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I graffiti greci della casa della Musa

Illustre carro di Paian, arco e armoniosa lira, grifi e tripodi,

insegne di arte oracolare

I GRAFFITI GRECI DELLA CASA DELLA MUSA

(Documentazione)

Dieci graffiti greci (epigrammi o distici metrici) rintracciati e recuperati da Margherita Guarducci nella “casa della Musa” ad Assisi (presunta casa di Sesto Properzio), sono stati incisi da cinque mani diverse sull’intonaco affrescato del lungo corridoio che si colloca a sette metri di profondità rispetto alla navata destra della chiesa romanica di Santa Maria Maggiore o Vescovado (XII secolo) di corrispondente estensione. Le telative piantine *[tratte dal lavoro di Laura Manca, Abitare a coloriLedomusromane di Assisi, 2005] illustrano il luogo *[vedi riproduzioni al termine di questo scritto].

Parete nord: 7 graffiti, da destra a sinistra, rispetto all’abside della chiesa (entrata).

  1. Penteo sbranato dalle Menadi

  2. Bacco e il leopardo

  3. Marsia e i flauti di Atena

  4. Verso dell’Iliade (Ettore e Aiace)

  5. Iamo, figlio di Evadne e Apollo

  6. Carro di Apollo Paian

  7. Polifeno e Galatea

Parete sud: 3 graffiti superstiti (e piccole finestre strombate), da sinistra a destra.

1) Mito di Tereo (Procne e Itylos)

2) Narciso al fonte

3) Ercole e Onfale

  • Si presuppone che i singoli graffiti si riferiscano ai rispettivi piccoli affreschi posti al disopra delle scritte (tranne un solo caso in cui il graffito è posto al di sopra dell’affresco) ad altezza d’uomo lungo le pareti (si può ritenere che anche la parete sud avesse sette affreschi e sette graffiti).

  • Alcuni affreschi sono rimasti praticamente intatti (due casi), mentre di altri quadretti si può cogliere qualcosa; i restanti affreschi sono svaniti del tutto (deteriorati dall’umidità ecc.).

  • Gli affreschi risalgono a una fase avanzata del terzo stile, cioè a epoca successiva all’età augustea (età di Traiano).

I graffiti sull’intonaco costituiscono un’anomalia. Sono sicuramente posteriori, e dai caratteri calligrafici, forse potrebbero essere riportati al III secolo.

Secondo Margherita Guarducci che studiò accuratamente il luogo negli anni ’70 del secolo scorso i soggetti mitologici riporterebbero a Properzio (vero soltanto in alcuni casi), mentre l’autore dei distici metrici dovrebbe essere stato Paolo Passenno, discendente e municipale di Sesto Properzio, e pure lui poeta elegiaco.

Se gli affreschi attengono all’epoca di Paolo Passenno, tuttavia i graffiti sono successivi. Perciò il caso è assai enigmatico (vedi nostro intervento sulla Casa della Musa).

Un’analisi contenutistica potrebbe contribuire a quella chiarezza che ancora oggi manca. Il presente lavoro ambisce a tale scopo, nei limiti di una presentazione sintetica ma originale.

Carattere dei graffiti:

  • versificazione in piede metrico di buona fattura;

  • eseguiti con un punteruolo sull’intonaco originario, da mani diverse, in nove casi sotto l’affresco o quadretto, e in un solo caso al di sopra (n. 5: raro mito di Iamo);

  • è possibile notare alcune singolarità o anomalie nel tracciamento od esecuzione della scritta o graffito;

  • non in tutti i casi il graffito corrisponde con esattezza all’affresco ancora leggibile;

  • i tre graffiti della parete sud sono stati probabilmente incisi dalla stessa mano.

ANALISI CONTENUSTITICA DEI GRAFFITI SULLA PARETE NORD

Graffito n.1: Il giovane che una volta osteggiava il gregge delle cerbiatte.

 

  • M. Guarducci: Pittura svanita. Si riferisce al mito di Penteo, giovane re di Tebe, che per essersi opposto all’introduzione del culto di Dioniso nella sua città, fu crudelmente sbranato da uno stuolo di Baccanti e in particolare dalla stessa madre Agane che ne faceva parte.

  • Osservazioni:

Apollodoro, Biblioteca III, 5, 1 e ss.: << Dioniso scoprì la vite ma, reso folle da Era, andò vagando per l’Egitto e la Siria […]. Dopo aver attraversato la Tracia (e tutta la regione indiana, dove alzò delle colonne), giunse a Tebe; qui costrinse le donne ad abbandonare le case e a ‘baccheggiare’ sul Citerone. Penteo, il figlio di Agave ed Echione che aveva ereditato il regno di Cadmo, cercò di opporsi a questo, ma salito sul Citerone per spiare le Baccanti, fu fatto a pezzi dalla madre Agave in un eccesso di follia (l’aveva infatti scambiato per una belva). Dioniso, dopo aver dimostrato ai Tebani di essere un dio, giunse ad Argo. Anche lì gli abitanti non gli facevano onore, cosicché egli rese folli le donne, le quali sui monti divorarono le carni dei lattanti che avevano portato con sé >>.

Note su questo passo di Apollodoro

  • Per la scoperta della vite da parte di Dioniso e i vagabondaggi del dio, cfr. Diodoro Siculo 3, 6, 2 ss. – 4, 1, 6 ss. – 4, 2, 5 ss.; Strabone 15, 1 7-9; Euripide, Baccanti, 13-20.

  • Il soggiorno di Dioniso in Egitto fu senz’altro un’invenzione per spiegare la stretta rassomiglianza che gli antichi tracciavano tra i culti di Osiride e Dioniso: cfr. Erodoto 2, 42, 99 e 144; Diodoro Siculo 1, 11, 3 – 1, 13 , 5 – 4, 1 , 6; Plutarco, De Is. et Osir., 28, 34, 35; Tibullo, 1, 7, 29 ss. Per lo stesso motivo Nisa, il luogo dove si supponeva che Dioniso fosse stato allevato, era collocata da alcuni nelle vicinanze dell’Egitto: cfr. Inno omerico a Dioniso, 1 ss.; Diodoro Siculo 1, 15, 6 e 4, 2, 3.

  • Per l’associazione di Dioniso con la Frigia vedi Euripide, Baccanti 58 ss. Secondo Stefano Bizantino, Dioniso fu cresciuto dalla dea frigia Rea. I riti dionisiaci erano estatici e orgiastici.

  • Per l’ostilità di Licurgo verso Dioniso cfr. Omero, Iliade 6, 129 ss.; Sofocle, Antigone 9, 55 ss.; Tzetze, Scol. ad Lyc. 273; Igino, Fabulae 132; Servio, In Verg. Aen, 3, 14; Mytographi latini I, pag, 29 (= Mytographica Vaticana).

  • Su Penteo, Eschilo scrisse una tragedia. Vedi anche Ovidio, Metamorfosi 3, 511 e ss. Si dice che Oreste, reso folle dalle Furie della madre uccisa, avesse recuperato i sensi mozzandosi con i denti un dito (Pausania 8, 342). Si diceva che anche Dioniso fosse stato fatto a pezzi dai Titani (J.G. Frazer).

  • I Greci chiamavano Tirreni gli Etruschi, ma i Tirreni di cui parla l’inno omerico a Dioniso sono gli abitanti di Lemno e Imbro, considerati pirati: cfr. Tucidide 4, 109; Diodoro Siculo 10, 19, 6.

Note aggiuntive:

L’origine del culto di Dioniso si collocherebbe a Tebe (in Grecia). Semele, figlia di Cadmo, essendo amata da Zeus, fu per gelosia di Era indotta a chiedere a Zeus di apparire in tutta la sua maestà. Ciò fatto (essendo Zeus apparso ornato di trono e folgore), le fiamme divorarono Semele e la sua casa. Morendo, Semele partorì un bambino immaturo, cui Zeus fece cucire una coscia, e che fu condotto a maturità. Questo bambino alla fine fu allevato dalle ninfe a Nisa, in una grotta. Dioniso tolse con la forza Arianna a Teseo. Figli di Dioniso e Arianna sono Enopio (bevitore di vino), Evante (il fiorente) e Stafilo (l’uomo del grappolo). In Delo il culto di Apollo fu penetrato da Dioniso (Euripide, Fenicie 234; Sofocle, Antigone 1107 ss.).

* Come Apollo, Dioniso fu “medico per rivelazione

* In qualità di ispirato, Dioniso era congiunto ad Apollo

Quale nume rallegratore si univa alle Cariti, le Muse, con Eros e Afrodite. Amava il canto e le belle arti. Il culto di Bacco, “l’urlante” (cfr. Erodoto), ha qualcosa in comune col culto di Cibele, di Ati, e di Sobazio. Fra le feste di Dioniso vanno annoverate le Lenee (nel mese Gametione), e le Antisterie. Dioniso è anche “il dio nato due volte” – Cfr. E. W. Stoll, Manuale di religionemitologica greco-romana, pag. 136 ss. (Dioniso, Bacco, Libero) e Dizionario Rizzoli dei Simboli, pagg. 38 ss. Su Dioniso e la pantera, M. Detienne, Laterza 2007. Su “Dioniso e le sue compagne”, K. Kerènyi, Gli Deidella Grecia, Il Saggiatore 1962, cap. XV, pag. 207 ss.

  • Robert Graves, Miti greci, pag. 95: << Dioniso fu in origine sottoposto alla dea-luna Semele >>. << Fu allevato come fanciullo, a somiglianza di Achille (usanza cretese) >>. << I misteri di Dioniso somigliavano a quello di Osiride >>. <<La Corona boreale, serto nuziale di Arianna, era anche detta la “corona cretese”>>. << Arianna era la dea-luna cretese. Agave, la madre di Penteo, è la dea luna che presiedeva alle feste notturne della birra…>>. << Il melograno ch sbocciò dal sangue di Dioniso era anche l’albero di Tammuz – Adone – Rimmon >>.

  • Pindaro, frammento 75, 3: Al suono di flauti e pifferi le donne danzavano lanciando petali di fiori, mentre un sacerdote invitava Semele a emergere dall’Omphalos e a presentarsi con lo “spirito della primavera”, cioè il giovane Dioniso (“Riti Pelasgici”, pag. 98).

