PROPERTIUS – HOROS
Verso finale di IV,1
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La prima elegia del quarto e ultimo libro di Properzio fu probabilmente quella scritta per ultima. Questa composizione è strettamente legata al sigillo anonimo del primo libro, ed è firmata.
E’ un grande e misterioso affresco, derivante da una specie di dialogo enigmatico – con botta e risposta – tra il poeta, Propertius, e il personaggio straordinario di un singolare indovino, Horos, che ha dato molto da fare agli Studiosi, e che in realtà non è stato mai compreso.
In tutto 150 versi: la prima parte 70, la seconda 80. Propertius parlerebbe dei suoi nuovi progetti letterari, egli canterà i destini o fati di Roma, ma l’indovino gli ricorda che non è questo il suo genere letterario e che, dunque, non potrà mai distaccarsi da Cinzia, cioè dall’elegia d’amore, nonostante il discidium da questa donna – contraddittoria e paradossale – consumatosi al termine del terzo libro [vedi elegie III, 24 e 25].
Propertius partiva dall’antichissimo centro dell’Urbe, ripercorrendone la vicenda storica dal mitico Evandro, un greco che precedette l’arrivo di Enea, sbarcato a Lavinio. Romolo e Remo, ovviamente, vengono dopo. Il poeta si rivolgeva a un ospite, a unp straniero, che sicuramente potrebbe essere Horos. E sarebbe questo il passaggio di Properzio elegiaco, al genere antiquario, sul modello della “Cause” di Callimaco di Cirene. Dunque un carmen mixti generis, in cui Cinzia comparirà di nuovo, per tre volte: prima come meretrice già consumata nella salute e ormai sul viale del tramonto, prostituita da una vecchia e lurida lena, di nome Acantide, e cioè la “Spinosa”; poi comparsa in sogno, da morta; infine, Cinzia di nuovo, sull’Esquilino ricco d’acque, più viva ed energica che mai prima, ritornata all’improvviso da Lanuvio, dove – in cocchio – si era recata per un rito sotterraneo di fertilità agreste.
I Critici sostengono che Properzio era stato un poeta elegiaco d’amore, di tipo alessandrino, sui modelli di Fileta di Cos e di Callimaco di Cirene, e che – adesso – egli si sta avviando a essere qualcosa di diverso, ma non così tanto differente, da esserci stata una rottura col passato.
Il quarto libro è databile all’anno 15, il terzo libro risaliva invece al 23. Si è persino supposta la morte precoce di Properzio – durante questo periodo intermedio – e che l’ultimo libro sia una raccolta o compilazione postuma, a cura di un suo precedente editore.
Nulla di vero. L’opera è “una”, ed è il paradigma a essere sbagliato.
“Properzio segreto” è l’unità nascosta dell’unum opus, destinato all’inganno – fallax opus come dirà Horos.
Il compito di Horos è di recitare il vero Propertius. A Horos è stato affidato il delicato incarico della biografia esistenziale e letteraria del poeta apparente di Cinzia.
In un piccolo ma meraviglioso saggio, Luca Canali dedicava un capitolo psicanalitico a “Properzio e il suo doppio”. Canali è un grande Studioso e Traduttore, scrittore ottimo, ma non avrebbe compreso la IV,1. Questa è difatti l’elegia del ritorno definitivo da Roma ad Assisi, è il vero finale biografico delle Elegie.
Propertius era partito dal centro di Roma, narrandone a larghe tappe la storia secolare, Horos invece ci condurrà a Bevagna e ad Assisi. Ed è il perfetto asse geografico, che da sud a nord, allinea i tre luoghi.
Va aggiunto che Properzio – rimasto da bambino orfano del padre – fu costretto ad abbandonare Assisi con la madre, per recarsi a Roma [qui fu aiutato dai parenti], e che infine terminata l’opera, ritornò ad Assisi, dove era nato, e dove si trovavano le ricche terre di suo padre, tra Assisi, il lacus Umber e Bevagna, sottratte dalle requisizioni di Caio Ottaviano – la tristis pertica – per soddisfare i veterani di Filippi.
Horos non è un personaggio grottesco o ridicolo, semiserio oppure abbastanza credibile, al contrario, egli è l’alter ego necessario di Propertius, una chiave fondamentale per capire l’opera. Se non si riesce a comprendere il ruolo di Horos significa che non abbiamo trovato la soluzione dell’inganno.
