Fotomontaggio – Paragone con l’uomo della nave (1950) e i fratelli Salvatore e Maria Majorana (1960)
LA SCOMPARSA DI MAJORANA (SOLUZIONE TELEGRAFICA)
MODALITA’ DELLA SCOMPARSA
1* Ettore Majorana è sparito all’età di 32 anni, nel 1938, verso la fine del mese di marzo: è questo il dato di fatto. Da allora sono trascorsi 77 anni. Siamo nel 2015. Se fosse vissuto, oggi avrebbe avuto 109 anni (era nato il 5 agosto 1906 a Catania). Nonostante recenti rivelazioni circa la sua sorte e le indagini svolte dalla Procura della Repubblica di Roma dall’aprile 2011 [agli inizi di febbraio del 2015 il caso è stato archiviato], non è stato possibile chiarire le ragioni di quella scomparsa e sapere con certezza qualcosa di definitivo sulla sua sorte.
Fu una scomparsa per lettera. Vittime i suoi famigliari che lo cercarono inutilmente. Quali le ragioni e che fine fece?
Suo allontanamento volontario, ventilando per iscritto intenzioni di suicidio, ma evitando di impiegarne il termine crudo ovvero di parlare esplicitamente di morte? Una finzione, una messinscena dolosa e preordinata? Suicidio, omicidio, rapimento, ritiro in un convento, fuga dal mondo?
Quale il movente, il desiderio, l’intenzione o lo scopo per cui Ettore Majorana non solo stava sacrificando se stesso, annullandosi, scomparendo dalla circolazione, abbandonando dopo meno di tre mesi una prestigiosa cattedra universitaria in fisica teorica, fortemente voluta e ottenuta per eccezionali meriti scientifici (per l’alta fama di singolare perizia), ma anche compromettendo i suoi famigliari, creando lui per primo uno scandalo che avrebbe potuto evitare e precipitando all’improvviso i suoi cari nell’angoscia e nello sconforto?
Un inesplicabile silenzio, dopo aver fatto sapere che sarebbe ritornato – domani – là da dove si era allontanato due giorni prima, quel venerdì 25 marzo del 1938, scrivendo due lettere: una ad Antonio Carrelli, il direttore dell’Istituto di Fisica Sperimentale a Napoli, spedita per posta ordinaria; e l’altra – Alla mia Famiglia – lasciata nella stessa stanza dell’albergo Bologna, in via Depretis 72, dove aveva fissato provvisoriamente la residenza anagrafica dal 23 febbraio, avendo prima cambiato almeno tre alberghi nell’arco di 33 giorni, rinunciando a pensioni familiari di cui aveva avuto gli indirizzi da una infermiera (22 gennaio).
Accadde in fine di settimana (parole finali della lettera scherzosa alla madre del 9 marzo, appena due settimane prima). Giorni cruciali: venerdì 25, sabato 26, e domenica 27 marzo (domenica è il ‘giorno del sole’, sia in inglese che in tedesco).
La scomparsa – così siamo costretti a chiamarla, con la sua stessa definizione, si trattasse di sparizione volontaria o di morte – avvenne da Napoli, venerdì 25 marzo, e le ultime notizie di Ettore sono del giorno 26.
Sabato 26 marzo Ettore faceva sapere che il mare lo aveva rifiutato e che sarebbe ritornato domani all’albergo Bologna. Forse ritornò a Napoli; forse nemmeno andò a Palermo, da dove – però – giunsero due telegrammi urgenti e una lettera espresso su carta intestata di un Hotel che all’epoca si doveva chiamare Albergo per disposizione di legge (nella guida Turing del 1937-38 così difatti si chiamava: Grande Albergo Sole).
Una terza e ultima lettera era giunta a Carrelli da Palermo, domenica mattina, preceduta il giorno prima da un telegramma urgente, in cui Majorana faceva presente al Carrelli di non dare credito alla lettera di venerdì 25 marzo, imbucata a Napoli. Nulla per la Famiglia, del resto all’oscuro di tutto. Questo il testo del telegramma: Non allarmati Alt Segue lettera.
Connettendo il testo del telegramma per Carrelli alle due lettere a lui indirizzate il 25 e il 26 marzo è già possibile risolvere in forma autentica il giallo della scomparsa. E’ sufficiente impiegare come chiave la parola “sole”. Ecco perché stiamo parlando di soluzione telegrafica, anche se c’è molto di più. Al limite sarebbe bastato il suggerimento di una sola frase mentale: due numeri di telefono.
Il 21 marzo 1938, lunedì, cadeva l’equinozio di primavera. Quel giorno Ettore avrebbe dovuto sbrigare a Napoli alcune faccende all’anagrafe e altrove. Per questa ragione inviava un telegramma a suoi a Roma perché non lo aspettassero sabato sera 19 marzo, che però era festa nazionale. La carta intestata della lettera espresso pervenuta domenica mattina giorno 27 marzo a Carrelli da Palermo col traghetto postale della notte tra sabato 26 e domenica 27 marzo (arrivo a Napoli all’alba, ore 5.45) era ornata da un sole radioso che spuntava a est e da due numeri di telefono (Grand Hotel Sole – Palermo appartenente a Vincenzo Sole: telefoni 11.748 – 17.672).
Con un altro telegramma, per l’albergo Bologna di Napoli, Ettore affermava che sarebbe ritornato lunedì. Intanto, tenessero chiusa la sua stanza. Qui aveva lasciato una brevissima lettera d’addio, Alla mia famiglia: [...] Dopo ricordatemi, se potete, [...] e perdonatemi. Con Carrelli aveva parlato di scomparsa e per la famiglia parlava di lutto. Sempre il 25 mattina, si era recato in Istituto e aveva consegnato alla allieva Gilda Senatore una cartella contenente il testo autografo delle sue lezioni, dicendole frettolosamente queste esatte parole, ripetute due volte: Poi ne parleremo, poi ne parleremo. Qui risuonava la parola “Palermo” (basta togliere una e).
2* Perché Majorana aveva scelto il traghetto notturno per Palermo? Da Napoli salpavano quotidianamente altre navi: per esempio il Castellon, battente bandiera tedesca e diretta a Catania come primo scalo. E perché il disegnino a stampa di un sole all’alba, che spuntava da una specie di ponticello – a forma di spalletta ricurva impiegata dai sarti dell’epoca per stirare le giacche – e da due numeri di telefono in bella evidenza?
L’Albergo Sole si trovava a circa due chilometri dal porto di Palermo ed era molto vicino alle Poste e Telegrafi e ai Telefoni di Stato. Perché scrivere anziché telefonare? Carrelli era munito di utenza telefonica domestica. A Roma i Majorana avevano il telefono in casa. Il padre di Ettore (morto nel 1934 di grave malattia: Ettore portò a lungo il lutto) era stato un ottimo ingegnere telefonico. Se ci si fa caso, quel se potete (ricordatemi se potete), equivale a Poste e Te(legrafi). Il giorno 25 marzo – che potremmo assumere come quello della scomparsa – c’è un poi orale con due dopo messi per iscritto: Dopo ricordatemi, se potete e possibilmente anche dopo (prima lettera per Carrelli).
Il 25 marzo, verso le ore 17, lo scomparso aveva abbandonato il suo albergo di Napoli, il Bologna, pagando il conto e lasciando tutte le sue cose in stanza. Indossava un soprabito grigio ferro e un cappello marrone. Aveva con sé una rilevante somma di denaro (gli stipendi maturati da dicembre e non riscossi in precedenza) e il passaporto valido soltanto per i paesi europei in scadenza ad agosto del 1939. L’albergo Bologna, dove si era stabilito da oltre un mese, dopo averne cambiati almeno tre, scartando la possibilità più economica e forse più confortevole di un pensionato di tipo familiare, distava appena dieci minuti a piedi dal molo Beverello da cui – verso le 22.30 – sarebbe salpato quella sera il traghetto notturno della Società Tirrenia diretto al porto di Palermo.
In queste due lettere del 25 marzo Majorana non forniva dettagli. Era un congedo, un addio: salutando e chiedendo perdono. Il giorno dopo – da Palermo – faceva sapere di non aver consumato il suicidio (Il mare mi ha rifiutato) e che – dunque – sarebbe rientrato subito a Napoli (ritornerò domani all’albergo Bologna), rimanendo a disposizione (di Carrelli) per ulteriori dettagli.
Majorana avrebbe alloggiato in albergo – il Sole – ma per poche ore (se ripartì da Palermo in nave, la sera stessa alle 19.30). E’ singolare che in seguito non ne sia stata accertata la presenza a Palermo in base al cartellino alberghiero (tali riscontri non pare che siano stati fatti, presumendosi l’arrivo di Ettore a Palermo dalla lettera e dai due telegrammi: in ogni caso un altro avrebbe potuto essere al suo posto, sebbene col suo consenso e con la sua stessa necessaria collaborazione, agendo poi a Palermo su atti autografi già predisposti).
Nessuno ha spiegato l’espressione melodrammatica Il mare mi ha rifiutato, che accennando ora al mancato suicidio, tuttavia in nulla sembra distinguere il caso di Ettore come differente da quello di una ragazza dei drammi di H. Ibsen (ragazza ibseniana). Ma basta inserire come chiave una parola di 6 lettere iniziante con H e menzionata due volte da Ettore nelle lettere del 1938 (il 23 febbraio e il 2 marzo) per risolvere anche per questa via il mistero della scomparsa. Questa la differenza. Lo dimostreremo nel seguito di questo pezzo, fermo restando quanto già pubblicato sul nostro sito.
3* Ciò che sembrava essere stata una crisi esistenziale – il desiderio di farla finita con la vita: Ettore l’aveva confermato il giorno dopo, sabato 26 marzo, dicendo che il mare lo aveva rifiutato e che dunque (?) sarebbe subito rientrato a Napoli, domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con la stessa lettera, con quello stesso foglio – si trasformò effettivamente in una scomparsa, come aveva scritto a Carrelli venerdì 25 marzo con la prima lettera.
Mancando il cadavere era impossibile il lutto. La Famiglia fu costretta a crederlo vivo e a cercarlo, a farlo ricercare dalla Polizia a fini di rintraccio. Ettore stava giocando a nascondino?
Non ricomparve, creando così – con questo suo comportamento – uno scandalo che al contrario era perfettamente rimediabile. Mettendo in crisi la sua Famiglia che all’oscuro di tutto non si attendeva un colpo del genere. Dirà la madre che Ettore era stato sempre savio.
Se ci chiediamo il perché di questa sparizione o scomparsa, le riposte si limitano alle ipotesi possibili, a prescindere dal movente: 1) fuga volontaria; 2) effettivo suicidio in mare durante il viaggio di ritorno; 3) omicidio (caso esterno, evento involontario); ma è mancato il cadavere, e senza il corpo del morto, non poté nemmeno darsi il lutto (nella lettera lasciata per la Famiglia Ettore non voleva che i suoi cari si vestissero di nero, e se proprio lo avessero voluto, allora che portassero pure qualche segno di lutto, ma per non più di tre giorni).
Abbiamo cercato di descrivere e di sintetizzare i fatti giacché è ai dati effettivi che può seguire una valutazione, mentre l’erronea rappresentazione della realtà sarebbe fuorviante.
Un fatto, apparentemente controverso, è quello del presunto o presumibile viaggio di ritorno in nave da Palermo a Napoli, la notte stessa tra sabato 26 e domenica 27. Erasmo Recami ha cambiato opinione da un’edizione all’altra del suo importante saggio sul caso Majorana, senza una riga di spiegazione. Lo stesso Recami continua a sostenere che la consegna fatta da Ettore di una cartella di manoscritti (le lezioni di fisica teorica) all’allieva Gilda Senatore avvenne giovedì mattina (che era giorno di lezione) e non venerdì 25, il giorno della scomparsa (a quest’ultimo riguardo, il momento temporale della scomparsa rimane un concetto indefinito: dipende dalle intenzioni e dal fatto materiale). Nella lettera per Carrelli diceva domani, nel telegramma per l’albergo Bologna diceva lunedì. Avrà forse viaggiato la notte successiva, tra domenica 27 e lunedì 28 marzo? Questa la prima versione di Recami (1991). E’ prevalente la data tra sabato 26 e domenica 27 ma nessun autore ha affrontato questo problema che è connesso al testimone della cabina n. 37, Vittorio Strazzeri, alla permanenza di Ettore a Palermo (per poche ore diurne sabato 26 oppure anche il giorno successivo), e all’allarme che dovrà scattare a Napoli per Carrelli (martedì mattina 29 marzo in teoria Ettore avrebbe dovuto fare lezione).
Nonostante la sovrapponibilità alternativa delle tre accennate ipotesi generali, il modo di questa misteriosa scomparsa o sparizione avvenuta per lettera, e il perché, sono stati oggetto d’interpretazione controversa fin dall’inizio, prevalendo – ovviamente – l’ipotesi necessaria, dal lato degli affetti familiari, dell’affannosa ricerca del vivo. I morti si trovano, più difficile è sapere dei vivi che per loro insondabili ragioni siano fuggiti. Ettore non fu più ritrovato: né vivo, né morto. Anche quest’ultima affermazione è stata di recente messa in dubbio (F. Guerra 2012 e S. Roncoroni 2013), ma è stata disattesa dalle indagini avviate nell’aprile del 2011 dalla Procura di Roma.
Il “caso Majorana” è sembrato impenetrabile. Tutte le ipotesi sarebbero ugualmente possibili (E. Klein 2014), sebbene quasi tutte inconciliabili tra loro, mentre secondo la Procura della Repubblica di Roma lo scomparso, tra il 1955 e il 1959, si trovava in Venezuela, a Valencia.
Se così fosse, cadrebbero le ipotesi del suicidio e dell’omicidio, ugualmente anche il caso di morte naturale precoce, e rimarrebbe in piedi l’allontanamento volontario all’insaputa della Famiglia (e senza un passaporto valido per l’America del Sud).
Perché Majorana aveva fatto scoppiare quello scandalo cui poteva facilmente porre rimedio e perché agire in quella maniera se il desiderio di uno strappo definitivo dalla sua realtà quotidiana, evidentemente non più accettata, poteva essere realizzato altrimenti?
Saremmo costretti a credere al dramma interiore, all’iniziale proposito del suicidio, e poi a un’altalena di stati d’animo che lo portò infine a disattendere l’enunciata volontà di ritorno al punto di partenza, all’albergo Bologna di Napoli [qui rimanendo a disposizione di Carrelli per ulteriori dettagli, per quanto avesse già detto di rinunciare all’insegnamento].
In questa scomparsa il prima e il dopo sembrano confondersi, attrarsi reciprocamente oppure separarsi, senza che sia dato intendere i momenti di distanza o di sutura, una linea spezzata oppure al contrario un disegno di continuità. Ettore ha mentito. Quand’è che avrebbe iniziato a fingere? Da quale momento in poi? E perché avrebbe messo di mezzo gli affetti famigliari?
Quale il movente, se venisse meno in radice la crisi interiore, di carattere strettamente personale, che lo avrebbe indotto a manifestare propositi di suicidio?
C’è forse una traccia remota nelle lettere del 1938, un filo conduttore che possa fornire una spiegazione aldilà delle contraddittorie apparenze? C’è un filo logico che ricucia la trama e colmi lo iato riunendo in una tetralogia la quart’ultima lettera del 19 marzo con quelle del 25 e 26 marzo, appena la settimana dopo? La situazione sarebbe precipitata in pochi giorni: non più di 5. Prima assicurava che sarebbe rientrato a Roma sabato 26, ed invece il 26 marzo si hanno le ultime sue notizie da Palermo, poi più nulla. Eppure venerdì 25 marzo dobbiamo registrare un poi e due dopo. E c’è pure uno schema geografico ben delineato: Roma – Napoli – Palermo, che ripete lo stesso schema concettuale del concorso a cattedre nel 1937.
E’ il momento di riportare la lettera del 19 marzo – sabato: festa nazionale religiosa di San Giuseppe – che per il suo contenuto formale parrebbe inconciliabile con lo strappo o rottura improvvisa della settimana seguente, ma che in realtà contiene cifre importanti e segnali indicativi del contrario (vedremo meglio in seguito in che termini).
Ettore rispondeva al fratello Salvatore, spiegando perché quel sabato sera – ma era un giorno festivo in cui non aveva fatto lezione ! – non sarebbe rientrato a Roma, rinviando a sabato 26.
Napoli, 19.3.1938 – XVI
Caro Turillo,
Ho avuto la tua. Per ora non vengo perché lunedì ho alcune faccende da sbrigare all’anagrafe e altrove. Vedrò se è possibile avere il “libretto” per la mamma, ma non vedo come si possa affermare la convivenza perché io ho l’obbligo di prendere la residenza a Napoli, anzi l’ho già presa provvisoriamente qui in albergo, alias via Depretis 72. Vi mando un telegramma perché non mi aspettiate stasera, ma verrò certamente sabato prossimo. Saluti affettuosi
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Ettore era sincero o mentiva? La questione del libretto riguardava la cassa mutua di malattia per i dipendenti statali, estensibile ai familiari conviventi (e a carico). La madre non aveva certo l’intenzione di trasferirsi a Napoli. Quali faccende doveva sbrigare lunedì (mattina) all’anagrafe e altrove, se la residenza anagrafica l’aveva già presa? Lunedì 21 marzo era l’equinozio di primavera. Da Palermo arriverà un sole.
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Venerdì Ettore non faceva lezione. Poteva dunque rientrare a Roma e restarci fino al pomeriggio di domenica per rientrare a Napoli la sera. Sabato 19 marzo: all’epoca era festa nazionale religiosa di San Giuseppe lavoratore.
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L’undici gennaio, dopo aver storpiato in Caccemo il cognome del giovane assistente di Carrelli che si chiamava Cennamo e che poi sposerà la Senatore, Ettore faceva anonimo riferimento a un introvabile professore di fisica terrestre, Giuseppe Imbò, e altresì un riferimento al Rettore Salvi.
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Carrelli, nominato nelle prime due lettere di gennaio, diverrà infine il perno intorno al quale ruoteranno le ultime due lettere del 25 e 26 marzo e il telegramma urgente che le precedette.
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Perché un telegramma potendo telefonare? Il centralino telefonico si trovava accanto all’albergo Bologna. Lo stesso vale per Palermo, ma qui a maggior ragione: telefonando a Carrelli, Ettore poteva azzerare tutto quanto, spiegare ogni cosa potendo contare sulla massima discrezione. Comunque non c’era bisogno di un’altra lettera, sarebbe bastato un telegramma concepito in altri termini. Ecco perciò che telegramma è parola chiave di relazione tra la lettera del 19 marzo e i fatti successivi, come lo è pure la parola lunedì, ripetuta dal secondo telegramma per l’albergo Bologna.
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Ettore dice stasera, mentre nella prima lettera per Carrelli dirà questa sera.
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Sabato prossimo sarà invece quello delle ultime notizie, dopo di che la scomparsa.
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Non vedendolo ritornare a Roma sabato sera 26 marzo, la Famiglia di Ettore si sarebbe dovuta “allarmare”? Se avessero telefonato quella sera stesa all’albergo Bologna oppure domenica mattina, si sarebbero sentiti dire che Ettore era uscito dall’albergo venerdì pomeriggio, che aveva pagato il conto (lo stipendio di marzo era pagabile il 25 del mese), che nella stanza erano tutte le sue cose (non l’aveva abbandonata), e che sarebbe tornato lunedì. Se avessero telefonato domenica mattina a Carrelli, il quale sapeva che la mattina di sabato Ettore non aveva fatto lezione, ma aveva ricevuto un telegramma di rassicurazioni alle 11 e una lettera preoccupante alle 14, però superata dal telegramma, certamente Carrelli avrebbe taciuto: la mattina di domenica aveva ricevuto la seconda lettera da Palermo, Ettore aveva avvisato che stava tornando, anche se l’espressione era ambigua: ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Che cosa intendeva Ettore, con domani e quel forse , se l’arrivo del traghetto al porto di Napoli, all’alba di domenica 27, precedeva il recapito materiale della lettera a Carrelli? Forse sarebbe tornato lunedì all’alba, come aveva fatto sapere all’albergo Bologna? Il viaggio di ritorno in nave, un traghetto postale, era stato connesso allo stesso viaggiare di quella lettera, di quel foglio su carta intestata. Ciò significava che Ettore doveva prendere il traghetto a Palermo quella stessa sera del 26, mentre la lettera forse [forse sì o forse no] poteva essere stata caricata col sacco postale. Ma c’era malizia in quel foglio, in quelle espressioni, nei tempi (calcolati), e nei modi (arrivo al porto di Napoli alle ore 5.45 di domenica mattina, ‘giorno del sole’).
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Un corpo solo, una tetralogia la lettera del 19 marzo e le altre tre lettere del 25 e 26 marzo in fine di settimana.
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Nessuna cesura di eventi improvvisi, ma un disegno. Ettore mentiva già dal 19 marzo.
