CARTESIO E LA FORMULA DEI POLIEDRI

Cartesio e la formula segreta – Parte 2°

 

 

CARTESIO E LA FORMULA SEGRETA

PARTE SECONDA

 

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LA FORMULA DEI POLIEDRI

La scienza è sorta dal pressappoco concettualizzato.1 Dalle domande di senso, i perché, si è passati a tentativi, più o meno vaghi, di risposte fondate su principi primi. I modelli dell’esperienza furono trasformati in archetipi e miti, attraverso le generazioni e con i rituali, radicando una visione del mondo nell’ambito delle varie civiltà storiche. Ciò che viene prima del vaglio razionale, non è detto che non possa corrispondere a una sorta di ontologia dello spirito.2 Il patrimonio di esperienza è un grande serbatoio. Il boomerang degli aborigeni oppure l’arco e la freccia precedettero la balistica.

Ciò che chiamiamo intuizione (processo inconscio, semi automatico, quid di comprensione che si manifesta quasi in modo crepuscolare: molti scienziati e matematici hanno potuto sperimentarlo per improvvisa illuminazione), è stata la strada della conoscenza, insieme agli a priori di Kant.3 L’analogia è una fertile risorsa.

Che si potrebbe nascondere al disotto di una impeccabile dimostrazione matematica? Non sempre la dimostrazione rende conto perfettamente e in modo esauriente del suo stesso processo formativo. Essa si esterna razionalmente in modo oggettivo, è stata formalizzata in modo impeccabile, ma quasi sempre tace.4 Archimede è l’esempio tipico.

Il metodomeccanico che era stato inviato a Erastotene non riesce a spiegare la questione archimedea, che si fonda su rapporti semplici che sembrano essere già noti o intuiti a monte e che pure costituisco oggetto specifico di dimostrazione. Nelle opere di Archimede che comprendono anche un lavoro sui poliedri semiregolari, si nota il rigore impeccabile delle dimostrazioni formali secondo il modello degli Elementi di Euclide. Le dimostrazioni procedono spesso per assurdo o per convergenza di percorsi opposti destinati a incontrarsi, così che non si riesce a capire bene cosa preceda che cosa, mentre i risultati sembrano già conosciuti in anticipo pur essendo oggetto di dimostrazione.5

E’ risaputo che molti scienziati (un esempio tipico è quello del grande fisico americano Richard Feynman) amavano ri-dimostrare quanto a loro non garbava.

Quante dimostrazioni esistono per uno stesso teorema: una, molte, o addirittura infinite?6

Newton, insieme a Leibniz, è considerato il padre del calcolo infinitesimale. Newton non l’impiegò, nei Principia, limitandosi a dimostrazioni geometriche.

Nel 1964 Feynman scoprì una nuova dimostrazione geometrica dei moti planetari descritti da Newton.7 La terza legge orbitale di Keplero ha un carattere dimensionale occulto.

Simmetria e invarianza sono principi attuali, provenendo da Parmenide, il fondatore della logica connessa all’ontologia, che aprì la strada alla metafisica di Platone.8

Wolfgang Pauli, il famoso fisico quantistico svizzero, noto per lo spiacevole effetto Pauli (la sola presenza nelle vicinanze dei laboratori sperimentali creava strani effetti di sconquasso), era ossessionato dei numeri 3 e 4,9 che sono oscuramente rimasti nei suoi studi.

La numerologia attraversa la cabala e non ha nulla a che vedere con la matematica.10 Eppure non solo in passato alcuni grandi matematici non ne furono immuni.

Amo colei che ha il numero 545 dichiara un graffito di Pompei. La visione pitagorica non è poi lontana da Sapienza 21,11.11

La scoperta di Galileo della legge di caduta dei gravi è stata rappresentata come integrale geometrico con la semisomma della progressione aritmetica dei numeri dispari.

Eulero scherzò coi miscredenti filosofi volterriani trascrivendo alla lavagna il banale sviluppo del quadrato del binomio: Perciò Dio esiste, egli concluse.

Goedel sosteneva di avere la prova logica dell’esistenza di Dio. E sembra un ritorno a Sant’Amselmo di Aosta e alla Scolastica neo-aristotelica.

Non sappiamo da dove germini la coscienza, ma al di sotto della coscienza si nasconde un’energia creativa. Accanto alla categoria del razionale coesisterebbero l’irrazionale e il meta-razionale.

Secondo Empedocle di Agrigento (Poema fisico e lustrale), le cose migliori per l’uomo vengono di notte. Cartesio trovava invece ideale per la sua creatività il calore di una stufa.

Il cardinale tedesco Nicolò da Cusa, ritornando da una delicata missione diplomatica a Costantinopoli che fu il preludio del Concilio di Firenze-Ferrara nel 1439, ebbe l’illuminazione della Dotta ignoranza, in cui sono stati teorizzati i principi della coincidentia oppositurum e della mens mensura.12

Le radici del pensiero razionale rimangono abbastanza oscure e poco razionali. Ciò non toglie nulla al fatto che l’esercizio della ragione debba appoggiarsi a qualcosa di più profondo. Non sapendo che cosa, ciò è quanto definiamo genio.

Archimede era un genio e tali erano Pitagora e Platone. Per non parlare del più importante neopitagorico moderno, Albert Einstein e i suoi “esperimenti mentali”.

Geni erano Galileo, Cartesio, Newton e Leibniz. Galileo nelle sue opere riprese l’arte del dialogo socratico, Cartesio utilizzò materiali antichi per rivoluzionare la matematica moderna con la geometria analitica, Newton fu di nascosto un esoterico, Leibniz (curioso di tutto) si interessò persino alla cultura dell’antica Cina.

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Divagando, stavamo per scordare l’argomento. Il taccuino segreto di Cartesio era stato accuratamente cifrato ed era stato tenuto nascosto. Il testo autografo, composto di sedici pagine e rilegato in pergamena, fu decifrato e soltanto in piccola parte trascritto, una pagina e mezza, da Leibniz nel 1676 a Parigi. In seguito, dopo il 1691, si persero definitivamente le tracce di questo codice misterioso. Il bel libro propone al lettore, in una scrittura brillante e avvincente, il giallo di una scoperta matematica tenuta accuratamente nascosta. Si trattava della formula dei poliedri semplici, resa nota soltanto nel 1730 dal grande Eulero, che all’epoca si trovava a Pietroburgo.13

Forse la formula dei poliedri era già nota ad Archimede.14

Cartesio ci arrivò studiando i 5 solidi o figure cosmiche del Timeo di Platone.15 Leibniz se ne rese conto controllando i disegni e la tabella di Cartesio recante i numeri delle facce, dei vertici e degli spigoli che sono gli elementi della formula di Eulero per i poliedri semplici.

La topologia moderna (nel suo mondo a infinte dimensioni) comincia dalla relazione tra questi poliedri platonici e la sfera che li iscrive.

Nel 1596, anno della nascita di Cartesio, Keplero aveva pubblicato un’opera, alla quale era rimasto molto affezionato, il MysteriumCosmographicum. Il sistema planetario eliocentrico era rappresentato dalla successione dei solidi platonici. Recenti studi cosmologici (2004) indicherebbero che la geometria spazio-temporale dell’universo sarebbe data da un reticolo del tipo ottaedro, icosaedro o dodecaedro.

Lo spazio fisico è così complesso che per studiarne le proprietà essenziali i cosmologi devono ricorrere a metodi puramente algebrici, attraverso le proprietà dei gruppi.16

Qual era la soluzione di Cartesio, che rimaneva pur sempre un filosofo, anche se fu un grande matematico?

Per quale ragione egli nascose i suoi risultati? Aczel, che ha il merito di aver riportato alla ribalta la questione, cogliendo altresì l’occasione per ripercorrere la figura e l’opera del grande Cartesio, non sembra del tutto convincente nelle risposte.

In buona sostanza, Cartesio temeva fortemente l’inquisizione, per via dell’eliocentrismo. Tutto qui oppure c’è dell’altro? La domanda è legittima.

La costruzione (ideativa e simbolica) delle 5 figure cosmiche17risalirebbe addirittura al neolitico.18 La formula di Cartesio sui poliedri era innocente. Perché nasconderla?

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I solidi platonici sono uno studio sulle proprietà dello spazio geometrico elementare associato ai numeri interi che dovrebbe essere stato accompagnato da quello sulle aree inerenti ai tagli delle primitive sezioni coniche rette: un processo mentale o un tipo di approccio che andava quantomeno dai pitagorici a Platone, passando attraverso Parmenide, Empedocle, Filolao, Archita di Taranto, e giungendo quindi a Euclide, ad Archimede e Apollonio, dopo Teeteto, Eudosso e Filippo di Opunte, ma incrociandosi anche con l’astronomia computazionale assiro-babilonese e quella essenzialmente geometrica egiziana-greca. Poi, ancora, gli studi cosmografici di Keplero fino al taccuino segreto di Cartesio, e da Catesio a Eulero, passando da Leibniz e arrivando infine alla topologia moderna e alla cosmologia dello spazio-tempo. E’ veramente un singolare percorso di idee, non un avventura banale e insignificante, che nello spazio tridimensionale si risolve collegando facce, spigoli e vertici attraverso una semplice formula, tuttavia ossificata intorno ad un invariante topologico la cui natura sembra trascurata: la costante del numero 2 presente nelle formula.

