDO (al dativo). Sorgi, o Poeta, dal noto Rostro del Foro! Ma Apollo glielo impedì. Non erano quelli tempi di libertà.
Il tema del sidus Iulium non appartiene in modo esclusivo alla letteratura latina d’età augustea, in senso elogiativo e mitico-astronomico (teologia astrale); ma investe anche la portata o gamma d’estensione di ‘Properzio segreto’.
In queste pagine di appunti (non è agevole muoversi all’interno del labirinto delle Elegie) stiamo cercando i punti caldi dell’intera questione. Un filo collega i vari momenti e l’eruzione vulcanica dell’odio inestinguibile è trattenuta nei pori di versi tenuicome pomice. Ma il petto di Properzio era tutt’altro che angusto e le sue ricusazioni verso l’epica in favore dell’elegia rappresentavano la denuncia della poesia cortigiana imposta dal Principe.
Povero Virgilio, cui il grande poema dell’Eneide, folle saga dinastica di Augusto, fu estorto con ordini severi e anni di fatiche non terminate. Virgilio, lui l’insonne. Mentre Cinzia, come Tarpea, per amore fu schiacciata sotto gli scudi dei Sabini conquistatori del Campidoglio.
Il circolo letterario di Mecenate sull’Esquilino non era l’unico circolo di Roma, ma fu il principale, grazie al talento del grande etrusco nell’associarsi cavalli di razza. Mecenate assecondò Ottaviano, lo sostenne, e gli fu accanto. Tra i due correvano alcuni anni. Ottaviano era più giovane. Mecenate riteneva che la monarchia fosse preferibile alla repubblica, causa di lunghi contrasti sfociati nelle guerre civili, ma si poneva – accanto al problema dinastico – quello dei limiti del principato. La volta augustea fu determinate. Tutto cambiava. Forse Mecenate si pentì. Non lo sappiamo. Le fonti credute finora attendibili forse non lo sono. Properzio segreto ci rivela quanto avremmo dovuto sospettare, cioè che fu appoggiato da Mecenate prima del suo esordio poetico a Roma nell’estate del 29 (all’età di 19 anni). Si riesce a comprendere anche l’elegia di Vertumno (IV, 2), cangiante divinità etrusca, da Volsinii trasferita a Roma nel Vicus Tuscus.
Forse Mecenate si era illuso che appoggiando Ottaviano sarebbe stato rallentano il declino degli Etruschi e che le vecchie aristocrazie ritrovassero dignità. Fatto che è anche il grande Mecenate cadde in disgrazia. Rivelatore però il suo chiaro atteggiamento di totale estraneità e indifferenza verso cariche politiche e onori. Mecenate rivendicava la sua autonomia e la sua libertà. L’età augustea ebbe fasi diverse, svolgendosi intorno al delicato equilibrio della primazia del Principe e del rispetto formale del precedente assetto e dei vecchi valori costituzionali. I mutamenti sorgevano poco a poco, ritualizzati dal potere. Tuttavia Ottaviano aveva agito sempre e soltanto per acquistarsi il potere. Con la corruzione del denaro e la spietata intelligenza che cinicamente lo caratterizzava, nonostante la salute precaria. Augusto fu il fondatore di un impero criminale. Non c’è altra verità, sebbene nell’epoca di Augusto nacque Gesù in Palestina, patendo sotto Tiberio. L’impero criminale fu la Via di Cristo per la Storia della Salvezza.
5* La cometa di Giulio Cesare – igne cruento secondo la descrizione di Calpurnio Siculo – comparve in cielo, sul far della sera, verso occidente. Così si mostrano le comete: all’alba, prima del sorgere del sole, o subito dopo il tramonto. La cometa era di colore rosso-sangue (a forma di sica). Astro crinito, fu osservato sul cielo di Roma per molte sere. L’evento fu associato ai giochi celebrati da Ottaviano dopo la morte di Cesare, i ludi Victoriae Caesaris. Cesare li aveva istaurati nel 46, celebrandoli il 24 o il 25 settembre, a seguito di un voto formulato alla vigilia della battaglia di Farsalo. L’inizio dei Ludi del 44 dovette cadere verso il 20 luglio a seguito della riforma del calendario. Il richiamo di Virgilio nella IX egloga all’astro Dioneo lascia intendere un periodo che andava dalla raccolta delle messi alla vendemmia.
Il transito orbitale attorno al sole di una cometa si rende visibile per un certo periodo, dopo di che il fenomeno scema per l’osservatore a occhio nudo. Le comete di color rossastro erano associate a sventure, ma questo fattore giocò viceversa a favore: Cesare era stato assassinato a colpi di pugnale, e adesso il suo sangue appariva dalla volta celeste, come in segno di gloria.
La situazione fece buon gioco a favore di Ottaviano: da qui – ex post – (tranne Virgilio?), la celebrazione ‘astrale’ dell’evento. Ma potrebbe sorgere il dubbio di una riscrittura della IX egloga di Virgilio, in cui si affermava profeticamente ante tempus che più non occorre osservare la levata degli antiqua signa, ma all’opposto – dalla parte nord-ovest del cielo sul far della notte – s’è adesso levato un “segno” decisivo per i destini dell’orbe (cioè una nuova epoca di cui i nipoti coglieranno i frutti). Questa ipotesi ha indubbiamente il suo peso.
L’impressione enorme destata tra i romani a causa della cometa, subito associata a Cesare e sfruttata da Ottaviano, lasciò certamente un segno: il temponon ne portò via la memoria. Ed è questo il senso del passo virgiliano (che dovrebbe risalire al 40-39, ma che va riconsiderato di nuovo, al tempo di Augusto, dopo l’anno 27). Anche le Bucoliche sono opera arcana. Una misteriosa architettura. Dal verso 43 al verso 51 (ogni tre versi: uno si è uno no), abbiamo l’acrostico HAEDO (“al Capretto”). Qui, Meri,cantiamo; qui deponi i capretti (haedos), al verso 62.
Verso 43 Huc ades; insani feriant sine litora fluctus
Quid, quae te pura solum sub nocte canentem
Audieram? Numeros memini: si verba tenerem!
Daphni; quid antiquos signorum suspicis ortus?
Ecce Dionaei processit Cauesaris astrum,
atrum, quo segetes gauderent frugibus et q
Duceret apricis in collibus uva colorem.
Inserere, Daphni, piros; carpent tua poma nipotes.
Verso 51 Omnia fert aetas, animum quoque: saepe ego longos…
L’acrostico di Virgilio Haedo è stato disposto tertioque versu. In Properzio l’Haedus, il Capretto al singolare, è prova certa del riferimento alla criptografia virgiliana. L’associazione fatta da Properzio tra Orione e il Capretto è anch’essa importante. Pura su nocte riguarda Cinzia. Properzio ha ripreso lo spunto virgiliano del Capretto (Haedus) situato nella costellazione dell’Auriga e vi ha aggiunto la costellazione di Orione. L’egloga IX iniziava con due contadini, Licida e Meri, che si recano in città, lamentandosi delle espropriazioni. O caro Licida, a tal punto siamo giunti che uno straniero diventato padrone, questo dice: “E’ roba mia, andatevene, vecchi contadini”. Ora vinti e rattristati, poiché il Caso muta ogni cosa, gli mandiamo questi capretti (Haedos), ma non gliene venga bene.
Gallo era stato crudelmente trucidato a Perugia, si procedeva alle espropriazioni di terre anche nella vallata centrale dell’Umbria antica (non prima, ma dopo il bellum Perusinum). Il passo virgiliano è stato ripreso da Properzio in questa chiave nascosta, nonostante l’ambiguità di Virgilio, che aveva subito espropri, si dice poi rimediati per intercessione di Cornelio Gallo. La notte è pura, Cinzia in sogno starebbe per affogare nello Ionio, ma tutto alla fine è volto al meglio. Nessuna tenebra renderà a noi oscure le stelle. Luminoso è Orione, e rilucente è il Capretto (puri et purus). La notte – già tempestosa e travagliata – è pura.