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Nessun allarme. La scomparsa di Majorana prendeva corpo da lunedì mattina che però non era giorno di lezione. Ed è da martedì 29 che se ne costata pienamente il fatto. La mattina del 28 Carrelli aveva cautamente telefonato a Fermi, e sarà Fermi ad avvertire la Famiglia Majorana a Roma, che forse c’era qualcosa a Napoli che non andava bene. Carrelli aveva atteso ancora un giorno, domenica 27, perché all’albergo Bologna gli avevano detto che Ettore sarebbe rientrato lunedì. Così aveva fatto sapere con un altro telegramma: ma lunedì mattina Ettore non si era fatto vivo all’albergo col traghetto successivo che giungeva al porto di Napoli sempre all’alba. A questo punto Carrelli si era ‘allarmato’ e aveva telefonato a Fermi, a Roma. Con Fermi aveva ottimi rapporti. Fermi a sua volta aveva telefonato alla Famiglia.
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I fratelli di Ettore si precipitarono a Napoli il primo pomeriggio del 28. Il 29 fu fatta alle autorità di polizia una denuncia di scomparsa e di lì a poco inizieranno le ricerche. Carrelli farà seguire una relazione al Rettore. I fatti sono autentici.
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Sarebbe una falsa supposizione ritenere in primo luogo e voler poi far credere che Carrelli avesse incontrato Ettore e che i due si fossero spiegati. Questo genere di equivoci distorce i fatti e si pone in contrasto con la ragione e i documenti. La Famiglia ricercò a lungo e invano lo scomparso. Carrelli riferiva ufficialmente per iscritto al Rettore Salvi quanto a sua conoscenza. Il resto sono fantasie (per esempio che Carrelli conoscesse il convento di Napoli dove Ettore avrebbe ottenuto riparo). Majorana scomparve e non fu più ritrovato. Il caro estinto del 1939 è un equivoco verbale.
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Rimangono alcuni problemi: il viaggio in nave Napoli – Palermo e ritorno; il problema dei biglietti di viaggio e della cabina n. 37 a tre letti dove alloggiarono il prof. Vittorio Strazzeri, un certo “Carlo Price” (un inglese che però parlava il dialetto dell’Italia del sud) e un giovane con tutti i capelli (non confondibile con Price). Il terzo passeggero, il giovane che viaggiava col biglietto di Ettore (a lui riferito nella lista di bordo), sbarcò a Napoli. Giunto il traghetto al porto si persero le tracce di due passeggeri su i tre che avevano occupato la cabina a tre letti (di Price non c’erano tracce precedenti nemmeno a Palermo).
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Strana coincidenza: Vincenzo Sole e Vittorio Strazzeri. Strazzeri era un docente di geometria all’Università di Palermo, quindi collega di Emilio Segrè. Aveva una figlia sposata in Germania a un medico, che andava a trovare in qualche occasione.
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La testimonianza di Strazzeri (richiesto più volte su Ettore dalla Famiglia e autore di due lettere anche se conosciamo soltanto l’ultima in data 31 maggio) è perplessa. Non era sicuro di aver riconosciuto Majorana in quel giovane con tutti i capelli che aveva viaggiato con lui quella notte nella cabina n. 37 a tre letti; ma era certo che costui era regolarmente sbarcato a Napoli (problema dei biglietti di viaggio). E per il viaggio di andata a Palermo?
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In che notte avrebbe viaggiato Majorana, se andò a Palermo e tornò a Napoli, dove parrebbe che abbia fatto qualche strana, fugace apparizione nei giorni successivi? Il mistero della scomparsa ingloba almeno il giallo della cabina n. 37. Chi potrebbe credere che tutto ciò non sia già stato calcolato e programmato: e da chi, se non da Majorana; e che non sia stata una messinscena? Il caso del complotto è assurdo (tra l’altro ne avrebbero dovuto far parte Carrelli, Strazzeri, Segré e Fermi, con Carlo Price).
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La cabina n. 37 di Vittorio Strazzeri fu puntata su i due occupanti: la lista di bordo, col nominativo di Majorana, fu aggiornata all’ultimo momento. La lettera ‘espresso’ che stava viaggiando verso Napoli recava il timbro postale delle ore 18, sabato 26 marzo. Due viaggiatori su tre spariranno nel nulla. Rimane la testimonianza condizionale di Strazzeri. La scomparsa di Majorana non dipendeva da un complotto a suo danno, un omicidio tombale o un rapimento. Eppure tutto si accumula in un enigma. Se non fosse per i tre giorni di lutto, non più di tre, di cui Ettore diceva nella lettera lasciata in stanza per la Famiglia (il prima e il dopo si rincorrono), non sapremmo del mistero della cabina. Ettore aveva calcolato tutto. Il suo era un caso diverso. Post eventum, i suoi cari dovevano intendere perché potesse essere differente (thema decidendum).
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Questa lettera del 19 marzo come si colloca? E’ estranea ai fatti successivi oppure li precedeva filtrandoli, con l’intento di ammorbidire il trauma famigliare? La risposta è stata inserita nella stessa lettera, nel suo punto cruciale.
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Vedremo il ruolo – verificabile ex post – che a questa lettera del 19 marzo, pur in sede di risposta al fratello Salvatore, era stato assegnato autonomamente dallo scomparente (la messinscena della scomparsa di Majorana ruotava intorno a Carrelli e a giro giocava sistematicamente sul ‘prima’ e sul ‘dopo’ traendone alimento razionale).
4* Le lettere del 1938, nel breve periodo che va dalla seconda decade di gennaio al 26 marzo, contengono – come il testo delle lezioni consegnate a mano all’allieva Gilda Senatore quella mattina stessa del 25 marzo – una serie di rinvii temporali (ad esempio fra tre mesi in data 23 febbraio). Il giorno 25 marzo registriamo un poi orale (alla Senatore) e due dopo messi per iscritto (prima lettera per Carrelli e lettera Alla mia Famiglia).
La stessa definizione di scomparsa – improvvisa ma che era ormai inevitabile / e senza un solo granello di egoismo la relativa decisione – lascia perplessi. Infine: perché colpire i propri famigliari, essi soltanto, con quel trauma violento, con uno scandalo rimediabilissimo, improvviso e inatteso?
I due momenti della scomparsa sono il come e il perché (R. Finzi, 2002). Il perché precede e condiziona il come. Perché, dunque, Majorana agì in quel modo?
Il 2 marzo si dichiarava contento degli studenti. E se il collega Giuseppe Occhialini, di ritorno in nave dal Brasile, il 18 gennaio 1938 sbarcato a Napoli per una breve sosta, avendolo incontrato in Istituto ebbe l’impressione che Ettore meditasse il suicidio: << C’è chi ne parla e chi lo fa – Se avessi tardato di qualche settimana non mi avresti più incontrato >>, è pur vero che Ettore ne stava ‘parlando’ e che appena quattro giorni dopo chiederà per lettera che il fratello Luciano gli inviasse a mezzo banca la parte liquida dell’eredità paterna quando gli stipendi già maturati in virtù della nomina (dicembre e gennaio) sarebbero stati regolarmente in pagamento il 27, appena cinque giorni dopo.
Il caso Majorana era un dramma personale, un fatto interiore, una crisi spirituale, oppure è stato il maggior giallo del ‘900, per quanto irrisolto nella parte relativa al dopo conseguente?
Che cosa spinse Ettore, nel marzo del 1938, due settimane dopo l’annessione dell’Austria, di egli cui non parlò, a fare sacrificio di se stesso, della propria carriera, della scienza di cui era portatore, coinvolgendo gli affetti più cari?
Apparentemente non ci sarebbe una soluzione. Soltanto di recente – dall’ottobre del 2010 in poi – il suo caso – un caso differente – ha ripreso vigore, a seguito di certe rivelazioni (Ettore andò segretamente in Germania) e di altre considerazioni o reazioni successive (il caro estinto del 1939, lettera riesumata ad hoc con ben 73-74 anni di ritardo).
Nel 2012 – 2013 fu affacciata la tesi della morte precoce di Majorana, che sarebbe avvenuta nel 1939, prima del 21 settembre, a ragione del fatto che la Famiglia richiese, e subito ottenne, l’intestazione di una pia fondazione o borsa di studio per 20 mila lire, a nome del caro estinto, del compianto Ettore, divenuto pubblicamente lo scomparso nella rivista Missioni del mese di novembre di quel’anno, che ne divulgava la notizia. L’importo era stato pagato dalla madre.
Senza il cadavere e senza il certificato di morte. Senza la tomba, senza pietà e memoria funebre della Famiglia. E nemmeno il passaporto dello scomparso. Troppo poco per una prova di morte. Ettore giocò forse a nascondino?
Nell’aprile del 2011 era stata avviata dalla Procura della Repubblica di Roma un’indagine penale conoscitiva (quale la “notitia criminis” ?), conclusasi con un decreto di archiviazione, il 3 febbraio 2015, col quale – però – si asseriva che Ettore Majorana (dopo essere stato in Argentina), nel 1955 si trovava in Venezuela e si faceva chiamare Bini (Bini X, perché pare che non si sia riusciti a conoscerne il nome proprio).
La fotografia di questo Bini non rassomiglia a Majorana (che allora avrebbe avuto 49 anni). La vicenda (scomparso dal 1938) certamente non troverebbe spiegazione (il passaporto di Ettore valeva soltanto per i paesi europei e scadeva l’anno successivo).
E’ assurdo ipotizzare (implicitamente) che uno come Majorana si fosse servito di documenti falsi per raggiungere nel 1938 l’America del Sud, col rischio di essere individuato e rimandato a casa. E per quale ragione non aver fornito più notizie? Come si manteneva, che lavoro faceva per vivere? Che senso avrebbe una storia del genere, se non escludiamo l’omosessualità, ma non era questo il caso di Ettore?
La presenza di Majorana oltre oceano, prima in Argentina e poi in Venezuela negli anni ’50, toglie il caso di morte (suicidio – omicidio – evento naturale precoce), ma includerebbe una tappa intermedia, la presenza segreta di Majorana in Germania durante gli anni della guerra.
La Procura di Roma ha disatteso il caro estinto del 1939, affacciato con indagini in corso da autori che sovvertivano il principio logico dell’onere della prova, e il morto ammazzato ipotizzato da altri autori che avevano ricamato di fantasia su un presunto complotto o intrigo internazionale. Cadrebbe anche l’ipotesi del ritiro silenzioso in un remoto convento (Sciascia e Zichichi) che era – e rimane a priori – priva di aderenza alla realtà. La Famiglia non seppe più nulla, il che è veramente poco cristiano (oltre che assurdo). Oggi si saprebbe dove avrebbe trovato rifugio e quale la sua tomba. Invece pare che Majorana se ne stesse in America del Sud, ma chissà per quale ragione, all’insaputa dei suoi famigliari che tanto si erano dati da fare per ritrovarlo.
La sorella Maria – che visse nella stessa casa romana col fratello Salvatore fino alla di lui morte nel 1971, quando erano già defunti il fratello Luciano e la primogenita Rosina coniugata a un tedesco – nel 1985 collaborò direttamente con Erasmo Recami nelle ricerche di Ettore in Argentina. Questo è sufficiente per azzerare il caso del caro estinto nel 1939.
Perché avanzare ipotesi irrealistiche, prive di riscontro? Perché parlare di suicidio in mare (come Emilio Segré e Bruno Russo)? Un piccolo dettaglio – il cappello – e le stesse parole e i comportamenti di Ettore lo escludano categoricamente. Non si trattò di scomparsa a bordo nel gergo vigente in tema di Diritto della navigazione. Non era un caso pirandelliano da Fu Mattia Pascal (qualcuno che lascia una giacca e un cappello sulla spalletta di un ponte per far credere di essere morto e rifarsi altrove una vita). C’era molto di più, e non c’era un solo granello di egoismo.
Nessuna delle spiegazioni o ipotesi sulla misteriosa scomparsa sembra poggiare su solide basi razionali e su argomenti o indizi convincenti. Anzi, le ipotesi finora affacciate si scontrano sempre ogni volta col perché originario, comunque determinate, della sparizione.
Non si è mai tenuto conto di un movente adeguato, attagliato alla fattispecie, e poi del passaggio nodale – significativo e determinante – del dolore provocato alla famiglia. Infine, il fatto saliente che certi risultati potevano essere conseguiti altrimenti (ma non la fuga segreta in Germania), esclude a priori tutte le ipotesi in cui non era necessario dover colpire la Famiglia. Eliminato l’assurdo complotto ai danni di Majorana (ipotesi impensabile, esclusa per primo da Ettore che sapeva ciò che faceva), non resta altro che una fuga segreta, la cui scelta necessaria doveva essere mascherata con un falso caso personale, passando inevitabilmente sul dolore della Famiglia comunque costretta all’idea del vivo mancando il cadavere (fatti di Ettore, furono costretti a concludere amaramente: “Da un certo momento in poi tutto è stato possibile”).
Se s’ipotizza o si postula la sottrazione volontaria, bisognerebbe chiarirne il momento o lo scopo: se dolosa e preordinata, oppure dipendente dalla trama spezzata del mancato suicidio.
Perché Ettore aveva fatto sapere che sarebbe tornato? Se si suppone un evento involontario esterno, un complotto, per spiegare il mancato ritorno e la mancanza del cadavere, non si spiega tuttavia perché Ettore avesse per primo innescato le apparenze di un suicidio per giustificare pro tempore l’assenza dovuta al pericolo percepito e sia poi caduto nel tranello lasciando una lettera a lutto per i suoi famigliari nella sua stanza d’albergo anziché un altro messaggio o avvertendo la Polizia. E quando e dove sarebbe stato eliminato, se tornò a Napoli, qui facendo fugaci apparizioni, forse bussando a due conventi e forse intravvisto nel pieno centro della città da un’infermiera rimasta anonima ma citata nella lettera del 22 gennaio con la quale chiedeva soldi in costanza di stipendio? Nemmeno durante il culmine della acuta forma gastrica di cui cominciò a soffrire nel 1933 in Germania, Ettore ebbe un’infermiera a Roma.
L’infermiera significava qualcosa; come fra tre mesi. Lo mostreremo nel seguito. Ettore non soffriva di una malattia inguaribile. Aveva preso servizio e svolto regolarmente le sue funzioni di docente. Nemmeno un raffreddore. Il suicidio o il complotto non hanno alcuna sostanza.
E neanche la fuga dal mondo, lo strappo insensato. Non resta che una fuga segreta di scopo: ma perché una fuga segreta, eventualmente in Germania? L’aggettivo qui è sostanza ed è anche necessità. Il caso differente non potrebbe essere quello – affine, non distinguibile – di una ragazza ibseniana, ma una decisione priva di un solo granello di egoismo, come non potrebbe mai essere il suicidio. Bensì, una situazione connessa a una causa di forza maggiore. Ovvero una decisione autonoma, vincolata al segreto. In questa condizione Majorana non poteva agire allo scoperto e non doveva nemmeno informarne preventivamente la Famiglia.
Forzato dal rispetto del vincolo formale, Ettore avrebbe potuto aggirarlo con la sua estrema intelligenza.
Il segreto della scomparsa passava inevitabilmente attraverso il dramma familiare, come fu difatti. Con la differenza – però – che non c’era un cadavere ed esistevano dei contro messaggi, da cogliere post eventum, perdurando l’inspiegabile silenzio del vivo. La presenza di Majorana in America del Sud può essere spiegata soltanto in questi termini.
Le lettere del 1938 contengono segnali e chiavi razionali. Ciò solo e soltanto per la Famiglia, che era l’unica vittima, tagliando fuori qualsiasi estraneo. La vicenda ha dunque due facce, opposte ma complementari: quella esterna, destinata ad apparire e a creare la situazione di un caso personale, e quella interna che invece spiegava ai propri cari il caso effettivo.
5* Tre lettere (una per la Famiglia – breve e laconica – lasciata in stanza), e due telegrammi. In due giorni sembra troppo (e nessuna telefonata). Prenderemo in esame tali atti di corrispondenza, ponendoci dinanzi al problema alternativo del numero e dei contenuti, alle relazioni, all’eventuale nesso con la lettera di risposta a Salvatore del 19 marzo (già vista), e ai rapporti con le altre lettere del 1938. Ne mostreremo i collegamenti, i segnali inclusi, tenuto conto dello stimolo che proveniva dalla corrispondenza passiva, che se conservata, non è stata mai prodotta.
[Prima di scomparire Ettore distrusse le lettere che aveva ricevuto a Napoli o queste lettere furono ritrovate nella sua stanza e conservate? Scrisse altre lettere da Napoli, com’è stato asserito, ma non riportando alcun ricordo del loro contenuto? Perché Erasmo Recami era sicuro di averle avute tutte quante da Maria Majorana nel marzo del 1972?].
Non è possibile affrontare in termini razionali il caso Majorana se si pretendesse di fare a meno della corrispondenza in quei mesi. Per esempio, la prima lettera da Napoli in data 11 gennaio è curiosamente priva dell’anno XVI dell’era fascista, invece presente in tutte le altre, e persino nella lettera Alla mia Famiglia lasciata in stanza. In questa stessa lettera si storpiava il cognome dell’assistente di Carrelli [Cennamo - Caccemo] quando a Majorana, che era sempre molto informato, non poteva certo sfuggire che nel 1937 Il Nuovo Cimento aveva pubblicato un articolo congiunto di Carrelli e Cennamo, appena il mese dopo aver pubblicato (ad aprile) l’ultimo di Ettore sui neutrini.
Subito a seguire, in questa stessa lettera, si diceva: Vi è anche un professore di fisica terrestre difficile a scoprire. E ancora: L’albergo “Napoli” è discreto, con prezzi ragionevoli; così è probabile che vi rimarrò per qualche tempo. Molti altri esempi si susseguono. E ciò non derivava dall’occasione epistolare, bensì da libera volontà. Inevitabile la conclusione.
Le lettere del 1938 presentano in modo fitto una serie univoca di segnali convergenti, comprensibili post eventum. Sono caratterizzate da due postulati logici che potremmo chiamare teorema della stanza (albergo Bologna) e teorema del lutto impossibile (lettera alla Famiglia). In definitiva, queste lettere contengono in filigrana la verità autentica di Majorana, ovviamente a esclusivo conforto dei suoi famigliari, inserita in modo tale che solo riunendo insieme tutte le lettere, il che avvenne da subito, si potesse in ultima analisi comprendere anche le ragioni del silenzio.
In forma autentica erano condizioni necessarie e costringenti. Ne forniremo la spiegazione logica analitica, dimostrando l’autenticità. La parola telegramma è una delle chiavi – non la sola – e il testo del telegramma per Carrelli, che è assolutamente autentico, quanto le lettere del 1938, è già sufficiente per accertare la verità. Non hanno alcuna validità le altre ipotesi.
Ne ricordiamo l’elenco essenziale:
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fuga immediata in un paese lontano
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ritiro segreto in un convento
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gioco a nascondino (vagabondaggio ecc.).
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suicidio in mare
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omicidio o rapimento politico
Ognuna di queste ipotesi viola la logica e le lettere di Majorana.
L’ipotesi del complotto si basa sulla mancanza del cadavere di chi aveva fatto sapere che sarebbe ritornato [Ettore si sarebbe allontanato pro tempore, pronto a eliminare la lettera per la sua Famiglia al suo ritorno, oppure questa lettera sarebbe falsa: ma una perizia ne dimostra la perfetta genuinità, nonostante le gratuite affermazioni di chi avrebbe piuttosto interesse ad inquinare oppure abbia agito con leggerezza, come anche dimostrano altre affermazioni che sovvertono fatti e dichiarazioni]. Anche se non può eliminare a priori il caso assolutamente improbabile e del tutto inverosimile di un omicidio a scopo di rapina – Ettore aveva con sé una rilevante somma di denaro, ma gli aggressori avrebbero avuto il tempo di eliminare il corpo – è un vero non senso il caso del complotto, una fantasiosa e fumosa estrapolazione dal dato obiettivo della mancanza del cadavere, introducendo come ipotesi spuria il quod erat demostrandum.
E’ illegittimo e illogico presumere a cascata una conseguenza certa da una ragione incerta: il cadavere mancante non significa tout court il morto ammazzato e il corpo fatto sparire, ma induce alla fuga del vivo che non si è fatto trovare. Assurdo il comportamento di un genio come Majorana che si sarebbe fatto eliminare temendo un pericolo ma lasciando dietro di sé una lettera a lutto. Certe sciocchezze, compreso la falsità materiale della lettera lasciata in stanza per la Famiglia, non potrebbero trovare credito se appena si scorressero le lettere e si riflettesse con coerenza. La lettera del 22 gennaio, due mesi prima della scomparsa, con la quale si chiedeva la parte liquidità dell’eredità (la mia parte del conto in banca) basta da sola per stabilire che l’ipotesi del complotto è un’invenzione. Al contrario, la richiesta indiretta di denaro tramite il fratello Luciano, quando Ettore annunciava che tra pochi giorni sarebbe venuto a Roma anche se per poche ore, è un segnale: il denaro trasferito da Roma e gli stipendi non riscossi furono prelevati poco prima di sparire. Non perché si fosse profilato un serio pericolo, cui Majorana sarebbe andato incontro non supponendo di doverci lasciare la pelle, ma egli per primo fornendo un alibi perfetto agli (immaginari) assassini. L’ipotesi del complotto è una prova della superficialità con la quale si è guardato al caso differente.