  • K. Kerényi, Gli dei della Grecia, pag. 207: << In forma umana Dioniso lo si rappresentava con una maschera barbuta >>. << Egli figurava anche come figlio di Persefone, e veniva indicato come Clithonios, sotterraneo. Suoi giocattoli sono dadi, palle, trottole, mele d’oro, lana >>.

  • Pag. 221: << Le donne dionisiache degli Etruschi tenevano in casa leopardi addomesticati>>. << Secondo la forma più nota della sua storia, Arianna era la figlia di Minosse e di Pasifae, figlia del sole >>. << “Ariagne” oppure “Ariadne” significava originariamente la “santa”, la “pura”, la Hagne – appellativo della regina degli Inferi – al sommo grado >>. << Ad Arianna si contrapponeva Fedra, la “splendente”, e ancora Egle, la “luminosa” >>.

  • Pag. 225: << Una epifania particolare di Dioniso era espressa dal nome IACKCHOS: nome e grido allo stesso tempo. Cioè, Bacco-Dioniso >>.

  • Pag. 87: << Era (signora) è la vera sposa di Zeus >>. Pag. 90: << Le Cariti erano tre (in Esiodo e in Pindaro). Come regina di Orcomeno, la dea Era aveva forma visibile di tre pietre rozze. Si chiamavano Aglaia (l’ornamento), Euforione (la gioia),Talia (l’abbondanza). Le due Cariti (Atena) erano dee che apparivano nelle fasi di luna. Esse venivano dette anche figlie del Cielo, di Urano; oppure figlie del Sole e della luce (particolarmente della luce lunare) >>.

  • Georges Dumézil, La religione romana arcaica, Rizzoli 1977, pag. 442 ss.: << Bacco era identificato come Fufluns >>.

Conclusioni:

In base a questi rapidi appunti si ricava già un quadro capace di ‘spiegare’ il significato complessivo degli affreschi e dei distici greci presenti nella c.d domus Musae di Asssi (su questo vedi nostro precedente intervento).

Si trattava di un sito oracolare, collegato alla vera domus della gens Propertia, che si trovava accanto, poco più a monte (“Casa del Larario”). In questa domus di ampia superficie e d’età augustea, in un ambiente (oecus, salone in Vitruvio), ornato da un pinax d’epoca augustea, rappresentante una coppia, un uomo e una donna in atteggiamento ispirato (e non in una banale conversazione intima), sono stati rinvenuti (da Laura Manca) alcuni frammenti istoriati: un oscillum (mascherina) rappresentante una Menade e un satiro, e un larario frammentario in terracotta con un ‘dio’ protettore della casa (il lararium era il luogo della casa riservato al culto dei Lari, divinità del focolare, di dubbia identificazione con i Mani o lo spirito degli antenati: Varrone e Verrio Flacco in Arnobio III, 4).

Collegato al culto primitivo di Giano, e alla porta sacra dell’anno, l’antico rito era stato poi ripreso in chiave ellenistica, mantenendo però una funzione augurale, collegata ai presagi lunari (omina lunae) e alle guarigioni (Apollo oulios). L’ufficio si svolse in seguito sotto la protezione di Dioniso e Apollo per guarigioni e presagi. E’ possibile, adesso, spiegare anche la presenza e il significato di altri graffiti latini, qui rintracciati dalla Guarducci, finora non compresi: per esempio il graffito Iside –Osiride (un gioco evocativo di parole, già illustrato nel nostro ‘pezzo’ sulla domus Musae: vedi anche Appendice).

Lo scolasticismo della Guarducci e della Soprintendenza impedirono di afferrare bandolo della questione, introducendo una serie di equivoci.

Il graffito n. 1 si richiama a Bacco-Dioniso. Il graffito n. 2 ribadisce il rapportotra Bacco e il leopardo.

In questo secondo graffito, mutilo perché in parte illeggibile, doveva essere menzionato il vino. In Properzio il mito di Penteo è richiamato in III, 17, 24 e in III, 22, 33. Si rinvia a Ettore Paratore, Elegie diProperzio, Roma 1971, e al commentario del terzo libro di Paolo Fedeli, riportando qui i versi in traduzione italiana:

  • la fine di Penteo, da te voluta (o Bacco), nella triplice schiera

  • (né) le feroci Baccanti colpiscono sull’albero Penteo

*[L’elegia III, 17 è interamente dedicata a Bacco. Qui Properzio si auto celebra come poeta bacchico, attraverso il repertorio mitologico di Bacco e Arianna, che tra l’altro rinvia alla I, 3 – elegia bellissima, ambientata in una strana casa, dove Properzio e Cinzia vivono insieme (unica volta). In questa elegia compaiono anche i naviganti Tirreni, arcuati corpi di delfini. Bacco-Dioniso è associato al toro e alle corna lunari. Viene menzionato anche Pindaro. E’ noto il “sodalizio bacchico”, che stando a Ovidio, lo legava a Properzio, di lui più vecchio di pochi anni. L’elegia III, 22 è invece dedicata a Tullo Volcacio, rientrato da Cizico, in Asia Minore, dove era rimasto multos annos. Le belleterre materne di Tullo non risentono dei misteri della Tracia, di atmosfere dionisiache ecc. Non è il Lazio, come si crede, ma l’Umbria Antica, con la bellissima vallata di Assisi e Perugia (in analogia alle laudes virgiliane, nonostante l’elegia sia frammentaria). Properzio non è il Callimaco Romano, ma il cantore dell’Umbria. La madre di Tullo è la sorella del padre di Sesto Properzio, che si chiamava Gallo. Per poter apprezzare a fondo il significato storico geografico etnologico del mito greco di Dioniso-Bacco rimandiamo al saggio di Paul Faure, Nelle colonie greche, Rizzoli 1978].

Graffito n. 2: Bacco e il leopardo

  • Va approfondito il richiamo al “leopardo” (Baxxoupardalis). La Guarducci ha rilevato che il distico metrico è illeggibile nella sua parte destra. Legge “ennos…”, ma potrebbe concettualmente trattarsi del vino (la Guarducci propone enosis = scuotimento).

  • K. Kerènyi, op. cit., pag. 221: << Apparivano sempre più numerosi animali esotici al suo seguito. Grandi belve rapaci ammansite dal vino – leoni, pantere, leopardi – erano presenti già prima. Le donne dionisiache degli etruschi tenevano perfino in casa leopardi addomesticati. Le Menadi più antiche portavano serpenti innocui attorcigliati al braccio e il dio appariva loro come toro. La pelle di cerbiatto che esse portavano intorno alle spalle era frutto di cacce personalmente intraprese, e i caproni che si vedevano nel corteo dionisiaco in atto di mangiare i grappoli, erano destinati al sacrificio cruento >>.

  • L’elegia III, 17 di Properzio è dedicata a Bacco. Verso 9:C’è la prova tra gliastri: Arianna assunta in cielo dalle tue luci (cfr. Graves). Verso 24: Canterò di tua madre, …di Licurgo…, della fine di Penteo…, e il vino di Nasso. Versi 36 – 37: davanti alle porte del tuo tempio dal cratere d’oro posto davanti, versando in tuo onore l’effluvio del vino.

CONSIDERAZIONI

Il maculato leopardo richiama il colore del “sole” e il buio della “notte”: cioè Apollo-Bacco. Sarebbe il sacrificio, l’attrazione, la morte: eros /thanatos. Il sito della domus Musae è un luogo cultuale magico, d’antica memoria: magica Musa.

* L’antico rito italico dell’apertura cultuale della porta sacra a Giano, il dio degli inizi – appunto, all’inizio dell’anno astronomico, cioè il 22 dicembre, con “Giano bifronte” dio della pace e della guerra – si celebrava, sulle mura di Assisi, per mezzo di una scala sacra, penetrando da una portella posta in alto, quasi al colmo, con una scala di legno: iterprecationis. Si accedeva così all’interno del tempio oracolare del dio italico, che poi divenne appannaggio sacro della gens Propertia, al tempo del ‘maronato’ di Nerio Properzio (Nerio è il nome del Marte italico – Su Nerio Properzio, vedi Vetter 236: Propartie Nerie).

* [Ciò che non è stato compreso, anzi equivocato per tutto il periodo successivo a F. Caldari e a K. Kerényi, qui viene illustrato e spiegato, in raccordo al precedente intervento sulla domus Musae].

  • Anche i graffiti greci recuperati dalla Guarducci negli anni ‘70 danno ragione a questa versione cultuale, di radice antica, trasformatasi in seguito (ed è così spiegabile anche il fatto che i piccoli affreschi parietali siano stati illustrati da spiegazioni posteriori, incise con un punteruolo da mani diverse sull’intonaco originario). Giano è l’antichissimo dio delle genti italiche: cfr. G. Dumèzil, op. cit., pag. 290 ss.; nonché Ovidio, Fasti 1, 62 -64; Lyd. Mens. 4, 1; Plinio N.H. 34, 33; Macrobio 1, 9, 16

  • [Ad Assisi abbiamo un rarissimo altare dei 12 mesi e dei 365 giorni, completamente sconosciuto: ne tratterò a proposito del tempo di Minerva. La concezione dei 12 altari di Giano è attestata da Varrone].

  • Giano è il primo (Cic. Nat. D. 2, 27). I prima appartengono a Giano. Il toponimo assisiate di Mojano è inequivocabile: si riferisce a Ianus e alla sua ianua (porta). Il culto di “Giano Padre” è epigraficamente attestato ad Assisi (CIL XI 5374). Un’iscrizione umbra antica, in grafia epicoria, su un architrave in travertino (un ingresso importante), conservata ad Assisi in casa Ranaldi (dove sorgeva il primitivo capitolium di Assisi “quadrata”, appoggiata alle pendici, verso est, del Colle della Rocca), si riferisce a un’antica “porta” (estacvera papi), che non potrebbe essere altro che la porta di “Giano Padre”. Sol che la lettura papi (nel significato di Iani patri) è messa in discussione perché i caratteri non sarebbero ben leggibili (estacvera = questa è la porta). Si preferisce leggere vape, che specificherebbe la natura lapidea della porta (sic), con – vape = pietra, non tenendo conto che un tempio di Giano doveva sorgere, in antico, alle pendici est del colle (l’iscrizione umbra si riferisce all’arco o porta di Giano, mentre si scorgono antichi resti templari, appena al disopra del rialzo dove quasi sicuramente si collocava il primo capitolium di Assisi ‘quadrata’).