I Capretti sono due stelle della costellazione dell’Auriga. La leggenda descrive l’Auriga come il cocchiere che trasporta una capra sulle spalle e che regge due o tre capretti in una mano e una frusta nell’altra. L’astro Dioneo di Giulio Cesare sovrasterebbe (imminet) il “capretto” (haedo, al singolare). Il VII idillio di Teocrito fu il modello della nona egloga di Virgilio. Ma è questa la nota politica introdotta da Virgilio in favore di Ottaviano, nipote di Giulio Cesare (abbiamo già enunciato una riserva critica circa l’originalità temporale di questa egloga IX).
In Teocrito la notazione astronomica è incentrata sui Capretti, volti a occidente, mentre Orione tramonta. L’acrostico virgiliano è voluto, non è frutto del caso. Properzio ne era a conoscenza, quando compose l’elegia 26 del secondo libro.
Ipsaque sidera erunt nullis obscura tenebris, / purus et Orion, purus et Haedus erit.
Properzio snida in Virgilio il calco teocriteo (Orione e il Capretto, al singolare). Pura era la notte e puriOrione e il Capretto (Haedus). Le stelle scintillavano.
Cinzia (in II, 26) non è menzionata; ma s’intende che è sempre lei. Lei, Cinzia, è la ragione bellissima – unica cura – del sommo doloredi Properzio. L’elegiaco d’amore affidò a Cinzia la sua gloria e la sua stessa vita? Certo che no!
Il paradigma tradizionale, non importa se qui adesso da me banalizzato, sul presupposto retorico che i poeti elegiaci si rifarebbero sempre o quasi a vicende personali, consisterebbe nel fatto che una certa “Cinzia” reale esisteva a Roma, padrona e tiranna assoluta dei sentimenti (esagerati) di un poeta d’amore (tanto fragile?), a questa donna (assai strana) follemente dedito come suo unico scopo di vita. “Cinzia” – in realtà – non è mai esistita. Per la semplicissima ragione che questa donna bizzarra e paradossale – ambigua matrona, per il resto meretrice: e la pretesa distinzione da una quadrantaria è artificiale e surrettizia – certamente non poteva essere accostata a Mecenate e ad Augusto. In specie nell’epoca della riforma censoria dei costumi, se avesse avuto, appena, il più lontano riscontro con una donna reale, riconoscibile e individuabile a Roma, una grande città, ma non così immensa da poter nascondere un amore simile, in particolar modo per un poeta ormai ben noto, appartenente al circolo ufficiale di Mecenate.
La finzione letteraria di Cinzia è evidente in sé. Lo è anche in questa elegia, concepita come allegoria, col sorriso del trucco che funziona e la visione in sogno che è potente nella sua ingenuità e parimenti nella sua estrema malizia letteraria di molti generi. Nessun possibile raccordo tra la vita privata del poeta, cantore di “Cinzia”, che non poteva essere ostentata in quelle circostanze preclusive, e l’esibizione di un amore letterario in linea diretta con la storia della poesia antica. E dunque: allora chi sarebbe Cynthia? Perché Properzio avrebbe ‘amato’ follemente quest’unica donna ‘insistente’? Perché il primo canzoniere d’amore per Cinzia, il Monobiblos, contiene – al suo termine – un enigma esistenziale apparentemente irresolubile? Per quale ragione il primo libro delle Elegie, che iniziava sul calco di un epigramma efebico di Meleagro, noto poeta alessandrino, contempla in I, 20 un altro mito efebico, quello del giovinetto Ila, amasio di Ercole, rapito nei gorghi dalle ninfe della acque? A che cosa intendeva alludere Properzio, giocando ancora una volta sulle ambiguità, tra l’altro in un’eco riflessa di polemica letteraria apparente tra Virgilio e Cornelio Gallo (egloga X)?
“Orione” è un gigante, e dalla cintura gli pende una spada. La costellazione è tipicamente invernale: nella stagione opposta, l’estate, volge al tramonto. Tre mesi dopo il suo sorgere, a marzo Orione passa in culminazione. Quella di Orione è la massima costellazione dell’emisfero boreale.
Un capretto rappresentava l’offerta votiva più sacra alla divinità non solo per gli Ebrei. E una cometa di color del sangue, il sidus Iulium, nel 44 fu associata all’assassinio o sacrificio di Giulio Cesare. La cometa, comparsa nel mese di luglio del nuovo calendario romano, indugiò in Auriga, nei pressi dei Capretti. Caesaris astrumimminet haedo. Pura sub nocte, l’astro di Cesare sovrasta ‘al Capretto’. Se l’egloga IX di Virgilio rimontasse in origine all’anno 40 a.C. (quando GallusPropertius fu sacrificato a Perugia dalla crudeltà di Ottaviano), allora Properzio ancora una volta avrebbe inteso alludere al sacrificio di suo padre servendosi di Virgilio.
Le stelle rifulgono, Orione è altrettanto puro come il Capretto. La volta celeste ha assorbito, nella sua maestosità placante, il dramma di una morte terribile: Gallo, sgozzato come un capretto (haedus) sull’altare di Cesare alle idi di marzo del 40. Si dirà che a tanta crudeltà, Ottaviano non poteva arrivare; ma le fonti storiche inchiodano l’interprete. Circa trecento persone, i capi locali della rivolta, furono mattate, come bestie, sull’altare di Cesare, e il sangue scorse a ifiotti: moriendum esse, “devi morire”, ripeteva il truce Ottaviano a chi invocava pietà (Svetonio).
Il volgo, che quattro mesi prima, commosso dall’elogio funebre pronunciato da Antonio e sconvolto dalla vista della toga insanguinata di Cesare, aveva cremato nel foro il corpo dell’ucciso, nelle sere di luglio dell’anno 44, allo spuntare della cometa di color rosso sangue, vi colse il segno celeste. Ottaviano collocò l’effige della stella sul capo di una statua di Cesare. Nel 42, nel foro di Cesare, fu dedicato un tempio al Divo Giulio, con l’immagine di una stella sul timpano (Ovidio, Fasti II, 144). Fu per tale ragione che Properzio intese ricordare che la Cynthia (II, 20) ovvero Monobiblos, era stata letta in tutto il foro (II, 24: toto Cynthia lecta foro), il foro delirante, che Apollo negò al poeta avviato alla carriera forense, secondo le parole allusive di Horos. Cinzia – in una lontananza settembrina – adesso non più donna elegiaca della grande città, bensì amante agreste come in Tibullo, porterà un po’ d’incenso in un sacello disadorno e un capretto (haedus) cadrà ante focos (sulle braci dell’ara). Il labirinto delle Elegie svaria da un angolo all’altro, per mille meandri, certe parole si rincorrono, ma la “parola chiave” rimane ossa, al plurale. Gallus Propertius è il segreto dell’Opera immortale di suo figlio.
L’OROCOPO DI HOROS
1* L’elegia Propertius-Horos fu scritta per ultima. Le era stato affidato il senso arcano dell’opera intera, unum opus. Che le Elegie fossero un’opera letteralmente ingannevole, e non suadente o piacevole (fallax opus), è provato dalla scoperta di crittografie intenzionali nella sfragìs del Monobiblos e altrove in passi decisivi per la loro importanza. L’estensione di Properzio segreto si riflette in Propertius-Horos (e viceversa). Ovviamente, è un dato necessario: del resto testimoniato dallo sdoppiamento. Se non si accetta questa considerazione, allora l’opera unica non è più unitaria, e, pertanto, si smarrisce totalmente il ruolo di Vertumnus (elegia IV, 2) e il significato [non apparente o superficiale] del compito affidato da Propertius a Horos. Al limite del trucco e dell’inganno, l’ambiguità formale si risolve invece in una scelta sostanziale: o si tratta di un capolavoro nascosto, oppure dobbiamo prendere le Elegie alla stessa stregua di altre opere d’epoca, per cui Properzio avrebbe copiato da Tibullo (oppure il contrario), ma i calchi letterari non rivelerebbero un “genio” in assoluto quale Properzio pretende di essere e proclama di se stesso. Persino più grande di Omero! Ma era vero: Properzio è un genio in assoluto, più unico che raro, in tutto il panorama della letteratura mondiale. Il personaggio enigmatico e apparentemente inspiegabile di Horos ha il compito delicatissimo di falsificare Propertius secondo inganno.