La stesso può dirsi per il caso del caro estinto che pure trae materia da una lettera di risposta alla Famiglia. A parte il dato sottinteso che Ettore avesse stupidamente giocato a nascondino (quando però aveva fatto sapere che sarebbe tornato), il padre gesuita Caselli, autore di quella lettera [non è stata mai mostrata la richiesta scritta che la originava], non era un medico né ufficiale dell’anagrafe. Quale tremendo segreto avrebbero tenuto nascosto i fratelli di Ettore – Salvatore e Luciano – se a novembre del 1939 la Rivista dei Gesuiti Missioni forniva pubblica notizia dell’istituzione della pia fondazione al nome dello scomparso, potendo quel beneficio spirituale – sborsate dalla madre di Ettore 20 mila lire – essere riconosciuto anche a persone viventi? Caos e irrazionalità hanno invaso la vicenda deformandone i contorni. Ed è identica confusione pretendere che Ettore sia fuggito via dalle grinfie di una madre dispotica e che nel 1938 abbia trovato riparo in Argentina viaggiando senza passaporto oppure con documenti falsi. Con affermazioni del genere forse è stata tenuta nascosta una verità segreta, che non poteva essere rivelata, oppure si tratta di sviste logiche?
Come si fa a ventilare che la lettera Alla mia Famiglia possa essere un falso, a sostenere l’idea del complotto internazionale ai danni di Ettore, oppure a pretendere di far credere che Ettore sia morto nel 1939, sovvertendo l’onere della prova e scaricandolo sul malcapitato lettore?
Non sarebbe bastato neppure averne indicato la sepoltura. Una ridda di contraddizioni, una peggiore dell’altra. Ipotesi irrazionali, in reciproco contrasto. La scomparsa di Majorana è già un caso a parte a ragione di tali scempiaggini o dirottamenti dalla realtà.
L’ipotesi conventuale, apparentemente avanzata da Sciascia nel 1975, è un altro non senso. Ettore avrebbe giocato a nascondino col mondo della fisica: ma come se avesse rivelato ai suoi cari la sua sorte e le sue decisioni, quando lo cercarono affannosamente per mesi e mesi?
Sciascia – forse – fu volutamente ambiguo avendo rovesciato il “caso”. Forse: ci sono difatti segnali in tal senso nel famoso saggio, molto ben scritto ma di traballanti sembianze in termini razionali. Sciascia accennò incidentalmente a crittografie. E parlò di nere croci.
Anche il suicidio in mare, durante il viaggio di ritorno, è da escludere già in base all’ultima lettera del 26 marzo che contiene un passaggio chiarificatore – al limite ironico – anche su tale ipotesi. Mentre il rifugio segreto in un convento (e si chiariscano i termini: crisi di coscienza – crisi religiosa – visioni mistiche?), non è ipotesi accettabile sul piano razionale. La Famiglia non fu informata.
L’ipotesi generica del vagabondaggio pretende di legittimare un ridicolo – e insensato – gioco a nascondino. Il caso di fuga all’estero, dovuta all’angoscia di dover ricomparire dopo lo scandalo (rimediabilissimo ma provocato: dunque voluto) non ha senso nel medio o lungo periodo all’insaputa dei famigliari. Una fuga nel 1938, in America del Sud, è altrettanto insensata per via del passaporto e dei permessi di sbarco e di soggiorno (oltre che sul piano esistenziale). Il movente di una madre oppressiva è ridicolo. Ettore a Napoli finalmente viveva da solo né la madre aveva fatto pressioni per stargli accanto, anzi l’esatto contrario (lettera del 19 marzo).
La fuga dalla realtà, lo strappo, la morte precoce, il ritiro religioso, il vagabondaggio, e il complotto politico appartengono agli esercizi di fantasia, se non sono una copertura.
Con le sue lettere e i suoi comportamenti Ettore aveva posto un preciso thema decidendum ai suoi cari escludendo ogni estraneo e per primo Carrelli. La questione consisteva nel perché avesse agito in quel modo. Insomma, da quando avrebbe iniziato a mentire l’aff.mo Ettore?
Ed è questa la ragione della presenza di segnali certi nelle sue lettere, dalla prima all’ultima.
Il dopo rispetto al momento della scomparsa – il suo poi materiale – appartengono al piano della realtà, ma dipendono – anche – dall’indirizzo della volontà di Ettore, il movente che lo costringeva ad agire in quella maniera passando necessariamente attraverso il dramma dei suoi famigliari. E vale insistervi ancora, poiché è quanto avvenne.
La Famiglia fu da lui coinvolta e traumatizzata. Ci sarebbe la possibilità di spiegare tale fatto consequenziale con la teoria del complotto involontario, ma ai fautori di quest’astruseria è sfuggito che tutto quanto era stato già compiuto di prima mattina, non appena il traghetto era giunto a Palermo. Ciò fu determinato e voluto da Ettore, chiudendo il circuito. Il telegramma per Carrelli era assai malizioso: preannunziava non una ma due lettere consecutive. Eliminava vuoti temporali, escludeva il suicidio (il cadavere in alto mare avrebbe comportato il lutto solo a condizione che fosse stata una accertabile ‘scomparsa a bordo’ durante la navigazione).
Il prima e il dopo si rincorrevano. Quando aveva iniziato a mentire? Parlando di lutto o di scomparsa? Che cosa poteva essergli capitato in quegli ultimi giorni? Perché Palermo, dove aveva rischiato di dover andare a insegnare se il concorso non avesse preso una piega diversa, del tutto imprevista? Che Ettore a Palermo avesse cercato Emilio Segré (per telefono?) senza trovarlo poiché fuori sede quel sabato, è un’altra invenzione. Ettore aveva indicato Carrelli (lettera del 22 gennaio: Carrelli è tuttora a Roma) e adesso gli inviava un’ultima lettera espresso da Palermo, su carta intestata e col globo radioso del sole all’alba, preceduta di un giorno da un telegramma urgente. Tutto ciò perché aveva ricevuto immediate rassicurazioni a Palermo e dunque si accingeva al ritorno a Napoli per eliminare anche la lettera a lutto dopo aver azzerato quella della scomparsa per Carrelli? Questa la teoria del astrusa del complotto.
Ecco perciò una seria di esempi sulle aberrazioni che si sono appiccicate al caso Majorana con pretese di risoluzione. La Famiglia restò coinvolta nello scandalo e nella perdita perché Ettore fu attirato in un tranello a Palermo! Il silenzio dipendeva da un delitto tombale, da un oscuro affare, o complotto internazionale, altrimenti Ettore, al suo ritorno a Napoli, avrebbe eliminato la lettera a lutto e Carrelli avrebbe finalmente ricevuto le spiegazioni – o dettagli ulteriori – circa il caso differente : vale a dire, perché il mare lo avesse rifiutato!
Così ragionando, cioè congetturando un’ipotesi qualsiasi e cercando di farvi rientrare a forza parole e fatti, si è preteso di affrontare l’enigma della scomparsa, per concludere infine (nel 2014), che ogni ipotesi rimarrebbe in piedi. Quindi, anche il caro estinto del 1939 (equivalente al gioco a nascondino), non ha alcun valore. Tra l’altro, questa tesi non risolveva il problema della scomparsa, moltiplicando viceversa i misteri.
Perché e da quando Majorana iniziò a mentire, coinvolgendo in quello scandalo la Famiglia, ma realizzando la scomparsa? C’è una sola spiegazione possibile: che l’abbia fatto apposta.
Il caso esterno del complotto o il caro estinto del 1939 sono aggiunzioni spurie che però tornerebbero comoda a chi altri avesse interesse a inquinare gli interrogativi seri circa la vicenda.
Anche l’ipotesi conventuale di Sciascia evapora immediatamente davanti alla domanda sul perché aver coinvolto la famiglia in quella disgrazia. I suoi cari lo stavano cercando, mentre Ettore pregava in un romitaggio? Il caso di Sciascia riguarda lo scienziato nucleare e non la persona: ma dopo il 1945 il nascondimento non avrebbe avuto più senso. E la famiglia non ne seppe più nulla. Ettore non mai ricomparso.
Questi gli aspetti da spiegare, senza dover ricorrere a congetture assurde oppure a ipotesi prive di presupposti di fatto legittimi e possibili. Il convento di Sciascia poteva benissimo essere trasformato in altro romitaggio (in Germania). La conclusione del saggio s’è lasciata scappare sottili venature (nere croci e un monaco olandese, come il fisico Sam Goudsmit).
Ettore Majorana fece e disfece tutto da solo. Il 19 marzo aveva fatto sapere che sabato 26 sarebbe tornato a Roma dai suoi. Mentiva. Poi, all’improvviso, il 25 mattina consegnò una cartella all’alleva Gilda Senatore, contenente le sue lezioni (anche il testo mai ritrovato della lezione di sabato 26 che non tenne). Lo stesso giorno scrive una lettera a Carrelli e abbandona l’albergo Bologna lasciando nella sua stanza una busta contenete un’ultima brevissima lettera per la Famiglia. Il giorno dopo giungono da Palemo due telegrammi, uno per carrelli e l’altro per l’albergo. La mattina del 27 – che era domenica – arriva su carta intestata un’ultima lettera espresso a Carrelli, in cui diceva che sarebbe tornato e invece è la volta che sparisce. Tutto fatto apposta, facendo scoppiare lo scandalo e creando il caso. I famigliari si ritroveranno con le due lettere per Carrelli, da essi trascritte ed infine consegnate, e subito alle prese con la laconica lettera d’addio lasciata in stanza. Seguirà il silenzio e mancherà il cadavere. La Famiglia affannosamente e la Polizia cercheranno di rintracciare il vivo, senza riuscirci.
Perché Ettore avesse fatto così, perché il suo caso fosse differente – e qui sta il punto! – era il “thema decidendum” da lui posto ai suoi cari, e non a noi estranei, che queste lettere, prima tenute nascoste, abbiamo cominciato a conoscerle soltanto dal 1975.
Non c’è altra possibilità razionale. Se disponiamo di seguito gli inizi di queste ultime quattro lettere – dal 19 al 26 marzo – risalta la risposta: Per ora non vengo perché lunedì ho alcune faccende da sbrigare all’anagrafe e altrove – Ho preso una decisione che era ormai inevitabile – Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera – Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Le lettere del 1938 contengono la soluzione autentica della scomparsa.
6* C’è chi ha ipotizzato una fuga dolosa, una messinscena preordinata. Nessuno tuttavia ha spiegato perché sia potuto accadere, qualunque fosse l’ipotesi concreta preferita.
Il problema logico principale consiste nel fatto che non sarebbe possibile distinguere – in base alle lettere e ai comportamenti – tra una vicenda spezzata in due – il prima e il dopo – e il caso della trama unitaria (fuga dolosa o messinscena).
Se i propositi iniziali rivolti al suicidio fossero stati effettivi – caso personale della crisi esistenziale – allora non si potrebbe parlare di messinscena e di una fuga di scopo, bensì di suicidio immediatamente successivo, oppure di sparizione dovuta a vergogna, all’incapacità di affrontare il dopo. Tuttavia, perché continuare a coinvolgere la Famiglia, per mesi e mesi?
Se invece Majorana volle sparire per una precisa ragione, sottraendosi a tutto e a tutti, in tal caso il movente non può non investire quel tipo di finzione, circa la preponderanza dello scopo perseguito. Coinvolgendo necessariamente la Famiglia per rendere enigmatico il caso.
La congettura del complotto oppure la fuga pirandelliana (in Argentina secondo Recami) si pongono nel mezzo tra i due estremi prefigurati, creando confusione. In realtà si tratta di casi impossibili, così come sono stati profilati. Non c’è alcuna soluzione intermedia tra la vicenda spezzata e la trama unitaria (dolosa e preordinata). Nel primo caso non si spiegherebbe mai il gioco a nascondino. Nel secondo caso occorre una proporzione tra il movente e il sacrificio.
Le ipotesi del primo tipo (un gioco a nascondino) sono irrazionali, le ipotesi del secondo tipo richiedono proporzione e adeguatezza. Non esiste alcun caso esterno, che possa mescolare volontà di azione ed evento involontario. Non è poi soddisfacente la classificazione di chi ha cercato di distinguere tra ragioni o cause di “origine endogena”, di “origine esogena”, e una “scelta volontaria o libera scelta”, nonostante la piena possibilità che sullo sfondo della scomparsa, possa stagliarsi l’energia di fissione del nucleo dell’uranio, di fatto scoperta da Fermi alla fine del 1934, e, comunque, compresa dal chimico tedesco Ida Noddack (articolo critico nei riguardi di Fermi che Majorana sicuramente aveva letto: G. Dragoni). In realtà è possibile parlare soltanto di crisi dell’individuo oppure della scomparsa dolosa di un genio. Al vaglio critico concettuale delle lettere di scomparsa soccombe il caso personale.
La griglia ipotetica della scomparsa attiene in primo luogo alla latitanza del vivo oppure al silenzio del morto. Sia nel primo, che nel secondo caso, non può essere introdotta l’ipotesi posticcia del complotto (rapimento oppure omicidio). La vicenda materiale dipende, a sua volta, da una linea spezzata (il mancato suicidio e la latitanza) oppure da una linea continua (messinscena dolosa e preordinata, cioè fuga di scopo). Il caso potrebbe essere stato di natura strettamente personale oppure riguardare invece la sparizione (volontaria) dello scienziato.
Gli elementi critici già discussi escludono il suicidio consumato, l’omicidio, e la latitanza del vivo a seguito di mancato suicidio. Tagliano via, allo stesso titolo, tutte quelle ipotesi di preordinazione non giustificabili secondo la preponderanza dello scopo o su basi razionali nel breve periodo. Comunque sono da escludere tutti i casi possibili in cui il medesimo risultato di taglio o di sottrazione definitiva fossero conseguibili altrimenti (il gioco a nascondino della latitanza è un non senso). Non rientra in quest’ultima categoria l’ipotesi della fuga segreta in Germania nell’anno 1938 dopo l’annessione dell’Austria (12 marzo). Il 5 novembre 1937, a Berlino, Hitler aveva dettato allo Stato Maggiore le linee segrete della politica militare dello “spazio vitale” che diede origine al secondo conflitto mondiale. Il 5 marzo 1938 era diventato per decreto il capo supremo delle forze armate.
Una fuga segreta di Majorana in Germania è giustificabile a condizione di contatti precedenti (la prova pressoché certa di questi contatti iniziali è contenuta nel finale della lettera a Segrè del 22 maggio 1933 da Lipsia). Negli anni oscuri tra il suo ritorno dalla Germania e il concorso a cattedre del 1937 esistono elementi indicativi circa il proseguimento dei rapporti. Ettore si muoveva liberamente, non è vero che si fosse recluso in casa, e una lettera del 1935 induce a ritenere che possa essere tornato in Germania almeno per un breve periodo.
Majorana sapeva che sarebbe scoppiata la guerra e ammirava la Germania di Hitler (Amaldi e Segrè). Da studente liceale era stato un ultras di destra, una camicia azzurra. Leggeva Il Giornale d’Italia, un quotidiano conservatore, nel luglio 1933 si era iscritto al Pnf ed esaltava l’impresa di Balbo e la sfilata degli avanguardisti a Berlino. Era scettico su Mussolini ed era antimonarchico. Aborriva il capitalismo internazionale (americano). Credeva in una civiltà europea, capofila la sapienza della Germania (purtroppo quella hitleriana). Nel 1938, proposito di Hitler in visita in Italia, a Napoli il 5 maggio, era rimasto indifferente alle leggi di Norimberga (nei termini in cui già trattava della questione razziale nelle sue lettere da Lipsia del 1933). Lo sfruttamento dell’energia nucleare non era una mera ipotesi: se ne parlava già a Firenze nel 1935 (testimonianza diretta di Publio Magini), il brevetto di Leo Szilard era stato ‘secretato’ dalla Marina inglese, Enrico Fermi aveva brevettato a New York (neutroni lenti).
In teoria non mancava nessuno dei presupposti necessari per una fuga segreta in Germania di Majorana. La questione dei Sudeti iniziava già nell’aprile del 1938, anche se si concluse in seguito. Quelle zone rivendicate dalla Germania di Hitler erano anche i più ricchi giacimenti di uranio naturale dopo il Congo Belga.
7* Perché colpire la Famiglia in quella maniera se si voleva dare uno strappo al proprio modo di esistere senza nutrire propositi di suicidio? Perché creare lo scandalo se le idee di morte erano rientrate? E perché consumare il suicidio, ritardato di una sola notte, se si era fatto sapere per lettera – una missiva di chiarimenti a un estraneo? – che si era decisi a ritornare?
Il suicidio in mare colpiva per due volte la Famiglia che a causa del silenzio avrebbe potuto continuare a sperare. Anzi, se il cadavere non fosse stato ritrovato, ciò finiva per determinare un vulnus permanente, dovuto all’incertezza. Senza il cadavere non si poteva parlare di lutto, e dunque si doveva continuare a cercare di rintracciare il vivo, che doveva essere ritornato a Napoli, al medesimo punto di partenza.
Un abbandono, una fuga dal mondo per una crisi spirituale, uno strappo, un taglio totale dalla propria realtà quotidiana potevano essere conseguiti altrimenti. Perché creare uno scandalo e coinvolgere la Famiglia nel dramma? Perché tanta lucidità in quelle sue lettere, ambigue e volutamente contraddittorie, se Ettore era un genio, e non un folle com’è stato detto (la teoria di un caso Asperger è chiaramente falsa, perché irrazionale rispetto ai modi della scomparsa).
Per giustificare l’abbandono dell’insegnamento sarebbe bastata una certificazione medica: la malattia allo stomaco di cinque anni prima sarebbe stata una ragione sufficiente. L’alternativa è secca: una crisi che portava al suicidio oppure la scomparsa dolosa del fisico d’avanguardia. Un caso personale oppure una messinscena. Ma il caso personale è subito tolto di mezzo da elementi specifici: era evitabile lo scandalo, irrazionale averlo creato; mentre il suicidio in mare, buttandosi dal piroscafo durante il viaggio notturno di ritorno a Napoli, era escluso dalla mancanza di segni di ‘scomparsa a bordo’ (come la presenza del cappello o di altri effetti personali e la mancata restituzione del biglietto al momento dello sbarco). Poi, dalla stessa lettera su carta intestata con un sole radioso all’alba, in cui diceva che sarebbe ritornato subito al Bologna, via mare (sic!), infine dall’incongruenza del gesto estremo rispetto ai valori affettivi più cari (che avrebbe dovuto pensare la Famiglia se il cadavere non c’era?), si poteva e si doveva dedurre chiaramente che il suicidio non solo non fosse mai stato consumato, ma anche che i relativi propositi erano fittizi. (Bruno Russo non ha considerato il passaporto, il denaro ecc., ma non ha compreso nemmeno che l’incontro casuale di Occhialini con Majorana, già dal 18 gennaio escludeva ciò che invece era sembrato di capire all’interlocutore: la differenza la fa un povero cappello marrone!). I termini razionali dell’enigmatica scomparsa di Majorana – con modi epistolari e di comportamento che dovranno risaltare per i suoi cari – certamente non potevano adombrare i ventilati propositi di suicidio, rimandato o rientrato, ma provocavano volutamente uno scandalo, assolutamente evitabile, che colpiva due volte la Famiglia. Le ragioni nascoste sono contenute nelle sue stesse ultime tre – quattro lettere.
LE ULTIME TRE LETTERE
1* Che si tratti di una trilogia è evidente. Ciò non toglie che le lettere potevano essere di meno e concepite in termini differenti in caso di effettivi propositi di suicidio, mentre tre lettere, concepite e organizzate intorno a Carrelli e all’albergo Bologna di Napoli, si attagliavano perfettamente alla finzione, a una messinscena preordinata. Ciò è stato intuito da molti autori, ma non si è mai provveduto alla analisi critica di tutte le possibili inferenze. Ci ha provato Luisa Bonolis, nel 2002, trascurando tuttavia il movente per un piano organizzato, per quella partita d’intelligenza: destinata forse a confondere la Famiglia, unica vittima? Scriveva la Bonolis: << Il puzzle torna in ordine se si presuppone un piano per lasciare nel mistero la propria sorte. Ogni mossa appare predisposta perché una circostanza neghi l’altra, restando tuttavia possibili tutte le congetture, e l’ambiguità o ambivalenza dei messaggi sembra studiata ad arte per autorizzare l’ipotesi di una sofferta incertezza nella scelta >>. Ecco, questo è ciò che appare. Ma la Famiglia non era Carrelli, e Carrelli non sapeva ciò che la famiglia sapeva o poteva arrivare a sapere. Ettore aveva proposto alla sua Famiglia la stessa frase – ma col punto interrogativo = thema decidendum! – che figurava nella lettera per Carrelli: …perché il caso è differente ?