Il taccuino segreto di Cartesio, decifrato da Leibniz, fornisce un eccellente pretesto per ripercorrere una vicenda che ci è parsa ricca di significato, quanto meno curiosa e interessante. Quando Cartesio morì (nel 1650 in Svezia), Leibiniz aveva quattro anni. Li divideva lo spazio di una vita, in un mondo che stava rapidamente cambiando. Cosa poteva accumunarli? Indubbiamente Cartesio è stato l’iniziatore del razionalismo moderno, e razionalista fu Leibniz. La certezza del proprio pensiero e della propria esistenza – cogito ergo sum – è per Cartesio la base per giustificare l’esistenza del mondo e attraverso la prova ontologica l’esistenza di Dio. Le idee sono innate, e la conoscenza attiene a idee “chiare e distinte”. L’innatismo delle idee è un portato della filosofia platonica (teoria della reminiscenza). Per Cartesio si pone un netto dualismo tra lo spirito (sostanza pensante) e la materia (sostanza estesa). Ciò poneva il rapporto mente-corpo (insomma tra software e hardware come diremmo oggi per i computer e l’informatica). La glandola pineale era l’organo fisiologico mediatore tra spirito e materia. Leibniz si propose la costruzione di una lingua universale avente come alfabeto i simboli designanti le nozioni più semplici e tale che, mediante la combinazione di tali simboli, si possano trovare metodicamente tutte le cose e le verità che le concernono. Ma oltre le verità di ragione che posiamo scoprire mediante il puro calcolo logico, e che si fondano sul principio di non contraddizione, ci sono le verità di fatto , relative non a qualunque mondo possibile, ma a quello che Dio ha creato. Il principio su cui si fondano è quello di ragion sufficiente, perché nulla accade senza che vi sia una ragione. Il mondo è costituito di aggregati di sostanze semplici, dette monadi, ciascuna delle quali costituisce una specie a sé. Inestese e indivisibili, le monadi sono caratterizzate dall’attività: ognuna è un flusso ininterrotto di percezioni, nel senso che è in grado di cogliere nei propri mutamenti interni la struttura dell’intero universo. Le monadi realizzano in tal modo un’ armonia prestabilita voluta da Dio il quale, nel creare questo tra gli infiniti mondi possibili, ha scelto il mondo che consentiva l’attualizzazione della maggiore quantità di cose compatibili. Cartesio è il fondatore della geometria analitica, Leibniz (con Newton) il creatore del calcolo infinitesimale. Nonostante lo stacco temporale che li separava, tra Cartesio e Leibniz sussistono analogie e affinità. Una di queste era il rapporto mente-corpo. Davanti alle difficoltà sull’ardua questione mente-corpo, Leibniz immaginò che Dio li avesse perfettamente sincronizzati come due orologi. La formula di Leibniz era quella dell’armonia prestabilita. L’azione di Dio era tirata in ballo da Leibniz da un’altra famosa spiegazione, detta occasionalista, per cui ogni atto della mente o del corpo sarebbe un’occasione in cui la divinità infaticabile interviene a collegarli. Come si vede, il razionalismo di Cartesio e di Leibniz abbisognava di Dio, come nel caso di Newton, mentre nel ‘700 inoltrato si fece strada l’ateismo, oggi predominante in campo scientifico.

Il rapporto mente-corpo è tornato d’attualità nel secondo Novecento, l’età del computer, con soluzioni radicali.19 Secondo il filosofo inglese Gilberto Ryle (spettro nellamacchina), chi si affanna a cercare un’anima dentro il corpo è simile a quei primitivi che vedono per la prima volta un’automobile che si muove. Ignorando l’esistenza del motore, immaginano che vi sia uno spettro nascosto che la faccia muovere. Invece, secondo l’americano John Searle, la mente e il corpo non sono due sostanze diverse, ma due presentazioni di una stessa sostanza (ed è il c.d. mind body problem). Quale sia la soluzione, bisogna però riconoscere che a scoprire il problema e a indicarlo ai posteri, fu Cartesio. Leibniz si pose sulla stessa scia. Si può forse fare a meno di Dio? I computer del futuro avranno un’anima loro, e dunque un loro “libero arbitrio”, figli della “libertà” e della “consapevolezza d’esistere”?20

Che cos’è la matematica? Il computer è un oggetto matematico. Ma non fa matematica da solo. Ha un soft e un hard. Viene acceso o spento. In che cosa l’uomo è differente da una complessa macchina del genere? Il computer è forse capace di auto-apprendimento, implementandosi? E’ capace di fantasticare e di vivere emozioni? Saprebbe persino negare se stesso, contraddicendosi? Potrà comunicare con l’esterno, desiderando e sforzandosi di modificarsi? Domande banali, certo, ma l’essere umano sa fare “matematica”: ha scoperto che là fuori c’è qualcosa che appartiene al pensiero puro e che allo steso tempo consente di correlarsi ai fenomeni. E fare matematica non è facile, ma è sempre possibile. Cartesio e Leibniz lo sapevano.

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La storia della scienza non coincide con la storia delle idee. Ciò è dovuto al fatto che molti grandi protagonisti della scienza nascosero le radici di certe concezioni personali e riservate, quei processi mentali da cui presero le mosse rivelando soltanto ciò poteva essere tranquillamente rappresentato in termini formali, tenendo segreti i propri pensieri (metodi non canonici, dottrine occulte, bauli pieni di carte segrete, taccuini cifrati, teorie e principi ispirativi di genere esoterico, percorsi originali ed eretici ecc.).

La storia della scienza, quando si trova a ripercorrere gli aspetti apparenti dei suoi oggetti certificati, non può certo tener conto della corrente carsica che l’ha attraversata nei suoi protagonisti. La conseguenza, ad esempio, è che Platone si manteneva nell’alveo di dottrine orali segrete: quindi non siamo in grado di ricostruirle, possiamo soltanto provare ad immaginare.21 Sappiamo che è così.

La scissione tra il dato scientifico, matematicamente oggettivato, e il pensiero nascosto germinante, è una costante persino nell’ambito della scienza moderna (dal pensiero di Ernest Mach, fondato sulla misurazione intellettuale del contenuto della sensazione comprensiva della psicologia all’operazionismo di Bridgmann, agli esperimenti mentali di Einstein; da Pauli, col suo principio di esclusione, ai principi di indeterminazione e di complementarità di Heisemberg e Bohr, con la problematica del “realismo einsteniano” e la teoria quantistica ondulatoria e matriciale; la “non località” e i paradossi della sovrapposizione d’onda; l’inconciliabilità tra micro-macro, oppure da Goedel alla semantica di Tarski, fino Sckolem; la Scuola di Vienna e la doppia navigazione del pensiero di Wittgenstein; i paradossi dell’infinito matematico attuale e la cosmologia moderna spazio-temporale, fino alle teorie del tutto; la matematica cantoriana e hilbertiana, e infine la teoria matematica delle supercorde).22

Un elenco di gradi conquiste scientifiche di ogni tipo, che si sono poi tradotte in modelli di civiltà, oggi sempre più tecnologica, e che hanno profondamente ridisegnato l’assetto economico-sociale del mondo contemporaneo.

E’ stata bandita la metafisica dal campo della scienza, per divenire la scienza stessa una nuova metafisica, quello scientismo che spiega il come, ignorando il perché. Alla teologia cosmologica dell’antichità si è sostituita quella attuale della materia-energia, dominata dall’entropia e dalla freccia del tempo.

Spazio e tempo sono mutati. Così pure la concezione del mondo, che oggi si sostiene nato da una “singolarità” fluttuante.

In questo panorama di grandi conquiste scientifiche e perciò di grandi promesse, di rivoluzione di paradigmi e di tappe sempre più avanzate, non si è ancora vista la luce di un vero arcobaleno. Anzi, si dovrebbe dire che regna una notte fonda, dalla quale sorgono nuovi fantasmi. La teoria dei buchi neri ha cancellato la luminosità delle stelle, così come le notti artificiali delle immense metropoli servono a ignorare la vastità cosmica.

Tutto è tremendamente complicato. La materia atomica di cui siamo fatti si rifugia in una danza misteriosa, dominata dal caso. Immense quantità di energia sembrano a portata di mano, ma la lampada magica non si è ancora accesa.

Ottimismo e disperazione tenuta nascosta. Forse un profondo senso di inutilità, ma anche una lezione salutare, che paradossalmente ritorna all’antichissimo mistero del fato, ma affinché la volontà possa convertirlo alla ragione.

L’uomo moderno è assai vicino a quello antico. E’ cambiato radicalmente il quadro apparente, ma la sostanza resta identica. La iper-tecnologia scientifica è l’acquario di un ambiente nuovo, dove seguita a nuotare lo stesso pesce.

Il problema della dimostrazione è stato sempre un problema: dal metodo meccanico di Archimede al teorema elettronico dei 4 colori. Fino al teorema di Goedel e agli infiniti di Cantor (l’ipotesi del “continuo” o la “funzione zeta” di Riemann). Sono sorti altri formidabili paradossi. Non si può andare sopra la ragione, ma allora che c’è sotto? Edipo e la Sfinge sono attuali. Questo mito ha un grande valore nascosto. Edipo, la ragione umana, e la Sfinge, un mostro terribile, letteralmente la strozzatrice. Quesiti che nessuno può risolvere. Ma Edipo ci riuscì, e il mostro si precipitò da una roccia.

Lo stesso sogno dei pitagorici, e di Cartesio. Il mondo è armonia numerica di rapporti, e nel dubbio sistematico il cogito ergosum fonda sempre la possibilità stessa di ogni certezza? Si tratta, ancora una volta, del mistero “logico” dell’Essere di Parmenide e del frammento n. 3 del suo poema, che tradurremo: essere è come pensare.

Domande per le quali esiste soltanto una risposta operativa. Non sai perché, ma funziona. Esiste il flusso del tempo, almeno come entropia, ma tutto sembra essere avvenuto a somma zero (e torniamo perciò a Parmenide).

Ecco allora un’altra storia, che sembra unire antico e moderno. La vicenda dell’apparentemente lucidissima formula dei poliedri regolari di Cartesio-Eulero, alla quale dobbiamo ritornare dopo le estemporanee divagazioni. La formula asserisce che per ogni poliedro convesso è verificato il teorema, attribuito a Eulero, che fra il numero f delle facce, il numero v dei vertici e il numero s degli spigoli, sussiste la seguente relazione: f + v = s + 2, ovvero f + v- s = 2. Due è l’invariate puro. Bellezza e semplicità. Quale sarebbe il mistero? Cosa temeva Cartesio?