Il poeta fu costretto a migrare da bambino a Roma, cpon sua madre, subito dopo la morte del padre. L’Esquilino di Mecenate fu un ricettacolo giovanile, ma la sua “casa” romana non era in quei paraggi. Abitare sull’Esquilino è una metafora che si rende necessaria ai fini della elegia 23 del terzo libro sulle tabellae smarrite.
Probabilmente Mecenate era imparentato con i Volcacii, che a loro volta erano imparentati (affini) con i Propertii. Fu Mecenate a temperare il giovinetto e a condurlo sulla via del successo, ovviamente fingendo pure lui (fallax opus).
La grande elegia proemiale del quarto libro completa i dati biografici e stabilisce il canone ermeneutico. L’unità è garantita da questo rigore razionale stretto, che se non compreso, comporta come conseguenza la permanenza di zone d’ombra e di decine di enigmi irresolubili. Se si pretende – come pure ha fatto Wolfgang Hubner – di isolare l’oroscopo di Horos dal contesto segreto cui aderisce, in relazione a Propertius, apparentandolo all’oroscopo di Orazio (Carmina II, 17), non solo si commette un errore metodologico, ma si finisce per fare il solito buco nell’acqua (dal confronto tra i due oroscopi non emerge nulla d’importante).
Propertius si è trovato nella condizione esistenziale di cantare l’amore (l’elegia è canto d’amore, ma è anche compianto funebre), se appunto intendeva poetare.
La celebrazione epica – vale a dire il poema di regime – non gli si addiceva per la semplice ragione che Ottaviano era stato l’assassino del padre. Il successo della Cynthia, operetta giovanile ma già di grande raffinatezza formale, comportò di rigore l’impossibilità di ignorare Gallus. Il genio aveva ben chiaro il suo progetto, l’opera una. Dietro lo scudo ermetico di Mecenate, Properzio farà di necessità virtù. Intanto è chiaro e lampante che nessuna donna riconoscibile a Roma poteva essere poi accostata al nome di Augusto. Cinzia è una creazione letteraria, un pretesto poetico, nella cui condizione di donna elegiaca, Properzio ha inserito e trasformato la sua vulcanica potenza poetica, che nasceva da ben altra sorte.
Il ‘sigillo’ – formalmente anonimo – del Monobiblos distacca l’opera unica in due parti: il prima, e poi il dopo rispetto al successo iniziale. Il raccordo tra il primo e il secondo libro (anzi i tres libelli dedicati a Persefone), è chiarissimo: Tulle, tu quaeris – Vos quaeritis. Tu mi chiedi chi io sia, e voi mi chiedete da dove provengano questi versi d’amore. Non è Apollo, non è Calliope: è Cinzia. Eppure Cinzia non esisteva, e questa donna non poteva nemmeno essere. Properzio se n’è fatto strumento ai propri fini. Adesso potrà cantare Augusto, beffandolo, e riuscirà a farsi scudo di Mecenate, venuto finalmente allo scoperto senza rischio.
Nessuna opera epica potrà essergli estorta da Augusto. Cinzia – e Mecenate – gliel’hanno permesso. Ciò che si celava nel sigillo del Monobiblos può allargarsi ancora di più col crescere delle Elegie. Fino a raggiungere l’orlo culminante della semitrasparenza:ed è l’integrazione difficile, sono le voci politiche in Properzio erotico. E per il futuro nei secoli? A questo compito provvedono rispettivamente Horos e Vertumnus, falsificando Propertius. L’indovino verace Horos e Vertumnus non sono stato compres a fondo perché prima di tutto occorreva snidare la specificità delle crittografie properziane, come il SIC in I, 22 e il MANE in III,10. Perciò anche il bel saggio del raffinatissimo Maurizio Bettini – intitolato “Il dio elegante: Vertumno e la religione romana”, Einaudi 2015 – rimane in superficie, ignorando l’astuta malizia di Vertumnus, che succedeva a Horos, dal fallax opus al unum opus. Ante pedes – davanti ai piedi e con i “versi” del dio cangiante, posto nel vicus Tuscus – Properzio celebrava il suo mistero esistenziale: la rinuncia al “Foro delirante”, ma “Cinzia letta in tutto il Foro”.
Lo schema essenziale della IV,1 ed della IV, 2 consiste nell’auto-qualificazione della propria opera e nel ritorno definitivo da Roma ad Assisi (è già chiaro secondo lo stesso asse geografico sud-nord, che allinea Roma ad Assisi, passando per Bevagna), Il raccordo autobiografico col sigillo del Monobiblos è la prova principale di questo schema. Horos corregge la prospettiva anche per i secoli futuri, il suo oroscopo individua il vero obiettivo: Caio Ottaviano Cesare Augusto. L’arte di Properzio è nata sotto gli auspici di Minerva, la dea della saggezza. Le antiche lacrime si rinnovano, giacché egli è il poeta occulto dell’Umbria avvilita da Ottaviano nel bellum Perusinum. Ciò che non poteva essere mai dichiarato, dapprima fu suggerito e poi venne ripetuto. Vertumno è servito per ribadire che l’opera destinata all’inganno, rimaneva unitariamente se stessa. Le Elegie sono il duello segreto tra Gallus di I, 21 e Ottaviano Augusto. Qualcosa di molto più grande e potente dei duelli omerici nell’Iliade e della sublime astuzia di Ulisse, mentre l’Eneide è rimproverata al grande Virgilio delle Buciliche e delle Georgiche. Ad esempio, in II, 16 ritorna il tema del venale e rozzo pretore dell’Illiria (alias Ottaviano), nel corso della quale elegia si torna a parlare della vittoria di Azio (dare terga carinis). Cesaris haec est virtusetgloria Cesaris haec est: illa, qua vicit, condidit arma manu – Questa è la virtù di Cesare e questa è la sua gloria: con quella stessa mano che vinse, seppellì anche le armi… Bastano pochi tocchi per falsificare il distico e sovvertirlo: Cesaris haec virtus et gloriaCaesar hic aes est: illa, qua vicit, condidit arma manu – Di Cesare Ottaviano queste la virtù e la gloria: qui Cesare è un asse, una moneta. Con quella stessa mano vincente, egli nascose le armi… Insomma, la gloria di Cesare Ottaviano consistette nella corruzione e nel denaro, anziché nelle virtù militari (il che è sostanzialmente vero, ed è la verità anche per quanto riguardava il bellum Perusinum, scontro decisivo per i futuri destini Ottaviano). Arma in Properzio è anche sinonimo di attributi sessuali. Mai Augusto avrà il “talamo” di Cinzia! Properzio va letto e capito così, tutto il resto è posticcio, ed è una illusione fatta di apparenza e di poesia erotica, altra faccia della medaglia. Da qui la critica radicale di Paul Veyne agli erotici latini, che pur ignorando le ragioni profonde di Profonde di Properzio, cioè ovvero la verità, denunciava il Signor Ego dell’elegia romana.