In realtà è stata una tetralogia, comprensiva della lettera del 19 marzo – che invece sembrava uno sbarramento incolmabile – e legata alle lettere precedenti (segnali in serie). La cesura tra la lettera del 19 marzo e la trilogia del 25 e 26 marzo è soltanto apparenza. Tutto ciò faceva parte integrante di un medesimo programma, noto a Ettore fin dal principio, anche prima del suo trasferimento a Napoli per ricoprire una cattedra di eccezionale importanza e prestigio, che finalmente gli era stata attribuita, dopo un triennio di boicottaggi alle domande di libera docenza su temi d’avanguardia nel mondo della fisica teorica. Majorana doveva sparire e lui concepì come fare.
Napoli, 25 marzo 1938 – XVI
Caro Carrelli,
Ho preso una decisione che era ormai inevitabile. Non vi è in essa un solo granello di egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti. Anche per questo ti prego di perdonarmi, ma sopra tutto per avere deluso tutta la fiducia, la sincera amicizia e la simpatia che mi hai dimostrato in questi mesi. Ti prego anche di ricordarmi a coloro che ho imparato a conoscere e ad apprezzare nel tuo Istituto, particolarmente a Sciuti; dei quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo.
E. Majorana
Alla mia Famiglia - Brevissima lettera lasciata in stanza con le altre cose
Napoli 25 marzo 1938 – XVI
Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi
aff.mo Ettore
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Si può notare che nella laconica lettera d’addio per la sua Famiglia (la madre Dorina rimasta vedova nel 1934 e i quattro fratelli: Rosina, sposata a un tedesco, Salvatore, Luciano e Maria), l’aff.mo Ettore annotava l’anno XVI dell’era fascista, omettendo la virgola dopo Napoli e poi il punto finale dopo perdonatemi.
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Prima il ricordo, se potete, poi il perdono. L’inverso della lettera per Carrelli.
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Qui parlava di lutto, anche se per non più di tre giorni, ma non ci poteva essere alcun lutto senza il cadavere (che non fu mai trovato). Il giorno 25 marzo si ripetevano un poi orale (per la Senatore) e due dopo per iscritto. Ettore si era congedato da Gilda Senatore il 25 mattina, con un poi ne parleremo, ripetuto due volte, in cui la parola Palermo era per così dire evocata. Saluterà per lettera un altro allievo, Sebastiano Sciuti. Perché?
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La scomparsa improvvisa era ormai inevitabile. E avrebbe creato noie.
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Un solo desiderio – senza un solo granello di egoismo.
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In queste due lettere del 25 marzo – che era un venerdì (Ettore faceva lezione di mattina nei giorni pari della settimana: martedì, giovedì e sabato) – figurano alcuni elementi a dir poco singolari. Sconcertanti per un vero caso di suicidio. Tanto più che lo scomparso aveva con sé denaro, passaporto e sapeva perfino nuotare (fatti certi).
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In seguito metteremo in risalto altre singolarità e anomalie che incominciano già dalla stessa definizione di scomparsa – improvvisa ma ormai inevitabile – e del resto alternativa al lutto che era ovviamente impossibile senza il cadavere (non rintracciato in terra o in mare), per cui ex post possiamo leggervi (all’interno) la cifra remota di un avviso – < vivo - avviso – in vita > – che non sarebbe per nulla casuale (infatti, ambiguità e contraddizioni caratterizzarono questa strana scomparsa per lettera, dopo aver provocato – lui per primo – un grosso scandalo, evitabile e rimediabile, colpendo esclusivamente la sua Famiglia).
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Altri segnali sono contenuti nelle due lettere del 25 marzo, ma è sopratutto l’inversione scomparsa – lutto (una anfibologia) a destare attenzione. La scomparsa fu quanto la famiglia costatava, con la necessità di avviare tutte le ricerche per il rintraccio, quando il lutto non poteva ancora presentarsi. Ettore volle creare il caso differente sulla pelle dei suoi cari.
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Il punto essenziale della vicenda consiste nell’andata-ritorno e nella sparizione. La lettera espresso da Palermo, giunta a Carrelli il 27 mattina, recava un sole.
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Ettore volle confondere le acque, costrinse i suoi familiari a cercarlo, li mise davanti a un tremendo imprevisto, ma diede loro una speranza.
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Perché agì in qual modo? La risposta sta nel fatto che le stesse lettere del 1938 contenevano parimenti la soluzione autentica della scomparsa, poiché soltanto di sparizione dolosa si trattava (faccio rinvio agli altri pezzi già da me pubblicati sul web per quanto concerne gli aspetti remoti nella loro possibile interezza: in questa sede preme invece mettere in luce le linee portanti della soluzione autentica, premesso che la chiave per intendere l’espressione melodrammatica Il mare mi ha rifiutato ne rappresenta la soluzione).
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Il 25 marzo, Majorana consegnò una cartella a Gilda Senatore, terminando con queste parole: Poi ne parleremoE’ falso che abbia detto riparleremo; sarebbe stato un non senso. Lo stesso giorno imbuca una lettera per Carrelli (sopra riportata) e lascia una breve lettera nella stanza (Alla mia Famiglia). Alle ore 17 abbandona l’albergo. Indossava un soprabito grigio ferro e un cappello marrone. Si presume che abbia preso il traghetto della Tirrenia in partenza per Palermo alle 22.30. C’è un buco di 5 ore.
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Da Palermo – sabato 26 marzo – partono due telegrammi urgenti e un’ultima lettera espresso per Carrelli, su carta intestata del Grand Hotel Sole – Palermo, con un sole all’alba e due numeri di telefono. La lettera viaggerà col traghetto, la notte stessa, per essere recapitata a Carrelli – che aveva il telefono in casa – la mattina di domenica 27.
2* Nelle lettere da Napoli nel 1938 e nel corpo delle stesse lezioni (periodo gennaio – marzo) figuravano diversi rinvii temporali al futuro. Uno di questi rinvii è contenuto nella lettera del 23 febbraio alla madre: Sono all’albergo Bologna, via Depretis, che è abbastanza buono e pulito. Personale quasi tutto bolognese. Ho una stanza discreta; oggi me ne daranno una migliore su via Depretis, da cui potrò vedere fra tre mesi il passaggio di Hitler.
Lo scenario stretto della scomparsa ruota intorno alla persona di Antonio Carrelli, direttore dell’Istituto di fisica, e all’albergo Bologna, dove Ettore affermava di aver preso la residenza: perché io ho l’obbligo di prendere la residenza a Napoli (come professore), anzi l’ho già presa provvisoriamente qui in albergo, alias via Depretis 72.
Uno zio di Ettore, Quirino Majorana, insegnava fisica sperimentale all’Università di Bologna. Il nonno di Ettore era stato due volte Ministro del Regno nei Governi Depretis. Ettore era a casa sua, al Bologna. Una lettera ufficiale del Ministero recava la destinazione per l’Università di Bologna, corretta a penna con Napoli. Questa lettera era una comunicazione ufficiale diretta a Fermi quale presidente della commissione di concorso.
La lettera d’addio per la sua Famiglia fu lasciata in quella stessa stanza da cui diceva che fra tre mesi avrebbe visto il passaggio di Hitler, il 5 maggio a Napoli (quel giovedì, ovviamente, non ci sarebbero state lezioni per via della cerimonia).
Hitler – il 5 maggio – arriverà in treno da Roma alla Stazione Chiaia e il corteo sfilerà sul lungomare Caracciolo senza passare per via Depretis. Nelle acque del golfo, quel giorno assolato (data di morte di Napoleone Bonaparte nell’isola di Sant’Elena) ci fu un’imponente parata navale della marina militare italiana, cui assistettero compiaciuti Hitler e Mussolini.
Ettore, qualche anno prima, aveva fatto accurati calcoli sui rapporti di forza tra le principali flotte mondiali. La sua infanzia (era nato il 5 agosto 1906 a Catania) era stata attraversata dalla immane tragedia della prima guerra mondiale. Da bambino, quando ormai frequentava a Roma le scuole del Collegio dei Gesuiti, aveva scritto alla madre a Catania, chiedendo un libro: Mandami La guerra sul mare. E aveva parlato del Carnevale: Quando verrà il babbo? Tu verrai per Carnevale?
Il Carnevale del 1938 iniziò giovedì 24 febbraio, terminando il primo di marzo (martedì), perché l’anno non era bisestile. Il 2 marzo, mercoledì delle ceneri, Ettore rispondeva, su carta intestata dell’Istituto di Fisica Sperimentale (di Napoli), a una cartolina di Giovannino Gentile indirizzatagli a Roma e rinviatagli a Napoli: Tutta Napoli è preparazione per la prossima visita di Hitler. Sabato riprenderò le lezioni (in realtà quel sabato 5 marzo non ci fu lezione). Sono contento degli studenti, alcuni dei quali sembrano risoluti a prendere la fisica sul serio. Spero che ci rivedremo presto.
Ettore aveva trascorso a Napoli il Carnevale: immaginerai facilmente quali follie – diceva a Gentile. Carrelli, il segretario del concorso, che a Napoli era stato molto gentile, lo vedeva intento a certi studi di cui però non parlava. Follia di uno studio eccezionale? Gentile doveva immaginare che cosa?
Il 18 marzo 1928 – dieci anni prima – Gentile s’era sfogato per lettera con l’amico Delio Cantimori: << All’Istituto [di Enrico Fermi a Roma], dove finisco per stare tutto il giorno, sento un po’ di freddo nelle relazioni con gli altri, ebrei e quasi tutti atei: annullano l’umanità nel culto della logica e dell’egoismo. Così diversi da noi! >>.
Giovannino era l’unico vero amico di Ettore nonostante che la partecipazione di quest’ultimo al concorso a cattedre bandito nel 1937 avesse rischiato di rompere il loro rapporto perché era Giovannino Gentile, il figlio del senatore e filosofo di fede fascista, a rischiare l’esclusione dalla terna dei vincitori se Ettore non fosse stato nominato fuori rosa con una procedura specialissima, cosa che avvenne. Ettore era convinto che sarebbe rimasto fuori Giulio Racah (ebreo, poi Rettore dell’Università di Gerusalemme). Credeva che sarebbe riuscito primo Giancarlo Wick (figlio della nota antifascista torinese Barbara Allason). E lui, il secondo, non sarebbe andato a ricoprire la cattedra di fisica teorica a Palermo, che poi era la ragione di quel concorso. Emilio Segrè, dal 1935 in cattedra a Palermo come fisico sperimentale, era riuscito, con l’aiuto di Fermi, a far indire quel concorso per fisica teorica, il secondo in dieci anni, dopo quello del 1926 che avevo portato in cattedra Fermi a Roma, Persico a Firenze, e Pontremoli a Milano. Aldo Pontremoli perirà nel 1928 nel disastro polare del dirigibile “Italia”. La cattedra di Milano rimasta vacante non era stata ricoperta. Nel 1937 sarà attribuita a Gentile.
Si ritenne a priori che Majorana non partecipasse al concorso del 1937, e si può dire – e così dirà Ettore – che la terna era già stata prefissata a tavolino: primo Wick, secondo Racah, terzo Gentile. L’imprevista partecipazione di Ettore, dato per disperso, ruppe il piano (è questa la versione autentica e corretta di questo giallo). Ma Ettore, primo classificato, sarebbe dovuto andare a Palermo da Segrè (altro ebreo). I due si ignoravano dal 1933. Ettore non era stato invitato al matrimonio di Segrè nel 1935 a Roma, in sinagoga, con una ragazza tedesca di ottima famiglia (anch’essa ebrea). C’era stato, con Segré, il precedente acido di una lettera da Lipsia, in data 22 maggio 1933, in cui Ettore parlava bene del nazismo da poco salito al potere in Germania e affrontava la questione ebraica (pur non essendo razzista: sciocca ideologia della razza – tristemente dominante), e (tuttavia) la assimilava a una specie di operazione chirurgica.
Negli anni successivi al 1933 Majorana ebbe sentore dell’imminenza minacciosa di un conflitto catastrofico (come lo era stata la prima guerra mondiale) e continuava a esaltare la Germania che era quella di Hitler. Segrè pubblicherà la lettera di Majorana soltanto per il cinquantenario della scomparsa (marzo del 1988). La lettera era stata considerata (da Edoardo Amaldi) come affondata con l’Andrea Doria (nel 1956). Segrè dirà che Ettore si buttò dal piroscafo la notte stessa del viaggio di ritorno da Palermo. L’ipotesi del suicidio in mare non solo contrasta con le stesse parole di Majorana, ma esclude altre testimonianze (sebbene spiegabili altrimenti). Con Amaldi, Segrè aveva persino ventilato che Ettore avesse contratto la sifilide. Ed anche che la sua vena di fisico teorico fosse scemata. Ettore non aveva fatto parte integrante del gruppo di via Paniperna. Aveva partecipato criticamente ai seminari di Fermi, cui non lo legava una speciale amicizia (anzi c’erano state delle ruggini), e faceva parte a se stesso (era un solitario). Nel 1934 aveva rotto i rapporti. In precedenza la sua abilità geniale era stata ampiamente sfruttata da Fermi e Amaldi (ci sono parole ironiche di Ettore da Lipsia a questo riguardo). Ettore aveva conservato un grande amico: era Giovanni Gentile, ormai in cattedra a Milano.
3* Il 9 marzo 1938, mercoledì, Ettore scriveva alla madre rassicurandola per la biancheria: Dei cartelli affermano con molta enfasi che i servizi di stireria e lavanderia dell’albergo sono inappuntabili. Qui c’è un tempo bellissimo, ideale per navigare nelle acque del golfo. Come va con lo sport invernale?
Majorana sembrava di ottimo umore, stava scherzando. Per comprenderlo basta collegare il tono di questa lettera, in cui citava anche la sorella Maria, al contenuto di quella del 23 febbraio: Siete guarite dai vostri due piccoli raffreddori? E’ indubbio che egli si riferisse anche a Maria, l’altra donna di casa, quando la sorella Rosina viveva a Milano sposatasi con un tedesco (Wolfgang Schultze). Il nesso dello sport invernale – cioè i raffreddori – lega anche le acque del golfo alla visita di Hitler a Napoli.
Il sottinteso è molto efficace, se ci si fa caso. “Et-sciii” – cioè lo starnuto – è l’implicita ironia per questo genere di sport, in stile tipicamente majoranesco. Ragion per cui anche i cartelli dei servizi di lavanderia dell’albergo Bologna finiscono per alludere a Carrelli.
L’insieme di questi fili quasi invisibili, ma da cogliere ex post, comporta un legame stretto tra le varie lettere: quella del 22 gennaio, in cui Ettore chiedeva la parte liquida dell’eredità paterna in costanza di pagamento per gli stipendi già maturati (giorno 27), fino a quelle di scomparsa, poco dopo aver prelevato il denaro in banca.
Nel medesimo ordine si dispongono i nessi tra la lettera del 23 febbraio, in cui citava Hitler (le famigerate leggi di Norimberga risalivano alla fine del 1935), e le ultime lettere del 25 e 26 marzo, quelle della scomparsa.
Il 26 marzo Carrelli ricevette un telegramma urgente da Palermo: NON ALLARMARTI ALT SEGUE LETTERA (il testo del telegramma è assolutamente certo poiché consacrato in atti ufficiali). Era sabato, quella mattina Ettore non aveva fatto lezione. Il telegramma precedette la lettera del 25 marzo imbucata a Napoli, che arriverà alle 14. Carrelli rimase sorpreso.
Domenica 27 – mattina – perviene a Carrelli una lettera espresso su carta intestata del Grand Hotel Sole – Palermo (il servizio postale a recapito manuale funzionava anche di domenica).
Nella sua abitazione a Napoli Carrelli era munito di apparecchio telefonico. La carta intestata recava il globo di un sole radioso all’alba e due numeri di telefono in bella vista.
Questa è la lettera: dopo di che il silenzio (e la scomparsa senza cadavere).
Palermo, 26 marzo – XVI
Caro Carrelli,
Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunciare all’insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli
aff.mo E. Majorana
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Ettore ancora una volta non mette il punto finale. L’ha fatto soltanto nella prima lettera per Carrelli.
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Le tre lettere del 25 e 26 marzo sono autentiche. Come le altre lettere, che sono nove in tutto, sebbene ci sia un apparente buco epistolare tra le date del 23 gennaio e del 22 febbraio.
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Autentico il testo del telegramma per Carrelli e di un altro telegramma urgente per l’albergo Bologna affinché non entrassero nella stanza: sarebbe tornato lunedì.
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Ho preso una decisione (venerdì 25 marzo) e Spero che (sabato 26 marzo – su carta intestata) sono anagrammi.
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La serie degli spero iniziava con la lettera del 2 marzo (giorno delle ceneri), inviata a Giovanni Gentile, suo collega a Milano. Spero che ci rivedremo presto –così terminava la lettera. Spero di venire in fine settimana, il 9 marzo, scrivendo alla madre, e citando la sorella Maria (nata nel 1912), che oltre alla musica, coltivava la pittura (mi possa presto mandare la fotografia delle sue opere più famose).
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Verrò forse dopo Carnevale (il 23 febbraio) – Viaggiando forse con questo stesso foglio (carta intestata del Grand Hotel Sole – Palermo impiegata per l’espresso del 26 marzo).
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Ritornerò domani all’albergo Bologna (espresso di sabato 26 marzo). Tornerò lunedì (telegramma per l’albergo Bologna).
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Viaggiando in nave – nella notte tra sabato 26 e domenica 27 marzo – Ettore sarebbe giunto al porto di Napoli la mattina all’alba di domenica 27 (27 è il rovescino di 72), precedendo il recapito dell’espresso per Carrelli (domenica 27 mattina).
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Avendo il telefono in casa, Ettore poteva chiamare direttamente Carrelli, e spiegarsi.
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Invece gli invia un telegramma che arriva a destinazione sabato mattina alle ore 11.
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Seguiranno, nell’ordine, la prima lettera da Napoli (ore 14 di sabato 26) e la seconda lettera da Palermo (espresso di sabato 26, recapitato a Carrelli domenica mattina).
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Ettore indica quel foglio di carta intestata. Intende rinunciare all’insegnamento e dice di rimanere a disposizione per ulteriori dettagli. Invece scompare. Senza lutto.
4* Le tre lettere del 25 e 26 marzo sono caratterizzate da molte anomalie sia di tipo formale (che risaltano da sole), sia di tipo logico-concettuale. Anomalo è pure il testo del telegramma per Carrelli riportato poco sopra.
Partendo dal testo del telegramma – anziché da una telefonata da Palermo che avrebbe chiarito a voce e appianato il caso del provvisorio smarrimento interiore evitando lo scandalo che con grande dolore colpirà improvvisamente la Famiglia – con cui Ettore annullava il contenuto della lettera spedita da Napoli il giorno prima e non ancora pervenuta a Carrelli (telegramma e lettera non arrivano mai insieme), rimaneva il sospeso – almeno fino a domenica mattina 27 marzo – a quale lettera si riferisse: se la prima o la seconda, sebbene non sussista un insanabile contrasto logico. L’incertezza era per Carrelli che ricevuto per primo il telegramma urgente consegnatogli separatamente a mano, e poco dopo la lettera ordinaria in cassetta postale, non sa se deve allarmarsi oppure no. Per questa ragione Carrelli verifica subito se Ettore, quella mattina, avesse fatto lezione alle ore 9. No, Ettore non si è presentato.
La lettera del 25 che ha in mano Carrelli è abbastanza ambigua, parla infatti di scomparsa, ma non dice molto di più. Terminava persino con un dopo: e possibilmente anche dopo (dopo le 11 di questa sera – venerdì 25 marzo). Non si potrebbe capire la nave. Non c’è alcun riferimento esplicito a un imbarco notturno, dopo aver lasciato il Bologna verso le 17 del pomeriggio. C’è un buco di 5 ore. Ma è certamente un addio, con un ricordo che potrebbe interrompersi, ma che potrebbe anche seguitare.
Il telegramma acquista un senso insieme: Non allarmarti, non tener conto della mia lettera; che ce ne possa essere un’altra è auspicabile, ma non è cosa certa. Passerà dunque un giorno intero prima che arrivi l’espresso rassicurante da Palermo in cui è manifestato il proposito di suicidio però caduto nel corso della nottata perché << Il mare mi ha rifiutato >>.
Si comprende – a questo punto – che Ettore doveva aver viaggiato sul traghetto postale della Società Tirrenia diretto a Palemo. Ciò che non era chiaro circa la lettera a seguire (Segue lettera), lo diventa con la seconda lettera per Carrelli, che però aveva il telefono in casa.
Nell’altro telegramma inviato all’albergo Bologna Ettore diceva che sarebbe tornato lunedì (il 28 marzo). Ritornerò domani all’albergo Bologna, non è tornerò lunedì. Non c’è alcuna possibilità di poter interpretare diversamente: viaggiando forse con questo stesso foglio. E con questa espressione risaltava la carta intestata Grand Hotel Sole – Palermo col disegnino del sole all’alba e con due numeri di telefono. Abbiamo dunque le chiavi: sole e Hitler.
La singolarità sul piano logico di quest’ultima lettera espresso è la prima enunciazione: Il mare mi ha rifiutato (dipendeva forse dal mare ‘accettare’ il corpo?). Conseguiva forse dal viaggio di andata in nave, il ritorno a Napoli sempre in nave, immediato o ritardato alla notte successiva? Ciò era posto come conseguenza del rifiuto: Il mare mi ha rifiutato e (e dunque, e poi) ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio.