LA SCOPERTA DEL TACCUINO

Il primo giugno del 1676, a Parigi, Leibniz bussò alla porta di casa di Claude Clerselier, che era stato tra gli amici più stretti di Cartesio e anche tra i curatori e traduttori della sua opera. Leibniz, che nel 1666, quando aveva vent’anni, aderì ai Rosa Croce di Norimberga, aveva saputo che Clerselier aveva ricevuto in consegna tutti i manoscritti di Cartesio da suo cognato, Pierre Chanut, che era stato ambasciatore di Francia in Svezia, dove nel 1650, appena da pochi mesi giunto alla corte della regina Cristina, Cartesio era morto, probabilmente per avvelenamento.23

La cassa contenente questi scritti, arrivata indenne per nave da Stoccolma, era stata poi trasportata da una chiatta, che si era rovesciata nella Senna. Clerselier aveva fatto del suo meglio per ripescarla e per salvarne il contenuto, facendo asciugare ben bene tutti quei fogli lasciati dal povero Cartesio. Tra questi scritti figurava anche uno strano quaderno, rilegato in pergamena, di appena 16 pagine: era stato trascritto in caratteri cifrati. Cartesio ne aveva occultato il contenuto, soltanto a lui noto. Cosa conteneva di così tanto misterioso quel taccuino?

Clerselier, a lungo pregato, permise a Leibniz, che aveva oltremodo insistito, di poter consultare finalmente le carte, e, con esse, anche quello strano taccuino.

Leibniz lesse nei “Preamboli”: Il timore di Dioè il principio di ogni saggezza. Come gli attori, perché il rossore della vergogna non appaia loro in volto, vestono la loro maschera. E ancora: Tesoro matematico di Polybius il Cosmopolita. E subito dopo: Offerto, ancora una volta,agli studiosi eruditi del mondo intero, e specialmente a G.F.R.C.

Leibniz, che era già diventato un grande esperto di queste cose, comprese che si trattava della Germaniae Fraternitas Rosae Crucis e riuscì anche a venire a capo, abbastanza rapidamente, della cifratura delle pagine autografe, che erano state scritte in una bizzarra notazione, accompagnata da alcuni simboli alchimistici e astrologici.

Leibniz poté ricopiare soltanto una pagina e mezza. In seguito, sicuramente dopo il 1691, il taccuino scomparve per sempre. Con questo prologo, Aczel passa alla biografia di Cartesio, per riprendere la vicenda del “taccuino segreto” soltanto alla fine del libro (pp.198 ss.).

Leibniz si accorse, dalle figure, che si trattava senza dubbio dei 5 solidi regolari del Timeo: tetraedro, cubo, ottaedro, dodecaedro e icosaedro, cioè poliedri iscrivibili in un sfera. Keplero li aveva utilizzato per il Cosmo.

Questi solidi sono detti regolari perché hanno facce uguali: tre di essi sono composti da triangoli equilateri, il cubo da quadrati, e il dodecaedro da pentagoni regolari. Platone conosceva, dai pitagorici, anche il pentagono autoreplicante, diagonalizzato come stella a 5 punte.24

* Poi l’attenzione di Leibniz fu attirata dalla seguente tabella numerica:

facce: 4, 6, 8, 12, 20

vertici : 4, 8, 6, 20, 12

spigoli: 6, 12, 12, 30, 30

Forse Cartesio era alla ricerca del significato del misterioso numero della bestia dell’Apocalisse, il 666?

Per questa ragione era stato così cauto, riservato e timoroso?

Leibniz dovette scartare quest’ipotesi esoterica. Continuando a decifrare il testo e controllando i valori numerici della tabella aiutandosi con le figure, comprese che si trattava della formula che connette tra loro le facce, i vertici e gli spigoli dei 5 solidi plartonici: F + V – S = 2. Il risultato 2, che è costante, è dunque un invariante topologico.25 Ovviamente, nel 1676, la cosa era del tutto nuova. Leibniz aveva afferrato il significato della formula desumendola dal taccuino.

Eulero, nel 1730, era diretto in Russia. Durante il viaggio si era fermato ad Hannover, dove ebbe modo di consultare l’archivio di Leibniz. Forse gli riuscì di leggere quella pagina e mezza degli appunti presi da Leibniz a Parigi sessant’anni prima. Da Pietroburgo Eulero fece conoscere la formula valida in generale per tutti i poliedri semplici, e, in particolare, per i poliedri regolari e quelli semiregolari.

Per quale ragione Leibniz si era recato a Parigi? Perché Clerselier non gli permise di ricopiare tutto il taccuino? Che fine ha fatto questo taccuino? Perché mai Leibniz non pubblicò, lui, quella formula? Quale seguito ebbero gli appunti di Leibniz? A queste domande cerca di rispondere Aczel.26 In ogni caso Leibniz si trovava in missione diplomatica a Parigi, per conto del duca di Hannover: doveva convincere il re di Francia a fare guerra in Egitto, anziché avere mire verso la Germania. Il taccuino sparì dopo il 1691.

Soltanto nel 1987 il sacerdote e matematico francese Pierre Costabel si è potuto rendere conto che la formula di Eulero era già nota a Cartesio. Ciò sarebbe avvenuto perché finalmente le carte dell’archivio di Leibniz vennero in mano alla persona giusta, cioè un matematico. Aczel non spiega il riserbo di Leibniz, che aveva ricopiato appena una pagina e mezza, e quale fine possa aver fatto il taccuino segreto di Cartesio, di cui si sarebbe perduta ogni traccia dopo una cert’epoca, per quanto il Baillet, che è stato il suo primo vero biografo, inventariando i manoscritti, ancora lo citasse.

Nel 1596 Keplero aveva pubblicato il Mysterium Cosmographicum, opera alla quale era molto legato. Keplero aveva letto il Timeo, accanto al tredicesimo libro degli Elementi di Euclide, che appunto si occupa di stereometria.

Keplero sapeva già da Euclide che ciascuno dei cinque solidi platonici poteva essere inscritto in una sfera. Pertanto ideò un sistema eliocentirico, ipotizzando l’armonia di 5 poliedri regolari celesti, corrispondenti ai 5 pianeti allora conosciuti (Terra esclusa). Ciascun poliedro regolare era inscritto in una sfera più grande, che conteneva tutti i precedenti poliedri, in questo ordine: l’ottaedro corrispondente a Mercurio; poi veniva l’icosaedro di Venere; quindi la Terra (bastando la sua rotondità); e, a seguire, il dodecaedro di Marte, il tetraedro di Giove, e infine il cubo di Saturno. Si trattava del modello copernicano, riportato in scala geometrica, attraverso la serie dei solidi platonici e le orbite percorse dai pianeti intorno al sole (dimensioni e distanze relative).

Probabilmente, Cartesio, timoroso dell’Inquisizione, aveva tenuto segreta la sua formula, che poteva essere associata al modello eliocentrico avversato dalla Chiesa. Questa spiegazione non sembra però molto convincente. Una formula matematica è evidente di per sé, e nessun dogma può escluderla. Anzi, il modello cosmografico di Keplero rischiava di perdere il suo fascino misterioso, riducendosi a un’invenzione.

L’assoluto riserbo di Cartesio doveva derivare perciò da altre preoccupazioni, anche se non sappiamo quali, per cui dobbiamo provare a immaginarle.

A Cartesio va indubbiamente riconosciuto il grandissimo merito di aver fondato la geometria analitica, coniugando l’algebra con la geometria attraverso le coordinate,27 e di aver compiuto altri studi, fisici e matematici, sebbene non quello di aver fondato la topologia, a ragione di questa sua strana riservatezza.

Nel 1691 il Baillet, che fu il suo primo biografo, cercava di capire gli scritti matematici di Cartesio, compreso il “taccuino segreto”, che gli era stato imprestato dall’abate Legrand, che lo deteneva, a quel momento. Legrand gli aveva riferito, ormai morto il Clerselier, della strana visita di Leibniz. Ma il taccuino scomparve per sempre. Forse conteneva qualcosa di scomodo per gli ecclesiastici. Forse Leibniz decifrò soltanto una parte del manoscritto cifrato, quella potuta trascrivere. Perciò non sappiamo nulla del restante.

Forse Cartesio, che aveva elaborato la teoria dei vortici28 e che non ammetteva il vuoto, era alla ricerca di un modello geometrico di scala, ma è certo che la materia estesa che compone l’universo non ha limiti (Opere, II, 18), come il piano infinito pitagorico e come lo spazio euclideo.29

Aczel aggiunge, al termine del suo libro, che in cosmologia moderna i solidi platonici hanno acquistato una nuova dignità di figure cosmiche nella geometria quadrimensionale dello spazio-tempo.

La preoccupazione di Cartesio poteva essere di tipo teologico, in connessione alla nuova astronomia. Ma non si riesce a cogliere un nesso preciso.

Modernamente va aggiunto che cerchio, sfera e ipersfera sono casi particolari di sfere a n dimensioni in spazi a n + 1 dimensioni. Questi e altri risultati hanno portato in luce un apparente paradosso: col crescere del numero di dimensioni, benché gli oggetti diventino più difficili da visualizzare intuitivamente, essi sono tuttavia più facili da trattare matematicamente, perché c’è più spazio per manipolarli. Questa impressione è confermata anche a livello elementare, per esempio dal computo del numero dei poliedri regolari, che sono 5 nello spazio a 3 dimensioni, 6 nello spazio a 4 dimensioni, ma solo 3 negli spazi a dimensione maggiore. Ironicamente i casi più difficili da studiare sono risultati essere proprio quelli a 3 o 4 dimensioni, corrispondenti allo spazio e allo spazio-tempo in cui viviamo (P. G. Odifreddi).30

In base alle notizie riportate da Pappo (Collezione matematica, V), e poi ancora da un anonimo scoliasta (a proposito dei primi 5 casi), Archimede avrebbe scritto un’opera specifica di stereometria, un trattato Sui poliedri, costruendo 13 solidi semiregolari.31 Questi corpi costituiscono un notevole esempio di studi di stereometria, e probabilmente derivano dalla elaborazione di precedenti e forse antiche cognizioni di topologia elementare, connessa alla sfera.