Ovviamente, questa specie di strano indovino caldeo – egiziano – pitagorico è una figura artificiale, e il suo mai decifrato oroscopo, più che una presa in giro, ma non del tutto dissimile da un oroscopo di Orazio, è una vera profezia: ed è la fatalis pagina con la quale si chiudeva il terzo libro. Queste fatali imprecazioni cantano a te i miei versi.
Tratterò in un’altra ‘scheda’ gli aspetti essenziali della IV,1 e dell’oroscopo di Horos, qui facendo però presente che con la scusa degli astra Caesarum – Giulio Cesare e Cesare Ottaviano – il poeta volle riferirsi esclusivamente ai pianeti esterni: Marte, Giove e Saturno, e al loro grande anno sinodico di 738 anni solari, per cui ab urbe condita, la data del quarto libro è quella dell’anno 15 a.C. [738 + 15 = 753, computo varroniano].
I segni zodiacali non hanno alcun significato, tranne il Cancro. Il motivo astrale ufficiale di Augusto era il Capricorno, più che la Libra o Bilancia [vedi moneta riprodotta che risale all’anno 19].
Il segno del Cancro octopus – cioè dagli otto piedi – è servito a Properzio perché contiene la C di Caius [anche se in genere si diceva Gaius] e le iniziali di Octavianus. Il Cancro era la casa della Luna al solstizio estivo. Il che rimanda alla elegia III, 10 – vero compleanno astronomico di Cynthia – Luna.
Il significato ultimo della IV, 1- Propertius Horos – è stato occultato nel verso finale 150 di questa inquietante ed enigmatica composizione, più estesa di tutte le altre: OCTIPEDIS CANCRI *TERGA * SINISTRA * TIME !
Cioè: Temi il dorso funesto del Cancro dagli otto piedi!
Ed è una maledizione astrale, rivolta contro Caio Ottaviano Augusto, l’assassino a Perugia di Gallo, padre di Sesto Properzio.
Questo il significato della grandiosa, enigmatica e mistificatrice composizione, ripeto – la IV,1- composta per ultima.
Ed è un anagramma guidato: C. OCT. IRRITA SEDE CRIMINIS PETAT SIGNA!
Dice l’astrologo Horos: << Caio Ottaviano domandi i segni astrali del crimine da lui commesso dalla sua indegna sede di Augusto! >>.
Il verso 150 sopra riportato presenta in serie ordinata tre parole – terga sinistra time – che stanno nel corpo del finale del terzo libro, falso discidium da Cinzia.
TERGA = III, 24, 14 = VINCTUS ERAM VERSAS IN MEA TERGA MANUS
Ero stato fatto prigioniero, vinto e avvinto, le mie mani legate dietro la schiena.
Questo verso significa: VERUS VINCAM IN MEA TERGA TERSAS MANUS
“Properzio vincerà le sue terse mani di poeta con la verità che ha nascosto dietro di sé, dietro la sua schiena” [dorso funesto del Cancro o granchio].
SINISTRA = III, 25, 32 = ET VENIAT FORMAE RUGA SINISTRA TUAE !
E giunga la sinistra ruga della fine della tua bellezza!
EVENIAT FINIS AUGUSTA ROMA TERREAT
E avvenga la fine Roma Augusta atterrisca!
TIME = III, 25, 38 – EVENTUM FORMAE DIASCE TIMERE TUAE!
Impara a temere la fine non lontana della tua bellezza !
E FATU DISCERE TIME EVENTUM ROMAE!
Temi – o Romano – di conoscere dal Fato la sorte di Roma!
Verso 142 di IV, 1: NIL ERIT HOC: ROSTRO TE PREMET ANSA TUO
Sarà inutile : un rostro ti terrà saldamente per il becco
* HOROS TERRET CAESAREM: POTITI NOLUNT
* Horos atterrirà Cesare Ottaviano: chi ha conquistato potere, non vuole.
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Sembra incredibile, ma esiste un cumulo conforme di prove che è così.
E concludiamo rapidamente, per ora:
Alla donna decisa a ingannare, basta una fessura: PERSUASAE FALLERE RIMA SAT EST [Horos, v. 146].
Fallax opus! Il paradigma properziano dovuto al “consensus” è un solo un buco.
Arcangelo Papi – Idi di marzo 2016