Ettore ha forse inviato un telegramma non ambiguo a Carrelli, sperando che la lettera da Napoli fosse arrivata prima del telegramma urgente o anche che fossero arrivati insieme?
Tuttavia non ha telefonato, quando invece avrebbe dovuto farlo. Diceva che sarebbe tornato subito a Napoli, viaggiando di notte. Aveva intenzione di rinunciare all’insegnamento ma sarebbe rimasto a disposizione per ulteriori dettagli. Meglio, aveva rassegnato le dimissioni per iscritto al suo diretto superiore gerarchico.
Per risolvere razionalmente l’enigma della scomparsa è sufficiente – come abbiamo già accennato – inserire nel testo del telegramma come chiave di traslitterazione la parola sole (ultima lettera da Palermo). Il risultato, facilissimo, è il seguente: Margine altra lettera Alt Un sole – Come mai ci sarei arrivato io soltanto? Ettore, che era un genio, fornisce altrove la firma autentica di questa prima cifratura elementare (qualcuno, evidentemente incapace di ragionare correttamente, ha obiettato che i Majorana avevano adottato, già in passato, un loro codice di comunicazione: spieghi allora perché Ettore non lo avrebbe detto prima!). Ripeto che i contro messaggi sono costringenti e autentici (c’è chi ritiene opinabile la logica stretta!).
5* Nelle tre lettere di scomparsa il ‘prima’ verrebbe chiarito dal ‘dopo’. Ettore si sarebbe imbarcato venerdì sera sul traghetto che da Napoli salpava per Palermo alle 22.30, col proposito di buttarsi in alto mare. Però ha abbandonato l’albergo Bologna verso le 17. Arrivato incolume a Palermo prima telegrafa e poi scrive che sarebbe ritornato a Napoli via mare (i tempi sembrano calcolati con la massima precisione). Il problema se Ettore fosse stato presente o meno sul traghetto, cabina n. 37 a tre posti letto, durante il viaggio di ritorno la notte tra il 26 e il 27 marzo, è irrilevante rispetto alla dichiarazione e al modo in cui è stata fatta. Ritornerò domani all’albergo Bologna. Alle ore 5.45 di domenica 27 marzo il traghetto della Società di navigazione Tirrenia – Navi T – era giunto in porto. Prima che la lettera, che aveva viaggiato con la nave diretta a Napoli (sulla quale doveva presumibilmente essere salito Ettore verso le 19 di sabato 26 a Palermo), fosse recapitata a Carrelli. Ettore ha tenuto conto di questa possibilità materiale, effettivamente verificatasi: viaggiando forse con questo stesso foglio; ma non per questo si giustificano le espressioni da lui usate. In primo luogo dire che il mare lo aveva rifiutato era sì un’ammissione d’intenzioni di suicidio, ma lo negavano tacitamente il passaporto – non necessario per la navigazione in acque interne – e la rilevante somma di denaro che aveva con sé, per di più sapendo nuotare (perché togliersi la vita gettandosi in acqua in alto mare, allungando l’agonia?). Aggiungere che il suo era un caso differente da quello di una ragazza ibseniana era incongruente. Ci aveva ripensato e stava tornando a Napoli. Il mare mi ha rifiutato è un’affermazione illogica, un non senso in termini formali. Al ritorno il mare avrebbe accettato o rifiutato di nuovo? Ma Ettore dà per scontato che sarebbe ritornato domani all’alba a Napoli, cioè domenica 27, giorno del sole, rientrando all’albergo Bologna che aveva lasciato due giorni prima. Ibsen – famoso drammaturgo nato in Norvegia nel 1828 – a una certa epoca della sua vita si era trasferito a Berlino, poi a Roma, infine in Campania. Majorana era come la Donna del Mare, un famoso dramma di Ibsen, oppure il caso era diverso?
E’ un’incongruenza trasferire su carta – la lettera da Palermo con il disegnino del Sole e due numeri di telefono! – certe dichiarazioni che meglio sarebbe stato fossero rimaste nella penna.
Le due lettere da Napoli del 25 marzo sono state vergate con calma, con la stessa penna stilografica, senza alcuna eccitazione psicologica: si potrebbe dire in modo preordinato. La lettera spedita da Palermo è stata scritta col pennino. Ha un tratto più sottile, quasi nervoso.
Nella prima lettera per Carrelli si parlava di scomparsa, eufemismo per suicidio (Il mare mi ha rifiutato), e nella lettera lasciata in stanza per la sua Famiglia non si richiedeva il lutto, tollerando appena qualche segno di lutto, ma per non più di tre giorni.
“Segno di” potrebbe equivalere a “disegno”. Che non vi vestiate di nero potrebbe equivalere a “ordine”. Se potete – ricordatemi se potete – potrebbe equivalere a “Poste e Te(legrafi)”.
Il Grand Hotel Sole si trovava nel centro di Palermo, a circa due chilometri dal porto, ma molto vicino alle Poste e Telegrafi e ai Telefoni di Stato. L’idiosincrasia di Ettore per il telefono è smentita nelle sue lettere da Lipsia del 1933. La carta intestata recava due numeri telefonici.
All’epoca il Grand Hotel si chiamava Grande Albergo (Guida Turing 1938) e apparteneva a Vincenzo Sole (si chiamava Vittorio il testimone del viaggio di ritorno nella cabina n. 37 a tre letti: il prof. Vittorio Strazzeri, docente di geometria all’Università di Palermo, quindi collega di Emilio Segrè, che a Palermo insegnava fisica sperimentale dal 1935).
Sembra fatto apposta. Mancherà il cadavere ma la Famiglia sarà costretta a prendere atto della lettera lasciata in stanza, in quella stessa stanza dell’Albergo Bologna che Ettore aveva indicato nella lettera del 23 febbraio. In via Depretis, dove affacciava la stanza, non sfilerà il corteo di Hitler in visita a Napoli tre mesi dopo (fra tre mesi = < Fermi resta >).
Sembra che Ettore abbia fatto fugaci ricomparse a Napoli nei giorni successivi, tanto che ci sarebbe la testimonianza dell’infermiera anonima del 22 gennaio, che gli aveva dato alcuni indirizzi per pensioni non utilizzati, perché egli continuerà a cambiare alberghi, stabilendosi infine al Bologna, proprio in quella stanzain cui sarebbe dovuto ritornare domani (domenica 27) o lunedì 28 (domani nella lettera per Carrelli, lunedì nel telegramma per il Bologna).
Questi giri di parole determinano due postulati logici: il teorema della stanza già indicata preventivamente il 23 febbraio e il teorema della impossibilità a priori del lutto, inconciliabile quale anfibologia col concetto di scomparsa eufemisticamente intesa come morte, venendo a mancare il cadavere. Il ‘dopo’ riportato al ‘prima’ chiudeva il circuito dell’informazione remota in presenza di altri segnali convergenti. I destinatari dell’informazione remota post eventum, necessitata dal silenzio (thema decidendum), ovviamente erano solo e soltanto i famigliari, a conoscenza di tutte le lettere del 1938. Carrelli, intorno alla cui persona avevano ruotato le altre comunicazioni, era tagliato fuori. Il giro delle informazioni in filigrana si apriva e poi si richiudeva con la lettera Alla mia Famiglia lasciata lì in attesa in quella stanza dell’albergo Bologna (globo all’alba).
Oggi quasi ogni giorno c’è qualcuno che scompare. Il fenomeno è molto più frequente che non in passato. Può trattarsi di una fuga volontaria, di un omicidio (caso esterno ovvero fatto involontario), oppure di un caso di suicidio. In caso di morte, quasi sempre si ritrova il corpo, salvo dover riconoscere il cadavere. Il caso della fuga, vale a dire l’allontanamento volontario dal proprio domicilio non fornendo più notizie di sé, è normalmente un fatto tacito. Il suicidio è in genere spiegato con una lettera, con un messaggio di addio. La scomparsa di Majorana senza il cadavere fu un evento clamoroso. Perché colpire la Famiglia tre volte: con lo scandalo, col dramma affettivo, con l’incertezza? Tre lettere e due telegrammi per un suicidio mancato o non accertabile sono veramente troppi. Tolto di mezzo il non luogo o non essere del caso esterno involontario, non rimane altro che la fuga preordinata. Per spiegare tutta quanta la vicenda occorrerebbe conoscere il come, il dove, il quando, e il perché (causa o movente).
Gli elementi materiali indicano un falso proposito di suicidio (denaro, passaporto, saper nuotare). Il complotto esterno a suo danno non poteva rientrare nel caso differente per come Ettore lo aveva già manifestato in atti precedenti. Pertanto si fa largo da sola l’ipotesi della fuga dolosa. In concreto, i segnali convergenti, disseminati nelle lettere del 1938 (già dalla prima lettera da Napoli in data 11 gennaio), indicano chiaramente questa intenzione e la loro stessa presenza stabilisce la necessità dell’aver agito in quella maniera come fonte d’informazione. La scomparsa era necessaria e inevitabile, un fatto che non poteva essere rivelato prima alla Famiglia, ma soltanto dopo: a ragione del silenzio.
Nella prima lettera in data 11 gennaio mancava l’annotazione dell’anno XVI dell’era fascista ed erano presenti anomalie e allusioni. Il 22 gennaio Ettore aveva chiesto la parte liquida dell’eredità, in costanza di pagamento dello stipendio mensile. Parlava di una infermiera e della possibilità di trasferirsi in una pensione familiare. C’è un vuoto epistolare di un mese: dal 23 gennaio al 22 febbraio. Roma e Napoli distavano poche ore di treno. Il 23 febbraio fa sapere di essersi trasferito all’albergo Bologna (dove rimarrà), e che proprio oggi gli daranno una stanza migliore su via Depretis (quella stanza). Il 9 marzo scherzava allegramente. E’ sottinteso il collegamento stretto con la lettera del 23 febbraio. Il nesso passa dai raffreddori stagionali. Il nome di Hitler (fra tre mesi) si collega alle acque del golfo (un tempo bellissimo, ideale per navigare nel golfo). Allo stesso tempo questa lettera scherzosa anticipava il nome di Carrelli (cartelli dei servizi di stireria e lavanderia), guardando in avanti. Il 2 marzo, lettera a Gentile, era iniziata la serie degli spero. Parole che si ripetono. La lettera del 19 marzo non è lo spartiacque tra il prima, improntato a normalità, ed il precipitare drammatico dei giorni dopo. Le ultime tre lettere del 25 e 26 marzo e i due telegrammi di sabato 26 contengono altrettanti segnali, ma era quanto occorreva per suscitare lo scandalo. Si provi a togliere via il superfluo e si vedrà che rimarrebbe intatta la possibilità del suicidio, ma perché dunque lo scandalo non fu evitato? Preso e spero sono anagrammi testuali. Spero trionfa (ripetuto tre volte). Parole che si riallacciano: per esempio lunedì e telegramma. Aver ignorato questa griglia ha comportato tutti i fraintesi circa la scomparsa senza il cadavere.
LE PROVE
1* Napoli, venerdì mattina. E’ il 25 marzo 1938: incontro voluto da Majorana in Istituto, con la giovane, bella e bionda allieva Gilda Senatore (un tipo nordico), per consegnarle una cartella di manoscritti. E un rapido congedo, ripetuto due volte, a buona memoria (tipicamente femminile) di quella studentessa, il cui nome non sarà ricordato nella lettera che lo stesso giorno Majorana inviava al Direttore dell’Istituto Antonio Carrelli, qui con un saluto per Sebastiano Sciuti, un altro allievo: << Poi ne paleremo, poi ne parleremo >>. Le carte presero un giro vizioso, ma l’incontro avvenne esattamente nei termini accennati. Ettore consegnava le lezioni. La Senatore non scorderà quelle stesse parole, e le ripeterà fedelmente decenni dopo. Majorana le disse esattamente così: Poi ne parleremo, e non ‘poi ne ri-parleremo’. Non avrebbe avuto senso giacché non ne avevano “parlato”. Ettore indicava due studenti: Gilda Senatore e Sebastiano Sciuti. E su carta intestata dell’Istituto di fisica sperimentale aveva scritto la lettera del 22 gennaio alla madre e la lettera del 2 marzo a Giovannini Gentile.
Consegnava all’allieva il testo lezioni (dalla n. 6 alla n. 22, quest’ultima per sabato 26 marzo, lezione che non sarà ritrovata, ma che la Senatore era sicura che ci fosse). Queste lezioni sono un capolavoro di didattica avanzata. L’ultima lezione fu tenuta la mattina di giovedì 24 marzo. Riguardava il principio d’indeterminazione di Heisenberg. Sabato 26 marzo non farà lezione.
E’ scomparso da quel venerdì 25 marzo, in fine di settimana, verso le ore 17. Il resto lo abbiamo già visto. Era consapevole delle noie che sarebbero derivate a Carrelli e agli studenti.
Poiché la scomparsa è racchiusa tra due anagrammi (Ho preso una decisione che era ormai inevitabile – Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera) siamo autorizzati in linea di principio a ritenere possibile e valido questo strumento di cifratura ‘contestuale’, almeno per gli ulteriori dettagli a disposizione (ultime parole di Majorana).
Le parole di Majorana dette a Gilda Senatore, non solo evocavano Palermo, il che è singolare assai; ma dicevano di più, con un triplice anagramma: Palermo per noie – e il mare propone – Napoli per eremo.
C’è stato qualcuno che pur di sostenere che Majorana fosse uno stupido qualsiasi (omicidio -rapimento), oppure un idiota sapiente (un caso Asperger), ha preferito negare che un genio come lui – con capacità eccezionali di calcolo mentale rapidissimo (integrali complessi risolti a mente in circa trenta secondi) – non fosse capace di anagrammarsi. Si dirà, però, che gli anagrammi non recano la firma (sarebbero casuali), e che non sono una soluzione accettabile.
Vero in teoria, falso in concreto. La soluzione autentica della scomparsa, filigranata nelle stesse lettere, tutte autentiche, in una scomparsa per lettera a danno esclusivo dei famigliari, è quanto la Famiglia si sarebbe dovuta attendere a causa dell’inspiegabile silenzio.
Le lettere contenevano segnali in serie e due postulati logici: il teorema della stanza e il teorema del lutto impossibile mancando il cadavere. Ciò era essenziale. I dettagli ulteriori furono forniti tramite anagrammi. Questi anagrammi sono firmati.
Una prima ‘firma’ è già presente nel triplice anagramma (concettuale) delle parole dette e ripetute venerdì mattina alla signorina Senatore in Istituto. Si tratta di noie e di quella e (già sopra sottolineata): e il mare propone – Vedi rispettivamente la prima e la seconda lettera a Carrelli. Le noie che sarebbero venute da Palermo (abbandonava l’insegnamento), e il non senso di Il mare mi ha rifiutato e (dunque) ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Majorana stava chiarendo con ironia solita – a chi della Famiglia se lo fosse chiesto – che andare a tornare da Palermo a Napoli, per chiudersi poi in un eremo (Napoli), era sciocco (sciocco come il complotto immaginario o il caro estinto del 1939).
Nella lettera del 19 marzo (festa nazionale religiosa) figuravano la scusa delle faccende da faccende da sbrigare all’anagrafe e altrove, per cui un telegramma di rinvio. Anagrafe e telegramma compongono ana-gramma (capo e coda). Preso tutto insieme, il risultato è questo ‘anagramma’: < Telegrafo un anagramma e levare l’alt >. L’anagramma telegrafico di Non allarmarti Alt Segue lettera è < Margine altra lettera Alt Un sole >. Cioè, togliendo l’alt, Margine altra lettera un sole. Carrelli ricevette prima il telegramma, poi alle ore 14 del sabato 26 marzo la prima lettera da Napoli, infine domenica 27 mattina la seconda e ultima lettera da Palermo, su carta intestata (questo stesso foglio). La dicitura Grand Hotel Sole – Palermo (seguendo l’ordine delle maiuscole) restituisce < Ger. H. Stella Polare mondo > (Germania hitleriana). Il mare mi ha rifiutato diventa: < Ma mai rifiuto a Hitler >. Una sequenza impressionante. Parole chiave sole e Hitler (sole svastica). Per cui la prima frase della seconda – o altra lettera – per Carrelli da Palermo: Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera impiegando come chiave la parola sole della carta intestata di quello stesso foglio contiene la firma autentica: < Il sole che resta a lato lettera presenti i miei veri anagrammi >. Provate a togliere l’avverbio insieme da quella frase considerando che il telegramma per Carrelli, che revocava la lettera già inviatagli da Napoli in data 25 marzo, era urgente. Non riuscireste a trovare un anagramma con la parola sole che possa autenticarlo ab interno. Adesso è un po’ più chiaro perché Majorana abbia impiegato la carta intestata, quello << stesso foglio >>. Che sia stato costretto a impiegare anagrammi – pur con tutti i rischi che quest’operazione comporta – si spiega da sé, contestualmente a una falsa rappresentazione con le medesime parole messe per iscritto.
<< Ho preso una decisione che era ormai inevitabile >>. Non c’è altra possibilità: si trattava della decisione dolosa e preordinata di scomparire, e non di uccidersi. La prima lettera da Napoli era priva dell’anno XVI dell’Era (fascista). L’infermiera adombra l’era Fermi (in era Fermi). Fra tre mesi (il rinvio temporale contenuto nella lettera del 23 febbraio nella quale si affacciava Hitler) significa < Fermi resta > (fra tre mesi). Tre giorni di lutto al massimo, non più di tre, significa: < per non più di tre in giro > (soluzione autentica del giallo della cabina n. 37 a tre letti, occupata da Vittorio Strazzeri, da Carlo Price (l’inglese), e da Ettore Majorana (da qualcuno ha viaggiato col suo biglietto). Ecco perché il caso è differente.
Utilizzando la parola “razza” l’anagramma di [non prendermi] per una ragazza ibseniana direbbe: < Pausa inganni razza ebrea >.
“Ulteriori dettagli a disposizione” provengono dalla definizione del caso: la mia improvvisa scomparsa che era ormai inevitabile = Il mare primo avviso che era mia abile scomparsa in vita. Altrettanti esempi di anagrammi guidati. Ettore aveva terminato scrivendo a Carrelli: Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli. Queste ultime parole si oggettivano in questa versione in anagramma: Pure altri dettagli sono esposizioni di autore. La lettera del 26 marzo – poi il silenzio, cioè la scomparsa – recava una doppia firma: Miei anagrammi – Esposizioni di autore. Ricordiamo al lettore che fu una scomparsa per lettera.
Noie ne aveva provocate alla Famiglia. Uno scandalo, un dramma. Delle noie che la mia improvvisa scomparsa - E noi poveri famigliari? Essi si saranno chiesti angosciati – ha questa risposta: < Mamma scopri avvisi e a che parlino del Sole > (Ettore scrisse la maggior parte delle lettere alla madre Dorina – Cara mamma).
Era ormai inevitabile. Non la scomparsa, ma l’era atomica. Qui dentro c’è un’accusa storica: < Vili ebrei (Segré) e nati a Roma > (Fermi era nato a Roma, Segrè a Tivoli, la moglie di Fermi, Laura Capon, era ebrea). ‘Ebrea’ era la fisica nucleare: Einstein – Bohr. Poiché Fermi nel 1934 a Roma aveva fissionato il nucleo dell’atomo di uranio e Szilard aveva brevettato in Inghilterra la fissione a catena a causa dei neutroni liberati, si poteva già parlare (per un genio della fisica come Majorana) di ‘era nucleare’ (lo aveva presto compreso Ida Noddack, simpatizzante per il nazismo).
Gli anagrammi esplodono dopo pochi fattoriali. Il numero delle permutazioni diventa rapidamente mostruoso. Eppure, andando a senso, è possibile scoprire abbastanza facilmente, con l’anticipo di 8 mesi su Otto Hahn a Berlino, la fissione dell’uranio in un passaggio della lettera di Majorana del 2 marzo – giorno delle ceneri – al caro amico e collega Giovannino Gentile. Sono contento degli studenti, alcuni dei quali sembrano intenzionati a prendere la fisica sul serio. Carrelli s’era accorto che Majorana a Napoli era tutto concentrato in certi suoi studi di cui però non intendeva parlare. Non erano le lezioni a preoccuparlo. Questo è ovvio. Lavorando sulla fisica presa sul serio (cfr. la lezione inaugurale del corso tenuta giovedì 13 gennaio alle ore 9), otteniamo questa soluzione: < Sono in essere gli studi sulla fisica del nucleo di uranio, qui tanto comprende il bario restante >. Questa è l’anticipazione per via puramente teorica di quanto poi sarà scoperto in via sperimentale dal chimico Otto Hahn al KWI di Berlino, verso la fine di dicembre del 1938, poco dopo l’assegnazione a Stoccolma del Nobel a Enrico Fermi per i neutroni lenti. Ettore aveva scritto due lettere su carta intestata del non attrezzato Istituto di Fisica Sperimentale di Napoli. Il 22 gennaio alla madre (aveva terminato da poco la quinta lezione). Il 2 marzo a Gentile (le lezioni non riprenderanno sabato 5 marzo). Scriveva a Gentile: Sabato riprenderò le lezioni. Anche qui c’è qualcosa che non va. Il 2 marzo era mercoledì. Le lezioni ripresero soltanto martedì 8 marzo (lezione n. 11). L’anagramma di questa frase è: < Renderò lezioni per il sabato > (26 marzo). Rendere significa restituire. Ed è questo l’anticipo della consegna delle lezioni alla Senatore, venerdì mattina 25 marzo, che non era giorno di lezione. La Senatore affermò che in quella cartella consegnatale da Majorana c’era anche il testo della lezione di sabato mattina 26 marzo. Mancano le lezioni dal n. 2 al n. 5 (quattro lezioni) e la lezione n. 22 (quella che si sarebbe dovuta tenere sabato 26 marzo).