Le facce dei solidi archimedei sono poligoni di 3, 4, 5, 6, 8, 10 e 12 lati.

Dieci di questi corpi, o poliedri semiregolari, sono formati ognuno da poligoni regolari di due tipi, e gli altri da poligoni di tre tipi.32

Reperti archeologici assai interessanti rappresentano un dodecaedro etrusco, però con strane scritte laterali arabiche, scoperto nel 1885 sul Monte Loffa (Colli Euganei); ci sono, poi, molti casi di dodecaedri di origine celtica, conservati in vari musei francesi e inglesi; un triacontaedro romboidale venne trovato da F. Lindemann, proveniente da scavi ottocenteschi in Asia Minore, e ricollegabile alla scuola neoplatonica di Giamblico e di Damascio.33 Ed è stato rinvenuto un dodecaedro in bronzo,34 risalente a diversi secoli prima di Platone, mentre è ormai certo che gli antichi egizi conoscessero almeno il cubo, il tetraedro e l’ottaedro (Aczel 2005; Loria, 1913).

Tuttavia, già nel 1913, il citato storico della matematica Gino Loria35 aveva ipotizzato: avere Archimede conosciuta quella celebre relazione fra i numeri dei vertici, delle facce e degli spigoli che porta i nomidi Descartes e di Eulero. Quindi la scoperta di Cartesio-Eulero non sarebbe stata altro che una autonoma riscoperta (personalmente ne siamo convinti, in base alle ragioni riportate nel paragrafo conclusivo dei presenti appunti, che intende giustificare il racconto).

Nel 1497 Luca Pacioli aveva scritto il De divina proportione, pubblicato nel 1509 con figure rilevate, disegnate appositamente da Leonardo da Vinci.

I 5 solidi platonici, e soprattutto i 13 solidi semiregolari di Archimede (alcuni dei quali a “facce troncate”), presentano strette analogie con le caratteristiche cristallografiche, suggerite per primo ai mineralogisti da Romè de L’isle (1736 – 1790).36

In Platone il dodecaedro è associato alla fascia dello zodiaco (non si parla però di quinto elemento), mentre il tetraedro (fuoco), il cubo (terra), l’icosaedro (acqua) e l’ottaedro (aria), sono associati ai 4 elementi del Poema fisico e lustrale di Empedocle di Agrigento,37 secondo coppie ruotanti di contrari.

Si trattava chiaramente di una forma di primitivo atomismo geometrico.38

I 5 solidi platonici sono quasi sicuramente di origine pitagorica. Era il retaggio pitagorico giunto a Platone attraverso Archita di Taranto, che fu suo maestro e l’ultimo dei veri pitagorici.39 La vicenda potrebbe essere ancora più antica e rappresentativa. Infatti risalirebbe al periodo neolitico.

Dopo aver smussato per decine di millenni le selci, l’uomo antico cominciò a riflettere sui quei tagli, che aveva imparato a produrre con colpi sapienti. Quanto meno, è bello immaginarlo. Dalla necessità si è condotti infine alla contemplazione delle cose.

In un passo delle Leggi40 Platone dipinge con colori foschi le cognizioni stereometriche dei suoi contemporanei. In seguito, su suo impulso, i discepoli matematici dell’Accademia: Teeteto, Eudosso e Filippo di Opunte, si incaricarono di coltivare gli studi di stereometria, che sarebbero stati ripresi e compendiati da Euclide, nei libri XI, XII e XIII degli Elementi.41

L’influsso di Platone sulla geometria e matematica greca fu fondamentale.42

Nella Repubblica di Platone, il mito della caverna sembra ispirarsi a una idea molto antica sulla quarta dimensione.43 Sempre nella Repubblica si accenna ad un grande maestro della geometria solida, che potrà un giorno chiarire tanti problemi, e costui potrebbe esser stato Archimede.

Nel Timeo si descrive uno specchio composto da due specchi, che hanno il loro punto di contatto ad angolo retto (uno spigolo di 90 gradi). Questo tipo di specchio capovolge l’oggetto nello spazio e riflette sempre 3 immagini speculari. Dobbiamo porci delle ‘domande’, almeno per curiosità.44

Cosa pensavano i pitagorici dello spazio? Il teorema di Pitagora ha forse un fondamento topologico, visto che attrasse l’attenzione critica di Schopenhauer, e che nel dialogo del Menone Socrate fa eseguire a uno schiavetto non scolarizzato il raddoppio del quadrato, sotto il pretesto – camuffante – della dottrina dell’anamnesi?45

Il taccuino segreto di Cartesio e la formula dei poliedri ci pone davanti a un problema, che si radicherebbe nella concezione del piano infinito pitagorico e nel concetto stesso di dimensione (che sarebbe intuitivo), concentrandosi in due frammenti di Eudemo-Proclo (in sede di commento a Euclide), attraversando il genio intuitivo di Archimede, che si porrebbe a monte del metodo meccanico.46

Il concetto generale di dimostrazione matematica corrisponde all’utilizzo, senza alcun errore intermedio, di una catena logica dovuta alla serrata sequenza nello sviluppo del ragionamento, che procede a partire dai postulati evidenti di per sé.

Talvolta accade che certe congetture, verificate senza eccezioni nella casistica, non siano state ancora dimostrate. Molti problemi fondamentali di teoria dei numeri rimangono insoluti.47

La geometria euclidea ha subito una rivoluzione a partire da Saccheri, fino ad arrivare a Gauss e a Riemann.

Il teorema di Goedel (1931) sull’incompletezza o indecidibilità dell’aritmetica, ha minato alle basi la fiducia riposta in precedenza sulla ‘dimostrabilità’.

Tarski ha dimostrato che la scala semantica è gerarchica. In parole povere, occorre salire i gradini uno alla volta ed è sempre necessario che una porta apra un’altra porta. Ma potrebbe anche essere che tutto è nel tutto, sicché alla fine viene a comporsi (almeno idealmente), uno smisurato mosaico fatto di micro-mondi apparentemente a se stanti che però sono in qualche modo collegati.

Potrebbero esistere zone di confine, dove un aspetto volge all’altro. Perché il teorema dei 4 colori deve essere così complicato, da poter essere dimostrato soltanto col nuovo metodo meccanico dei computers?

Perché ad esempio Fermat annotò rapidamente, a margine del suo Diofanto, una meravigliosa dimostrazione, di cui era però “troppo lungo fare latrascrizione”, “non bastando il margine del foglio”, mentre si è dovuto attendere tre secoli e oltre per la soluzione definitiva di Wiles, oltre 200 pagine di altissima matematica, per un problema di facilissima enunciazione, ispirato alle terne pitagoriche in Diofanto?48

Fermat si era illuso (com’è quasi certo), o per davvero aveva imboccato la via più semplice, quella che non scorgiamo ancora?

Quali mostri luminosi si celano nell’ombra? E’ il nostro stesso modo di pensare a renderli così complicati? Il sogno di Leibniz di una caratteristica universale ha incontrato la moderna teoria matematica della complessità. < P = NP? > è il grande problema irrisolto della matematica contemporanea e dell’informatica teorica. Sembra il mito del labirinto. E non c’è un filo di Arianna, anzi Icaro rischia di precipitare.

Ci si deve perciò domandare quanto complicato sia il nostro stesso modo di pensare, quanto lungo, penoso e indiretto, sia il percorso a tappe verso la verità. Dipende da noi, o dalla complessità del Mondo?

Quante dimostrazioni esistono per ogni teorema, oltre quella già trovata?

Il teorema di Pitagora si può dimostrare in centinaia di modi diversi. Questa analogia è estensibile largamente a tutta la matematica?

Esistono problemi fondati, ma irrisolvibili? L’universo matematico vive di infiniti ed è perciò necessario potarlo come un albero troppo grande?

La nostra logica su che cosa si basa? Da quale universo collegato emergono la creazione e l’intuizione? La matematica è una scoperta o un’invenzione? La realtà è matematica, oppure dobbiamo soltanto prendere atto dell’irragionevole efficacia di questo utile approccio, accolto invece con massima fiducia dagli antichi pitagorici e poi in età moderna da Galileo?

Le domande non finiscono mai, ma una buona domanda è già una mezza risposta. Solo che il criterio è purtroppo valido ex post. Ex ante valgono l’intuizione e l’analogia, ma la rotonda verità contiene se stessa.

Domande, alle quali non è possibile rispondere, ma che sempre possono essere affacciate. Del resto, in base a quale antropologia i postulati sono evidenti di per sé?

La matematica moderna, che è iper-complessa, ha esplorato molte zone di un immenso bosco, e ha trovato delle confluenze, dei giri strani, dei sentieri che si incontrano di nuovo. Simmetrie, e teoria dei gruppi, come in fisica. Spazi a infinite dimensioni, che non possiamo visualizzare in alcun modo. Estensioni estreme di concetti ordinari, ben fondate. Ma senza aver potuto inquadrare bene il concetto di numero.49

Non potendo, neppure da lontano, nominare argomenti così difficili, ci si deve limitare ad alcune curiosità, con accenni a cose molti semplici.

La ‘domanda’ – in questo caso – è se la formula di Cartesio-Eulero che connette facce, spigoli e vertici, sia l’unica spiegazione possibile, oppure se sotto questa lucida superficie si nasconde, per caso, un’oscura sostanza. Le formule hanno un contenuto operativo e una sostanza esplicativa. I due momenti coincidono o rimangono separati? E se non coincidono, allora che cosa è stato veramente spiegato?