  • Il culto Giano, coevo al primo insediamento in età umbra, si spostò in seguito a valle, col successivo sviluppo urbano. Il nome del dio designa sicuramente un passaggio: Ianus – ianua. Giano – Portuno è raffigurato con una chiave in mano. A Giano era affidato l’inizio dell’anno (Macrobio, 1, 13,3). Janun quidam solem demonstari volunt…(Macrobio 1, 9, 9) significa la tutela del dio sul mattino (sorgere del sole). Nel precedente intervento sulla domus Musae abbiamo già dimostrato che il sito e le mura antiche che ancora lo circondano (all’incirca alla sommità delle quali si apre una portella coeva alla struttura con iscrizione latina) sono orientate sul punto del sorgere dl sole al solstizio invernale (22 dicembre). Questa ricostruzione è perfettamente coerente e appropriata rispetto all’assetto originario, i cui specifici elementi archeologici caratterizzanti, d’interesse e importanza eccezionali, sono finora sfuggiti per una serie di equivoci e di fraintesi, nonostante le nostre segnalazioni *[L’Accademia cittadina, una delle più antiche d’Italia, è sorda agli stimoli, ma particolarmente salda nei suoi pregiudizi e del resto molto attaccata all’esercizio esclusivo di una sorta di monopolio culturale, che proviene sostanzialmente dagli ambienti universitari perugini, anziché riferirsi ad Assisi, col risultato che alle voci critiche dei soci locali è stato impedito di veder pubblicati i propri lavori sugli Atti ordinari, evidentemente a seguito di un controllo censorio che sembra pressoché ingiustificato nel merito oltre che arbitrario rispetto alo statuto].

  • I corridoi della domus Musae erano due, ornati con 28 affreschi o stazioni, corrispondenti in tutto ai giorni di luna visibile nel c.d. ‘mese lunare’ (29-30 giorni: anno lunare di 354 gg., con un intercalare di 11 giorni rispetto all’anno solare di 365 gg.).

  • Il leopardo associato a Bacco esprime gli opposti di luce e buio (in questo caso, il ciclo giornaliero del tempo, come unità di misura). *[Su Dioniso e il leopardo si veda M. Detienne, op. cit., in particolare pagg. 54 ss. I Titani, mascherati con del terriccio, attirano il giovane Dioniso, un ragazzo, mostrandogli oggetti affascinanti: una trottola, un rombo, dei bambolotti articolati, dei dadi, uno specchio. Mentre Dioniso contempla la sua immagine riflessa nello specchio metallico, i Titani lo colpiscono, lo tagliano a pezzi, e lo cucinano in un paiuolo, dove le sue membra vengono messe a bollire, per poi arrostirle su degli spiedi. Pressoché analogo lo smembramento del corpo di Osiride].

  • Dioniso è l’esaltazione orgiastica del vino, in relazione alla vegetazione e al regno dei morti. Bàkchos divenne Bacco, equivalente a Roma al vecchio Liber Pater. I Liberalia si celebravano il 17 di marzo. Mamurio Veturio è “il vecchio di marzo”, associato ad Anna Perenna. La dea romana del solstizio d’inverno era Bruma ovvero Diua Angerona. A Delfi i tre mesi invernali erano dedicati a Dioniso. Con l’orfismo Dioniso assurge a simbolo di morte e di resurrezione. Il culto della vite (fermentazione dl mosto) è il rito che si accompagna all’autunno, quando i sole inizia ad abbassarsi sempre di più sull’orizzonte. Luce e buio. La pantera e il leopardo associati a Dioniso hanno questo significato. Nella casa della Maschera a Delo è conservato un mosaico con Dioniso sul suo “leopardo”.

  • Apollo e Dioniso sono coniugati all’andamento e alle mutazioni dell’anno terrestre e dell’anno celeste, che vanno di pari grado (la vegetazione, il sole e la luna, e l’eclittica). Il tempo e le stagioni, il buio e la luce. Apollo è il dio solare per eccellenza. Una recente scoperta epigrafica a Elea ha messo in luce che a Parmenide, celebre autore del poema dell’Essere (che si inaugura con la via della luce e la via del buio, cioè l’errore), era attribuita la qualifica di ouliades, rimanda all’appartenenza al genos legato al cilto e al santuario di Apollo Guaritore (oulios), ed è connessa al termine iatromantis, medico-indovino o medico sacro, a sua volta legato ad Apollo (cfr. G. Pugliese-Carratelli, La scuola medica di Parmenide, in Tra Cadmo eOrfeo, Bologna, 1900, pp. 269-280; cfr. anche V. Nutton, The MedicalSchoool of Velia, “La parola al passato”, 25, 1970, pp. 211-225).

Graffito n. 3: Gli auloi – i flauti – che la dea gettò nel lago Tritonis trovò una volta il Frigio, destino di grande contesa.

  • E’ un riferimento al mito di Atena (= Minerva italica, con radice -mens) e Marsia.

  • Apollodoro, Biblioteca, I 4,2: << Apollo uccise anche Marsia, figlio di Olimpo. Questi, infatti, dopo aver trovato il flauto (auloi a due canne – n.d.r) che Atena (cioè la Luna, di nome e di fatto: cfr. Aristotele in Plutarco, Defacie lunae 24, 224), aveva gettato via perché le sfigurava i lineamenti del volto (gote enfiate – n.d.r.), sfidò Apollo in una gara musicale; secondo i loro accordi, il vincitore avrebbe potuto fare del vinto ciò che voleva. Durante la gara, Apollo suonò con la cetra capovolta e chiese a Marsia di fare altrettanto; Marsia non ci riuscì e Apollo, proclamato vincitore, appese Marsia a un alto pino e lo uccise strappandogli la pelle >>.

  • E’ certamente singolare che la sfida tra Marsia e Apollo compaia riprodotta in un grosso ovale della Volta Pinta (attribuita a Raffaellino del Colle), fatta eseguire da Macello Tuto nel 1556-1557, sotto il Palazzo dei Governatori ad Assisi (con la nascente Accademia del Monte): cfr. P. Cogolli, 1969, ed E. Genovesi, 1995 (tavola VII). Ciò significa forse che all’epoca il sito della domus Musae era in parte noto, e che il piccolo affresco del graffito (non ancora svanito) era ancora visibile? Tra l’altro nella Volta Pinta è effigiata Minerva *[Vedi nostre riproduzioni degli importanti particolari della Volta Pinta]. Minerva è il corrispondente italico di Atena, ed è anche la ‘luna’. Il culto di Minerva era connesso a quello di Nerio-Marte. La radice -mens (la riflessione, il giudizio, il contrario della folle temerarietà: mens Bona, si quadea es in Properzio III, 24, 19 = Mens Bona / Minerva deaque Asis: cfr. il nostro Properzio e il suo doppio), è collegabile all’altra forma mens come mese lunare (sul significato di Mens divinizzata cfr. Ov., Fasti 6, 241-248).

Note:

Specchiandosi nell’acqua Atena gettò i flauti a doppia canna (auloi) che gonfiandole il volto nello sforzo di cavare le note, la imbruttivano: cfr. Plutarco, De cohib. ira, 6; Ateneo 14,7, 616 e-f; Properzio 2, 30, 16 ss.; Ovidio, Fasti 6, 697 ss.; Ars amat. 3, 505 ss.; Igino, Fabulae 165; Fulgenzio, Mythol. 3, 9; Mytographi Latini I.

Sull’acropoli di Atene c’era un gruppo statuario (Pausania, La Grecia), raffigurante Atena nel percuotere Marsia, perché aveva raccolto il flauto che lei aveva gettato via. Per la gara tra Apollo e Marsia cfr. Diodoro Siculo 3, 59; Pausania 2, 22, 9; Ovidio, Metamorfosi 6, 383 ss.; Fasti 6, 709.

La pelle dello scorticato Marsia era esposta in tempi storici a Celene: cfr. Erodoto 7, 26; Senofonte, Anabasi 1, 2, 8; Livio 38, 13 , 6; Curzio Rufo 3, 1, 1-5; Plinio, Nat. hist. 5, 106.

Evidente il trucco di Apollo (il flauto a doppia canna non può essere suonato a rovescio). Sulla “lira” di Apollo cfr. Macrobio, Saturnali 1, 17 ss.

R. Graves, op. cit.,pag. 70: << Le vittorie di Apollo su Marsia commemorano le conquiste elleniche della Frigia e dell’Arcadia che ebbero come conseguenza il prevalere in quelle regioni, degli strumenti a corda su quelli a fiato, fuorché nell’ambiente più povero dei contadini >>. << Lo scorticamento di Marsia allude a quello dell’ontano per ricavarne uno zufolo dalla corteccia >>.

Pag. 256: << Mida assistette alla gara tra Apollo e Marsia, arbitrata dal fiume Tmolo >> (cfr. Ovidio, Metamorfosi). In particolare, << Atena è inversione di Anatha sumerico >>. Marsia fu appeso a un pino, secondo Plinio a un platano.

Pentitosi, Apollo avrebbe in seguito trasformato Marsia in un fiume. Silenos erano i danzatori che attaccavano addosso una coda di cavallo (simbologia fallica). Naso camuso e atteggiamento sfrenato. I Satyroi – i pieni – indicavano uno stato eccitato e traboccante. I Satiri e le Ninfe dell’acqua (Driadi e Amadriadi). E il mito alessandrino di Ila (vedi Properzio I, 20: formalmente in polemica letteraria con Cornelio Gallo, già in polemica con il Virgilio delle Bucoliche, la cui architettura si presta al mistero: cfr. Paul Maury, 1944, per la numerologia neopitagorica delle Bucoliche). Ila, la sorgente, e il chiaro di luna: K. Kerényi, op. cit., pag. 153.