La carta intestata dell’Istituto di Fisica Sperimentale (28 caratteri) si presta ad alcuni anagrammi. Ad esempio (per la madre il 22 gennaio) < Fisico assente per i mali di tutti > oppure < In tali passi Fermi e dicesi tutto > e <La fisica mente – dissi io per tutti > (lettera
Nella lezione inaugurale del 13 gennaio, parlando di fisica atomica, Majorana accennava anche alle numerose applicazioni pratiche e quelle di portata più vasta e forse rivoluzionaria che l’avvenire potrà riservarci. Nelle sue lezioni Ettore impiegava la notazione chimica alla tedesca anziché alla francese.
L’ipotesi inconsistente di Sciascia che Majorana, spaventato dalla fisica nucleare, si fosse ritirato in un convento (e nere croci), potrebbe essere rovesciata in una presa di posizione, in una scelta di campo anticipata (e nere croci).
2* Ettore non ritornerà all’albergo Bologna. Di lui non si saprà più nulla. Non c’è il caro estinto del 1939 se non si provvede a indicare la sepoltura e se non si riscontra l’età e l’identità delle spoglie. Forse qualcuno lo pedinava e lo avrebbe eliminato a Palermo o a Napoli? Era stato Ettore, lui per primo, a parlare di << lutto >> nella lettera lasciata per la Famiglia, sebbene con Carrelli si fosse ambiguamente espresso col termine << scomparsa >>. No, non stava fuggendo (e poi in quel modo?) da alcun pericolo per la sua vita. La sua era stata una libera volontà, una scelta o decisione non condizionata da un pericolo per la sua vita. La teoria del complotto è un pasticcio irrazionale che pretende da un lato la previa consapevolezza del pericolo, dall’altro l’involontarietà dell’evento fatale. Le altre ipotesi astratte si riducono all’assurdità del gioco a nascondino oppure al caso demenziale dello strappo. Magari per sopravvivere di espedienti in Argentina, dato e non concesso che ci fosse potuto arrivare nel 1938 con un falso passaporto o senza. Tuttavia è in Argentina che converge la freccia indiziaria del “dopo”, almeno verso gli anni ’50. Discuterò dell’Argentina in un pezzo separato, aggiungendo però in coda al presente fosse state indagini svolte dalla Procura della Repubblica di Roma dal 2011 al 2014).
Gli anagrammi sarebbero di sicuro una prova inusitata in un processo. Questo non è un processo, bensì una ricostruzione razionale del mistero o del segreto della scomparsa, ed è un percorso logico ermeneutico necessario e necessitato dalle condizioni in cui essa è avvenuta. Ovviamente, la sparizione del vivo: come sempre fu intesa e come, di fatto, era stata.
La rappresentazione indicava il ritorno al medesimo punto di partenza: l’albergo Bologna di Napoli, là dove era rimasta giacente la lettera Alla mia famiglia per un lutto che si sarebbe attuato col cadavere recuperato oppure con un’equivalente prova di morte quale la certezza materiale dell’avvenuta “scomparsa a bordo” durante la navigazione. Seguiva invece un altro genere di scomparsa: da qui l’enigma, detto in parole povere. Se non fosse stata una messinscena, la sola ipotesi formulabile poteva essere quella dell’omicidio occasionale, che spezzava la sequenza a condizione che il corpo fosse stato fatto sparire per sempre (evenienza estrema in un delitto occasionale: Ettore aggredito in nave, depredato del denaro che aveva con sé, quindi scaraventato in acqua, compreso il cappello, dopo avergli sottratto il biglietto di viaggio, che fu restituito dall’assassino o dagli assassini – dei marinai o degli abusivi a bordo della nave? – al controllore sulla passerella, sbarcando a Napoli). Strazzeri testimoniò che il giovane con tutti i capelli, che aveva viaggiato con lui quella notte, nella cabina n. 37 a tre letti, era sbarcato a Napoli che era già giorno chiarissimo. Questa la traccia sicura cui la Famiglia diede credito. Da qui un’accorata lettera della madre, il 27 luglio, rivolgendosi direttamente a Mussolini, che non fu registrata e protocollata. L’originale della lettera è andato perduto, ma è possibile che Mussolini abbia richiesto l’incartamento quando tornò in auge, a capo della R.s.i. Questo spiegherebbe anche la povertà di documenti nei fascicoli intestati a Ettore Majorana al Ministero degli Interni e a quello dell’Educazione Nazionale. Più di tre decenni dopo, il primo a ricercare queste carte fu Leonardo Sciascia, trovandovi una velina anonima del 6 luglio 1938 (attribuita all’Ovra, ma da riferire al Sim), in cui si accennava (facendo confusione tra il radio e la radio di Marconi) alla possibilità di un complotto (ai danni dell’Italia), per levarlo dalla circolazione.
Per giustificare la sua scomparsa, Majorana aveva concepito una trilogia epistolare, anzi una tetralogia (comprensiva della lettera del 19 marzo), facendo sembrare la trama come spezzata in due tronconi: il prima come volontà di suicidio, il dopo come promesso ritorno al punto di partenza ed invece la sparizione. Antonio Carrelli fu utilizzato come intermediario di una falsa un’informazione, spezzata in due tronconi. Ricomponendola nella sua realtà effettiva, secondo intenzione nascosta in filigrana, i famigliari dello scomparso – e loro soltanto – potevano avere a disposizione l’intero quadro. Prima dovevano cercarlo e farlo ricercare dalla Polizia; non trovandolo, alla fine avrebbero imboccato la soluzione. Le lettere del 1938 costringevano a battere quest’unica letteralmente rimasta a disposizione, ovviamente a tavolino. Il silenzio non era impenetrabile. Irrevocabile la scomparsa necessaria. Ettore aveva scelto una strada che equivaleva a una sortita dal mondo, a un’esistenza segreta altrove (lasciando inalterata l’anagrafe). Con ciò aveva preso anche le sue distanze da quella stessa decisione.
Senza un solo granello di egoismo, e senza alcun lutto. < Oggi un molo si orna del sole > è l’anagramma che concerne la totale mancanza di ogni punta di egoismo. Oggi (23 febbraio) mi daranno una stanza migliore su via Depretis. Ogni nesso epistolare è spiegato e conservato.
Carrelli era stato menzionato solamente nelle prime due lettere da Napoli, per essere per due volte un falso destinatario finale. Nella prima lettera da Napoli in data 11 gennaio Ettore scriveva alla madre: Carrelli prepara le lezioni di meccanica con molti giochetti. L’occupazione dominante è quella degli esercizi, almeno per Carrelli e assistenti. Queste due frasi contigue si trasformano in una riprova e in un’indicazione di metodo per la madre che si fosse messa a cercare stranezze in quelle lettere: < Cerca con calma indizi logici o in che limite parlo per lettera. L’occupazione dominante è quella degli esercizi, sorrise la mitica stella >. Ecco qui un esempio di ‘indizio logico’: i due numeri di telefono riportati sulla carta intestata – o foglio – del Grand Hotel Sole – Palermo. Ettore avrebbe dovuto telefonare, ma non l’ha fatto. Due numeri di telefono equivale a dire < Finte le due o do numeri >. Ci si riferisce alle prime due lettere del 25 marzo. Ancora, il ‘limite’ di cui ‘parlava per lettera’ era quello del lutto (non più di tre giorni). Bene, il 27 mattina Carrelli sa da Palermo che Ettore è vivo. Siamo al terzo giorno: 25 – 26 e 27 marzo. Ed è la sparizione del vivo. Domenica è il giorno del sole, in inglese e in tedesco: Sunday e Sontag.
Il 22 gennaio riferiva che Carrelli è tuttora a Roma. Anagramma molto facile se si ragiona sull’asse geografico Roma – Napoli – Palermo: < Altra correrà e mai lutto >.
Il 9 marzo scriveva: Qui c’è un tempo bellissimo, ideale per navigare nel golfo. Come va con lo sport invernale? L’anagramma dà un senso: < E’ qui il modo per fuggire lealmente, con la nave. Con le navi T verso Palermo? >. Lealmente perché Hitler era stato invitato a Napoli ad assistere a una grande parata navale nel golfo. Ettore non tradiva l’Italia. Le navi T sono i traghetti Tirrenia, con una T sul fumaiolo.
Il 19 marzo diceva: Vi mando un telegramma perché non mi aspettiate stasera, ma verrò certamente sabato prossimo. Ettore mentiva. La presenza di segnali nelle altre lettere già lo dimostrava. La frase presenta due versioni coincidenti, con tanto di doppia ‘firma’ autentica: < Do anagrammi perché se un tema mi resta tale vi spetta mentre tace, ma non verrò sabato prossimo > – < Non verrò sabato prossimo perché una carta geme mesta, mal imitando me vi aspetta mentre resta >. Ecco la spiegazione autentica della scomparsa. Notare come sabato prossimo (26 marzo 1938) si conservi inalterato nel testo traslitterato.
3* Non potremmo esibire in un processo ideale questi anagrammi da soli. Non perché non costituiscano già una prova, ma soltanto perché sarebbe cosa del tutto nuova e inusitata. Che bastino da soli a risolvere il caso è razionalmente evidente partendo da testo del telegramma per Carrelli. E’ altrettanto evidente, cioè fondato e costringente, che le lettere del 1938 nella loro concatenazione, nei loro nessi, suggeriscano due parole: sole e Hitler. Non c’è dunque da sorprendersi che esse forniscano le chiavi d’anagramma, posto che lo stesso genere criptico è stato direttamente suggerito a testo, e provato più volte ab interno. Ma vogliamo definire meglio la situazione costringente della verità autentica nella scomparsa, dolosa e preordinata, quale unica soluzione a un lutto impossibile senza cadavere, fornita contestualmente, non solo con riguardo agli ulteriori dettagli rimasti a disposizione, ma pur sempre in sospeso, come da ultime parole dello scomparso.
Le ipotesi esplicative affacciate dagli autori che ne hanno discusso, presentano carenze gravi e incongruenze insanabili. Ed è falso che tutte le ipotesi possano rimanere aperte. E’ vero il contrario: nessuna di esse può attagliarsi alla fattispecie (alias al thema decidendum posto da Majorana alla sua Famiglia, ribadito persino da un anagramma: < se un tema mi resta >).
Il dato ermeneutico corretto, secondo una pertinente analisi logico-critica capillare, consiste nella presenza di segnali, univoci e convergenti, e in due postulati.
I segnali sono molteplici. Ne abbiamo messi in luce i casi principali. Vale il principio che dove c’è configurazione, c’è pure significato. La loro presenza è spiegabile solo e soltanto come anticipazione e allusione. Vale il criterio essenziale della univocità e della convergenza. Dire segnale anticipatore, in un enigma apparentemente insolubile, significa già poter contare su qualcosa di molto importante. Sarebbe falso il contrario: parlare di segnali ove non sussistesse il caso da risolvere. Segnali peraltro decisivi ai fini della ricostruzione della volontà che è un dato ermeneutico tipico del testo scritto. Segnali plurimi, diversificati nel loro tipo. Disposti in sequenza coordinata con nessi logici ricostruibili. Una fitta rete di segnali o avvisi che diviene razionalmente evidente post eventum e che non può prescindere dall’insieme epistolare nella sua interezza, facendo a meno dell’occasione di riposta giacché inseriti autonomamente. Quanto basta per vanificare tutti i giudizi impropri sulla scomparsa, che appunto non stanno in piedi non solo perché viziati o illogici per se stessi, ma anche perché non corrispondono al tessuto epistolare correttamente inteso in una sparizione per lettera. Nella stessa definizione di scomparsa abbiamo messo in luce delle anomalie. Ciò corrisponde al segnale. Ed è chiaro che si tratti di questione volontaria e cosciente, tanto di più se si considera che abbiamo a che fare con un genio.
Accanto ai vari segnali convergenti dobbiamo registrare due postulati razionali che possono essere presi a se stanti, ma che poi s’integrano alla perfezione.
La prova che Majorana, consapevole di dover sparire, e proprio in quella maniera, abbia inserito nelle lettere del 1938 la verità autentica della sua decisione a conforto esclusivo della Famiglia che aveva dovuto inizialmente sacrificare, risiede:
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nei segnali in serie
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nel postulato del lutto impossibile
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nel postulato della stanza dell’albergo Bologna
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in anagrammi per i dettegli ulteriori rimasti in sospeso.
Pertanto, il silenzio e l’impossibilità di ritrovare il vivo o il cadavere inducevano a verificare a tavolino quest’ultima possibilità, una volta riunite tutte le lettere, cosa che era in facoltà esclusiva della Famiglia e che sarebbe senz’altro avvenuta, tagliando via qualsiasi estraneo, e per primo Carrelli, che era stato utilizzato allo scopo, come tramite esterno necessario.
I segnali indicavano la via da percorrere, unitamente alle contraddizioni della scomparsa, la cui rappresentazione per lettera poneva il thema decidendum circa la differenza tra il caso di Ettore e quello di una ragazza volubile o incerta dei drammi di Ibsen. Lo scomparso aveva preso con sé una rilevante somma di denaro e il suo passaporto valido soltanto per i paesi europei e in scadenza nel luglio-agosto del 1939. Diceva che sarebbe tornato ma era sparito. Mancava il cadavere. Le ricerche del vivo, durate mesi, avevano dato esito negativo. Perché Ettore aveva agito in quella maniera, facendo apparire che era andato a Palermo e che poi era tornato a Napoli, al punto di partenza, sembrando che fosse sbarcato, ma non scadai era più fatto vedere? Questi i fatti di allora, assolutamente certi, consacrati in atti ufficiali formali e in attività materiali per il rintraccio.
Il primo postulato è che il lutto senza cadavere era impossibile (la Famiglia Majorana non portò mai il lutto). La presenza di segnali e il lutto impossibile stabiliscono che la scomparsa era quanto Majorana aveva dolosamente preordinato. Si trattava di alternativa secca, non di una anfibologia lessicale. L’evento morte non poteva essere provato. La presenza di segnali rendeva certo il dolo. Il prima e il dopo interagivano nel circuito logico dell’informazione. Tra l’altro, il termine stretto dei tre giorni per qualche segno di lutto, coincideva con il fine di settimana e con i tre giorni in cui la scomparsa e il suo repentino annullamento si erano concentrati (25, 26 e 27 marzo). Non c’è dubbio che il primo postulato – l’impossibilità del lutto – possa stare da sé, in modo autonomo e probante. Ciò esprimeva la messinscena ma non spiegava il movente.
Il secondo postulato afferisce al movente. Il legame col primo postulato è dato dalla lettera Alla mia Famiglia e dalla stanza. Incidentalmente possiamo analizzare la questione di questa breve lettera: se racchiusa in una busta sigillata e se la busta fosse intestata oppure no. Gli addetti alle pulizie avrebbero potuto notarla. Sembra che la busta fosse intestata Alla mia Famiglia e che fosse stata incollata. Pertanto, non poteva esserne letto il contenuto. Meglio ancora se la busta incollata fosse rimasta in bianco.
Il postulato della stanza deriva dal fatto che Ettore aveva cambiato almeno tre alberghi (il “Napoli”, il Terminus e il Patria) prima di stabilirsi definitivamente al Bologna, in via Depretis 72 (72 è il rovescino di 27). Ciò faceva parte del progetto. Majorana (il 22 gennaio, chiedendo la parte liquida dell’eredità, in costanza di pagamento degli stipendi maturati) aveva introdotto una infermiera parlando di indirizzi per pensioni in cui non andrà. Ciò significava provvisorietà (concetto ribadito il 19 marzo con l’avverbio provvisoriamente riferito alla residenza anagrafica) e indicava la rilevanza dell’albergo Bologna (in relazione anche agli antecedenti familiari: lo zio Quirino a Bologna e il nonno ministro con Depretis). Il 23 febbraio Ettore evidenziava e metteva in risalto la nuova stanza del Bologna, che dava su via Depretis, quanto al passaggio di Hitler fra tre mesi. Rimarrà in quella stessa stanza fino alla scomparsa. Ed è in questa stanza che aveva lasciato la lettera per la Famiglia, e qui sarebbe dovuto ritornare se non fosse sparito. La lettera allusiva e scherzosa del 9 marzo, si collegava a ritroso alla lettera del 23 febbraio per via dei due raffreddori e le acque del golfo, anticipando il sole da Palermo (Carrelli–cartelli e il tempo bellissimo). Il 19 marzo Ettore tornava di nuovo sul Bologna, alias via Depretis 72. Residenza provvisoria. La scomparsa è ruotata intorno a Carrelli e all’albergo Bologna, quella stessa stanza del 23 febbraio. Anni prima Ettore aveva fatto accurati calcoli sui rapporti di forza tra le maggiori potenze marittime mondiali. Il 5 maggio Hitler sarebbe giunto a Napoli per assistere a una grande parata navale nelle acque del golfo (un tempo bellissimo, ideale per navigare). Il corteo di Hitler non passerà per via Depretis. Tutta Napoli è in preparazione per la prossima venuta di Hitler (2 marzo). Subito prima e subito dopo il Carnevale (festa in maschera) Ettore parlò di Hitler (non accadeva dal 1933). Mentiva quando affermava che fra tre mesi avrebbe assistito dalla finestra della nuova stanza al passaggio di Hitler ? Certamente sì, giacché nella lettera del 22 gennaio aveva chiesto soldi. Altri segnali contenuti nelle lettere precedenti (11 e 22 gennaio) ribadiscono la falsità del rinvio temporale. E invece le lettere del 19 marzo e del 9 marzo si saldano a ritroso sulle lettere precedenti. Torna evidente anche il nesso o collegamento tra la lettera del 9 marzo e quella del 23 febbraio. Se Majorana scomparve munito di passaporto e una rilevante somma di denaro, ritirata dalla banca nei giorni immediatamente precedenti, i nessi dall’ultima alla prima lettera del 1938 si saldano insieme a ritroso. Questi collegamenti investono la stanza dell’albergo Bologna, la lettera Alla mia Famiglia ivi lasciata giacente che trasformava il lutto impossibile in una scomparsa preordinata, e i motivi della messinscena: a ragione di Hitler. Il collegamento con Hitler (denotato a maggior ragione dalla diversità del percorso il 5 maggio) riguarda la stanza e la centralità dell’albergo Bologna, in via Depretis 72, su cui ruotava la sparizione con due lettere per Carrelli e due telegrammi e infine la lettera per la Famiglia.
Cambiando alberghi e non andando mai in una pensione familiare, Majorana ha introdotto il tema dell’albergo Bologna e di quella stanza, collegandovi il nome di Hitler. Al traghetto per Palermo corrispondeva la grande parata navale nelle acque del golfo. Il mancato ritorno al Bologna, in quella stessa stanza dove aveva lasciato l’ultima lettera d’addio in attesa, postula il significato della stanza associato alla lettera del 23 febbraio. Aver impiegato nella lettera per Carrelli da Palermo la parola domani (ritornerò domani all’albergo Bologna) e nel telegramma per il Bologna la parola lunedì (non entrate nella mia stanza tornerò lunedì) significava un raccordo con la lettera del 19 marzo (lunedì all’anagrafe e altrove – un telegramma) e da qui anche una risalita indietro, tramite l’albergo Bologna, la residenza e la stanza, alle altre lettere precedenti, in particolare alla lettera del 23 febbraio legata a quella del 9 marzo di contenuto allegro e scherzoso. Che via sia stato un professore di fisica terrestre difficile a scoprire (prima lettera da Napoli – 11 di gennaio) era una chiara anticipazione di quanto sarebbe accaduto di lì a tre mesi. Majorana sapeva che sarebbe scomparso. La ragione della sparizione è Hitler.
I postulati della stanza e del lutto impossibile senza il cadavere si coniugano e combaciano. La scomparsa può essere ricostruita e razionalizzata con le stesse parole di Majorana. Il sistema dei segnali insieme ai due postulati (< indizi logici >: cfr supra) acquista un significato costringente. Era la versione autentica – filigranata nelle stesse lettere – di una sconcertante sparizione avvenuta per lettera.
I dettagli ulteriori – rimasti intrinsecamente a disposizione – sono ricavabili per anagrammi, il cui genere era stato giustificato testualmente e i cui risultati validi recano la firma d’autore (< miei veri anagrammi > : cfr. supra). Le parole chiave d’anagramma sono Hitler e sole in conformità ai segnali e ai due postulati.
