PROPERZIO NERIO E LA LAPIDE UMBRA VETTER 236
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La lapide Vetter n. 236 fu rinvenuta nel 1742, fra Assisi e Bastia oppure tra Ospedalicchio e Bastia. Il campo grafico ha all’inizio lettere di 4 cm, poi più piccole. Le misure della lapide sono 34 x 43 x 13 cm. Il cippo è conservato al Museo archeologico di Perugia. E’ in caratteri latini e in lingua umbra. Vi è citato un Nerio Propezio, avo del poeta, come uno dei maroni. In nomi ricordati della lapide sono 4. Nerio in umbro significa Marte. Esiste una ricca bibliografia in tema. A parte le tavole di Gubbio, le iscrizioni in umbro antico non sono molte. Ad Assisi sono due in tutto. Della Vetter 236 si sono occupati L. Prosdocimi, M. Alinei, e molti altri.
Riporto le prime due righe: AGER EMPS ET / TERMNAS OHT.
Ultima riga SACRE STAHU.
La lapide risalirebbe all’epoca di Silla: cioè tra il 90 e l’80 a.C.
La parola OHT è stata interpretata come ohtretie, con riguardo a uthur, forse corrispondente al latino auctcor, per cui avremmo avuto l’intervento promiscuo di una coppia di auctores, nel senso di due othur, accanto a una coppia di marones [di Assisi].
Tale interpretazione, in realtà, sembrerebbe assurda. La lapide non vi si potrebbe adattare sia per conformazione, che a ragione della sua conservazione. I confini di un terreno privato si sarebbero forse conservati per secoli?
La mia interpretazione logica della lapide è la seguente:
CAMPO VENDUTO E TERMINI [O CONFINI] SANCITI SOTTO DUE COPPIE DI MARONI. STIA SACRO.
Cioè, la Vetter 236 sarebbe una lapide confinaria di terreni, adesso uniti, uno dei quali, oggetto di compravendita, in precedenza apparteneva a un altro proprietario. Tuttavia non sarebbe un negozio tra semplici privati, ma la fattispecie investirebbe interessi pubblici.
Si può presumere che formula pubblica sacrale abbia avuto lo scopo di sancire la proprietà privata di terreno, però ora appartenente a un “cives” di un altro municipio. La relazione pubblica intercorrerebbe dunque tra il territorio di Assisi e quello della confinante Bettona.
Questa speciale relazione necessitava pertanto della presenza di due coppie di maroni, due maroni per ciascun municipio, e la presenza di due auctor od ohtur sarebbe un equivoco interpretativo linguistico.
Nessuno dei due municipi potrà fare rivendicazioni pubbliche territoriali ai danni dell’altro, su aree private confinarie. I confini rimango intangibili in ambito pubblico. Per tale ragione c’è adesso la piena garanzia ufficiale delle due contrapposte coppie di “maroni”, quelli di Assisi e quelli della prossima Bettona. In precedenza c’erano due proprietà distinte confinanti, con l’atto di acquisto da parte di un solo proprietario, al presente possiede costui possiede terre poste al di qua e aldilà del confine municipale. Il confine pubblico territoriale è stato coinvolto dal negozio ‘inter privatos’.
I glottologi avrebbero confuso tra OHT e OTHUR. Qui OHT è un analogo participio di un altro verbo umbro, sconosciuto, ma col significato di sancire o stabilire, così come EMPS è il participio del verbo vendere, alienare.
L’acquisto o alienazione comportava che il campo o ager fosse misurato e determinati i suoi confini. La consistenza del terreno di confine municipale era stata ufficialmente garantita, una volta fissati e sanciti i confini del campo o terreno privato [termnas, accusativo plurale]. Venduto il campo, ovvero il terreno seminativo, ma avendone però stabilito i confini.
EMPS – OTH sono forme verbali di attività tra loro consequenziali necessarie. La prima attività, cioè l’acquisto, implicava – ET – la seconda operazione, e cioè la determinazione dei termini o confini.
Il cives di uno dei due municipi, acquistava un terreno di un cives dell’altro municipio, così allargando la sua proprietà confinaria sul territorio. Non si trattava solo e soltanto di un atto privato, bensì di una modificazione anche di interesse pubblico congiunto.
Quattro maroni sono troppi per un solo municipio: i maroni erano due, come due erano i consoli.
Gli “auctores” appaiono fuori luogo, il testo considera immediatamente solo i marones.
Sarebbe infine forzata l’interpretazione della formula SACRE STAHU nel senso religioso-giuridico di confini privati fissati. La formula contiene una valenza che sembra superare l’ambito ristretto ed esclusivo “inter privatos”.
Con ohtretie s’introdurrebbero aspetti fittizi e artificiali, che appunto non corrisponderebbero alla realtà. Con la coppia di auctores-oht[tretie], aggiunta ai marones del testo, si falserebbe il senso logico e realistico della lapide.
Per illustrare meglio il caso della lapide umbra Vetter 236 è opportuno riportare la trascrizione per intero del testo [tratta da M. Alinei, “Etrusco: una forma arcaica di ungherese”, il Mulino 2003, pag. 23 ss.].
AGER EMPS ET
TERMNAS HOT
C U VISTINIE NER T BABR[IE]
MARONATEI
VOIS NER PROPARTIE
T U VOISIENER
SACRE STAHU
Altre trascrizioni – come per esempio quella del lapidario di Assisi, Catalogo Electa 1987 – presentano varianti minime. Qui HOT [RETIE] è messo col punto interrogativo.