Per rimanere in quest’ambito di semplice curiosità, al quale ci dobbiamo limitare per mancanza di risorse, vale forse la pena di proseguire nel gioco, prima di affrontare il tema specifico. I numeri hanno il loro fascino. Gli ingenui, pieni di speranze, giocano al lotto sui ritardi, e lo Stato incassa ottime cifre.50I numeri continuano ad affascinarci anche quando non li comprendiamo.

Sembra che un discepolo di Platone, Senocrate (396-314 a.C.), suo compagno di viaggio in Sicilia, avesse calcolato il numero imponente (1.002.000.000.000) delle sillabe che potevano essere formate con le lettere dell’alfabeto greco.

La notizia, riportata da Plutarco, sarebbe il primo importante esempio di calcolo combinatorio della storia.51

Ma potrebbe darsi che il calcolo combinatorio avesse, in antico, una frangiatura geometrica, attraverso i numeri catalani (studiati dal matematico francese E. C. Catalan, 1814-1894).52

Quando i profani parlano dei numeri rischiano di darli per primi. Ma certe storie del passato possono nascondere piacevoli sorprese che, addirittura, sembrano sconfinare nella deprecata numerologia che infastidisce i matematici.

Ci scherzeremo sopra, per curiosità e per provocazione. Siamo e rimaniamo dei profani.

I pitagorici, per certi aspetti, sono accostabili a Eraclito, detto l’oscuro, il filosofo ionico del divenire, autore di un enigmatico poema sulla natura scritto in età avanzata (verso il 490). Forse Eraclito era di una generazione successiva a Parmenide. I due abitavano le opposte coste mediterranee dell’oriente e dell’occidente. Il logos di Eraclito è eterno, ma è un essere sempre assente. Non si può chiederne l’origine: né nel senso della natura, né in quello del mito.

Gli uomini che si interrogano non comprendono come, pur discordando in se stesso, è concorde: armonia contrastante come quella dell’arco e della lira (fr. 76).

L’immagine dell’arco e della lira riporta ai simboli solari di Apollo. Come nel caso di Parmenide ouliades, sacerdote solare associato al culto di Apollo oulios, cioè “guaritore”.

Basterà qui ripescare una notizia tratta da Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, (II, 47), a proposito dei popoli Iperborei.

Diodoro accenna a un’isola che sarebbe fertile e produrrebbe ogni tipo di frutto; inoltre avrebbe un clima eccezionalmente temperato, cosicché produrrebbe due raccolti all’anno…Apollo vi sarebbe venerato più che gli altri dèi; i suoi abitanti sarebbero anzi un po’ come sacerdoti di Apollo, perché a questo dio si inneggia da parte loro ogni giorno con canti continui e gli si tributano onori eccezionali. Sull’isola ci sarebbe poi uno splendido recinto di Apollo, e un grande tempio adorno di molte offerte, di forma sferica. Inoltre, ci sarebbe anche una città sacra a questo dio,e dei suoi abitanti la maggior parte sarebbe costituita da suonatori di cetra…Dicono poi che da quest’isola la luna appaia a pochissima distanza dalla terra, e con alcuni rilievi quali quelli della terra chiaramente visibili su di essa…

E chiaro che si tratta di Stonehenge, per quanto il dato climatico non si lasci comprendere, se non si tiene conto dell’effetto mitigatore e benefico della “corrente del golfo”.53

Ma non è stato ancora notato da nessuno il possibile collegamento con un altrettanto strano passo, riferito ad Anassimandro e riportato da Teofrasto54: Gli astriverrebbero fuori in un cerchio di fuoco, distaccandosi dal fuoco nel mondo e recinto da aria. Perciò spiragli risulterebbero poi certi condotti cubiformi, in corrispondenza ai quali appaiono gli astri; per cui anche con l’ostruzione degli spiragli avverrebbero le eclissi.

Diodoro Siculo stava forse accennando a un cannocchiale, o qualcosa di simile, che mostrava i monti lunari? Probabilmente, questo fatto vale anche per la parte meno equivoca e purtroppo corrotta del frammento di Anassimandro. Secondo l’assirologo Giovanni Pettinato gli astronomi caldei conoscevano l’uso del cannocchiale a lenti, mentre quel singolare storico della matematica, ladro di antichi manoscritti, che fu Guglielmo Libri, riporta la notizia di un telescopio riflettore costruito da Archimede, che si trovava ancora a Ragusa (odierna Dubrownik) nel XVII secolo.

Forse è da rivedere qualcosa. Forse gli antichi erano meno primitivi di quanto abbiamo creduto (Lucio Russo, La rivoluzione dimenticata). Forse le civiltà riprendono a fiorire, anche dopo tanti secoli, da dove si erano smorzate.

Parmenide di Elea ed Empedocle di Agrigento, autori italici di poemi pitagorici sulla natura, figuravano nel catalogo allegato alla Vita pitagorica scritta da Giamblico tanti secoli dopo.

Il lavoro di Giamblico sul pitagorismo era un’opera complessa divisa in 10 parti di cui poco si è salvato oltre questa romanzata biografia rimasta integra. Oggi si tende a negare che Parmenide fosse stato un seguace pitagorico, sostenendo addirittura (sulla base dei paradossi di Zenone, ricordati da Aristotele e da Simplicio) che ne fu un avversario. Ma poiché l’argomento ha a che fare con la ben rotonda verità (Parmenide) e col rotondo Sfero retto da Giuntura (Empedocle), li abbiamo voluti richiamare e li abbiamo considerati come autentici pitagorici, alla stessa stregua di Archimede più di due secoli dopo.

E’ facile “immaginare”, facile attribuire al pitagorismo dottrine d’accatto. Ma se passiamo a considerare la dottrina professata dei Pitagorici notiamo che il concetto fondamentale della misura e dell’armonia è comune con logos di Eraclito. Anche i pitagorici l’armonia è unificazione di molti termini mescolati, e accordo di elementi discordanti. Non si ponevano domande sulla nascita delle cose, ma sul loro esistere o puro sussistere. La domanda sulla verità delle cose coincide con la domanda sulla loro forma immanente, sul principio formante che in esse mostra di agire (E. Cassirer).

Sorse l’idea di proporzione, e il numero è posto alla radice dei fenomeni. Un frammento di Eudemo, riportato da Proclo, afferma che Pitagora si dedicò allo studio della geometria e le diede forma di educazione liberale, ricercandone i principi primi, a partire dall’alto, e investigandone i teoremi concettualmente e teoreticamente.

La Vita pitagorica è avvolta nella leggenda, ma un nucleo di verità permane. La geometria e la matematica greca ne recherebbero l’impronta. Quando si parla dei Pitagorici si finisce immancabilmente per citare Filolao (frammenti, oggi ritenuti genuini).55 Come il mondo dei suoni (ancora una volta le corde di una lira, oppure certi martelli), si ordina e si articola in rapporti di consonanza numerici, allo stesso modo il mondo delle figure geometriche è possibile, per il fatto che la forza limitante del numero penetra nel principio in sé illimitato dello spazio vuoto in sé uniforme (Cassirer).

Cosicché, a partire dall’idea dell’illimitato e dal limitante, la natura del cosmo è composta di elementi illimitati e di elementi limitati: sia il cosmo nel suo insieme, che tutte le sue parti (Filolao, fr.1).

La sintesi dei principi contrari è descritta con immagini semi-mitiche: il principio delimitante, pensato al centro del mondo, deve aver attirato in sé l’illimitato dall’infinita periferia, per così dire inspiratolo in sé, conferendogli figura e forma (Aristotele, Fisica). Ma Filolao concepiva il numero in conformità della natura dello gnomone, e proprio la figura dello gnomone doveva rivelarsi, sorprendentemente, uno strumento insostituibile, non solo per l’algebra geometrica.56 E questo gnomone (piano o solido) richiama l’eccesso e il difetto.

Il contorno leggendario e mitico, è una veste di incomprensione. Sui Pitagorici si potrebbe fantasticare in molti modi, ma le fonti attestano una Scuola Italica.

Se Nicomaco di Gerasa, seguace del neopitagorismo, scrisse una Introduzione all’aritmetica, che fu tradotta in latino da Boezio, e una Teologia aritmetica, che sviluppa il valore mistico dei numeri secondo il modello cui si ispirò il Demiurgo nella creazione del mondo, Teone di Smirne scrisse invece sulle cognizioni matematiche utili per la lettura di Platone.

Teone sottolinea il collegamento stretto di Platone coi pitagorici. La stessa cosa affermava Severino Boezio: Platone studiosissimo di Pitagora. Ci sono serie ragioni per crederlo. E questi collegamenti li facciamo sempre a proposito del taccuino segreto di Cartesio, nel tentativo di immaginare che cosa gli fosse passato per la testa, anche se l’impresa sembra impossibile o inverosimile.

Teone ricorda anche Il Platonico, opera totalmente perduta, scritta da Eratostene. I numeri che figurano nei Dialoghi platonici sono molto interessanti (l’enigma del numero nuziale non è stato pienamente svelato).

Se l’aritmetica è granulare, la linea è continua. I pitagorici si trovarono davanti a una contraddizione. Se la diagonale del quadrato è incommensurabile al lato, in unità numeriche, tuttavia due grandezze omogenee danno sempre luogo a un rapporto, anche se sono incommensurabili.57

E’ da credere che tali soluzioni siano pitagoriche. Quindi la scoperta degli irrazionali non fu quel dramma riportato dalla leggenda, bensì la soluzione da essi trovata al loro problema, di cui deriva anche l’omonimo teorema, che appunto ne deriva come prova e non come causa. Il quadrato razionalizzava la diagonale.