Potremmo forse rischiare di dover condannare un innocente? Abbiamo prodotto le prove. E le abbiamo definite vincolanti e costringenti. Sintetizzando, abbiamo ricostruito la soluzione telegrafica autentica del “caso Majorana”. Se prendiamo il testo, incontrovertibilmente certo, del telegramma inviato a Carrelli: Non allarmarti Alt Segue lettera, agendo con la parola chiave sole otteniamo un risultato univoco, assolutamente congruente ed appropriato, anzi chiarificatore dell’ambiguità originaria: < Margine altra lettera Alt Un sole >. Se inseriamo la parola chiave Hitler in Il mare mi ha rifiutato (questa l’espressione fondamentale del mistero della scomparsa), otteniamo un risultato altrettanto coerente e univoco: < Ma mai rifiuto a Hitler >. Majorana è scomparso per raggiungere segretamente la Germania dietro invito a farlo.
Non avremmo condannato un innocente con false prove. Che la verità autentica sia questa è confermato dalle dichiarazioni in tal senso fatte ad personam da Gilberto Bernardini a Pisa nel gennaio del 1974 e nelle affini dichiarazioni di Bruno Pontecorvo a Firenze, al teatro dell’Oriuolo, il 17 marzo 1990, presente lo stesso Bernardini, per cui alla domanda su che fine avesse fatto Majorana, così rispose: E’ finito all’Ovest (Pontecorvo fuggì segretamente da Roma nell’estate del 1950 diretto all’Est, la Russia di Stalin). Anche la pista seguita da Erasmo Recami portava in Argentina negli anni ’50. I risultati della indagine (archiviata) della Procura della Repubblica di Roma (aprile 2011 – febbraio 2015) avrebbero confermato la presenza di Majorana in America del Sud (dalla metà del 1955 in Venezuela).
E se invece Majorana si buttò in mare, se si ritirò in un convento, se morì precocemente nel 1939 (prima del 21 settembre), o se fuggì via in America del Sud con un passaporto falso?
Quale grado di probabilità assegnare a queste ipotesi astratte, compresa la teoria astrusa del complotto? Noi avremmo ‘condannato’ un genio innocente (che sarebbe scappato in Germania alcuni mesi prima che a loro volta fossero stati costretti a fuggire negli Stati Uniti Emilio Segrè ed Enrico Fermi che poi parteciparono da protagonisti al progetto americano della bomba atomica all’uranio 235 e al plutonio). Innocente, quando ad aprire l’otre (demoniaco secondo Sciascia) dell’energia nucleare furono gli esperimenti di Fermi a Roma verso la fine del 1934, fosse pure che non se ne rese conto (ma anche questo rischia di essere una favola, giacché lo aveva compreso Ida Noddack, un ‘chimico’ tedesco simpatizzante in quegli anni per il nazismo giunto al potere in Germania a grande suffragio).
CELEBRAZIONE D’ UN IPOTETICO PROCESSO
1* Uno scrupolo di coscienza porta a dover immaginare un ipotetico processo in cui si dibatta della sorte dello scomparso nel marzo 1938 ed eventualmente sul dopo (l’avverbio è sempre presente). Di fatto, una specie di processo è stato celebrato dai mass media, dopo l’eclatante notizia della Procura della Repubblica di Roma, che con risalto di mezzi di informazione, confermava in “Bini X” l’identificazione di Ettore Majorana a Valencia, in Venezuela negli anni dal 1955 al 1959. E’ fondata ed è credibile tale individuazione, che lascia intendere una fuga volontaria senza spiegare il perché, il come, e il da dove? Proveremo a verificarlo a tavolino, su basi razionali.
Immaginiamo un caso di scuola con uno sviluppo ipotetico fino a sentenza definitiva. Il fatto di partenza consiste in un articolo su tre pagine pubblicato dal quotidiano la Repubblica domenica 17 ottobre 2010. Un personaggio molto rassomigliante, alto tale e quale, altrimenti sconosciuto, è stato identificato con un elevato grado di probabilità come Ettore Majorana, il fisico nucleare scomparso nel 1938 da Napoli in circostanze misteriose. Alla sua sinistra, in diagonale, ma a una certa distanza, che poi sarebbe un chiaro segno di rispetto, si trovano due ex SS, una di queste è il famigerato criminale di guerra Adolf Eichmann. Costoro sorridono, mentre l’uomo minuto – lo sconosciuto con gli occhiali scuri da sole – è molto serio. Si coglie bene che quest’ultimo – lo sconosciuto – è il soggetto principale del fotogramma e che la sua risposta psicologica è del tutto differente.
Luca Fraioli, il giornalista scientifico autore dell’articolo col quale era stata pubblicata anche la fotografia, si rifaceva alle dichiarazioni di uno storico della fisica che aveva rivelato la notizia appresa a suo tempo da G. Bernardini nel 1974 a Pisa circa la presenza di Ettore Majorana in Germania durante gli anni della seconda guerra mondiale “per collaborare con gli scienziati tedeschi”. Identica cosa avrebbe fatto intendere a precisa domanda Bruno Pontecorvo a Firenze, il 17 marzo 1990, presente lo stesso Gilberto Bernardini, suocero di Antonio Zichichi fondatore nel 1963 del Centro Majorana a Erice.
L’articolo – e soprattutto la fotografia – destarono l’immediata reazione di un nipote dello scomparso con una diffida legale. Quell’uomo a bordo della nave italiana “Giovanna C.” salpata da Genova e facente rotta nel luglio del 1950 per Buenos Aires, non è Ettore Majorana. Eppure gli rassomiglia, molto di più di un certo Bini X, identificato invece come Majorana in Venezuela 12 giugno 1955, molto probabilmente fuggito dall’Argentina poco prima della caduta di Peròn (settembre del 1955).
Le vie legali della diffida sarebbero potute consistere in un’azione civile o in una querela per diffamazione. Ettore Majorana non può essere accostato al peggior criminale nazista presente in quella inquadratura fotografica scattata a bordo della nave. Nelle lettere da Lipsia del 1933, pur sporgendosi a favore del nazismo giunto al potere in Germania proprio in quel periodo, Ettore aveva sì accennato alla questione ebraica, giungendo persino a parlare di operazionechirurgica, ma si era scagliato contro la sciocca ideologia razziale. Nulla in Majorana lascia trapelare odio o ingiustizia in tal senso. Del resto, se le leggi di Norimberga risalgono alla fine del 1935, lo sterminio ebbe inizio nel 1941- 42.
La questione non è se Ettore fosse razzista (e non lo era), ma se fosse lui l’uomo a bordo della nave, sebbene in presenza di un famigerato criminale, Adolf Eichmann, ma anche a netta distanza, anzi in una posizione del tutto distinta, guardato con rispetto e per nulla sorridente. E’ certamente strano:
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che l’altezza e la conformazione fisica di una presunta SS, fotografata a bordo della nave in quel terzetto, coincidessero con la conformazione fisica di Majorana
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che questo individuo piccolo e magro, con gli occhiali scuri, non abbia mai avuto una sua identità ufficiale come profugo
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che la fotografia sia stata presumibilmente trovata addosso ad Adolf Eichmann al momento della sua cattura fisica in Argentina, in un sobborgo di Buenos Aires
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che l’originale della fotografia, che era di più ampio formato, sia scomparso o non sia rintracciabile
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che Adolf Eichmann non avesse rivelato sotto costrizione al Mossad tutto quanto sapeva sugli altri passeggeri profughi tedeschi a bordo della nave.
Insomma sarebbe alquanto strano che possa sfuggire l’identità effettiva anche del terzo passeggero nella fotografia, nota quella degli altri due profughi nazisti, l’altro mai incriminato e perseguito, che gli si erano messi a lato, sorridenti e in evidente segno di rispetto. Strana e sorprendente la rassomiglianza. Forse ancor più strana la mancanza di un riscontro ufficiale.
Chi potrebbe essere il terzo passeggero? I tratti somatici coincidono, tranne il particolare deforme dell’orecchio destro, alterato da un gioco sottrattivo di riflessi luminosi sul paranco rotondo retrostante. E’ noto che la procedura Fbi prevede almeno 61 punti di coincidenza perché possa parlarsi di riscontro (10 punti sono nettamente insufficienti). Esistono oggi avanzati programmi informatici per la comparazione a due e a tre dimensioni e per tutte le verifiche antropometriche come ad esempio i triangoli principali del volto. Prima di parlare di “bufala” occorrerebbe valutare bene e riflettere. Altresì va fatto presente che per la giurisdizione italiana non si può parlare di riconoscimento forense se il riscontro somatico non è accompagnato da un quadro indiziario coerente a sostegno del caso. In teoria, il quadro indiziario di supporto proverrebbe, infatti, dai riscontri fatti a suo tempo da Erasmo Recami in Argentina e dagli attuali esami e comparazioni eseguiti dagli inquirenti.
Il caso ipotetico di un processo penale per “diffamazione” (distinguendo in teoria tra il soggetto passivo del reato, a 109 dalla nascita da considerare ormai defunto, e i danneggiati del reato da individuare nei parenti più stretti) è chiaramente un mero caso di scuola, rivolto a scrutare gli aspetti della vicenda e l’insieme delle prove possibili. Majorana in Venezuela (tra l’altro prima in Argentina) è caso affine a quello della nave. Nel 1950 Ettore avrebbe avuto l’età di quarantaquattro anni, quarantanove nel 1955. E’ del tutto evidente dalle rispettive fotografie – quella sulla nave diretta in Argentina e quella in Venezuela – che l’età del primo individuo è conforme e corrispondente, mentre quella del secondo non lo è per niente. Si tratta di due persone diverse; ma la fotografia del 1955 scattata in Venezuela non rassomiglia a Majorana, com’è altrettanto evidente.
Paradossale l’affermazione che “Bini X” (diciamo X perché non se ne conoscerebbe il nome proprio) rassomiglia a Ettore, giacché rassomiglierebbe al padre di Ettore alla stessa età di 49 anni (10 punti di coincidenza). Palesemente stato violato il criterio di confronto e di riscontro. Nessun tribunale giudicante potrebbe assumere ciò come prova. L’uomo della fotografia del 1955 non è Ettore Majorana. L’affermazione proviene dai nipoti. Nessuno di essi vi ha potuto cogliere alcuna somiglianza. Come mai gli inquirenti sarebbero incorsi in un errore talmente evidente? Tuttavia il testimone da cui provenivano le informazioni sulla presenza di Majorana in Venezuela (dopo essere già stato in Argentina), Francesco Fasani (oggi defunto, ma allora giovane meccanico romano emigrato in Venezuela), è stato in grado di fornire un elemento sorprendente: una cartolina postale originale in lingua italiana, inviata nel 1924 negli Stati Uniti in breve risposta a un occasionale corrispondente scientifico, dallo zio di Ettore, Quirino Majorana (all’epoca fisico sperimentale al Politecnico di Torino). Il Fasani sosteneva di averla sottratta a Majorana che si nascondeva sotto il cognome di Bini. Essendo un meccanico l’aveva recuperata all’interno della Studebaker gialla di Bini-Majorana, ingombra di carte e di fogli sparsi recanti calcoli e formule. Un membro della comunità italiana locale, un certo signor Carlo, gli aveva spiegato che “Bini” era stato un famoso scienziato.
Ettore non aveva conseguito la patente. Nel 1927 ebbe un grave incidente stradale guidando abusivamente l’auto del padre. Riportò ferite gravi al dorso della mano e a una coscia che richiesero molti punti di sutura. Bini porta l’orologio sopra il polsino al braccio sinistro. Nella fotografia scattata accanto al giovane Fasani che era alto circa un metro e ottanta Bini sarebbe salito su una pietra o su un gradino. Majorana era alto un metro e sessantotto. Tale è l’altezza dell’uomo con gli occhiali scuri fotografato nel luglio del 1950 sulla nave “Giovanna C.” diretta a Buenos Aires (Eichmann era alto un metro e settantasei).
Forse nessuno dei due è Majorana. Se non lo è l’uomo della nave, non lo è comunque Bini X (l’uomo della foto del 1955). Non vale il viceversa. Se uno dei due fosse Majorana non lo sarebbe l’altro. E’ palesemente falsa l’identificazione fatta da F. Guerra (2011) dell’uomo della nave con Alois Brunner o con Gustav Wagner. Non è provato da una ricostruzione effettuata a computer (2010), che l’uomo della nave non possa essere Majorana. Francesco Fasani fece le sue rivelazioni a Chi l’ha visto? a dicembre del 2008. L’inchiesta conoscitiva penale(quale la notitia criminis?) fu avviata nell’aprile 2011 (dopo l’articolo su Repubblica). La Procura ha asserito l’allontanamento volontario di Majorana da Napoli nel 1938. Per quale ragione?
In corso d’indagini sono stati pubblicati un articolo scientifico (F. Guerra 2012) e un libro (S. Roncoroni 2013) in cui si sostiene (eludendo l’onere diretto della prova) che Majorana sarebbe morto diversi mesi dopo la scomparsa, ma prima del 21 settembre 1939. Ovviamente non c’è un certificato di morte.
Sulla rivista ufficiale della Società Italiana di Fisica, Il Nuovo Saggiatore n. 1 – 2012, F. Guerra così scriveva: Questi risultati mostrano la totale infondatezza di Majorana in Argentina, in Venezuela, o in altre località, e della sua asserita presenza in Germania durante la guerra. I problemi storiografici relativi alla scomparsa, avvenuta come è noto alla fine di Marzo 1938, si concentrano quindi sulle motivazioni di questa scomparsa, e sulle ragioni della morte sopravvenuta circa un anno dopo. A questi temi dedicheremo successivi lavori.
L’autore si ripeteva nel 2013 compilando la Voce “Ettore Majorana” per la Treccani. Nessun chiarimento sulle ragioni della scomparsa, nessun elemento nuovo circa la morte precoce nel 1939, che sarebbe avvenuta all’estero. Al chiaro autore è forse sfuggito il passaporto. Nemmeno questo documento è stato esibito. Nulla di nulla, nemmeno copia della previa richiesta per la pia borsa di studio da parte di Salvatore Majorana. Tra l’altro la Procura di Roma avrebbe sprecato i denari del contribuente andando a cercare Majorana in America del Sud (prima in Argentina e poi in Venezuela). Sarebbe stato molto più semplice cominciare dalla tomba del morto (che nessuno conosce). Verso la fine del 2014 è stato pubblicato un saggio del fisico francese del C.e.r.n. di Ginevra, Etienne Klein, Cercando Majorana, in cui (facendo riferimento soltanto a S. Roncoroni) si forniva la dimostrazione (parziale) della insostenibilità della tesi del caro estinto con riguardo al testamento della madre Dorina Corso che lo nominava in modo condizionale (pag. 118). E. Klein si rifaceva anche ad un anagramma (segno evidente che gliene era giunta qualche imprecisa notizia), ma evidentemente nessuno ha afferrato la completezza stupefacente di questa versione (autentica) della scomparsa preceduta da un impianto testuale (massiccio e compatto) di argomenti razionali.
Inquadrare la scomparsa ovviamente non significa spiegare il dopo. Ma se lascio intendere di voler andare a Roma, è possibile credere che ci sia arrivato. Il dopo è comunque un’altra questione, perché si potrebbe essere stato anche il dopo del dopo. Di questo si sta ora discutendo in una sorta d’ipotetico dibattimento.
2* Principi costituzionali cardine garantiscono la libertà di manifestazione del pensiero e la libertà di ricerca ovviamente nei limiti stabiliti dalle leggi ordinarie. La Corte di Cassazione – con giurisprudenza costante – ha precisato i limiti del diritto di cronaca e i limiti della libertà di ricerca (talvolta gli ambiti potrebbero intersecarsi).
Il reato di “diffamazione” consiste nell’offendere l’altrui reputazione comunicando con piùpersone. Asserire, ad esempio, davanti a più persone, che la bisnonna – defunta da anni – di una data persona vivente, fosse stata una ladra, costituisce offesa alla reputazione e una forma di diffamazione se il fatto asserito fosse falso? Ed è diffamazione l’affermazione fatta in pubblico che tuo zio era un nazista? Dipende.
Sebbene finora nulla sia stato affacciato, né lo sarà, nella precisione tecnica richiesta dal linguaggio giuridico, se io dicessi al nipote di Bruno Pontecorvo che suo zio era uno ‘stalinista’, credo che non ci sarebbe alcuna forma di diffamazione. Il fatto risponde a verità. Pontecorvo ricevette il Premio Stalin. Ma è pur vero che in Italia ‘nazismo’ e ‘stalinismo’ non sono equivalenti. Che non lo siano è un fatto storico, ma dal punto di vista etico-legale chissà. I morti sono stati milioni (forse 20 milioni di morti contro 6 milioni). E’ bene non dimenticarlo.
L’uomo della fotografia sulla nave era veramente Majorana? La sua vicinanza a bordo della nave e nella stessa inquadratura, in posizione discoste rispetto alla famigerata SS, potrebbe forse integrare un caso di reato di diffamazione, di cui i parenti stretti sarebbero i danneggiati rispetto alla buona memoria dello scomparso? Non credo. Ci vorrebbe almeno l’affermazione esplicita che sarebbe proprio così, ma contro l’evidenza. Invece navighiamo nel mare infido delle ipotesi la cui formulazione sensata non è certo impedita dalla ricerca della verità. In questo senso ogni ipotesi documentata ha la sua legittimità. E’ una ipotesi anche quella del caro estinto del 1939, fondata sulle espressioni di un estraneo non specificamente qualificato (né medico, né ufficiale dell’anagrafe). L’ipotesi è stata disattesa dagli inquirenti che ne hanno formulata un’altra: “Bini X” sarebbe Ettore Majorana. Se così fosse, perché come e quando Majorana raggiunse l’America del Sud (e sicuramente l’Argentina, prima del Venezuela)? Ovviamente nessuno ha riposto a questo interrogativo. Forse perché sarebbe stato più logico dover passare per la Germania? Anche l’ipotesi della morte nel 1939 (per quale causa?) lascia in piedi la possibilità intermedia di un passaggio in Germania. Cadrebbero tutte le altre ipotesi, e per prima quella del complotto.
Il diritto d’intervento e di replica non è denegato. In questo immaginario dibattimento circa la sorte di Majorana e il dopo eventuale, hanno diritto di parola anche i fautori dell’ipotesi esterna del complotto, del presunto “affare di Stato”. Facciamoli intervenire.
Estratto da Episteme Forum di Umberto Bartocci (2013)
Se siamo ritornati su possibili soluzioni ipotetiche della vicenda è solo perché un nostro amico fisico, persona dotata di acuto intelletto e notevole cultura storica (che ancora una volta non menzioniamo esplicitamente per non coinvolgerlo in un gioco intellettuale che può creare gravi antipatie e difficoltà nell’ambiente di lavoro), ci ha fatto presente una possibile variante della soluzione di cui sopra, che ci è parsa alquanto interessante perché capace di spiegare lo stesso nostro tutto e perfino … qualcosa di più.
Ettore Majorana sa dunque di essere spiato; sa che alcuni suoi vecchi colleghi stanno pensando di portare le loro competenze in campo nemico allo scopo di creare un ordigno nucleare, di cui lui come gli altri immagina bene la reale possibilità di costruzione; sa di non avere le stesse opinioni politiche di tali persone, e che viene quindi per questo da esse temuto e sorvegliato. Progetta allora un piano di fuga simulandolo con un suicidio, va a Palermo per tentare un’ultima spiegazione, poi apparentemente rassicuratosi cambia idea, ma viene eliminato probabilmente dopo essere tornato a Napoli.
Questo è ciò che abbiamo pensato, ma il nostro amico ci dice: e se invece Majorana avesse voluto farsi beffe delle persone che sapeva all’origine delle sgradite attenzioni di cui si era accorto?
Parte all’improvviso per Palermo, e manda notizie a Carrelli che non è affatto un suo “amico” come molti scrivono (si conoscevano da poco, e tanta attenzione nei confronti di un nuovo collega, anzi di un superiore, appare del tutto singolare nel caso di un autentico progetto di suicidio o di fuga, incompatibile con tante logorroiche esternazioni), ma sa bene che quello che scrive a Carrelli verrà subito riferito altrove. Poi cerca Segrè, che sarà stato anch’egli sorpreso di conoscere i movimenti di Ettore in quei giorni, immaginiamoci le telefonate intercorse tra Napoli e Roma, e tra Palermo e Roma, quel sabato mattina, per non dire dell’imbarazzo del pedinatore Charles Price che non immaginava sicuramente tali sconcertanti imprevisti movimenti dello scienziato che teneva d’occhio.
Ma Majorana continua a scherzare con i suoi interlocutori, e dopo aver annunciato certi propositi il venerdì, li smentisce il sabato, lasciando tutti interdetti e incerti sulle sue reali intenzioni. Fa rientro a Napoli, e lì mette in atto il suo progetto iniziale, quello di scomparire dopo i fuochi d’artificio da lui messi in atto. Insomma, si fa beffe degli inseguitori, e scompare nel nulla. Nessun omicidio, ancorché tutta la ricostruzione da noi effettuata fino ad un certo punto sia fondata, del resto bisogna ammettere che una cosa è spiare uno scienziato italiano nei primi mesi del 1938, un’altra è farlo fuori.