2* La monetazione d’epoca (Denarii e Aureii di M. Sanquinus nel 17 a.C.) riportava il simbolo della cometa del 44. In quest’epoca(il quarto libro delle Elegie è databile all’anno 15), era fiorita a Roma la “teologia astrale” attraverso l’astrologia. Alla divinizzazione di Giulio Cesare, seguirà in vita la divinizzazione di Augusto (Caesar deus in Properzio). Al “Principe” fu assegnato un destino astrale (in altre parole, lo reclamava lui stesso, nell’esercizio del potere). Nel proemio delle Georgiche (I, 32 – 35) Virgilio prefigurava il catasterismo di Caio Ottaviano nell’ambito della apoteosi al termine del suo soggiorno terreno:
Anne novum tardis sidus te mensibus addat,
quo locus Erigonen inter Chelasque sequentis
panditur (ipse tibi iam bracchia contrahit ardens
Scorpios et caeli iusta plus parte reliquit).
…E tu sopra tutti, Cesare, di cui soltanto ignoriamo in quale divino consesso sarai accolto dopo questa vita, se sceglierai di proteggere le città, di assistere la terra, se l’universo infinito ti assumerà, incoronato col mirto di Venere, creatore e signore di messi e tempeste; o se dio diverrai del mare immenso sino all’estremo limite di Tule, unica divinità sacra ai marinai, e Teti ti vorrà genero col dono di tutte le onde; o se nei giorni più lunghi dell’anno ti aggiungerai nuovo astro in cielo là dove uno spazio si apre tra Erigone e le Chele vicine (e in fiamme Scorpione già ritrae le braccia per lasciarti più del luogo dovuto).
Povero Virgilio, prostituito al potere! Potremmo sostituire Stalin ad Augusto, ma non avremo un altro Mendel’stam a fare giustizia, se non Properzio segreto: … Le sue dita dure sono grasse come vermi, le sue parole esatte come fili a piombo… Chi miagola, chi stride, chi guaisce se solo lui apre bocca o alza il dito… [Da qui ha tratto ispirazione Adriano Guerrini per “La Storia”, 1975: Chi e Chi, ma pochissimi gli Uomini].
Il proemio della Georgiche indica che l’opera fu rivisitata dall’Autore in una seconda edizione. Risalendo in origine all’anno 37, una parte del quarto libro fu espunta, dopo la “damnatio memoriae” di Cornelio Gallo (anno 26). Certamente l’elogio di Ottaviano investe già l’Augusto. Era il prezzo da pagare al potere. Properzio fu l’unico dei grandi poeti romani a non piegarsi al Principe (sebbene Tibullo, grande amico di Orazio, ignori Augusto).
Il tema astrale virgiliano – novum sidus – allude alla sede celeste destinata a Ottaviano Augusto nella zona che si apre tra la costellazione della Vergine (Erigone) e lo Scorpione, vale a dire la costellazione della Bilancia (Libra). In attesa del nuvum sidus lo Scorpione ha ritratto le sue braccia (Chelae).
Trasferiamoci adesso sull’Esquilino – dove Properzio non abitava, ma risiedeva poeticamente – e rifacciamoci alla elegia IV , 8 – con Cinzia più viva che mai che detta nuovi patti d’amore. Properzio si era preso uno svago. Festeggiava con Petale e Lalage, servito da Ligdamo (lo pseudonimo del giovane Ovidio al Circolo di Messalla). Magnus – et magnus Caesar – è qui un nano dalle corte braccine, che si agitava al suono dei tamburrelli e dei crotali. Come non ripensare alle bracchia dello Scorpione nel proemio alle Georgiche?
Properzio segreto s’imponeva già attraverso striscianti analogie, se si ha appunto presente il filo del labirinto (Daedalium iter in II, 14). Ogni volta è una sorpresaì; ma il tema dominante nell’ombra è la ‘glorificazione celeste’ delle povere ossa di GalloProperzio.
Con la riforma cesariana del calendario i solstizi d’estate e d’inverno cadevano nel segno zodiacale del Cancro e del Capricorno, mentre gli equinozi avvenivano nell’Ariete e nella Bilancia. Il segno di Cinzia è il Cancro.
Il tema astrale di Augusto -ripetuto anche nella monetazione – dipendeva dal momento della nascita. Si trattava della Bilancia. Il Capricorno venne però presentato come mezzo attraverso il quale il nume di Augusto raggiunse il cielo, in quanto si trattava del segno genitale al momento del concepimento. Abbiamo cioè i materna astra e i cognata sidera. La Bilancia e il Capricorno.
Ad Apollonia (nell’Epiro, prossimo all’Illiria) l’astrologo Teogene, interpretando il tema natale, si prostrò davanti a Ottaviano, per il futuro regale assicuratogli dagli astri (Svetonio).
Nell’ 11 a.C. Augusto vietò agli astrologi di svolgere la loro attività, rendendo pubblico il suo tema natale. Accanto al tema della Bilancia è ampiamente documentato il favore accordato dal Principe di Roma al segno del Capricorno.
Fu coniata anche una moneta d’argento recante l’emblema del Capricorno. Perché due segni? Una riposta verrebbe dal fatto che il 23 settembre dell’anno 63 corrisponderebbe in termini di calendario giuliano al 17 dicembre. Un’altra spiegazione fa leva sul fatto che la sede della Furtuna si colloca nel Capricorno o Cornucopia. Il 19 a.C. fu coniata una moneta, un denarius, con tale ultimo emblema. Una terza ipotesi ha riguardo al fatto che il Capricorno ospitava il sole al momento della nascita di Caio Ottaviano. L’adozione ufficiale del segno del Capricorno ne testimonia comunque l’importanza. Quando comparve il sidusIulium (20 luglio del 44), sorgevano i primi gradi del Capricorno. I cognata sidera si riferiscono dunque alla fortune di Augusto associate a quelle di Cesare, e ciò rappresentava anche il miglior avallo possibile al nuovo potere. Augusto era il nuovo Romolo. Properzio amerà riferirsi anche a Remo, e tra gli enigmi di Horos si pone anche l’episodio totalmente oscuro di Arria, madre avara di Gallus e di Lupercus. Gallo è il padre del poeta, Luperco è Marco Antonio. Arria è Roma.
3* L’indovino e astrologo Horosseguitava il discorso diPropertius riportandolo nell’alveo. L’ispirazione poetica non potrà mai mutare. Il quarto libro delle Elegie non si rende però trasparente, a meno che non seguiti per vie remote,il discorso di Properzio segreto contro Caio Ottaviano Augusto, i cui elogi rappresentano apparenze insincere e rigonfie. Ed è questa la nostra interpretazione, innovativa e completamente al di fuori dei canoni, però pienamente giustificata e provata da elementi eccezionali che abbiamo riportato alla luce dopo due millenni.
Propertius si rivolge a uno straniero – hospes – che poi sarebbe Horos, partendo dal centro di Roma antica, quella di Evandro e prima di Enea. Il Palatino e il Campidoglio. Da qui inizia il discorso sulle antichità di Roma e la sua storia. La casa di Remo, un unico focolare per i due fratelli. Dopo aver introdotto Enea.
Come crebbero le mura di Roma, nutrite dall’aspro latte della Lupa! E siamo già al “Callimaco Romano” (verso perfettamente falsificabile), però nato in Umbria. E è così che arriviamo conHorosalla prefetta descrizione della natia vallata centrale dell’Umbria, contornata da rocche (arces). Un distico al plurale di Propertius, sarà ripreso da Horos al singolare, in perfetta simmetria. Qui i telestici ASIS. Ecco una traccia molto forte di Properzio segreto. Varie crittografie, mai colte prima di me, garantiscono l’intenzionalità delle cifre e dimostrano la piena verità di una scoperta di grandissimo valore.
Propertius vorrebbe cantare le antichità romane (servirò la mia patria: Quale?), ma Horos lo riprende. Dove vai, o vagoPropertius, cantando i fati (dicere fata)? “Non appartiene ai tuoi mezzi: te lo confermo io, indovino verace”. E qui Horos introduce un oroscopo, tanto strano quanto misterioso, che sembra concludersi con l’enigma dell’ultimo verso (v.150): Octipedis Cancri terga sinistra time! Una maledizione, un ammonimento.