I 4 nomi della lapide sarebbero i seguenti: C. Vistinio, Nerio Babrio, Vossieno Properzio figlio di Nerio, Tito Vossieno.
Non mi soffermerò su questi nomi della lapide, qui ponendo in evidenza soltanto quel “Properzio”, che potrebbe essere stato il nonno del famoso poeta, mentre il bisnonno si sarebbe chiamato Nerio – Marte.
Secondo Mario Alinei, maro[va ricordato che Virgilio era “Publio Maro”] significherebbe in etrusco “misuratore”, “gromatico”, pubblico funzionario quale “agrimensore”.
Per Alinei, nella lapide Vetter 236 sarebbero intervenuti due auguri – C. Vestinius e Ner. T. Babrius – in presenza di due maro, cioè Properzio figlio di Nerio e T. Vossieno.
La formula solenne finale di sacrestahu dipenderebbe dagli auguri o auctores nel senso di ohtur – ohtretie.
Considero assurda sul piano logico la ricostruzione di Alinei, sebbene lo studioso aggiunga che “l’esistenza e l’importanza di ‘cippi gromatici’, che servivano alla delimitazione delle proprietà pubbliche e private, conferma che la principale funzione dei marones era quella dei gromatici”.
L’iscrizione monumentale della cisterna [sacra] sulla quale si appoggia la base del campanile più antico del nuovo duomo romanico di San Rufino ad Assisi, ricorda ‘coppie’ di maroni in un arco temporale di almeno 15 anni.
Un’iscrizione umbra di Casa Ranaldi, sempre ad Assisi [zona in cui sorgeva il primitivo capitolium], menzionerebbe il meddix Vibio.
Avremmo pertanto le figure del meddicato, del maronato, e il questorato, poi i quattruorviri, i sexviri, i decurioni.
A me sembra che il ‘maronato’ prevedesse coppie di “edili”, con ampi poteri pubblici, non ristretti alla agrimensura. Il “questore” umbro provvedeva al vettovagliamento, i maroni [in coppia] all’edilizia pubblica, con grandi poteri civici anche di gestione.
Il ‘maronato’ era al vertice del municipio, dopo che il ‘meddicato’ fu obliterato. L’uhtur aveva una funzione sacrale. E per quanto l’aruspicina fosse collegata alla terminatio, vale a dire alla delimitazione terriera, non per questo HOT in Vetter 236 imporrebbe le ohtretie.
Le ohtretie non sarebbero da considerare come auctoritate, secondo quanto invece riteneva il Vetter, per cui non sarebbe legittimo vedere degli “auguri” in ohtur. Gli othur sarebbero stati la suprema magistratura, forse eponima, e i marones avrebbero svolto funzioni subordinate, simili a quelle degli “edili”.
Farei presente che l’analogia concettuale e lessicale stretta tra AGER EMPS e TERMNAS OHT impone qui di esulare dalla questione degli ohtur e dei marones, e che la sacralità della formula finale della Vetter 236 si riferirebbe ai confini pubblici tra due municipi contermini, che rimangono inalterati, a prescindere dalla nuova proprietà privata, unificata in capo ad un cives che adesso possiede beni oltre confine.
Il termine lessicale OHT dovrebbe figurare alla fine di un’altra antica lapide umbra di Assisi, rinvenuta in zona San Damiano, notissima per le sue memorie francescane, e già ricca di sorgenti e di edifici antichi, con cospicui resti umbro-romani.
Queste stesse terre – irrigue ed ubertose – dovevano appartenere a Paolo Passenno Properziano – il cui monumento funebre sorgeva nei pressi –, ricordato amichevolmente in due lettere da Plinio il Giovane come poeta elegiaco che frequentava Roma, discendente e municipale di Sesto Properzio all’epoca di Traiano.
L’iscrizione – secondo me importantissima – è un frammento in travertino con dedica sacra. Era utilizzata come sedile nel dormitorio delle clarisse.
ARENTEI O [--] [F]ISO SACR[E]
Se immettiamo il termine OHT in questa breve iscrizione, otteniamo subito il seguente significato: Dedicato a Herentas e sacro a Fiso Sanco.
Sacre quicorrisponderebbe a oht. Per cui oht,in Vetter 236, è il participio di una forma verbale umbra antica, a noi sconosciuta, col significato di consacrazione.
Anche quest’ultima epigrafe ha carattere ‘confinario’ di tipo sacrale, che si riferisce a fertili campi di grano e alla inviolabilità dei confini custoditi da Fiso Sanco.
Herentas e Fiso sono una coppia ‘paredra’ di divinità umbre, agresti od agrarie.
Si potrebbe estendere il discorso, ma la presente indagine critica si limita alla parola OHT.
Questo termine OHT non è presente nelle Tavole di Gubbio, fondamentale monumento linguistico dell’umbro antico, emerso casualmente nel 1444, già studiato da Giacomo Devoto, e più di recente in modo molto approfondito dal glottologo Augusto Ancillotti.
Se gli enigmi della lingua etrusca non sono stati finora risolti, non mancano tuttavia casi enigmatici, o soltanto dubbi, nella però ormai ben conosciuta lingua osco-umbra, appartenente al ceppo linguistico italico del sanscrito.
Le iscrizioni umbre di Assisi sono tre in tutto, ma tutte molto importanti. L’iscrizione umbra di Casa Ranaldi merita un’attenzione speciale, quanto al culto di “Giano padre”, che potrebbe attestare, a proposito di un arco o di una porta. A questa iscrizione dedicherò un pezzo a parte.
Arcangelo Papi – Assisi, marzo 2016