Il piano geometrico illimitato è una grande invenzione pitagorica. In esso si dispongono geometricamente i numeri naturali, (tutti i numeri), e anche gli irrazionali (costruibili geometricamente sulla linea).58 Le aree sono quadrati successivi della serie aritmetica dei numeri dispari.59

La tetraktys pitagorica potrebbe allora non essere una raffigurazione primitiva e banale della decade. Il pitagorismo, che attraversando il primo millennio antico giunse ai moderni, avrebbe ancora molto da dire. Forse il taccuino di Cartesio, e Cartesio in prima persona, avevano compreso ciò che c’era da capire….

Forse la geometria delle coordinate, che permette tra l’altro la rappresentazione algebrica delle sezioni coniche, nasce da una visione pitagorica, e Menecmo (un allievo di Eudosso) fu uno dei tramiti per Cartesio?

Forse (anche se è facile riportare tutto all’indietro), le dottrine pitagoriche sono molto più profonde. Forse risale a queste concezioni una prima idea della topologia e degli invarianti. Forse l’ultimo dei pitagorici non è stato Archita di Taranto, ma Archimede di Siracusa, da cui è ripartita la rivoluzione scientifica moderna con Copernico, con Keplero, con Galileo, con Cartesio e altri ancora.

Ipotesi ardite, che nascono dai solidi platonici, da Archimede e il suo ventaglio di interessi, e che arrivano al taccuino perduto di Cartesio…

Prima di passare ad altre piccole curiosità divertenti per concludere la digressione, ci sembra opportuno riprodurre la tavola concettuale delle 10 coppie dei contrari pitagorici:60

Limitato Illimitato Stasi Movimento

Dispari Pari DirittoCurvo

Uno Molteplice Luce Tenebre

Destro Sinistro Buono Cattivo

Maschile Femmnile Quadrato Rettangolo

Vi è un’evidente somiglianza con i 4 contrari del poema di Empedocle e i 4 elementi terrestri del demiurgo (i principi, archèai o cause prime di Talete, di Anassimandro e di Anassimene, accanto al fuoco del logos di Eraclito).

I contrari pitagorici stabiliscono lo schema, astraendolo e ‘simmetrizzando’. Si potrebbe inoltre notare che la ricerca di Archimede (in fisica e in geometria) si ascrive alle dicotomie pitagoriche di stasi-movimento e di retto-curvo.61 Insomma, i pitagorici avrebbero gettato le fondamenta dell’edificio matematico greco che andò via via completandosi come un tempio della ragione elevato verso la volta celeste. Una sfida di bianchi marmi sul notturno cupo del mistero. La luce delle stelle fondò l’etica della ragione, la legge morale delle civiltà tese al progresso (e ne viene un’eco, per Kant: il cielo stellato sopra di noi, la legge moraledentro di noi). Siamo figli del genio greco, erede a sua volta di civiltà più antiche che avevano esaurito il loro ciclo, ma che erano state comunque in grado di trasferirne i semi.

Rispetto alla “tavola pitagorica dei contrari”, dov’è finito l’apeiron di Anassimandro?62

Sembra trovarsi sulla prima riga, a destra. Ma non è così. Il glottologo eterodosso Giovanni Semerano (scomparso a tardissima età), ha dimostrato che in lingua accadica non si tratta, letteralmente, altro che di sabbia,63 la stessa del Psammites o Arenario di Archimede.

L’immagine di un deserto, attraversato da onde di sabbia come il mare, poteva rappresentare la sterminata estensione dell’illimitato, i cui semi o grani impalpabili, erano il numero incalcolabile.

Il piano infinito pitagorico risentiva del pensiero degli antichi egizi, ed è la idealizzazione di una sovrastante dimensione, che tutto avvolge e raccoglie.

Oggi noi vediamo spuntare dalla sabbia la mole geometrica delle piramidi, mentre la sfinge, misteriosa e risuonante delle antiche cronache, orientata verso il sorgere del sole, ci costringe ad alzare gli occhi al cielo lontano. Si raccontava che al sorgere del sole la sfinge emettesse dei suoni meravigliosi e struggenti. Nell’Odissea è possibile che sia diventato il canto delle Sirene ammaliatrici, che Ulisse udì con un trucco.

Con Leibniz, e l’illuminismo nascente, si guardò ancora alle antiche, portentose civiltà del passato, scomparse nell’oblio, ma riecheggianti miti e scritture indecifrabili.64

Al pitagorismo, il matematico moderno Eric Temple Bell dedicò negli anni trenta del secolo scorso un vivacissimo e profondo saggio discorsivo, La magiadei numeri. La parola precede il numero, il numero non l’ha abrogata. Il logos ha la precedenza. Il numero gli si accosta e lo aiuta.

Uno degli ultimi ‘pitagorici’ moderni è stato il famoso astronomo inglese Arthur S. Eddington.65 Evidentemente contagiato da Albert Einstein, altro ‘pitagorico’ mascherato, che amava gli esperimenti mentali, Eddington era convinto che le 7 costanti fondamentali della fisica66 potessero essere derivate a tavolino e che in ogni caso nascondessero un mistero numerologico.

Nel 1936 uscì in Inghilterra la Teoria della relatività dei protoni e degli elettroni, un’opera tecnica di 329 pagine, a grande formato.

Eddington, che ne era l’autore, osservava che esistono costanti di natura,67 sette delle quali fondamentali per la fisica e la nuova cosmologia. Tre di esse sono la massa del protone, quella dell’elettrone, e l’unità minima di carica elettrica.68 Poi la costante h di Planck, accanto ad altre tre costanti: la velocità della luce, la costante gravitazionale, e la costante cosmica (che era stata introdotta ad hoc da Einstein).69

Le espressioni matematiche di queste sette costanti si rifanno a unità arbitrarie di lunghezza, tempo e massa. Grazie all’algebra elementare, queste tre entità arbitrarie possono essere limitate. Le sette costanti generano così un gruppo di 4 numeri puri (4 è il numero pitagorico degli elementi e della giustizia),70 che richiamano le concezioni di Pitagora e di Empedocle.71

Tra i 4 numeri puri vi è il valore di N, che non è – in questo contesto – il numero di Avogadro, bensì il numero delle particelle dell’universo.

Un altro numero importante è 137, associato alla costante di struttura fine in spettroscopia.72

Un terzo valore è il rapporto tra massa del protone e quella dell’elettrone, che è un numero razionale.

Il numero N delle particelle è teorico. Eddington osservava che tutte e quattro le costanti sono state ricavate con calcoli puramente teorici. Egli poi notava che le 4 dimensioni dello spazio-tempo potevano essere considerate come una quinta costante universale di natura (quindi, 5 numeri in tutto, quanti i 5 solidi cosmici di Platone).

Eddington faceva quindi notare che anche il numero delle dimensioni (tempo compreso) risponde al principio epistemologico che possiamo osservare solo e soltanto le relazioni tra due entità.

Eddington concluse: Sarebbe stato imbarazzante se non si fosse trovato questo accordo; ma la teoria non si appoggia a testimonianze di origine empirica.

L’assunto di Eddington era perciò che le risorse teoriche sono di per se stesse sufficienti. Si tratterebbe di questioni puramente formali, del genere di quelle applicate in geometria.

Eddington si accinse a derivare il numero 137 della costante di struttura fine, che è un numero primo, da considerazioni puramente epistemologiche, cioè a tavolino. Quando, nel 1920, il nuovo pitagorismo fece la sua prima apparizione, fu considerato un’innocua forma di misticismo. Nel 1937, aveva conquistato un seguito così cospicuo, che ne seguirono accesi dibattito tra i molti seguaci e i vari dissidenti. La discussione fu aperta dall’astronomo teorico E. A. Milne, noto anche per aver avanzato il principio cosmologico, fondato sull’argomento antropico (il monde esiste, con le sue caratteristiche, in funzione di chi lo osserva; siamo qui per questa precisa ragione: molto probabilmente, Cartesio si sarebbe dichiarato d’accordo).

Secondo Milne è possibile derivare razionalmente le leggi della dinamica senza ricorrere all’esperienza, a differenza di quanto fecero Galileo e Newton (quanto a Newton dobbiamo però mettere in conto, nel suo pensiero, i preponderanti aspetti esoterici, scarsamente conosciuti).

Herbert Dingle (che in seguito divenne il più feroce critico della teoria della relatività fino a giocarsi fama e carriera),73 si schierò contro le idee di Milne.

Per Aristotele la mente umana aveva una conoscenza soprasensibile, ma sappiamo come andò a finire con Galileo e la rivoluzione scientifica moderna.

Anche P. A. M. Dirac era, in qualche modo, un pitagorico moderno. Egli fece delle osservazioni sui grandi numeri delle particelle dell’universo (come ad esempio 10 elevato a 39), che dovremmo prendere in considerazione in modo affine, ovviamente per gioco, quanto all’enorme problema bovino riferito a un epigramma di Archimede di 22 distici, indirizzato a Erastotene, che presenta 8 soluzioni numeriche minime che deborderebbero, come numero di cifre, da un volume di oltre 600 pagine (questo scritto possiede una filigrana allusiva non dichiarata, che spetta al lettore snidare rovistando in altri nostri appunti).74

Il punto che ci interessa è se la scienza si fonda tutta sull’osservazione più che sull’invenzione di principi primi. Il che è un paradosso. Quanto vale per la matematica, che è tipicamente deduttiva, non varrebbe per la fisica, sebbene non si dia scienza senza la matematica. E la cosmologia moderna? Non a caso abbiamo più volte alluso ad Archimede, che cercò di misurare la grandezza dell’Universo a partire dal granello di un seme di papavero.

Nel novero dei grandi scienziati esoterici, accanto a Keplero e a Newton, dovremmo aggiungere anche Archimede e Cartesio. Certe loro stranezze lo imporrebbero. Certe scoperte sembrano uscite a sorpresa dal cappello a cilindro di un prestigiatore. Vale anche per la formula dei poliedri di Cartesio.