Atena corrisponde all’italica Minerva e all’etrusca Mnerva. Pallas significa “robusta fanciulla”. E’ identificabile con la luna: “occhi di civetta” (una civetta orna il ricco viridarium della domus Musae con passeracei e foglie a forma di cuore che sono bacche del caffè). Atena-Minerva è spesso associata al cultodelle acque. Si diceva che fosse nate sul lago Tritonio, non lungi dal luogo ove si situava l’antica città di Atene, inghiottita dal lago: Stoll, op. cit. pag. 53. Perciò Atena è denominata Tritonis, Tritonigheneia, cioè nata dalla corrente, con tritone che significa “onda rumoreggiante” (‘fontana dei Tritoni’). Anche in Libia c’era un lago Tritone.

K. Kerényi, op. cit., pag. 108 : << I conoscitori di cose segrete conservavano il ricordo di una storia, secondo la quale Atena avrebbe portato ad Efesto un figlio di nome Apollo >>. Pag. 111: << Ma i competenti delle cose antiche, e, si dice, Aristotele stesso, affermavano che sotto il nome di Atena si celasse in realtà la Luna >>. Anche Selene, come Atena, aveva un padre di nome Pallante.

Properzio (II, 30, 5):a nulla ti gioverebbe l’alta via di Mercurio – Non esiste una fuga da Amore. In mezzo starà Bacco, col tirso che ispira i poeti (verso 38). [Il tirso è l’asta di Bacco recante dei pampini]. …L’antico Giove / come arsed’amore per Semele (verso 29).

CONSIDERAZIONI

Nella domus Musae continuano a presentarsi dei miti connessi al rapporto sole-luna. Atena è l’acqua ed è la luna. Apollo e la sua lira sono il sole. Non si esce dal cerchio magico cultuale. In II, 30 Properzio menziona i flauti di Pallade, gonfie le gote che l’imbruttivano. Secondo il poeta, Atena li gettò nelle acque del Meandro, un fiume dell’Asia Minore. Cynthia-luna rimane in filigrana. Nel pinax n. 7 della parete nord (mito di Polifemo e Galatea) la Guarducci non ha notato che Polifemo è il sole e che Galatea è la luna bianca a cavallo di un delfino. Sono due volti, maschile e femminile, che si estrapolano dal mito stretto. Accompagnati anche da un graffito latino (vedi intervento sulla Casa della Musa).

Graffito n. 4 (Iliade 7, 264): Ma, ritiratosi, afferrò una pietra con forte mano (è il duello tra Ettore a Aiace).

La Guarducci fa presente che il pinax, appena leggibile, mostrerebbe Aiace che scaccia un gregge di capre con una pietra. Sono visibili due capre in fuga, verso sinistra. Nell’angolo di destra si scorge traccia di una figura indefinibile. Sotto il quadretto è una riga di scrittura (graffito) cancellata in due riprese. La Guarducci vi ha letto anche “Omero”, all’inizio della riga. Ma come spiegare, rispetto al duello tra Ettore e Aiace, le due capre del quadretto? E perché il verso fu cancellato? Risposta sconcertante della Guarducci, per illogicità manifesta, nella sua banalità: << ci si dovette accorgere (sic) che quel verso, pur pertinente ad Aiace, non coincideva con la pittura >> (il graffito fu cancellato, ciò nonostante la Guarducci è riuscita a leggerlo).

Omero, Iliade 7, Duello di Ettore e Aiace, versi 264 ss.: << Ma neppure così cessava Ettore la lotta: retrocedeva e afferrò con la robusta mano un sassoscuro lì a terra , tutto a punta, enorme. E con quello percosse Aiace nel tremendo scudo di sette strati di cuoio >>. Anche Aiace si serve di una pietra, molto più grande, che scaglia contro lo scudo Ettore, con forza tremenda. Ettore vacilla., rimane disteso supino. Interviene Apollo, protettore di Ettore: << Subito lo rizzò in piedi >>. Il duello si interrompe: << Ormai viene il buio edè bene arrendersi alla notte>>.

Aiace in seguito impazzirà per la questione delle armi di Achille che non gli furono assegnate. La crisi di follia lo spinse a far strage delle greggi dell’accampamento, scambiandole per Achei. A seguire anche la morte di Aiace. Il quadretto quasi svanito della domus Musae si riferirebbe alla pazzia di Aiace. In Igino (Fab. 107), Aiace impazzito uccise le pecore e se stesso, con una spada che aveva accettato in dono da Ettore. Nella pittura si può vedere che gli animali fuggono davanti all’eroe impazzito. Forse stava scagliando delle pietre. Perché il verso riportato nel graffito (che sarebbe stato quasi cancellato) non corrisponderebbe al dipinto?

Qui si tratta di Aiace Telamonio, mentre l’altro Aiace, l’Oileo, è richiamato nella grandiosa elegia Propertius-Horos (IV, 1, vv. 118-119), con Cassandra, che tentando di evitarne la violenza, si aggrappa alle vesti di Minerva (vedi “Properzio e il suo doppio”).

CONSIDERAZIONI

Anzitutto esistono oggi tecniche e procedimenti con i quali si può ‘leggere’ anche una pittura che allo sguardo sembra svanita. A destra, nel pinax, una figura indefinibile, e a sinistra due capre in fuga. Sotto, il graffito tratto dall’Iliade, di Ettore che ha afferrato una pietra per scagliarla contro Aiace. Perché mai il quadretto avrebbe dovuto coincidere col graffito? Si tratta di un abuso di tipo logico da parte della Guarducci. I graffiti, posteriori ai quadretti, non necessariamente devono illustrarne il contenuto in greco. Il requisito necessario è soltanto quello del collegamento:‘purché riferibile’. Ciò investe anche il problema in sé della presenza dei graffiti. A che scopo rovinare l’intonaco per spiegare, a casa propria, ciò che la pittura già rappresentava?

Il verso omerico è comunque collegato a Ettore, rispetto alla follia di Aiace. Dunque è collegato alla protezione accordata da Apollo. La logica della Guarducci lascia molto a desiderare, fino al punto da compromettere le sue affermazioni sulla domus Musae. E’ sorprendente che sia io il primo a farlo notare, a riprova della superficialità con cui la questione è stata affrontata anche in seguito. Se nella pittura si trattava di Aiace, adesso il graffito invitava ad assumere il contrario: la saggezza di Ettore. Il quarto graffito, con un verso di Omero (il che pone il problema se gli altri grafiti greci riportano magari dei versi antichi sconosciuti e perduti oppure siano creazioni ad hoc), è posto al centro della sequenza della parete nord, composta da 7 pitture e 7 graffiti. E’ perciò possibile che tale collocazione nel mezzo abbia un suo significato. Viceversa, quale collegamento potrebbe esserci nella successione stessa dei 7 quadretti, quadrati e rettangolari alternati (che fa presupporre un numero pari complessivo)? I corridoi erano due, in corrispondenza delle due navate dalle soprastante chiesa antica di Santa Maria Maggiore, e non uno solo. Si è creata una serie di equivoci non avendo ben considerato le strutture e i luoghi. Uno di questi equivoci è che il corridoio studiato dalla Guarducci (coridoio a sud) continuasse ancora, oltre il viridarium. Anche questo è falso, ed è frutto in primo luogo di errori concettuali. *[Vedi nostro intervento sulla Casa della Musa. Il visitatore dell’anno 367 d.C. scrisse: “baciai la casa dellaMusa”, al momento dell’uscita: argomento testuale evidente].

Graffito n. 5: O Iamo infelicissimo, quale amico hai o quale consanguineo? Difesa a te morente Febo, ecco, dette, o fanciullo

E’ il raro mito di Iamo, come soggetto di affresco. Febo è un altro nome di Apollo, letteralmente “il risplendente”, il “puro” (epiteto solare). Nella mitologia greca Iamo, antenato della famiglia egli Iamidi, è figlio di Apollo ed Eavadne (in Properzio Evadne è moglie di Capaneo, arsa viva col suo cadavere per amore: I, ,15, 21-22; III, 13, 24 – Capaneo è uno dei 7 contro Tebe, forzuto e di statura gigantesca. Morì per tracotanza e superbia, colpito da un fulmine di Zeus).

Iamo, figlio di Apollo e di Evadne (quest’ultima figlia di Poeseidone e di Pitane), venne esposto dalla madre, ma fu nutrito da due serpenti con il miele. La madre lo ritrovò miracolosamente salvo, coricato su un letto di viole in fiore (Iamo significa letteralmente “il fanciullo delle viole”). Fatto adulto, Iamo ricevette da Apollo il dono della profezia, la capacità di comprendere il linguaggio degli uccelli e di interpretare le profezie. Dando retta alla Guarducci ecco che non comprendiamo più nulla della domus Musae. Il corridoio a sud o c.d. domus Musae termina con un bellissimo viridarium con 96 specie di passeracei (e le bacche rosse del caffè, a forma di cuore).

Fonte del mito di Iamo è la sesta ode olimpica di Pindaro. Come in altri due casi (graffiti n. 8 e n. 9), l’autore dei versi graffiti sull’intonaco si riferisce direttamente al protagonista, che doveva essere raffigurato nel quadretto svanito (che forse potrebbero ancora essere ‘visti’ ricorrendo a tecniche speciali). Febo ha mandato due serpenti a nutrire con il miele suo figlio. Iamo sarà il capostipite del veggenti (avete capito o no che la c.d. domus Musae è un luogo di oracoli e di guarigioni?). La Guarducci, che compì un lavoro prezioso di recupero e di restituzione (nonostante le critiche rivoltelle dai grecisti Gallavotti e Medaglia), però non ha mai compreso dove era capitata (così pure il Soprintendente in carica a quel tempo e quanti in seguito hanno lavorato in questo sito. [La casa di Properzio è quella affiorata dopo il sisma del 1997, a seguito di lavori di restauro e consolidamento; ma l’equivoco perdura, anche perché l’Accademia Properziana del Subasio, una delle più antiche d’Italia, non si è fatta parte diligente nel chiarire tali perduranti equivoci, nonostante i miei reiterati impulsi: ed è stato sicuramente ‘offensivo’ da parte dell’Accademia aver ospitato una mia conferenza al riguardo, per lasciarla poi cadere nel vuoto, come se vaneggiassi – vedi “La casa della Musa” e “Properzio e il suo doppio”].

