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I TOGATI DI OSIMO

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I TOGATI DI OSIMO

 

1* Poiché ci siamo già occupati del togato di Assisi, formulando una documentata ipotesi, è bene cercare di definire meglio il discorso. Sulle statue di togati in età romana è reperibile sul web un’ importante rassegna, ferma restando a distinzione tra toga larga e toga exigua. Sulla toga in sé, cosa rappresentava per un romano, e come veniva indossata, sempre sul web sono reperibili esaurienti spiegazioni e vari modelli.

Ci è stato segnalato da Enrico Sciamanna, storico dell’arte, che anche a Udine sono presenti statue simili. Rispondiamo che a Ponza, nel 2011, fu scoperto un altro esemplare, molto rovinato, il c.d. Mamozio, riconosciuto dalla Soprintendenza di Napoli come una copia di Augusto in panni di pontefice massimo (carica sacra acquisita da Augusto nell’anno 12 a.C., con la morte di Lepido, e che apparterrà poi agli imperatori romani in quanto tali, fino a quando non sarà abolita nel IV secolo, dall’imperatore Graziano).

L’esemplare statuario emerso nell’800 in via Labicana a Roma di Augusto pontefice massimo, alto 2 metri e 7 centimetri, non è coevo, ma è una copia di età tiberiana. Questa statua, capite velato, è completa del volto riconoscibile e delle braccia. Il corpo è di marmo italico bianco, le altre parti (viso e braccia scoperte) sono di marmo giallastro. Questa statua è chiaramente la rappresentazione di Augusto quale “pontefice massimo”, rex sacrorum, insieme alla cista sacra. Lo sono forse anche gli altri esemplari?

Poiché la carica di pontefice si trasmise agli imperatori romani, e pontefice massimo fu anche Costantino, occorre distinguere in primo luogo, circa la positura ieratica e lo specifico atteggiamento statuario, quale potesse essere l’imperatore effigiato. Ciò dipende anche dall’attribuzione temporale della manifattura e da altri contrassegni. Fermo restando che l’identità del modello è garanzia bastevole per l’identificazione della medesima carica, ma non dell’imperatore effigiato.

2* Nel caso di Augusto “pontifex maximus” possiamo ricordare che alla morte del triunviro M. Emilio Lepido, Augusto gli succedette nella carica sacra, avendo così l’occasione e la possibilità di agire nel campo religioso, più che altro per assicurare l’unità morale dello stato in un campo nel quale la differenza fra provincia e provincia era grave, ma anche per legare la tradizione della gente Giulia e la sua stessa posizione personale i culti dello stato e alla fusione fra i culti dell’Oriente e quelli dell’Occidente. Per cui è naturale che le statue di Augusto pontefice ornassero i principali luoghi di culto. E sarebbe questo il caso di Assisi, la cui “arce sacra”, che dominava la vallata sottostante, era veramente imponente e di grande aspetto monumentale, con due ali murarie di circa cento metri ciascuna.

Lepido era diventato pontefice massimo con procedimento irregolare di acclamazione imposto da Antonio (Velleio Patercolo 2, 63; Tito Livio ep. 117; Dione Cassio 44, 53 e 45, 17, 7). Si tentò di far trasferire il titolo ad Augusto in base a una supposta decisione degli acta di Giulio Cesare. La data di elezione di Augusto a pontefice massimo è il 6 marzo del 12 a.C. (Dione Cassio 54, 27, 2 e fasti Cupr. a tale anno).

Nel corso del 12 a.C. si ebbero alcuni provvedimenti diretti a richiamare a più stretta osservanza religiosa la vecchia classe dirigente italica. Prima di ogni seduta, i senatori dovevano celebrare un sacrificio al dio del tempio entro il quale il Senato era stato convocato. La politica religiosa di Augusto seguiva lo schema del consolidamento del potere e dell’unità.

Una data essenziale fu il 6 marzo dell’anno 12 a.C, con l’assunzione del pontificato. In quell’occasione furono indette solenni feriae publicaestative e da quel giorno la cura scrupolosa delle celebrazioni sacre divenne un affare di stato. Il 23 marzo dello stesso anno Augusto celebrò con ludi di gladiatori la festa del Quinquatrus, antichissima cerimonia lustrale, il cui nome deriva forse dal verbo quinquare, che significa “purificare”. La festa del Quinquatrus si iniziava il 19 marzo, giorno sacro a Minerva, come commemorazione della cerimonia inaugurale del tempio di Minerva sull’Aventino e forse anche del tempio della stessa dea sul Celio. Alla festa di Minerva del Quinquatrus veniva anche associato Marte, poiché la festa aveva il carattere di purificazione delle armi. La connessione fra Marte e Minerva deriva probabilmente dal fatto che Minerva ha sostituito il culto di Neriene nella festività del 19 marzo. Lo sviluppo delle tendenze ellenizzanti accrebbe l’importanza di Minerva sotto l’influenza greca di Atena. La festa del Quinquartus occupava i giorni fra il 19 e il 23 marzo, e divenne una tendenza indicarla come festa romana corrispondente alle Panatenee, tanto che la celebrazione di ludi di gladiatori diede particolare importanza alla festa stessa.