L’arte del poeta sarebbe fatta per cantare Cinzia. Se così è, perché parlare di carme di genere misto, di nuovo Callimaco Romano, che adesso affronterà temi antiquari: le c.d. elegie romane? Cinzia c’è sempre, e al paragone dei suoi tradimenti, non può certo invocarsi la fedeltà di Cornelia univira. Se mai, è la fedeltà di Properzio al tema Cinzia, a dover far riflettere. Horos chiama poi in causa due episodi incomprensibili: il voto impetrabile fatto a Giunone Lucina da una gestante che non riusciva a sgravarsi, e quello di Arria, madre di due gemelli, Gallus e Lupercus luttuosamente morti in guerra. Infine, dopo aver interrotto col mito, da cui era partito, Horos passerà alla biografia di Propertius, delineandone gli episodi essenziali in un trapasso che dalla vicenda di Troia e da Cassandra aggrappata alla veste di Minerva tratterà di nuove lacrime e della patria del poeta.
Il tratto autobiografico si salda direttamente con la sfragìs del Monobiblos. Non c’è spazio logico per due biografie distinte. Propertius ha perduto suo padre da piccolo, e le sue belle terre sono state espropriate dalla triste pertica di Caio Ottaviano. Avrebbe dovuto avviarsi al foro delirante, ma Apollo lo dissuase. Il fanciullo perse tutto: il padre, le terre, la patria e la felicità dell’innocenza. Quale trauma! Virgilio riebbe le proprietà grazie a Pollione, e gli sarà riconoscente.
Possiamo intendere in Properzio l’ammissione certa di una carriera politica non interrotta ma seguitata nella poesia. Gallo era il padre. Perché Horos introduce un altro Gallus? Questa è la ragione: Gallus e Lupercus (cioè Marco Antonio) sono gemelli nella sorte. Gallus è stato sgozzato a Perugia nel ‘40, Lupercus si è ucciso con la sua spada, ad Alessandria, nell’estate del 30. L’episodio di Cinara che non riusciva a sgravarsi è invece legato a un voto: Ella partorì, eai miei libri – così dice Horos – appartenne fama. Qui dobbiamo indovinare l’identità tra Propertius e Horos, parlandone col trattino: Propertius-Horos.
In altre composizioni Properzio si era definito aruspice verace: segnatamente, aruspice della sua patria. L’elegia in parola stabilisce un connettivo geografico, preciso e diretto, tra il centro di Roma, Bevagna, il lacus Umber – fino ad Assisi e al tempio di Minerva (vertice murus). All’evidenza ci si deve arrendere.
La riproduzione che segue dà ragione alla direttrice sud-nord. E’ la antica porta umbro-romana di Bevagna che guarda ad Assisi. L’ombra della meridiana al mezzogiorno solare vero indica l’allineamento sud-nord (il dato era già noto a Properzio con lo stesso strumento delle meridiane).
4* Affrontiamo finalmente il tema dell’oroscopo misterioso formulato da Horos.
E’ sorprendete la serie di enigmi irrisolti che si concentrano in un’opera elegiaca d’amore. Come si spiegherebbe? La risposta adesso è chiara: Properzio segreto è una realtà che domandava ai lettori di tutti i tempi di trovare la chiave. Una chiave nascosta, poi il lavorio necessario per ricostruire il percorso del labirinto. Degno di un genio, “Gioco a nascondere” [come in Lucio Piccolo].
Horos ha chiamato in gioco i tre pianeti esterni, quelli posti oltre il cerchio del sole: Marte,Giove e Saturno, con tre costellazioni zodiacali: i Pesci, il Leone e il Capricorno. Per chiudere, in fondo al suo discorso, col segno del Cancro (in cui all’epoca si collocava il solstizio estivo).
La prima domanda è se l’oroscopo – così difatti dobbiamo chiamarlo in relazione a Horos – vada colto unitariamente o in due distinti tronconi. La risposta è che si tratta di due parti distinte, ma tra loro connesse. La prima parte è quella vera, la seconda è falsa.
La seconda domanda verte sulla collocazione e sul significato dell’oroscopo in relazione al verso finale 150.
La terza domanda, che si collega alle due precedenti, è se l’oroscopo è dato da Horos, oppure da Propertius-Horos. La riposta a tale domanda toglie di mezzo Horos, che altro non è se non un alter ego: l’oroscopo è formulato da Propertius, non distinguibile da Horos. L’oroscopo attiene al significato vero del unum opus – fallax opus. Ed è questa la ragione per cui il dotto tentativo di W. Hubner di venirne a capo può dirsi fallito. Nulla a che vedere con l’oroscopo di Orazio in Carmina 2,17 (l’oroscopo di Orazio era stato formulato con particolare riguardo a Mecenate, che si era ammalato: le stelle dei due amici s’accordano – moriranno insieme, il che rispondeva alla verità, essendo avvenute le loro morti, tra loro vicine, nell’ 8 a.C., molti anni dopo).
La prima parte dell’oroscopo di Properzio ha senso se si riferisce al grande anno dell’allineamento dei tre pianeti esterni con la Terra. Il calcolo dei periodi sinodici combinati dei tre pianeti, porta a un numero, 738 anni terrestri, per cui ab urbe condita (anno 753 a.C.), mancano ancora 15 anni.
Insomma, il calcolo degli anni – riferito al tempo trascorso dalla fondazione di Roma – indica che l’anno 15 a.C., a cui risale ab interno il quarto e ultimo libro delle Elegie, coincide col compimento del “grande anno” planetario. Ovviamente, Propertius-Horos ha voluto identificare l’anno corrente del quarto libro, col periodo del grande anno a partire dalla data di fondazione dell’Urbe. Il calcolo a ritroso toglie via ogni ostacolo rendendo palese che il sistema aggiuntivo delle tre costellazioni era posticcio, sebbene indirizzato alla maledizione finale nel segno di Cinzia. Ciò significa che le Elegie sono un’opera speciale, legata a un canone profetico. Properzio è un aruspice sacro, è l’aruspice della sua patria (III, 8, 17 e III, 13, 59).
Veniamo ora alla seconda parte dell’oroscopo, in cui – in analogia all’oroscopo di Orazio – vengono in rilievo le costellazioni zodiacali dei Pesci, del Leone e del Capricorno (nell’oroscopo di Orazio erano menzionati la Bilancia, lo Scorpione e il Capricorno). Si può notare la coincidenza del Capricorno, mentre la Bilancia e lo Scorpione sono i segni zodiacali del tema astrale di Augusto.
Wolfgang Hubner mobilitava una vasta erudizione, scartando sei interpretazioni sbagliate. Quando Orazio parla della sorte di Mecenate, menziona due pianeti con effetto diverso: il favorevole Giove e lo sfavorevole Saturno. Mentre Mercurio compare come protettore di ambedue: Orazio, e Mecenate ammalato.
Dai Pesci al Leone, e dal Leone al Capricorno sono sempre saltati 4 segni. In effetti, la sequenza delle costellazioni zodiacali, due millenni fa, a ragione della precessione degli equinozi, era la seguente: Acquario, Pesci, Ariete, Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione, Sagittario, Capricorno. Il Cancro era il segno del solstizio estivo. L’anno si chiudeva col Capricorno.
L’oroscopo di Propertius-Horos presenta affinità ingannevoli con l’oroscopo di Orazio, che sicuramente lo aveva preceduto. Tra l’altro, Properzio menziona prima i pianeti e poi i segni zodiacali.