  • Soltanto in questo caso il graffito è stato inciso sopra l’affresco, e non sotto (pur potendolo fare). L’affresco n. 5 è di forma ‘quadrata’ (numero dispari). La pittura era quasi del tutto svanita (chissà oggi). La mano del graffito è unica: non si rivela, secondo la Guarducci, negli altri casi (con altre 4 mani diverse, di cui la stessa nei 3 graffiti della parete sud). Il graffito è un distico elegiaco (come nei casi 2, 3, 6, 7, 8, 9). Le critiche di Silvio Medaglia sono di carattere metrico e di esegesi. Le nostre (non siamo filologi) sono di carattere logico dimostrativo e archeologico, con argomenti puntuali.

R. Graves, op. cit., pag. 202: << Dalla pratica indiana – sati in sanscrito – della cremazione della vedova insieme al corpo del marito defunto (richiamata anche da Properzio), comprovata dal mito di Evadne (qui come moglie di Capaneo), nacque l’usanza indo-europea che imponeva di non risposarsi >>. Pag. 347, in altro contesto: << Evadne, moglie di Capaneo, sapendo sua marito era stato eroicizzato dal filmine di Zeus, non volle essere separata da lui. Evadne di gettò sul rogo comune e arse >>. Pag. 568, nell’ambito della tragedia Alcesti di Euripide (438 a. C.): << Medea (presente nelle Elegie di Properzio come maga malefica), dando ulteriore prova di suoi magici poteri, indusse Evadne e Anfinome a impugnare risolutamente i coltelli. Medea condusse le due giovani sulla terrazza del palazzo, ciascuna con una torcia in mano, e disse loro di invocare la Luna mentre il calderone bolliva >>.

* I calderoni della rigenerazione sono comuni nella mitologia celtica. Ecco perché Medea crede di essere una dea iperpoborea, che può significare ‘britannica’. La sostanza della leggenda potrebbe derivare dal rito della mezza estate, quando il re sacro, con una maschera d’ariete sul viso, veniva massacrato sulla cime di una montagna. Si facevano poi bollire in un calderone le sue membra e le sacerdotesse le mangiavano (contatti col mito di Dioniso).

CONSIDERAZIONI

Il mito dell’abbandono del bambino (mito di Iamo) è antichissimo. A parte tutto, permane nella sequenza dei graffiti la costante solare di Febo-Apollo. Qui Febo è il soccorso, la salvezza. I serpenti richiamano motivi parentali e anche motivi astronomici. Il sole è sempre presente. L’intonaco del buio “critportico” è di colore giallo. Giallo – rosa nei pavimenti di due stanze. Motivi zodiacali ornano le pareti, col segno del cancro (VI, 1, 150 – Horos).

Graffito n. 6 (carro solare di Apollo con insegne oracolari): Illustre carro di Paian, arco e armoniosa lira, grifi e tripodi, insegne di arte oracolare

Il carro è rosso ed è il carro di Apollo [cfr. carro di Monteleone di Spoleto, VI secolo a.C., Metropolitan Museum, New York]. Arco con frecce: i dardi solari. Lira armoniosa: moto solare, orbita (4 corde, le 4 parti del cielo: Macrobio, Saturnali). Grifi verdi e tripodi: forza trainante, fuoco, arte profetica. Il tripode, che manca nel dipinto, era posto accanto al viridarium, nella domusMusae (magica Musa in Properzio IV, 4, 51 ed omina lunae).

Macrobio (Sat, I, 17 ss.) dedica molte pagine per spiegare un unico concetto: Apollo, Dioniso, Orfeo, Eracle ecc. altro non sono che il Sole. In I, 20 richiama lo hìe Paian (lancia, Peane!). così dice infatti Timoteo: Tu, o sole, che semprela volta celeste / con raggi splendenti colpisci / scaglia contro i tuoi nemici undardo saettante / dal tuo arco, o hìe Paian. Ed è l’esplicita evocazione di Apollo-Sole, sul suo carro Paian. Chiarisce Macrobio (I, 17, 7) che Platone scrive che il sole fu detto Apòllon da apopàlleintàs aktinas in quanto lancia raggi o dardi infuocati. I tripode sacro è un simbolo solare = fuoco. I grifi sono la forza trainante del carro solare lungo il percorso. Il sole è Apollo-Bacco al momento del tramonto, più che all’alba.

CONSIDERAZIONI

Disattenzioni e scolasticismo hanno impedito alla Guarducci, tuttavia grande studiosa, di comprendere la vera natura del luogo, nel suo articolato insieme. Tali errori hanno provocato un irrigidimento su false rappresentazioni, perdendo di vista i collegamenti. Quando si verificano simili inconvenienti accade che poi gli spiriti incapaci sia di critica, che di persuasione, coltivino la strada sbagliata. Dalle errate considerazioni della Gurducci non risulta, di fatto, alcun elemento concreto per stabilire che questa sia stata la “casa” di Properzio e di Paulo Passenno. Grande specialista, Margherita Guarduci purtroppo non capì nulla di dove era penetrata, sovvertendo senza alcun argomento quanto invece intuito da Fioravante Caldari, il vero scopritore dl sito, appoggiato da studiosi di fama mondiale del calibro di G. Saeflund e K. Kerényi (esiste un carteggio di Caldari con i due studiosi a testimonianza dell’impegno). Talvolta la scienza si faccia antiscienza, essendo questo il caso tipico di un sovvertimento. Nessuno ha cercato di ragionarci sopra con rigore logico e curiosità. Le presenti pagine, assolutamente corrette, viceversa saranno considerate eretiche, ma non è possibile andare contro ragione e violare la logica, sebbene oggi i luoghi siano strettamente legati a san Francesco, all’episodio famoso della rinuncia ai beni paterni.

Graffito n. 7: Pascola Polifemo cantando e Galatea sulla curva schiena del ‘camuso’ festante (un delfino).

  • E’ il mito di Polifemo e Galatea. Il relativo pinax si è conservato intatto, come nel caso precedente n. 6 (ciò sarebbe dovuto a minori fattori d’incidenza: in effetti, gli affreschi più rovinati sono quelli più verso la parte dell’abside della chiesa soprastante, che non verso la facciata). Cin questo affresco e questo graffito termina la serie della parete sud (7 affreschi e 7 graffiti: è illusoria l’immaginata ed asserita (da parte degli archeologi di Pg) prosecuzione del corridoio, aldilà dell’incasso del viridarium. E’ invece effettiva l’esistenza di un altro corridoio a nord, sotto la navata sinistra della chiesa, sepolto a qualche metro di profondità, ma non alla stessa quota del corridoio già noto. (Non si tratta di un criptoportico, nonostante certe apparenze: i criptoportici contemplano l’adiacenza di una domus e non è questo il caso).

  • La Guarducci si sofferma molto sul quadretto che riporta un volto barbuto e capelluto adagiato su una roccia, dei ripiani con animali (capra, pecora, ariete), il bianco volto di Galatea in groppa a un delfino nel mare verde scuro. Solo i due volti, gli animali su ripiani, e il delfino.

  • Properzio si richiama a questo mito in III, 2, 7 ss.: e Galatea sotto il selvoso Etna, o Polifemo, ai tuoi canti piegò i suoi cavalli, roridi di mare. Dopo di che ci si rifà al favore di Bacco e Apollo. Perché non è stato riportato il verso poetico in latino, preferendo coniare un distico greco, differente anche nel contesto naturalistico, e, in ogni caso, il quadretto non corrisponde nei dettagli al passo properziano? La Guarducci è incapace di rispondere. Veramente strana questa supposta casa di Propezio, con affreschi di età più tarda, e poi con distici greci non corrispondenti, graffiti da mani differenti sull’intonaco originario.

  • Il mito presente nella “domus Musae” sarebbe una seconda versione, quella di Galatea innamorata. Galatea, “la bianca”, è una delle Nereidi (Apollodoro I, 2,7), nata da Nereo e Doride, è connessa alla luna (Graves, pag. 193). E’ la luna del giorno, che è bianca, col sole (il volto barbuto) e la lira a 4 corde (simbolo solare secondo Macrobio). Gli animali, che sono 4, posti su ripiani, sono il simbolo dei due equinozi e dei due solstizi (d’estate e d’inverno). Secondo Macrobio la capra è un simbolosolare perché si arrampica in alto.

  • Mentre Cinzia, che è già morta, riapparendo in sogno al poeta (IV, 7), integra il motivo dell’Empusa (la “revenante”: vedi Flegonte di Tralle, scrittore dell’età di Traiano), il pinax del mito di Polifemo e di Galatea si rifà al motivo delle “teste profetiche” (cefalomanzia). Quella della testa profetica era un’immagine nota agli antichi e ricorrente anche in ambito mitologico. L’archetipo è quello di Orfeo, la cui testa, recisa dalle Baccanti infuriate, venne trasportata dal mare nell’isola di Lesbo. Lì avrebbe iniziato a profetare, al punto da suscitare, si diceva, l’ira di Apollo.

  • In un’idra attica del V sec. a.C. è rappresentato un personaggio in procinto i chiedere un vaticinio alla testa mozzata, collocata sul terreno (rappresentazione vascolare censita nel Lexicon IconographicumMythologiae Classicae, vol. VII, p. 88). Sicché in tal senso si spiegano perfettamente i due graffiti latini rinvenuti dalla Guarducci accanto a quest’affresco di Polifemo e Galatea nella domus Musae (vedi il nostro “La Casa della Musa” e Appendice). Per gli antichi la testa era la sede dell’anima anche dopo la morte.

CONSIDERAZIONI

 

Il quadretto o pinax di forma quadrata, abbastanza ben conservato, del terzo stile in fase avanzata, col mito di Polifemo e Galatea e il distico greco, graffito al di sotto, rimandano in tutta evidenza al sole e alla luna. Il filone tematico, sfuggito alla Guarducci, è sempre lo stesso.