Un avo di Sesto Properzio (forse suo nonno) si chiamava Nerio, nome italico corrispondente al Marte romano. Il tempio di Minerva ad Assisi è implicitamente, ma chiaramente evocato nella portentosa elegia IV,1- Propertius-Horos.

Chi non ama Assisi ha voluto con ciò negare l’evidenza. Ma, sia chiaro, non prendiamo lezioni da nessuno.

3* Una luminosa e recente scheda di catalogo così descrive il togato acefalo del nostro museo romano di Assisi, che noi abbiamo identificato con un grado di probabilità che sfiora la certezza, nella statua coeva di Augusto “pontefice massimo”, strettamente collegata alla grandiosa e monumentale “arce sacra” di Minerva.

Marmo bianco di tipo italico – Il personaggio indossa una sottile tunica con corte maniche, sopra la quale è gettata la toga caratterizzata da un balteo alto e da un ampio sinus che avvolge completamente la figura. La testa, il bracco destro con la mano, l’avambraccio sinistro con la mano erano lavorati a parte e non sono pervenuti; accanto alla gamba sinistra è sistemato lo scrinium, sommariamente lavorato. Un lembo della toga, lungo il fianco destro, è stato riattaccato. L’opera dove essere destinata a una statua onoraria, tenendo cono del luogo di rinvenimento, cioè la platea antistante il tempio corinzio, e celebrare un personaggio quale civis romanus. Lo lascia riconoscere la toga che indossa, mentre la cista, destinata a contenere i rotoli e i codices, sta a ricordare anche gli incarichi pubblici che ha rivestito. Per la forma della toga e il tipo di lavorazione del marmo, potrebbe essere stata realizzata verso la fine del I secolo a.C. e gli inizi del successivo”.

Segue bibliografia minima, vecchia di un secolo. La scheda riportata è un capolavoro. Si evita di nominare i magnifico tempio perché il tabù che non sia di Minerva viene da Perugia, che ha preso sotto la sua tutela Assisi. E non ci si accorge nemmeno del piede lisciato e consumato da carezze secolari. Quell’umoristico civis romanus con la sua cista sacra, è un perfetto sconosciuto, che ha valicato i millenni. E non si dice nulla di come e quando fu scoperta (da Charles Famin nel 1839), né ci si domanda sul perché e quando fu presa a randellate, sconciata, e poi gettata tra le rovine (dove fu ritrovata circa due millenni dopo). La statua non è della fine del primo secolo d.C., ma risale alla fine del secolo precedente.

Mille particolari la legano all’Augusto pontefice massimo di via Labicana, ed è capite velato. I “calcei” sono stati consumati dalle carezze dei postulanti.

4* Le statue acefale di Osimopongono un problema d’identificazione. Provengono dall’area forense,e sono statesistemate all’interno dell’atrio e del portico del palazzo comunale. Osimo è ricordata da Tito Livio e da Procopio. Secondo Livio le antiche mura di Osimo risalivano al 174 a.C.

Si può notare l’affinità stretta delmedesimo modellocaratteristico, affatto differente da quella che era invece la rappresentazione dei togati romani quali cives eminentes o patroni civitatis.

Quando le relative immagini di paragone, opportunamente ‘riscalate’, risultano perfettamente sovrapponibili, ciò significa che si tratta dello stesso modello e anche dello stesso ‘significato’.

Non c’è margine di dubbio che il togato acefalo di Assisi sia, in effetti, la copia originaria di Augusto nei panni di “pontefice massimo”, e che si tratti dunque dell’arce sacra di Minerva: quel muro che l’ingegno di Sesto Properzio renderà ancor più noto, e cioè più illustre.

Obietteranno, ma senza validi argomenti, che non è così, e sbagliando ancora, coloro che Assisi proprio non la amano. In specie chi non è qui nato.

(avv. Arcangelo Papi, Assisi -14 febbraio 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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