NUMEROGOLOGIA: GRANDI E PICCOLE SOPRESE

L’argomento resta quello del taccuino cifrato di Cartesio e della formula dei poliedri, che è indubbiamente elementare.75 Dal momento che il metodo storico indiziario è immaginativo e analogico, oltre che necessariamente logico, non ci tireremo indietro nella ricerca dei lati oscuri del problema del taccuino segreto sulla base di certi accostamenti, anche se il loro effettivo valore fosse soltanto quello di una semplice curiosità appena fondata o del tutto immaginaria (che il lettore possa svagarsi sogando ciò che non c’è).

Divertiamoci pure con la numerologia [pochi ma sapidi esempi], considerata però l’esistenza di esempi illustri come questi che seguono. In certi grandissimi matematici, come nel caso di Ramanujan, non si riesce a cogliere il preciso confine tra la raffinata numerologia e l’estrema genialità matematica, posto che la sua piccola dea domestica Namagiri, venerata a Namakkal, in India, ha i suoi segreti.76

Se la genialità non si presentasse in forme assolutamente eccezionali, talvolta in forme mistiche e non materializzabili, rientrerebbe allora nell’ordinario, anche se ai confini decisamente superiori del talento autentico, però senza la potenza luminosa dell’arcobaleno, simbolo della divinità, o il fascino del mistero, che tale deve restare, al di sopra della ragione: diremmo, nella contemplazione oppure nel sogno ‘verace’.

Wolfgang Pauli era ossessionato dai numeri 3 e 4 (come Eddington). Divenuto intimo amico di Carl Gustav Jung, il grande psicanalista viennese, di cui fu il paziente più illustre e geniale, collaborò strettamente con lui: resta infatti un importante carteggio Puli-Jung, innestato sulla raccolta di strani sogni.

Nel 1954 Pauli pubblicò un libro, di recente tradotto in italiano, Psiche e Natura (in genere viene citata la teoria della contemporaneità, ovvero delle coincidenze significative di Jung-Pauli, ma non è di questo che qui si vuole parlare).77

In questo straordinario libro di Pauli si discute del ruolo degli archetipi nella scienza. Pauli riporta l’eccezionale carteggio segreto tra Keplero e Robert Fludd. Il grande fisico svizzero, attratto dalla gematria, si era reso conto che il valore delle lettere che compongono la parola ebraica cabala è 137.

A questo numero primo, anche Pauli, come Eddington, assegnava un valore mistico. Pauli morì il 5 dicembre 1958, all’età di 58 anni. Il numero della sua cameretta d’ospedale era proprio il 137. Il matematico inglese G.H.Hardy, che aveva scoperto la grandezza di Rananujan, e l’aveva invitato presso di sé in Inghilterra, ricorda che era andato a trovarlo all’ospedale di Putney, dove era a letto ammalato, quella malattia che poi lo condusse alla morte. Il numero del taxi che aveva preso per arrivare all’ospedale era 1729. Ramanujan gli fece notare che si trattava di un numero assai interessante, che poteva essere espresso come somma di due cubi perfetti in due modi diversi.78

Uno dei numeri di Platone è 729 (cubo di 9). Il numero 5040 di Platone ha 59 divisori (59 è numero primo). Tale numero corrisponde al fattoriale 7!. Come al prodotto di 7 per 8 per 9 per 10 (esaurisce, cioè, in due modi, il prodotto dei numeri della decade pitagorica, ferma restando la presenza del 7 = 4 + 3, vale a dire i due numeri che ossessionavano Pauli).

Tra questi 59 divisori del numero 5040 non figura il numero 11. Ma 5038 è divisibile per 11 (si può notare che la differenza 2 corrisponde alla somma cifre di 11).

Il triangolo di Tartaglia-Pascal, già noto agli Arabi di Spagna e probabilmente molto più antico, non solo ingloba in sé il sistema decimale, ma dà anche luogo (a certe semplicistiche condizioni di somma delle cifre), alla serie progressiva delle potenze di 11 (altro numero primo, immediatamente fuori dalla decade pitagorica).79

Nicomaco di Gerasa conosceva lo sviluppo del binomio (il secondo gradino pitagorico del problema bovino di Archimede, tiene conto, 500 anni prima di Diofanto, di un piccolo teorema sulla relazione tra numeri quadrati e numeri triangolari: Q dipari = 8t +1, che rappresenta lo sviluppo del binomio alla seconda potenza di (2n + 1).80

Se dal numero cubo di Platone 729 sottraiamo 137, otteniamo 592, di cui uno dei fattori di scomposizione è il numero primo 37. In ogni caso la differenza tra 1729 e 729 è la potenza cubica della decade pitagorica. Nei Vangeli è narrato che la pesca miracolosa di Tiberiade diede 153 pesci, un numero pitagorico esagonale, un cui fattore è il primo 17. Perdonare 77 volte 7 fa 539. Il numero 666 dell’Apocalisse (fermo restando che l’apostolo San Giovanni richiama, accanto al trono di Dio, il numero benefico 24, che il fattoriale 4!), sottratto al numero 153 della pesca di Tiberiade, dà 513, con un fattore primo 19. Sottratto al perdonare 77 volte 7, dà il primo 127, che aggiunto alla decade pitagorica riporta al 137 della costante di struttura fine.

Si può notare che la somma-cifre di 1729 si riporta al numero 10, mentre la somma delle cifre di 729 attiene al numero 9 (come appunto la somma dei 5 poliedri regolari e dei 13 poliedri semiregolari), quando poi la somma-cifre di 137 restituisce ancora una volta la decade pitagorica.

Ovviamente il criterio della somma cifre è significativo in aritmetica soltanto come criterio di divisibilità per 11 (vedi ad es. il numero 5038, che presa ogni cifra, con il segno più e meno alternati in questo ordine, fornisce zero come risultato finale: i numeri che compaiono nello sviluppo del triangolo di Pascal, presi insieme come numero decimale unico lungo ciascuna riga, danno sempre zero come risultato).

Senza essere blasfemi, i 12 apostoli sembrano corrispondere alle 12 facce del dodecaedro cosmico. Ci siamo persi nel dare i numeri…

La Scatola della Luna (come la chiamava Al-Biruni) era un congegno astronomico di tipo analogico. Un calcolatore meccanico dell’antichità. Cynthia era il nome della luna (presente in uno dei due anagrammi il cui testo era stato inviato da Galileo a Keplero nel 1610).81Lo stesso nome compare in una composizione del poeta latino tardo Claudiano, a proposito della sfera celeste di Archimede, predata a Siracusa dal console Marcello nel 212 a. C. [Era stata poi appesa a una trave del tempio di Vesta a Roma, e qui Ovidiola descrisse]. Cinzia è ugualmente il nome della donna cantata da Propezio nelle Elegie: chi non vede la luna alzando gli occhi al cielo, di notte e anche di giorno? La Scatola della luna aveva una ruota meccanica con 59 denti (ed è un numero primo). I matematici sono ‘lunatici’. E’stata la Luna a istruirli. La stessa luna di Leopardi o dei lunatici di Fellini. Il sole e la luna. 365 è il prodotto di 5 per 73. I giorni di luna visibile sono 28, un numero pitagorico perfetto. Il mese lunare è il numero primo 29.

Numerologia, senz’altro: anche di un certo livello, in ceti casi, oppure banale. Ma i c.d. numeri ciclici hanno certe loro proprietà.82 Ad esempio, la somma frazionaria (in frazioni egiziane con numeratore 1) di tutti i divisori del numero perfetto pitagorico 28 (cioè le 5 frazioni 1/1 + 1/2 + 1/4 + 1/7 + 1/14 =28, che è poi il numero dei giorni di visibilità della luna), vale 2,83 lo stesso numero 2 che è poi la costante della formula dei poliedri Cartesio-Eulero.

Il breve excursus numerologico che abbiamo aggiunto, potrebbe essere impinguato con altre curiosità, fino a incontrare la terza legge orbitale di Keplero (quella che collega a una costante il rapporto tra i quadrati dei tempi di rivoluzione intorno al sole e il cubo delle distanze dall’astro centrale per orbite ellittiche). Aggiungeremo altre curiosità, senza alcuna autorità o competenza, solo per stimolo alla fantasia (fantasticare-ragionare: sogno e risveglio). Ma il numero 2 è affascinante: principio della mente, rappresenta l’atto stesso della creazione che si risveglia nella coscienza, come capacità di conoscenza. Ed è la dimensione dei poliedri, la dimensione due del piano delimitato. Cosa non diversa dal riportare sul piano le varie facce dei solidi platonici (facile per il cubo).

Il numero N di Avogadro è uguale a 6,0226 per 10 alla 23 (numero di particelle per grammomolecola di sostanza). La costante gravitazionale G di Cavendish (1731-1810), il cui valore – da misurare sperimentalmente – non era ancora noto a Newton, è uguale a 6, 67 per 10 alla meno 11 newton, per metri al quadrato su chilogrammi al quadrato. La costante di Planck vale 6,63 alla meno 34 joule per secondo. Numerologia approssimata.

E’ chiaro che il sistema a base decimale deriva dalle 10 dita (come affermava Aristotele). Il fattore 6 è una coincidenza. Ma il numero 6 (numero fattoriale 3!, numero perfetto e numero triangolare pitagorico) è identificativo della sfera (le 6 direzioni o raggi essenziali sono i parametri fondamentali per le equazioni della meccanica celeste).

I bizzarri (a dir poco) decimali infiniti del numero e ed anche di pi greco sono legati tra loro dalla famosa formula di Eulero,84 definita la più bella di tutta la matematica. Si tratta di due numeri trascendenti.85 Nel 1665 Newton aveva scoperto il numero e (la lettera identificativa “e” fu introdotta nel 1739 da Eulero), ricavandolo da una serie fattoriale.86

Archimede determinò invece il valore di pi-greco, compreso tra i valori delle frazioni 22/7 e 22/71 (limite massimo e limite minimo). L’area di un cerchio di raggio 1 cm. è 3, 141… La superficie di questa sfera è 4 pi-greco.87 4 diviso pi greco è uguale a 1, 2732…

L’area di una calotta sferica con un solo angolo e il quarto di cerchio sottostante, è 0, 2732 ( < 4 – pi greco > / pi greco).