Polifemo-Sole (testa vaticinante) e Galatea-Luna (omina lunae: cfr. IV, 4, v. 23), non solo ribadiscono la magica Musa (IV, 4, verso 51), i suoi cantamina, ma attengono al traino orbitale della concezione in antico di Sole-Luna, rappresentato dall’innamoramento, e ai movimenti altalenanti dell’eclittica (la Luna a dorso di delfino).

Al faccione capelluto e barbuto del sole corrisponde la bianca faccia lunare di giorno. In termini iniziatici e vaticinanti c’è anche un’evocazione di Orfeo (e la sua lira), come “testa profetica” e come “sede dell’anima”.

Il velo mitologico copre l’arcanum, ma allo stesso tempo lo rende più efficace e assai suggestivo, in particolar modo per quanto concerne Polifemo-Sole, testa vaticinante sulla quale doveva concentrarsi l’impetrante di sesso maschile, mentre per le donne valeva il volto di Galatea-Luna.

La Guarducci rilevò anche due inspiegabili graffiti latini: HOCI vacHOCI vac A che si spiegano benissimo come primo ‘vaticinio’ e ‘altro vaticinio’ (uomini e donne). In latino vaticinium, cioè “profezia”.

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Pinax della domus Musae (n. 7 parete nord) col mito di Polifemo e Galatea

PARETE SUD – 3 GRAFFITI

Graffito n. 8: Ahimé , Tereodall’infelice amore, se tu avessi giaciuto in un solo talamo, giammai tu, il padre, saresti divenuto tomba di Itylos

 

  • E’ il mito di Tereo, re di Tracia, che avendo tradito la moglie Procne con la sorella di lei Filomela, subisce l’atroce vendetta della moglie, che uccide il figlioletto Itylos (o Ithos) e lo dà in pasto al padre.

  • Un affresco accanto ha subito molti danni, ma conserva tuttora i contorni di una mano deforme seguita, verso sinistra, da uno strano quadrupede dal muso allungato. Il quadretto, del genere dei grylloi – così riferisce la Guarducci – è senza epigrafe. Segue invece un altro quadretto svanito, non leggibile, al quale si riferisce il graffito n. 8 di Tereo. Siamo nella parete sud del corridoio che guarda a una spazio aperto a valle, con alcune piccole finestre strombate, da cui il corridoio prende luce, all’altezza del grande viridarium incassato nel muro e degli affreschi n. 6 e n. 7 già visti (parete nord).

  • Tereo si trasformerà in una upupa (uccello onomatopeico), Procne in una rondine, e Filomela (letteralmente “amante del canto”) verrà mutata in un usignolo. La vicenda fu oggetto di una tragedia perduta di Sofocle, il Tereo.

Itys compare in Ovidio (Met. 6, 65), in Catullo (65, 13 ss.), e in Properzio in III, 10, 10 (elegia del compleanno astronomico di Cinzia, 21 giugno giorno del solstizio d’estate con la luna nella casa del segno del Cancro). Il verso della è il pianto di Procne per Itylos, cui corrisponde il lamento dell’upupa da parte di Tereo.

Il mito di Tereo è connesso a metodi oracolari tracio-pelasgici (R. Graves, op. cit., pag. 148 ss). La sacerdotessa o Pizia cadeva in trance dopo aver masticato foglie di alloro.

OSSERVAZIONI

Il bellissimo viridarium della domus Musae (vedi riproduzione in Appendice) è un lucus apollineus . Secondo Fioravante Caldari, suo scopritore, le foglie rosse a forma di cuore che lo caratterizzano in modo singolare, sono bacche o drupe della pianta del Caffè (Caldari era un esperto farmacista). Il lucus (un trompe d’oeil) è incassato in una parete, per cui è stato dipinto su tre ante (tre lati). E’ un boschetto stilizzato a racemi intrecciati, con fiori a 5 pallini, foglie rosse a cuore, e 96 specie diverse di passeracei appollaiati sui ramoscelli. In basso: un grillo, una tartaruga, e una civetta (uccello sacro a Minerva). La rappresentazione è di tipo estivo.

La Pizia ricorreva alla droga del caffè importato dall’Arabia Felix. Un rapido riferimento all’Arabia è contenuto nelle Elegie.

L’ipotesi della Pizia è tutt’altro che peregrina (a parte l’avallo di K. Keréneyi nei riguardi di Caldari). Lo testimonia il graffito sottostante al caro di Apollo con le insegne oracolari (graffito n. 6), in cui compare aggiuntivamente il tripode sacro.

La Guarducci rilevò soltanto 4 quadretti perché parte del muro parietale esterno è crollato all’inizio del corridoio, verso l’abside della chiesa soprastante. Ma gli affreschi dovevano essere 7 per parte (14 in tutto, in questo lungo corridoio, che corrisponde alla navata sinistra della chiesa, rispetto alla facciata). Analogo corridoio con identico incasso si trova sepolto sull’altro lato. Tra i due corridoi, quello noto e quello ignoto, disposti su un certo dislivello naturale, non esisteva alcun edificio, ma uno spazio libero, sul quale è stata poi elevata nel V sec. d.C. la prima chiesa cristiana di Assisi, rifatta nel 1162 in stile romanico (l’impianto cristiano primitivo aveva carattere basilicale ed era sprovvista di campanile). I due corridoio comunicavano attraverso una scala discendente, dalla parte dell’attuale abside romanica. I corridoi s’interrompevano al livello dell’attuale facciata. Il visitatore dell’anno 367, che lasciò il graffito latino datato in base ai consoli in carica (Giovino e Lupicino), uscì dalla porta inferiore, subito dopo il viridarium. Qui infatti il raccordo viario antico con una porta urbica, posta più in basso, caratterizzata da un porticato interno (all’altezza delle due attuali chiese trecentesche di sant’Apollinare e di san Paolo, curiosamente quasi a contatto perpendicolare l’una con l’altra, sorte su antiche preesistenze di natura non qualificabile, ma in una zona caratterizzata da ricca presenza d’acque).

Dopo un quadretto di forma originariamente rettangolare, analogo a quello già visto del gryllos, ma con la pittura svanita, e privo di epigrafe (Guarducci), si trova il distico greco n. 9. Prima di passare a questo graffito, va osservato che i due grylloi (uno dei quali illeggibile e l’altro incertissimo), che sarebbero privi del corrispondente graffito sull’intonaco preesistente (conservatosi come tale anche sulla parete sud), non è detto ne fossero veramente sprovvisti. La mancata rilevazione dei graffiti (dovuta anche al distacco o rovina degli intonaci dovuti a crolli parziali), non significa tout court che facessero difetto in origine. Infatti, i graffiti proseguono, per interrompersi là dove la parete muraria è crollata del tutto, collassando all’esterno, fermo restando che la chiesa romanica attuale è solidamente appoggiata sulla soggiacente piattaforma., tanto da riportare danni minimi a seguito del sisma del 1997.

Graffito n. 9: Un nuovo, o Eros, un nuovo dolore dal cuore immaginasti di costruire: costui, non volendo, ama l’acqua della propria immagine.

  • Distico alludente al mito di Narciso al fonte. Specchiandosi nella sua immagine trovò la morte. Quadretto perduto. Questo mito fu trattato da Ovidio (Met. 3, 341- 401, dopo Tiresia e prima di Penteo). Le Metamorfosi di Ovidio furono composte dopo l’anno 1-2 a.C. (da un’altra opera del poeta dell’acquosa Sulmona si ricava nebulosamente la morte di Properzio, non doveva avere più di 45 anni, che sarebbe avvenuta prima del 2 a.C.). Narciso è accostato alle ninfe delle fonti. Queste ninfe avrebbero educato Apollo (sole che si specchia sull’acqua scura). Narciso, del resto come il giovinetto Ila amato da Ercole sole, rapito dalle ninfe delle acque, attiene al fenomeno singolare della rifrazione della luce (immagine spezzata). Il mito di Ila comprende l’elegia I, 20 di Properzio. Narciso è collegato anche alle ninfe dei monti (Oreadi). Eco, una delle Oreadi, s’innamorò di Narciso, ritroso a ogni amore e invaghito soltanto di se stesso. Della povera Eco non rimase che la voce (fenomeno sonoro in collegamento con un fenomeno ottico).

  • E’ strano che il graffito sia greco, ignorando Ovidio. E’ impossibile verificare il contenuto del pinax.

  • R. Graves (op. cit., pag. 71) ritiene trattarsi dell’eroe cretese Giacinto, chiamato anche Narciso. Dunque, un mito antichissimo, di origine cretese – micenea. L’Apollo dorico usurpò il nome di Giacinto a Taranto, dove fu onorato con una tomba eroica (cfr. Polibio, VII, 30). Ad Amiele un’altra “tomba di Giacinto” divenne la base del trono di Apollo. Pag. 259: << Il veggente Tiresia disse a Liope, la prima persona che l’avesse consultato, che Narciso vivrà fino a tarda età, purché non conosca mai se stesso >> (inversione del principio socratico). Il fiore di Narciso, che anticamente si intrecciava nelle ghirlande di Demetra e di Persefone (Sofocle, Edipo aColono, 682 – 684) era azzurro, chiamato appunto leivion. Serviva a placare le Erinni (furie interiori). Fiorisce nel tardo autunno, da cui il fatto che (Graves, pag. 261) la favola serve a spiegare le virtù medicamentose dell’olio di Narciso, un noto narcotico.

  • Georg Luck (Il magico nella cultura antica,1994, Mursia, pag. 271 ss.): Il vaticinante scrutava l’acqua, il suo incresparsi. Ed è la profezia, la mantica attraverso “visioni nel gioco luminoso”, con “qualsiasi superficie lucente, trasparente o a specchio”, come anche “un bacile d’acqua”.

OSSERVAZIONI

E’ impossibile dubitare della persistenza di un identico contenuto di fondo e di una costante traccia mantica. Cose completamente sfuggite alla Guarducci e agli altri. Sfuggito anche il fatto saliente e decisivo che il sito della c. d. domus Musae è astronomicamente orientato in un contesto archeologico complessivo risalente al II – I secolo a.C.