Majorana dunque infine se ne va, lasciando tutti con un palmo di naso, e tutti ugualmente ignoranti della sua reale sorte. Ed ecco il particolare in più che così si spiegherebbe: Ettore lascia in maniera del tutto premeditata la famosa cartelletta alla studentessa Gilda Senatore, immaginando che essa sarebbe finita presto nelle mani di chi era interessato alle sue ricerche, e proprio perché sapeva che qualcuno era interessato a esse, e lì lascia qualcosa che possa … accontentare certe curiosità (scommetteremmo che in futuro si ritroverà qualche appunto significativo contenuto nella cartelletta in luoghi in cui … non dovrebbe essere, anzi per la verità corre voce che qualche simile ritrovamento sia già avvenuto, ma si sia stabilito di non darne notizia per ovvi motivi).
Ciò che Ettore non aveva previsto è che Gilda Senatore si ammala, e tale parte del suo piano non andrà a effetto che dopo diverso tempo.
Abbiamo detto che Ettore se ne va, ma dove se ne va? A questo punto potrebbe anche essersi recato in Germania per collaborare segretamente ai progetti scientifico-militari del III Reich, ed ecco che tornerebbe in gioco l’ipotesi Klingsor; oppure avere davvero abbandonato l’Italia per ricostruirsi una vita del tutto differente in una parte lontana del mondo (per esempio l’ipotesi argentina di Recami); oppure … potrebbe essersi ritirato in un convento da dove qualche anno dopo avrebbe perfino dato nuovamente cenni di sé.
Con le ultime parole abbiamo fatto riferimento a un’altra pista, quella illustrata dal giornalista Rino Di Stefano in un articolo apparso su Il Giornale il 26 settembre 2010, che ha suscitato ovviamente minor clamore dei due sballatissimi di cui abbiamo detto sopra, apparsi però su quotidiani più autorevoli:
TRA RICERCA E FANTASCIENZA
«Così l’Italia lavorò al raggio che crea energia dal nulla».Alcuni documenti provano gli esperimenti fatti dallo scienziato Clementel negli anni 70. Ma ora nessuno può vedere il prodotto di quegli studi.
[E' interessante nel presente contesto osservare che pure Di Stefano riserva all'articolo apparso sul Corriere della Sera parecchie delle critiche che abbiamo esposto nella prima parte del nostro pezzo ("un articolo pubblicato martedì 7 giugno 2011, a firma di Fiorenza Sarzanini, riporta tanto la notizia televisiva, quanto quella pubblicata da "Repubblica", in un cocktail di difficile interpretazione [...] Intendiamoci, gli errori li facciamo tutti. E mi guardo bene dal gettare la croce su un collega”), in uno scritto che appare interessante anche in diversi altri punti:
http://www.rinodistefano.com/it/articoli/majorana-annunci-e-ipotesi.php ]
In verità, nell’articolo menzionato non si fa nessun riferimento a Ettore Majorana, ma soltanto a un certo Rolando Pelizza, che appare presto però il perno della connessione con il fisico catanese. Ancora nel sito di Di Stefano si trova difatti un altro articolo (del 27 giugno 2011), nel quale si fa finalmente il nome di Ettore come presunto ispiratore del Pelizza:
Dopo 73 anni la Procura di Roma riapre l’inchiesta sulla scomparsa del grande scienziato siciliano: quale misterioso evento ha motivato le nuove indagini?L’enigma dell’energia da positroni e gli interrogativi sul caso Pelizza.Nel “Dito di Dio”, un libro di prossima pubblicazione, si legge che Majorana nel 1938 si sarebbe rifugiato in un convento della Campania dove negli anni settanta avrebbe progettato la macchina in grado di annichilire la materia, senza provocare radiazioni.
[Peccato che il libro di cui si parla non appaia ancora disponibile, ad oltre un anno dall'annuncio della sua prossima pubblicazione.]
Si vede chiaramente lo sforzo di aggiustare il tiro senza cogliere il bersaglio. L’ipotesi del complotto è un’assurda invenzione posticcia. Il primo a escluderla è stato Majorana. Non aver compreso l’esistenza del thema decidendum posto razionalmente dalle lettere ha comportato tutte le aberrazioni. In questo novero aberrante rientrano l’ipotesi formale di Sciascia e il pupo pirandelliano scappato via in Argentina dalle grinfie di una madre possessiva. E vi ricade anche la tesi del caro estinto del 1939. Per forza di cose anche “Bini X” – ipotesi o tesi della Procura – vi è risucchiato. Che cosa potrà decidere il nostro ipotetico “tribunale” su questo caso di scuola che gli è stato sottoposto? Al posto del tribunale dobbiamo mettere l’opinione pubblica, poiché il caso è diventato notissimo, a maggior ragione con le ultime notizie.
Qualora fosse falso e strumentale il ‘riconoscimento’ di Ettore in quella fotografia del 1950 a bordo della nave, danneggiati sarebbero i parenti del preteso, ma falso ‘Majorana’?
Nel nostro caso di scuola la grave imprudenza consisterebbe nel non aver assunto tutte le cautele necessarie per escludere un “qui pro quo”. La dichiarazione de relatu che Ettore fosse stato per un certo periodo in Germania non basterebbe a determinare una lesione.
Quale il limite costituzionalmente garantito in linea di principio? Che l’informazione sia seria e documentata. Soltanto violando questa regola si avrebbe falsa informazione, deformazione colpevole. E le informazioni su Bini X corrispondono al parametro? L’uomo della foto del 1955 non rassomiglia a Majorana. L’hanno asserito i parenti attuali.
L’accusa immaginaria nell’ipotetico dibattimento sul nostro caso di scuola dovrebbe provare che l’uomo della nave non è Ettore Majorana e che c’è stata una superficialità colpevole nell’averlo asserito. Si potrebbe ricorrere alla prova indiretta, la morte precoce di Majorana addirittura prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Sarebbe il caro estinto. Questa prova, certa e indubitabile, potrebbe forse essere costituita dalla lettera del Padre Ettore Caselli in cui in data 22 settembre 1939 a proposito di Ettore si parlava di caro estinto e del compianto Ettore – scomparso?
E potrebbe la difesa obiettare che il caro estinto non ha alcun riscontro reale tanto è vero che la Procura della Repubblica di Roma l’ha scartato inviando nel 2013 un nucleo investigativo dei Ros di Roma in Argentina e in Venezuela (il Tempo, 11 dicembre 2013)?
Quale potrebbe essere la decisione o il verdetto se anche gli inquirenti avallerebbero il caso inesplicabile dell’allontanamento volontario nel 1938?
La realtà è più vasta. Raccoglierebbe molto di più. Ma quanto al dopo, e soltanto per il dopo, c’è una fotografia del 1950, molto rassomigliante, e ci sarebbero pure le dichiarazioni di Bruno Pontecorvo, nel 1990, a Firenze (cfr. P. Batignani, La scomparsa di Ettore Majorana – C’è qualcuno che sa, settembre 2010, pagina 134).
Molto strano. Veramente strano. La fotografia di uno sconosciuto ‘sine nomine’ avrebbe forse aperto le cateratte? Chi poteva essere quel passeggero rassomigliante molto di più di Bini X che non somiglia per niente?
Fermiamoci, avremmo già detto troppo. [In realtà, è impossibile arrestarsi perché adesso c'è di mezzo "Bini X" in Venezuela, con una fotografia non rassomigliante a Ettore].Come avrebbe fatto “Bini” a raggiungere l’America del Sud se era Majorana? Ci sarebbe arrivato nel 1950 con quella nave? Ettore sarebbe stato presente a Buenos Aires dal 1950 in poi sarebbe di nuovo scappato in Venezuela? C’è di mezzo la ‘prova’ di quella cartolina postale a firma dello zio Quirino Majorana e spedita negli Stati Uniti a un suo corrispondente il 24 settembre 1920. Fisica antirelativistica. Lo zio Quirino fu fino alla sua morte un accanito avversario della “teoria della relatività” di Albert Einstein. Come poté finire in Venezuela quella cartolina postale del 1920 (se non proviene dal mercato di Porta Portese a Roma)? Bini X era Majorana? Ettore Majorana scappò via dall’Argentina, non molto tempo prima della caduta di Peròn (avvenuta nel settembre del 1955)?
Nel 1948 Peròn inaugurava in Argentina un ambizioso progetto nucleare – addirittura la fusione! – allacciando rapporti con fisici militari ex nazisti per dover poi ripiegare su un reattore a uranio naturale 238 e ad acqua pesante fornitogli dalla Germania Occidentale di Konrad Adenauer, progettato e costruito a Heidelberg da Werner Hisenberg prima del 1955, ancora in epoca di divieto degli Alleati a procedere in questa direzione nella ricerca scientifica e nella scienza applicata.
Chi avrebbe mentito? Chi avrebbe commesso leggerezze ingiustificabili? Chi deterrebbe foto comparative migliori degli anni adulti prima della scomparsa? Chi era l’uomo sulla nave? Chi era Bini X? Dov’è il passaporto, piuttosto che la patente di guida?
Segrè e Fermi furono costretti a emigrare in America (ma desideravano farlo già dal 1935-36). Pontecorvo andò a Parigi da Joliot nel 1936 e nel 1950 fuggì segretamente in Russia, sparendo da Roma. Perché Ettore non avrebbe potuto decidere di sparire segretamente per recarsi in Germania che dal 1936 era già un’alleata dell’Italia? Perché Pontecorvo sì e Majorana no? Chi potrebbe affermare che Majorana sia rimasto in Germania durante la guerra in mancanza di una traccia certa? Occorre forse ripiegare sulla faccenda del convento violando il segreto del confessionale (Monsignor Ricceri, poi vescovo di Trapani, già confessore di Ettore), tornata in auge con la crisi di coscienza ole crisi mistiche del solitario che continuava in silenzio a giocare a nascondino? E il cadavere benedetto?
Ecco com’è stata sistemata la scomparsa a livello di scibile ufficiale (Enciclopedia Treccani 2013):
Majorana, Ettore – Treccani Scienze (2013) di Francesco Guerra
Ettore Majorana /La scomparsa (estratto).
Senza alcun indizio premonitore apparente, scompare improvvisamente alla fine del marzo 1938, in circostanze ancora non completamente chiarite. Le ricerche effettuate dalla famiglia, e dalle autorità di polizia e di governo, sono solo parzialmente documentate e sembrano cessare verso marzo-aprile 1939. Di particolare importanza risulta una lettera di Gilberto Bernardini a Gentile Jr, facilmente databile dal contesto ad aprile-maggio 1938, e quindi alcune settimane dopo la scomparsa, conservata presso l’archivio del dipartimento di fisica dell’Università di Roma La Sapienza (Collezione Giovanni Gentile Jr, sez. II, serie 1, box 1, cartella 1). Ecco il testo delle prime frasi: «Caro Giovanni – Come puoi immaginare la notizia di Majorana mi ha dato una vera gioia. Non è molto bello forse, ma in compenso non è una cosa così tragica come si pensava e ci se ne può rallegrare –».
Pare quindi che Bernardini e Gentile siano particolarmente informati sul destino del loro amico. Di certo la scomparsa non ha comportato una tragedia, come il suicidio. Il 3 novembre 1939 la rivista «Le Missioni della Compagnia di Gesù» pubblica l’annuncio che è stata fondata una borsa di studio, finanziata con la ragguardevole cifra di 20.000 lire, per l’educazione di un missionario e intitolata al nome dello scomparso Ettore Majorana. Informazioni importanti sono contenute nella corrispondenza intercorsa tra la famiglia, in particolare il fratello maggiore Salvatore, e l’amministrazione della rivista. In una lettera del padre Ettore Caselli S.I., su carta intestata dell’amministrazione de «Le Missioni», datata Venezia, 22 settembre 1939, indirizzata al sig. Salvatore Majorana, Roma, si legge:
A graditissima V/. d’ieri. Ammiriamo sinceramente il V/. atto generoso per il compianto Ettore Majorana. Il Signore premi la V/. grande fede ed il Vostro santo affetto per il caro estinto. Possiamo assicurarvi che non vi è nessuna difficoltà per l’intestazione della Borsa di Studio al nome di Ettore Majorana, considerandolo come il fondatore e rendendolo partecipe di tutti i vantaggi spirituali connessi alla stessa fondazione.
Copia di questa lettera è anch’essa custodita presso l’archivio storico del dipartimento di fisica a Roma (box: Materiali pervenuti). L’istituzione della borsa di studio, e la corrispondenza intercorsa, mostrano che Ettore Majorana deve considerarsi deceduto prima del settembre 1939. Ulteriori approfondite indagini saranno necessarie per fornire le ragioni della scomparsa alla fine del marzo 1938, e quelle del decesso circa un anno dopo la scomparsa.
Riportiamo ancora le ultime frasi di una breve biografia inedita, scritta da suo zio Giuseppe nel 1940, e conservata presso il citato Fondo Majorana di Catania (box 217-218):
[…] un altro bravo Figliolo e Concittadino e Grande Siciliano è scomparso, e noi dobbiamo inchinarci di fronte alla tragedia, ammantandoci per quanto sia possibile, e non possiamo sfuggirne, dell’incommensurabile dolore della madre e dei fratelli. Oh padre tre volte felice che avevi prima di lui raggiunte le porte dell’Altra Dimora.
La sua improvvisa scomparsa ha innescato una serie di congetture sulle modalità e le motivazioni. Di particolare interesse è il ritratto di Leonardo Sciascia (1975), che ha contribuito in maniera essenziale alla conoscenza di Majorana, sia pure in un contesto letterario, al di fuori degli ambienti strettamente scientifici. La scomparsa sarebbe dovuta a una complessa crisi spirituale (forse basata su una presunta intuizione dei possibili orrori nucleari), con conseguente ritiro in un luogo appartato (convento).
*L’autore F. Guerra scorda di riferire che zio Giuseppe Majorana di Catania nel documento in data 22 ottobre 1940 poco prima di morire così scriveva: << E tuttavia dopo 31 mesi diimpenetrabile silenzio che penseremo? >>. Lo zio Giuseppe non sapeva nulla della morte di Ettore come nulla sapeva la Famiglia diretta del caro estinto che è soltanto il frutto di un equivoco verbale del Padre Caselli.
* Viviamo in Italia, il Paese delle Mille Verità. Ettore Majorana era dunque “Bini X”, ma Ettore Majorana era defunto nel 1939, anzi si trovava in convento e via dicendo.
* Bini X era il padre di Ettore, morto nel 1934? Sembrerebbe di sì… (vedi sotto).
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Bini X era Ettore Majorana? Sembrerebbe di no… (vedi sotto)
Affrancatura di 15 centesimi di lira italiana d’epoca, ovviamente via mare. Ricevuta, come da timbro postale americano, il primo novembre 1920. L’indirizzo del destinatario – molto generico – sembra essere Lawrence, Michigan: dove il signor E. W. G. Conklin doveva essere molto conosciuto… Il testo foto riprodotto della cartolina postale non è leggibile per intero sul quotidiano Il Messaggero di Roma in data 2 dicembre 2014. C’è una piccola sovrapposizione.
Ecco la parte leggibile:
Egregio Signore, *Non si trattava un collega di rango universitario – n.d.r.
Ho ricevuto la sua lettera del 4 agosto (perché Quirino Majorana rispondeva con una cartolina postale in italiano?), e la ringrazio per il suggerimento datomi. Io avevo già in animo di provare una esperienza simile a quella da lei progettata. Essa consiste in ciò: Ho già sostituito ai 104 kg di mercurio circa 10 tonn. di piombo, distribuite in 1 m. c. circa. Avrò presto modo di ripetere l’esperienza dell’assorbimento della forza gravitazionale disponendo la prevista palla di piombo di 1 kg in A, in B, ed in C. Così potrò verificare l’idea che l’origine della forza gravitazionale … (nel seguito illeggibile). A suo tempo le comunicherò i risultati delle mie nuove esperienze. Le invio copia di una pubblicazione sullo stesso argomento nel Philophical Magazine di Londra.
Cordiali saluti.Q. Majorana – Regio Politecnico di Torino.
Invio a parte di una pubblicazione in lingua inglese, mentre la cartolina postale è in italiano. Non dovrebbe trattarsi di un articolo di Quirino Majorana, ma di un articolo sull’argomento [come a dire che Quirino Majorana sapeva già come fare]. Si trattava di esperimenti sulla forza gravitazionale quando ormai nel 1919, con Eddington, la teoria della relatività generale di Einstein aveva ricevuto una consacrazione ufficiale a livello mondiale a seguito della verifica dei raggi incurvati di alcune stelle sul bordo del Sole (fotografie dell’eclisse totale del 1919).
Quirino Majorana era un accanito “antirelativista”. Condivideva segretamente il nipote Ettore che nel 1935-36 aveva collaborato con lui, le convinzioni eretiche dello zio? Potrebbe essere così, nonostante tutto, anche perché Luciano Majorana ebbe modo di ripetere affini esperimenti a casa sua, a Catania. E c’è altro, malgrado l’ufficialità delle lezioni universitarie di Ettore e l’utilizzo diretto della teoria della relatività nei suoi lavori e nei quaderni privati.
La cartolina è autentica, di mano di Quirino Majorana. Il servizio sul Messaggero fa però una gaffe confondendo con gli studi di Ettore. C’è (quasi) un riferimento a Ettore Majorana come fisico non allineato.
Rimane il problema del possesso di questo documento originale da parte del Fasani che lo avrebbe esibito come prova agli inquirenti romani.
Il timbro postale attesta che il destinatario del 1920, non definibile e non rintracciabile in letteratura scientifica, ha regolarmente ricevuto la cartolina postale caratterizzata dalla sua leggibilità in quanto non in busta.
Come avrebbe fatto Bini a disporre di questo documento se non fosse stato Ettore Majarana? Tuttavia il “Bini” della fotografia in data 12 giugno 1955 annotata [indubbiamente una strana foto] non rassomiglia a Majorana. Lo rivelano l’invecchiamento che non corrisponde all’età di 49 anni, il sorriso che non è quello attribuibile alla conformazione facciale di Majorana, gli zigomi sporgenti, e in particolare la linea superiore delle orecchie. Quest’ultimo elemento è decisivo per la certezza che non può trattarsi del volto di Ettore.
Ettore in Germania avrebbe potuto acquisire la cartolina recuperata dal controspionaggio in America a proposto di fisica alternativa per impieghi militari. L’ipotesi è calzante, anche se molto probabilmente non è stata considerata dagli inquirenti. E’ tutto molto strano.
Se Bini non è Ettore Majorana (non ci sarebbe la prova) rimarrebbe il mistero della cartolina postale mentre Fasani è ormai deceduto. Bini non rassomiglia a Majorana Ettore anche a dire degli attuali parenti.
Il caso Majorana si sarebbe arenato in Venezuela per colpa del governo di quel paese che non avrebbe collaborato con gli inquirenti italiani? Quale il nome proprio di Bini X? Con queste contraddizioni – innocue per gli inquirenti ? – che sì, Bini sarebbe o potrebbe essere Majorana, non si va oltre una rassomiglianza che non c’è ma che sarebbe stata provata – sic! – attraverso il raffronto con la fotografia del padre di Ettore alla medesima età di 49 anni… [E’ paradossale]. A rassomigliare a Ettore è l’uomo della nave diretta in Argentina,nel luglio del 1950. Che nome avrebbe avuto quell’individuo sconosciuto alto tanto? Invece di fare ricerche su questo sconosciuto – molto rassomigliante – si sarebbe preferito incominciare nel 2011 dalle dichiarazioni del Fasani nel 2008, uomo semplice che seguiva la popolare trasmissione televisiva Chi l’ha visto?, in cui aveva fatto apparizione Erasmo Recami nel 2006 in ricorrenza del centenario della nascita che fu celebrato con l’emissione di un francobollo.
Il problema della scomparsa non può essere snaturato. Il dopo oppure il dopo del dopo sono argomenti differenti, anche se dipendenti da fatto generatore. Non sembra che ci si sia resi conto delle sottigliezze logiche della sparizione per lettera, ma gli inquirenti potrebbero asserire di aver svolto il loro compito, qualora emergesse in chiaro quale possa essere stata la notitia criminis che ha generato l’obbligo a procedere. Ettore Majorana, genio della fisica, ha forse giocato a nascondino in America del Sud? E come ci sarebbe arrivato e quando? Se Ettore non ricomparve, ciò significa che aveva progettato la sua fuga. A che scopo?
Il mare mi ha rifiutato. Lo accolsero a braccia prima in Argentina e poi in Venezuela poco prima della caduta di Peròn? Non farebbe differenza tra l’Argentina e il Venezuela, il convento, il barbone di Mazara del Vallo, il morto precoce del 1939 o il barbone della “Caritas” romana negli anni 80.
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Si dovrà indovinare: Bini era Majorana, ma forse non lo era. Secondo opinione. Ecco l’Italia che pensa.
Avv. Arcangelo Papi – Febbraio 2015