Il Leone corrisponde al mese di Luglio, appunto dedicato a Giulio Cesare, mentre il Capricorno attiene al tema astrale ufficializzato di Augusto. Quanto i Pesci distano dal Leone, tanto il Leone è lontano dal segno del Capricorno. Altrettanto il Capricorno dista dai Gemelli (mese di maggio). A proposito degli altri due ‘compleanni’ di Cinzia (oltre il compleanno lunare nel giorno del solstizio, con la casa della Luna nel segno del Cancro: elegia III, 10), Iole ricordi il primo di Aprile, e Omicle ribatta le Idi diMaggio (ingerat Aprilis Iole tibi, tundat Omichle / natalem Maiis Idibus esse tuum). Il primo di aprile ricorrevano i Veneralia, alle idi di maggio si tenevano gli Argei (festa di purificazione).
Properzio era nato sotto il segno del Leone, il suo compleanno ricorreva quattro mesi dopo la morte del padre, avvenuta alle idi di marzo del 40, a Perugia (all’epoca Properzio non aveva ancora compiuto otto anni d’età).
L’anagramma del distico riferito ai due falsi compleanni di Cinzia (IV, 5, 35-36), farebbe così: < Tibi Caprilis Leo (il Capricorno) tundat, mihi ingerat Leo/ a Italis Manibus esse diem tuum > (Quanto a te colpisca il Caprone, ‘leone del gregge’, mentre a me ripeta il Leone / che il tuo ultimo giorno sia alieno agli Itali Mani). Ma lasciamo stare. Avevo già detto che si tratta di un falso oroscopo, contenente una maledizione e la data finale dell’opera. Per la maledizione ad Augusto – verso finale 150 – rimando a un pezzo a parte. La mia tecnica di esposizione segue il criterio della collana di pezzi formanti un solo tema.
La lena Acantide è una nefasta allegoria di Augusto. Cinzia, nel quarto libro, è alternata all’elegia IV, 6 in cui apparentemente si cantava il tempio di Apollo navale sul Palatino, fatto erigere da Augusto dopo la vittoria di Azio. Gli acrostici ISIS inseriti in questa elegia (ultimi dieci versi), ne falsificavano già le intenzioni elogiative insieme al richiamo dell’astro Idalio (Venere – Iside). Caio Ottaviano ha sconfitto una donna, Cleopatra (Marco Antonio qui non è citato), e Properzio leva i calici al sole radioso del mattino, dopo un’intera notte dedicata al rito.
5* Rimanel’ultimo versodiHoros, ammonimento o maledizione: Octipedis Cancri tergasinistratime! – Temi il dorso funesto delsegno del Cancro dagli otto piedi (octopous in greco).
L’indovino si è autenticato di nascosto nel verso 142. Saranno le sue ultime parole a sancire il significato nefasto dell’oroscopo. “Cesare” ne sarà atterrito – Horos terret Caesarem. La funzione di Horos rispetto a Propertius ha una valenza onnicomprensiva. Investe l’aspetto della completezza biografica, concerne la sua arte e il significato dell’opera, contiene in aggiunta aspetti misteriosi, che si risolvono nella chiusa finale concentrata in un unico verso. E’ imprescindibile il raccordo diretto con le due elegie epigrammatiche di chiusura dl primo libro. Si tratta insomma di una composizione fondamentale, la cui apparente oscurità ermetica costringe al massimo sforzo. Non c’è dubbio che l’unità necessaria di Popertius-Horos debba possedere un sommo significato. Quindi non è possibile ritenere separati i due interlocutori, che tuttavia non dialogano, né è lecito supporre che Horos sia una figura grottesca o ridicola. S’impone l’unità stretta dei due interventi, le parole di Propertius devono riferirsi alle apparenze, mentre quelle di Horos concernono la sostanza. Il criterio ermeneutico della grandiosa elegia IV, 1 non può esulare da tale schema. C’è dunque un contenuto unificante, che va rintracciato. A questo riguardo abbiamo già messo in luce che l’asse geografico sud-nord che unisce Roma con Assisi non è un dato occasionale, ma rappresenta uno schema intenzionale. Ne dobbiamo concludere che attiene al distacco da Roma e al ritorno definitivo in patria, nella propria città natale: scandentisque Asis (qui al genitivo), perfetta descrizione della topografia urbana dell’abitato, in cui risaltava un muro, speciale nella sua stessa configurazione, al quale manufatto viene paragonato l’ingegno del poeta, che diverrà ancor più noto di quell’opera straordinaria. In queste parole di Horos, che attengono al raccordo biografico con le affini parole al plurale di Propertius (distici 65-66 e 125-126), è già contenuto un elemento profetico. Le Elegie diverranno più note che non lo stesso grandioso monumento dell’arce sacra di Assisi, sebbene le fonti antiche non ce ne abbiano tramandata alcuna descrizione, ma a torto, stante la bellezza e l’importanza di questo meraviglioso e imponente complesso architettonico. Del grandioso tempio di Apollo navale sul Palatino, voluto da Augusto nei pressi della sua dimora privata, è rimasto appena qualche rudere, mentre il tempio di Minerva ad Assisi incantò Goethe nel viaggio in Italia. Properzio forniva una descrizione nell’elegia II, 31 del tempio di Apollo sul Palatino, inaugurato nel settembre dell’anno 28 a.C. Nella elegia IV, 6 riprendeva il tema celebrativo per i tre lustri dalla battaglia navale di Azio: O Musa, diremo del tempio di Apollo sul Palatino, e la materia è degna di te, o Calliope. Ma l’Apollo di Properzio non è il dio tanto caro ad Augusto (al quale dio furono associate le sue fortune), e i versi per Cinzia non li dettavano né Apollo, né Calliope. E’ la stessa fanciulla che fa il nostro ingegno (II, 1, 4).
Nelle Elegie è dato notare che si rincorrono parole e concetti. Ecco perché si può parlare di labirinto. Non è un cumulo di contraddizioni, un ondeggiamento del poeta, ma un atteggiamento deliberato, che pone dunque il problema del filo conduttore. Ed è identica cosa per quanto attiene a Propertius-Horos.
Le menzioni di Properzio rispondono sempre a fini occulti, e se a un certo punto Horos introdurrà il tema di Troia espugnata e di Cassandra che si è aggrappata alla veste di Minerva per sfuggire invano alla violenza di Aiace Oileo, ma dopo aver già accennato, al termine dell’oroscopo da lui formulato, alla resurrezione di Troia Romana (dicam: ‘Troiacades et Troica Roma resurges’ ), che significato avrebbero questi richiami sparpagliati, prima di passare alla biografia essenziale e certamente unitaria di Propertius, per concludere circa l’inevitabilità del Fato poetico dell’alter ego?
L’anomalia di Properzio elegiaco sembra evidente: a considerazioni di questo genere induce lo stesso elenco spontaneo dei 5 poeti elegiaci romani dettato al termine dell’elegia II, 34 in cui l’enigmatico Lynceus non può essere un vecchio poeta epicureo, come ad esempio Valgio Rufo, bensì è sempre Mecenate, nel cui nome si inaugurava il libro secondo. Linceo lo identifica e lo copre al tempo stesso. Il significato della metapoesia” o discorso sulla poesia affacciato in questa elegia, consiste nell’esaltazione di Cynthia rispetto alla poesia epica, fosse pure la nascente Eneide di Virgilio. Le espressioni e i riferimenti impiegati nell’elenco storico degli elegiaci romani mettono da soli in sospetto. E’ possibile falsificare anche i punti nodali di tale composizione. La stessa cosa si registra in Propertius-Horos. Ma a prescindere dall’eccesso di cifre aleatorie, appunto là dove non c’è certezza di indicazioni sufficienti, basta però il rilievo essenziale e determinante dell’irrealtà di Cinzia, nonostante la sua ingannevole plasticità realistica, tuttavia enigmatica e contraddittoria. Paolo Fedeli (Killing Cynthia, 2006) ha dimostrato infine ciò che da subito doveva essere razionalmente sospettato: l’esistenza effettiva di una donna reale, identificabile a Roma al di sotto dello pseudonimo metrico di Cynthia, è una chimera. Esclusa la realtà di Cinzia, alla quale in passato era stata prestata troppa fede, ma era chiaro che una donna del genere mai si sarebbe potuta accostare al nome di Augusto, non rimane che l’artificio: ed è questa prova bastevole per il fallax opus nel senso pieno dell’inganno.