Come farebbe la Guarducci, già dopo alcuni suoi ripensamenti, a riportare i distici greci a Paolo Passenno, con affreschi del III-IV stile, d’età coeva? Sarebbe questa la “casa di poeti” o domus Musae? Con che logica e in base a quali prove?

Siamo arrivati al 2014 e si è continuato a ‘vaneggiare’ dagli anni ’80 del secolo scorso. Mentre la domus Musae rimane chiusa al pubblico (visite ‘guidate’ su prenotazione ma soltanto una volta al mese), spiegabilmente per il fatto che soggiace a un monumento religioso francescano di grande importanza (ma ‘custodito’ male). Verità e fruibilità sono recessive. Contano le false attribuzioni, insieme ai molteplici equivoci, anche di carattere archeologico ed epigrafico: nonostante il chiaro debito di riconoscenza, nei confronti del meticoloso lavoro di recupero, portato avanti dalla Guarducci, dal 1970 al 1976 (tuttavia in condizioni di monopolio).

Graffito n. 10: Il forte Eracle, servendo Onfale, le lane e i due canestri, schiavo alla moglie, sorveglia.

  • Quadretto svanito, ma si è conservata la superficie. E’ un distico greco elegiaco relativo al mito di Ercole e Onfale, regina di Lidia. Ercole si veste da donna e si occupa di lavori femminili. Nella poesia romana le voci di questo mito sono soprattutto quello di Properzio (III, 11, 17 – 20 ) e di Ovidio (Fasti 2, 305 – 358).

  • Properzio: A tanta fama di bellezza giunse Onfale / la fanciulla lidia che sibagnava nel lago di Gige, / da indurre l’eroe che pose le colonne al mondomesso in pace / a filare, con le mani dure, morbide lane. *[In base a “Properzio e il suo doppio”, qui va colta l’ironica allusione ad Augusto nelle mani di Livia]. Ancora Properzio (IV, 9, 49-50): Io sono quello che in vestedi porpora ha eseguito / lavori servili, e ha filato la lana sulla conocchialidia. Va richiamato il fatto che anche Ercole è sinonimo mitologico del sole. Il mito di Ercole e Onfale – che sembra corrispondere alla fase primigenia del matriarcato antico – merita la massima attenzione nel contesto della domus Musae. Su Onfale cfr. Erodoto citato da Apollodoro I, 9, 19. La Guarducci, dopo aver richiamato la casa degli epigrammi a Pompei, afferma che il resto della domus rimane ancora sottoterra. Tuttavia è impossibile che tra i due corridoi (a sinistra e a destra) potesse sorgere una casa di abitazione. La falsa percezione dei luoghi ha ingannato la studiosa (e i suoi successori).

  • La “casa di Properzio” che si ritenne di aver individuata, è un’illusione persistente, anche in seno all’Accademia Properziana del Subasio, che ha preferito tapparsi gli occhi. E’ vero che alcune espressioni o parole impiegate nei graffiti greci (di discreta fattura) sembrano evocare Callimaco, ma è falso che Propertius fosse il Callimaco Romano, come egli stesso si è definito, chiamando però l’indovino Horos a smentirlo (vedi “Properzio e il suo doppio”). Il costrutto della Guarducci è privo di fondamento, sia perché non si tratta di una casa, sebbene le apparenze assomiglino a un “criptoportico”, che non necessariamente prevede una abitazione, e sia anche per il fatto che nulla prova che potesse alfune trattarsi della casa di Paolo Pasessenno, discendente e municipale di Properzio stando a Plinio il giovane, che possedeva terre nei pressi di città di Castello. L’attestazione del visitatore dell’anno 367 (il 22 febbraio: ricorrenza delle Caristie) – ho baciato la casa della Musa, è un riferimento poetico all’elegia di Tarpeia, nulla di più e nulla di meno. Il sito della domus Musae, come tutto dimostra con la massima evidenza, non era una casa privata di abitazione, né è possibile asserire che si trattasse di una domus patrizia ormai in abbandono. Errori concettuali hanno ingenerato un equivoco, tuttavia irrilevante circa le origini di Properzio da Assisi. La domus della gens Propertia era quella poi affiorata dopo il 1997. Nulla vi si oppone. Cosicché il quadro ha finalmente un senso. Le dotte osservazioni della Guarducci non colgono mai nel segno, circa la effettiva realtà delle cose. Ci girano intorno, mancando però di un vero e solido punto di appoggio, contraddette in termini logici e deduttivi da una situazione di fatto insostenibile e inconciliabile. Se ad esempio gli affreschi sono del III- IV stile, allora i graffiti greci non può averli concepiti Passenno, neppure da vecchio e con la mano tremante. E come si spiegherebbero i graffiti latini, apparentemente fuori contesto? Chi poteva rovinare gli intonaci di una casa di abitazione, nell’anno 367 lasciando la sua firma di presenza? Questi e altri argomenti sono vincolanti e insuperabili. Non si trattava di un luogo privato, bensì di un singolare “sito oracolare”, riferibile alla gensPropertia, già connesso in passato all’antico culto pubblico di Giano (II-I secolo a.C.). Il duplice complesso – la vera domus e la c.d. domus Musae – costituisce una rarità assoluta, unica al mondo. E’ bene che gli Assisani lo sappiano, riprendendosi la loro storia, tre volte millenaria, anziché essere gestiti in mundio da ‘Perugia e dintorni’ (e si rendano finalmente conto che nello scrigno portentoso dei tesori della loro Città di Luce va annoverata anche la preziosissima copia originale della statua di Augusto in panni di pontefice massimo, databile al marzo del 12 a.C. e riferibile al tempio di Minerva, conservata anonimamente in un angolo poco visitato dell’importante Museo Romano di Assisi, frutto degli scavi ottocenteschi di Charles Famin).

OSSERVAZIONI

U. Pestalozza (cfr. Religione Mediterranea, 1958, pag. 360): Semo Sanco è assimilato a Ercole (adesso è chiaro anche il toponimo Sementone, che non è di origine medievale se non per adattamento, accanto al toponimo Mojanoe e ad Apollinara). Le coincidenze non sono casuali. I toponimi hanno la caratteristica di conservarsi addirittura nei millenni. La zona della domus Musae è qualificata anche da tali toponimi costantemente trascurati (tranne che da F. Caldari e prima di lui da A. Fortini). Semo viene dalla radice di sero, semen, sinonimo di genius (Semones genii). Una epigrafe umbra proveniente dalla zona di San Damiano ricorda Herentas e Fiso Sanco. Le antiche terme umbre di “Santureggio” rinviano al culto di Sancus rex. Assisi è un ‘palinsesto’ archeologico formidabile. Sempre secondo Pestalozza (pag. 365), il mito di Ercole e Onfale, penetrato nel mondo italico, riguardava la favola della notte d’amore di Acca Laurentia con Ercole nel tempio a lui dedicato. Ci sarebbe stato un innesto del mito di mito di Onfale ed Ercole in quello di Acca, di Hercules e di Faunus, un mito << in cui Onfale altro non è che la stessa grande divinità femminile anatolica, che in Lidia, nei templi a lei dedicati, si circondava di uno stuolo di cortigiane sacre >>. Il particolare del gioco dei “dadi” da parte dell’aeditumus (custode del tempio) può contenere, come ha osservato Frazer, la reminiscenza di un rito realmente osservato nel culto di Eracle. Narra Pausania (VII, 25, 6) che scendendo da Bura in Acaia verso il mare, si incontrava una grotta con una piccola statua di Eracle Buranico, dinnanzi alla quale si praticava la divinazione per mezzo del gioco dei dadi, molto diffuso nei santuari greci. Ciò fa pensare ai dadi etruschi. In Marziano Capella troviamo un collegamento tra Ercole, i buoi del sole, e Pompei (e il numero 5). Ercole è un simbolo della potenza del Sole. Onfale è la Terra. Il sole è asservito alla terra (vegetazione, crescita).

Apollodoro (Biblioteca 1, 9, 19) fa riferimento al mito di Ercole e Onfale. In tale contesto c’è un riferimento anche a Ila. Ercole per Macrobio è sempre un’evocazione solare.

Graves (op. cit. pag. 485): << Come la Pizia aveva predetto, Eracle fu comprato da Onfale, regina di Lidia >>. << Onfale ha tre figli da Ercole, tra cui Tirreno, che inventò la tromba e guidò gli emigranti Lidii fino all’Etruria >>. Anche secondo Grave sol mito si riferisce al trapasso dal patriarcato al matriarcato che caratterizzò gli Etruschi (patronimici materni). C’è poi l’antefatto della contesa tra Apollo e d Eracle per un tripode (pag. 481). Giudice della gara tra Apollo e Pan fu Onfale (pag. 353). << Il nome di Onfale (pag. 359) fa pensare a un oracolo – ombelico come quello di Delfi >>.

Questi collegamenti sono del tutto sfuggiti alla Guarducci che ha cercato scolasticamente di far leva soltanto su richiami letterari, sul presupposto errato in partenza di una dimostrazione a tesi.

L’omphalòs era un antichissimo sasso a forma circolare collocato nell’adito del tempio di Apollo a Delfi che rappresentava l’ombelico della terra, come indicava l’iscrizione Geas (“della terra”).

  • Lane”, in greco, si dicono “eiria”. Acutamente la Guarducci si è accorta che la parola sembra rimarcata. Non sa spiegarselo, ma la ragione è questa: le lane e i due canestri sorvegliati da Ercole alludono alla mantica.

  • Sotto questo quadretto svanito, come nel caso n. 7, la Guarducci rilevò la scritta IAKA ONEN (non saputa interpretare, e ritenuta frammentaria, ma così non è). Bacco-Dioniso era chiamato IAKCHOS (Aristofane, Le Rane, 324). Si potrebbe anche leggere omina, cioè vaticini di Bacco-Dioniso-Apollo. La spiegazione è più semplice ed è diretta, comprendendo tutti i graffiti latini non interpretati dalla Guarducci, che li ha ritenuti scartabili (a che titolo, in una presunta casa di abitazione, dove degli estranei, persone diverse, avrebbero scarabocchiato su preziosi intonaci originari?).

CONCLUSIONI

Tutto lascia ritenere che il luogo della domus Musae sia un sito oracolare, anticamente legato al culto di Giano e della porta sacra (ianua), anche secondo il visitatore del 22 febbraio 367 d.C., che altri non era se non il poeta di Bordeaux Decimus Magnus Ausonius, che ritornando in Gallia da Roma, passò per Assisi.

Le evidenziate aporie che escludono a priori, in modo dirimente, l’ipotesi della Guarducci (una domus, una “casa di poeti”, e, dunque, la “casa” di Properzio e di Paolo Passenno), consistono banalmente, oltre al resto, nel fatto scontato che non si poteva entrare in casa d’altri per rovinare gli intonaci con una firma di presenza. Ciò significa, dunque, che il luogo era in abbandono, in un’età però in cui tutte indistintamente le case patrizie della città di Assisi erano ancora abitate e abitabili.

Si trattava invece di uno spazio pubblico abbandonato, di un luogo cultuale pagano. Ciò spiega anche perché vi sorse sopra la prima chiesa cristiana di Assisi nel V secolo d.C., storica sede del vescovo (con un certo Avenzio, che fu il primo ‘vescovo’ storico di Assisi, attestato in età gotica, all’epoca di Totila).

Abbiamo provato con dovizia di argomenti che erano esatte le valutazioni di F. Caldari, di K. Kerényi e di G. Saeflund, affacciate nei primi anni ‘50 del secolo scorso (vedi La Casa della Musa, sempre su questo sito web).

Gli argomenti di Margherita Guarducci nella qualificazione di domusMusae sono inconsistenti, alla stregua di quanto sostenuto da chi, in seguito, si è riportato a questa ipotesi, non dimostrata e non dimostrabile.

Le incongruenze e contraddizioni di questa presunta soluzione sono molteplici; ma basta osservare che la Guarducci non è stata nella condizione di poter superare il principale ostacolo frappostole dalla datazione tarda degli affreschi (del terzo stile in fase avanzata oppure del quarto stile) e anche dalla presenza di graffiti greci e latini, certamente successivi, apportati da mani diverse (almeno cinque, nel caso dei graffiti greci metrici), di cui pur non conoscendosi i precedenti letterari, si può dire che siano stati sicuramente recuperati tra le carte lasciate da Paolo Passenno, per essere poi incisi sull’intonacatura, e per un dato scopo, ma senza alcuna contestualità, sia spaziale che temporale.

La razionalità complessiva di sistema imponeva peraltro di rintracciare un filo conduttore, almeno per i graffiti greci e latini.

Questi ultimi grafiti furono trascurati arbitrariamente dalla Guarducci, interessata unicamente a una tesi di comodo, che cioè fosse quella la casa natale di Properzio ad Assisi. Ipotesi prefabbricata, che si sorregge si altre stampelle, la lezione Asis di certi codici properziani, le descrizioni autobiografiche del poeta e la presenza in loco di molte epigrafi o iscrizioni che ricordano la gens Propertia.

La Guarducci non pubblicò un diario scientifico cronologico dei suoi lavori e studi di recupero, limitandosi a due articoli principali (con correzioni) e ad alcune comunicazioni, senza raggiungere alcuna dimostrazione. La dotta autoreferenzialità di queste pubblicazioni fonda esclusivamente il personale convincimento che fosse una casa di abitazione, e come casa di poeti, casa della Musa, e anche la casa di Properzio e di Paolo Passenno (rectius: di Properzio, in quanto riferibile a Passenno). La debolezza delle argomentazioni è evidente, in specie sul presupposto del respingimento del frammento lapideo ricordante la gens Propertia ritracciato per primo da Fioravante Caldari, che per la Guarducci sarebbe stato un materiale di riporto.

APPENDICE

Rinviando ai miei lavori su Properzio e il suo doppio e La casa della Musa, ancora due parole sui graffiti latini repertati dalla Guarducci nella domus Musae (per il fondamentale graffito latino oscilavidomum Musae – datato 22 febbraio dell’anno 367- vedi annotazioni a parte).

La presente appendice è additiva, fermo restando la piena validità ex se di quanto già riportato ai fini che ne occupa.

I graffiti latini recuperati dalla Guarducci sono 5 (escluso quello principale). Sono stati tralasciati semplicemente perché la Studiosa non è stata in grado di formarsi un quadro unitario dei luoghi e della situazione.

I graffiti latini, collocati strategicamente rispetto agli affreschi e ai graffiti greci, segnalano l’arcano.

Veranianus – Per la Guarducci, un nome di persona (tracciato dallo stesso Veraniano, con un punteruolo, sull’intonaco di pregio di una casa privata: che senso avrebbe?), può essere invece scomposto in un allusivo e magico gioco di parole: veranianus. Nel significato, cioè, che la luna nuova è sempre l’anello (ani, genitivo di anello) della luna ‘vecchia’ (anus), anche nel mutamento stagionale di primavera (ver).

HOCI vac – HOCI vac A Presenti sotto il graffito greco del pinax di Polifemo e Galatea (n. 7), significano Qui l’inizio (Initium) vaticiniQui l’inizio del vaticinio altro (Alterum). Vac è abbreviaivo di vaticinium. Ed è un riferimento per gli uomini (Polifemo – Apollo – Sole) e per le donne (Galatea – Semele – Luna).

IAKA ONEN Graffito posto al disotto del graffito greco del mito di Ercole e Onfale (n. 10). I canestri e le lane (che hanno anche un valore mantico), con lane = eiria (parola in evidenza: vedi retro), il graffito acquista un significato completo come Veranianus DIOR Iridis presenteappena dopo il viridarium. Iaka = Isiaka (omina). Cioè i presagi di Iside. ONEN = Omen Nomen Est Numen. Gioco di parole evocativo della presenza del dio.

DIOR Iridis Significa DIIS ISIDIS OSIRIDIS (ricorrendo alle costanti di ripetizione IS-SI-IS). Agli Dei di Iside e di Osiride (gioco di parole, con luna e sole).

VERANIANUS – che si trova accanto – era un altro gioco di parole affine. Significato complessivo: Luogo dei vaticini di Iside e Osiride, la giovane luna è la vecchia dell’anello, qui per gli uomini e qui per le donne: prima che la Pizia fornisse il responso (magica Musa – omina lunae: Prop. IV, 4).

.ovino consulib VIII Kal Martias domum oscilavi Musae = …Iovino consulibus VIII Kaklendas Martias domun oscilavi Musae (Guarducci).

Cioè: Sotto i consoli Lupicino e Giovino, il 22 febbraio dell’anno 367 la casa baciai della Musa.

Il 22 febbraio era la festa latina delle Caristie (cioè del “caro estinto”, la festa dei morti), ed era anche la ricorrenza della Cattedra di Pietro (come festività cristiana).

Un visitatore (il cui nome secondo la Guarducci precedeva quello dei consoli: sic!), dichiara di aver baciato la casa della Musa.

In realtà è un altro gioco di parole: IoDecimus Magnus Ausoniusbaciai la casa dellaMusa (magica Musa). Domum Musae = Decimus Magnus Ausonius.

Ausonio è stato un grande poeta elegiaco ammiratore di Properzio. Lo ‘sconosciuto’ autore del graffito sull’intonaco subito dopo il viridarium non solo ha saputo indicare la sua identità, ma ci ha lasciato una testimonianza diretta di un luogo legato alla magica Musa e ai presagi della luna (ominalunae).

Il collegamento con Sesto Properzio deriva da due fattori decisivi: a) una lapide frammentaria, rintracciata per primo da F. Caldari in quel sito, che appunto ricordava la gens Propertia, poi ricomposta e interpretata da L. Sensi nel 2005, stabilendo la presenza del nome di un Sesto Properzio; b) il richiamo verbale e concettuale da parte del visitatore dell’anno 367 d.C. di certi versi dell’elegia di Tarpeia.

Casa della Musa non significa – tout court – “casa di abitazione” ovvero “casa di poeti” (cioè di Sesto Properzio e di Paolo Passenno): ed è stato questo l’errore – compromettente e parimenti riduttivo – commesso da Margherita Guarducci. La reiterazione supina di questo errore ha finora compromesso la capacità di comprensione del luogo, nel suo complessivo assetto archeologico, che è poi di per sé di grande importanza, anche aldilà della questione di Sesto Properzio e di Paolo Passenno, la cui casa di abitazione si trovava invece nelle vicinanze, appena più a monte, a meno di 30 metri di distanza in linea d’aria (c.d. “casa del larario”, scoperta dopo gli eventi sismici del 1997, di ampia superficie ed effettivamente ornata da pregevoli decori riportabili ad età augustea).

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Bibliografia essenziale:

A. Fortini, Properzio il più ardente poeta d’amore, Roma, 1931.

F. Caldari, Il tempio oracolare di Apollo e Sesto Properzio, in Atti dell’Accademia Properziana del Subasio, Serie V, N. 2 – Dicembre 1995, p. 17 sgg.

M. Guarducci, Domus Musae – Epigrafi greche e latine in un’antica casa di Assisi, Memorie Acc. Naz. dei Lincei, XXII, 1979, p. 269 sgg.

M. Guarducci, La casa di Properzio. Nuove riflessioni sulla Domus Musae diAssisi esulle epigrafi, Accademia Nazionale dei Lincei, Rendiconti, Serie VIII, vol. XI, fasc. 5-6, Maggio-Giugno 1985

S.M. Medaglia, Per il testo degli epigrammi di Assisi, Boll. dei classici, ser. 3, fasc. 2, 1981, p. 196 sgg.

M. Guarducci, Le epigrafi della Domus Musae ad Assisi e qualche osservazionenuova, Rend. Acc. Naz. dei Lincei, 40, 1986.

J. M. Strazzulla, Assisi romana, Acc. Prop. del Subasio, Serie IV, n. 10, 1985

M.L. Manca, Abitare a colori – Le domus romane di Assisi, Assisi 2005.

M.L. Manca, La domus del lararium in Assisi, Assisi 2012

E. Sciamanna, Asisium – Percorsi archeologici, Ed. Minerva, Assisi 2011

 

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