Propertius vorrebbe forse cantare i destini di Roma? Horos lo sconsiglia. Il nuovo Properzio, appunto come poeta antiquario (lui il nuovo Callimaco Romano), in un genere formalmente misto, rappresenta già una contraddizione. Di fatto, lo aveva escluso lo stesso Horos: << Ma tu crea (o fingi) elegie, colme di seduzione (oppure “opera ingannevole”), è questo il tuo campo (il tuo accampamento militare!), folle dipoeti seguano il tuo esempio. Presterai servizio (militare) sotto le dolci armi diVenere (la dea protettrice dei Giulii) e per i figli di Venere (gli amorini) sarai unbuon bersaglio. Tutti i tuoi trofei di vittoria, che ti sei conquistati con fatica, li ha vanificati una donna. Se anche riuscissi a liberarti dall’uncino che ti si è ficcato in bocca, a niente servirà: l’amo ti terrà col suo rostro >>.
L’anagramma dell’ultimo verso di cui sopra [nil erit hoc: rostro te premet ansatuo] contiene “Horos” Caesarem terret: potiti nolunt.
5* Tradurre Properzio è difficile. Il linguaggio e il discorso hanno caratteristiche singolari; rapidi i passaggi mentali, un carattere “desultorio” pressoché continuo. Quasi ogni elegia si chiude con una sorta di sentenza riassuntiva e dimostrativa.
Una donna terrà impegnato per sempre il suo Poeta. Il seguito necessario del rapido profilo biografico tracciato da Horos con chiarezza e coerenza oggettive, che escludono vuoti o incertezze, esprime questa conclusione. Ne consegue che Cynthia ha un valore occulto, strettamente legato al genere ‘elegiaco’ originario – direahi ahi – qualunque sia l’etimologia esatta del termine. “Canto d’amore e canto di dolore” (compianto funebre). Mentre ossa è la parola ‘chiave’ dell’opera unica (unum opus). Properzio non è un elegiaco ‘normale’. Anzi, è del tutto ‘sui generis’. L’elegia romana (soggettiva o no che sia), morirà con Ovidio. Mentre in Properzio siamo costretti ad annoverare un serie di anomalie apparentemente inspiegabili.
Il tema dell’integrazione difficile (Paratore, 1936) non fu, ad esempio, accettato da Pierre Grimal. Quest’ultimo grande filologo parlava invece di accettazione entusiastica della restaurazione religiosa da parte di Augusto. Dal dolore sofferto nel bellum Perusinum (nessuno aveva snidato l’identità segreta di Gallus e della soror – massimo segreto delle Elegie!) si è concluso che Properzio non poteva integrarsi nella poesia celebratrice del princeps, anzi, che era anticonformista, pacifista e antiaugusteo, ostile al regime. Intanto gli elegiaci precedenti (Calvo e Catullo) avevano scritto durante le guerre civili, e il loro pacifismo non apparteneva certamente alla restaurazione. Properzio viene dopo Azio, e gli ultimi tre libri delle Elegie vengono dopo la proclamazione di Caio Ottaviano ad Augusto (termine inusitato e spropositato). C’è differenza tra pax Augusta e paxPropertiana? Deus Amor non è Deus Caesar, ma nella decima egloga di Virgilio, in età precedente, era già contenuto il trionfo dell’amore. Sub sidere Cancri: omniavincit Amor, et nos cedamus Amori (Sotto il segno del Cancro: tutto vince l’Amore, e noi cediamo all’Amore).
Si potrebbe veramente compiere una lunga esplorazione sugli echi o i calchi letterari presenti in Properzio e derivati dai contemporanei più anziani o dalla letteratura alessandrina. Lavoro in buona parte compiuto, sebbene talvolta in modo episodico, ma non verremmo a capo dell’arte del Nostro. Properzio è molto di più di quanto sembra imitare o riprendere. La sua è un’originalità assoluta, e il calco letterario utilizzato ha uno spessore multiplo, piegato a un fine ulteriore. Non è questa la strada corretta, a meno che non si vada a indagare oltre le apparenze, però la versione riduttiva e formale di Properzio erotico, è già un limite limitante, che non è stato mai rimosso.
La prospettiva delle apparenze non risolve l’enigma della poesia properziana: la lezione corretta era stata suggerita da Horos e da Vertumnus, ma occorre scardinare i fallaci presupposti dell’elegia d’amorepura e semplice, cui sono ancorati i critici attuali. Non si può formulare un paradigma rispetto al quale i pezzi disponibili non combaciano. Il primo ‘vulnus’ deriva dall’incongruenza insanabile tra il propinquus testuale di I, 22 e il pater (et mater) del profilo biografico tracciato da Horos. Con queste premesse si compie un giro morto e non si arriva a nulla.
Gli studi properziani non hanno mai colto nel segno. Ci hanno girato intorno, per così dire accarezzando la piaga. Il ‘punctum dolens’ è d’altra natura. Properzio non è un poeta elegiaco d’amore. E’ poeta tragico. Ed è una delle voci più forti della letteratura mondiale di tutti i tempi. La sua è un’ispirazione necessaria, ma occulta. L’analisi accuratissima fatta da Roberta Montanari Caldini sulla prima elegia del quarto libro (“Horos e Properzio ovvero l’ispirazione necessaria”, Firenze 1979) non ha centrato l’obiettivo. Properzio è il poeta dell’integrazione impossibile, suo nemico giurato è Augusto. Cinzia gli ha permesso di rivolgersi agli eoni, di travalicare il tempo in questo impari duello, alternativa del quale sarebbe stato e rimasto il silenzio.
Le parole di Horos sopra riportate (IV, 1, vv. 135 – 142),1 si prestano adesso a una metamorfosi (ed è questo il problema dell’estensione di Properzio segreto, la cui certezza mi sembra conclamata):
Finges ut fallax opus legat (haec tua astra C. O.!),
ex templo tuo scribat “urbe tua certa”.
Silenda mei verba sub armis militis paterni
ut in puere vis sit silere hostis eris.
Quascumque victimas cernis tibi pater labora,
ut mala aspis una puella ludet:
benedice scutum oris nunc summe fixum est,
Horos terret Caesarem: potiti nolunt.
La serie di anagrammi corrompe la metrica elegiaca, il nostro è solo un tentativo a margine, a titolo sperimentale e per nulla probante. Alla stessa maniera si può falsificare Cynthia fin dal suo primo famoso verso: Cyntia prima suis miserum me coepit ocellis, che si trasforma in: Optima CYNTHIA primus ecce Musis ille miser [cioè Gallus]. Ma è vero che anche la prima elegia del primo libro contiene cifre in acrotico e telestico, come pure la elegia seconda che presente all’inizio la cifra OSSA SUME.
Parla Horos, un indovino verace, e la sua voce si mescola con quella di Propertius (appunto, Propertius-Horos):
Tu fingerai, o Properzio, affinché egli legga un’opera ingannevole (queste le tue stelle, o C.aio O.ttaviano!),
all’esterno del tuo tempio egli scriva “La tua città è sicura”.
Silenziose parole le mie sotto le armi del soldato paterno,
come forza diun fanciullo che stia in silenzio tu nemico sarai.
Qualsiasi vittima scorgi, o padre, a te i travagli,
e come una vipera una sola fanciulla farà all’amore:
Benedici lo scudo della bocca, adesso è sommamente immutabile,
Horos terrificherà Cesare: gli ubriachi non vogliono.
Ecco in che consisteva l’oroscopo di Horos, col suo verso finale riferito al segno del Cancro. Ma, per la comprensione di questo verso enigmatico, rimando a un pezzo a parte, in cui si mettono in luce le sottintese connessioni del contesto poetico.
6* L’argomento che ci siamo proposti è indubbiamente difficile. Nessuno finora era riuscito a penetrarlo e risolverlo nonostante indubbia dottrina filologica. Ciò significa – tout court – che le Elegie non sono come sembrano, altrimenti non avremmo avuto problemi. Davanti al mistero non c’è che opinione, il magistero non esiste. La nostra – però – non è un’opinione, è verità provata. Seriamente documentata, si sostiene – infatti – su basi razionali ed è ancorata su dati autentici. Una novità in senso assoluto, che male farebbero gli Studiosi a ignorare, dovendo riconoscerne la certezza.
Se Properzio fu sommamente cauto e reticente circa l’identità di Gallus e della soror, ed è vero, oggi sappiamo “perché”. La strana morte di Gallus per ignote mani, vicenda irreale ma necessaria, altrimenti il poeta non avrebbe mai potuto parlarne, è perfettamente spiegata in tutti i dettagli da una serie di cifre presenti contestualmente, chiaramente autentiche.
Il finale del primo canzoniere d’amore per Cinzia indica che il riferimento enigmatico a Gallus e alla soror era necessario. Ragion per cui la palese reticenza di Propeezio era essa stessa la spia di altrettanta anomalia indispensabile: unica spiegazione possibile essendo la condizione forzata a fronte delle vere radici dell’ispirazione poetica elegiaca.
Se riflettiamo su quel passo virgiliano dalla decima egloga – la composizione risale all’anno 38 – in cui rientrava appieno Cornelio Gallo, generale romano e autore elegiaco degli Amores in quattro libri per Lycoride, ci dobbiamo accorgere che da qui Properzio prese spunto: l’amore vince ogni cosa, dunque cediamo all’amore – sotto il segnodella costellazione del Cancro – sub sidere Cancri.
L’odi et amo di Catullo trovò in Cynthia-Luna (forma potens et verba levis) una protagonista elegiaca sui generis, lo strumento dell’odio per Caio Ottaviano e altresì il pretesto elegiaco per cantare un genere d’amore nuovo, totalmente differente, quello per l’antica Patria dell’Umbria e per la tragedia del padre. Un Aelinon, come ricorderà Ovidio in morte di Tibullo.
Cynthia-Luna è posta sotto il segno del Cancro. Ce n’eravamo accorti nella elegia III, 10 nella quale è celebrato il rito simbolico, diurno e poi notturno, del solstizio estivo (con la ‘casa della Luna’ nel segno del Cancro). La costellazione del Cancro fa parte dell’ultimo verso di Horos a suggello di un’elegia grandiosa e difficilissima (sicuramente quella scritta per ultima): Octipedis Cancri terga sinistra time! Altri materiali di Virgilio sono rintracciabili in Properzio, ripresi in modo originale e del tutto autonomo. Una ripresa evidente si registra nell’elegia I, 8 (il Pretore dell’Illiria), quando Properzio rimodula i versi di Gallo, ritratti da Virgilio a proposito di Lycoride: Tu con i tuoi teneri piedi, a calcare distese gelate, / tu asopportare, o Cinzia, nevi immani ? Un altro esempio è l’elegia II, 26 in cui Galatea in undis è servita a Properzio per tutt’altro scopo. L’oroscopo di Horos – apparentemente impenetrabile – ha invece un significato razionale, una volta compreso il motivo portante dell’opera destinata all’inganno. intervallo di quattro segni zodiacali). Il Cancro era la sesta costellazione dell’anno, allora corrispondente al mese di giugno. Segno davvero felice, giacché nel Cancro cadeva il solstizio estivo col massimo della luce diurna.
Il transito visibile delle 12 costellazioni dell’eclittica si ripartisce in 180 gradi per sei mesi. Al terzo mese si ha la culminazione di mezzanotte del Cancro. Due millenni fa, quando il Capricorno ormai tramontava, a est sorgeva il Cancro. Le due costellazioni sono opposte una all’altra. Nel Capricorno difatti si verificava il solstizio invernale – il 24/25 dicembre – per i romani dell’epoca. Nell’Atlante Farnese si nota la presenza di un trono (il Caesaristhronus) a Nord del Cancro. L’oroscopo di Horos acquista significato in relazione: 1) alla data del grande anno, corrispondente all’anno in cui il quarto libro fu terminato (15 a.C.); 2) al segno zodiacale del Cancro, corrispondente a Cynthia. L’ultimo verso (v.150) di Propertius-Horos dà significato a tutta l’opera di Propertius :unum opus – fallaxopus). Ecco svelato l’arcano.
Il segno del Capricorno (negativo per l’umidità invernale e per la minima ora di luce) era il tema ufficiale del catasterismo o apoteosi astrale di Augusto, mentre il segno del Cancro era connesso al Trono di Giulio Cesare. Se al cadavere di Giulio Cesare, caduto sotto i colpi di pugnale nella Curia, sostituiamo quello di Gallus, è a quest’ultimo che apparterrà il trono celeste.
La gloria di Augusto è derivata da quella di Cesare suo zio, ma non si trattava di gloria militare, bensì di fortuna (il bellum Prusinum fu, in questo senso, più decisivo della vittoria riportata dieci anni dopo su Marco Antonio e su Cleopatra): il successo derivò anche da corruzione per denaro. Properzio segreto collocava su una moneta di rame – aes – la virtù e la gloria di Cesare Augusto, augurandogli la morte . A queste estreme conclusioni conduce la nostra indagine extra ordinem, ma per tale ragione esatta e veritiera. Properzio segreto è pura verità. Con questo è cambiata in radice la storia della letteratura latina.
CONCLUSIONI
La rivelazione certa del massimo segreto delle Elegie è la base autentica di una rivoluzione letteraria. Dicam ‘Troia cades, et Troica Roma resurgens! – Dirò: Troia cadrai e poi risorgerai come Roma troiana! E canterò lunga fila di sepolcri per mare e in terra. Queste parole di Horos farebbero crollare tutto, giacché poste a conclusione dell’oroscopo. Le permutazioni fattoriali di stringhe d’anagramma esplodono vertiginosamente in breve. Non c’è alcuna certezza se l’anagramma non è guidato o sorretto da un saldo elemento logico, certo a priori. Il verso sopra riportato a proposito di Troia, che caduta più di un millennio prima, risorgerà poi nella Roma di Augusto, almeno secondo la saga mitica di Enea, contiene una sorpresa. Dico: << Ars mea cadit et amore sacro resurgit! >>.
Cassandra si era aggrappata alle vesti di Minerva per sottrarsi alla violenza di Aiace Oileo: quam vetat avelli veste Minerva sua!Anche questo verso,checi riporta alla Minerva di Assisi, racchiude il suo segreto: Ave Minerva, stella quae visum vetat! – Ave Minerva, stella che impedisce lo sguardo…
* Ecco la “Minerva di Assisi, “assisa in trono” e dalla “bella veste”:
* Il racconto continuerà con ASIS – ASIS
Arcangelo Papi – Marzo 2016
Avvertenza per i Lettori: Non esiste altra maniera per capire Properzio, che è il più enigmatico tra gli Autori antichi. Ciò che ho raccontato è sostanzialmente vero.Sfido chiunque a provare il contrario.
Che sia vero l’ho già provato
NE PRENDA ATTO L’ACCADEMIA PROPERZIANA DEL SUBASIO CHE NEL 2016 COMPIE IL QUINTO CENTENARIO
1 At tu finge elegos, fallax opus (haec tua castra!),
scribant ut exemplo cetera turba tuo.
Militiam Veneris blandis patiere sub armis
et Veneris pueris utilis hostis eris.
Nam tibi victrices quascunque labore parasti,
eludit palmas una puella tuas:
et bene con fixum mento discusseris uncum,
nil erit hoc: rostro te premet ansa tuo.