Il rapporto frazionario 1/27,32 è uguale a 0, 03660, mentre 1/366 corrisponde a 0,002732. Si riconoscono i numeri del periodo siderale della luna88 e quelli dell’anno bisestile. Qui la numerologia si fa abbastanza interessante.

L’accelerazione della luna è 0, 273 centimetri su secondi al quadrato. Il raggio lunare è 0, 272 raggi terrestri. Il rapporto tra la massa terrestre e quella lunare è 1/81 = 0, 012345679 (nella serie decimale di 9 cifre manca all’appello il numero 8).

La terza legge di Keplero (che con le altre due leggi orbitali costò al grande astronomo un’enorme fatica per tanti anni di studi e di osservazioni) enuncia la costante (una sorta di invariante parmenideo) del rapporto tra il quadrato dei tempi di rivoluzione il cubo della distanza (semiasse delle orbite ellittiche). Questa terza legge delle orbite ha permesso a Newton di fondare la dinamica e il calcolo infinitesimale.

La terza legge di Keplero ha un carattere dimensionale nascosto (vedi i nostri appunti su Archimede, parte terza). Se consideriamo il tempo t di rivoluzione alla stregua della linea svolta o perimetro89 dell’ellisse-orbita, lungo la quale scorre un punto, e cioè il pianeta, allora la distanza r (o semiasse orbitale ellittico) può essere visto come un raggio rotazione che spazza parimenti un’area. Abbiamo un invariante omogeneo, che connette la dimensione 1 a quella 2. Poiché ciò avviene nello spazio reale s (che a piccola scala è di dimensione 3, in quanto soltanto l’orbita di Mercurio abbisogna della correzione spazio-temporale della teoria generale della relatività per via della maggiore vicinanza al sole che incurva lo spazio-tempo), a questo punto occorre aggiungere l’unità. Quindi i valori dimensionali effettivi sono 2 e 3, e non più 1 e 2. Sostituendo all’integrale generico dello spazio percorso: s = vt (cioè l’orbita compiuta contemporaneamente dal punto in movimento e dal semiasse-segmento che spazza l’area così completando il medesimo percorso), il rapporto v/t (che deriva legittimamente dalla divisione, per il prodotto t per t, dei due termini dell’equazione della spazio percorso corrispondente al prodotto della velocità media per tempio impiegato), ci accorgiamo che il risultato di questa operazione corrisponde, in effetti, a un rapporto puro r/t, che deve verificarsi necessariamente, perché s3/tt è correlabile a r3 /t2.

La conclusione della trasformazione ‘concettuale’ è che le distanze (r3) devono essere prese al cubo, poiché i tempi o periodi orbitali (t2) devono essere presi al quadrato.

Per un logico antico come Zenone, spazio al cubo e tempo al quadrato non avrebbero avuto alcun senso. Così come le stesse categorie di spazio e tempo erano messe in discussione: aspetti ingannevoli dell’Essere di Parmenide, che dovevano essere razionalmente esclusi. Per questa ragione Zenone inventò, di sana pianta, 40 paradossi (il numero corrisponde a 4 volte la decade pitagorica), che danno ancora oggi del filo da torcere, malgrado l’apparente sconfessione della teoria matematica dei limiti. Zenone, allievo di Parmenide, non lo fece con lo scopo di affermare alcunché, in modo positivo, ma solo al fine di confondere e di togliere di mezzo ogni contraria opinione rispetto al principio immutabile di permanenza.90

Secondo il punto di vista pitagorico il punto ha dimensione 1, la linea intesa soltanto come segmento si conserva nella dimensione del 1 punto, mentre la superficie delimitata ha valore dimensionale 2 (come la curva infinita di Peano). La dimensione solida ha valore 3, il piano geometrico-numerico infinito (che chiude l’anello), ha valore 4 (come il numero indice “4” che è la costante della superficie sferica). Tutto ciò sarebbe stato rappresentato dai pitagorici nella raffigurazione simbolica della tetraktys e di questa strana osservazione decisamente fuori dai canoni cercheremo di fornire una dimostrazione.

E’ fuori di dubbio che i poliedri regolari e semiregolari sono topologicamente connessi alla sfera. In altri termini, il rotondo Sfero dei poemi di Parmenide e di Empedocle, che rappresentava l’Universo. Ecco perché gli elementi terrestri sono 4 secondo la ruota degli opposti. I pitagorici aggiunsero quello uranico, l’elemento celeste rappresentato dal dodecaedro, che era il riferimento degli astronomi e dei naviganti, come fascia zodiacale delle 12 costellazioni dell’eclittica o apparente percorso del sole, stagionalmente più o meno alta sull’orizzonte, che mutava con l’alternarsi dei cicli stagionali. Le coppie di opposti della “tavola pitagorica” sono 10. Il sistema decimale coesisteva con quello sessagesimale.

I 5 solidi platonici trovano posto nella matematica moderna nell’ambito della teoria dei grafi.91 Per i matematici moderni l’argomento appartiene al ramo della topologia, di cui la teoria dei grafi è una componente. La materia sognante dei solidi platonici è minuscola cosa nell’attuale panorama matematico.

Ciò non toglie che possa presentarsi curiosa e dilettevole, interessante dal punto di vista storico, ed è l’aspetto che ci riguarda, non essendo dei matematici, neanche a infimo livello.

DIGRESSIONE SUL PITAGORISMO

I pitagorici affermavano che il numero è essenza delle cose. In realtà, questa versione banale è frutto di una incomprensione di fondo.92

L’armonia, la simmetria rendono le cose conoscibili. Molto probabilmente, le caratterizzano anche. Dunque, è questo il modo di essere e di prodursi del numero. Per esempio, l’aria veicola nello spazio veicola l’onda sonora. Si tratta in realtà di un frattale, che rende chiaro il suono all’orecchio.

Per i pitagorici i numeri erano la veste delle cose, che rimanevano misteriose, nel loro ‘in sé’. Il numero è un linguaggio relazionale. Non il significato puro.

Le conoscenze astronomiche dei pitagorici erano singolarmente moderne. Il metodo “per esaustione” nacque da una loro idea sull’eccesso e sul difetto dello gnomone. I pitagorici, secondo certe opinioni, avrebbero elaborato più antiche dottrine, sia cinesi che indiane. Potrebbe trattarsi di un sincretismo matematico e geometrico di vasto raggio, che i pitagorici risolsero in modo coerente e accettabile.

Un brano della Vita Pitagorica di Giamblico ricorda lo smarrimento del danaro della setta, ma in seguito a questa disgrazia, venne accordato loro di battere moneta con la geometria. Attenzione. E’ lo stesso racconto della via regia di Euclide e della moneta d’oro restituita. Il tesoro pitagorico nascosto consisteva in una filosofia astratta dello spazio, che non poteva essere compresa dai contemporanei profani, annegati nel senso immediato delle cose. Matematica e geometria danno luogo a una idealizzazione e sono come una scarnificazione.

Le dottrine segrete pitagoriche erano orali, come quelle di Platone. Il concetto geometrico di spazio era definito come ente continuo e illimitato. Si trattava del piano pitagorico illimitato (legato ai numeri geometrici), non lo spazio a tre dimensioni del cosmo, racchiuso da una impalpabile superficie sferica che delimitava l’Essere e il Nulla. Essi immaginavano l’Essere come unico essente; il Nulla esterno al rotondoSfero era la ragione profonda e avvolgente del tutto. Le cose venivano generate da un piano infinito ideale, sostanza geometrica generatrice del numero e dei fenomeni legati alla leggi di proporzione e di armonia. Una visione astratta, fondata sulle simmetrie invarianti, resa concreta e accessibile dal paragone con le proporzioni musicali. Non un fatto immediato, ma qualcosa da intendere in altro modo, concettualmente e impalpabilmente, come la musica.

Per questa ragione i pitagorici studiarono a fondo la teoria delle proporzioni: aritmetica, geometrica e armonica. Il problema di Delo è tipicamente pitagorico (ne reca, infatti, il marchio inconfondibile). Riga e compasso rappresentavano le categorie del “retto” e del “curvo”, strumenti puri che Platone raccomandava ai geometri, evitando artifici meccanici od empirici. L’incommensurabile fu domato da un teorema (giustamente detto di Pitagora), la cui rappresentazione geometrica, in funzione della figura del quadrato, realizzava ruotando il primo approccio alla spirale (il raccordo dimensionale era stato colto dapprima come elica cilindrica, e, in seguito, si era passati alle sezioni coniche rette: materiali fossili di cui terrà conto Archimede).

Ai pitagorici interessava anche il segreto dei numeri primi (il “crivello” di Erastotene, che fu un plagiario anche per quanto riguardava il mesolabio, strumento meccanico per la duplicazione del cubo in base a segmenti proporzionali, celebrato con una dedica in un tempio, derivava da idee pitagoriche, espresse in manoscritti, raccolti e concentrati da tutte le parti, nella grande Biblioteca di Alessandria). I pitagorici riportavano i numeri primi sul piano geometrico, tra i numeri figurati. Ne osservavano la posizione.

In modo ingenuo, era forse la medesima idea base che dalla funzionezeta di Eulero93 arriva all’ipotesi (non dimostrata) di Bernhard Riemann (1826 – 1866) attraverso il piano immaginario.94 La geometria analitica di Cartesio, fondata sulle coordinate, associa due numeri a ogni punto del piano infinito, con origine di valore zero-zero. In questa maniera l’aritmetica e l’algebra erano associate alla geometria (equazione della retta ed equazioni delle sezioni coniche).

I numeri primi della forma < 6n + 1 oppure – 1> ( per n maggiore di 3),95 sono pitagorici (ne portano sicuramente il marchio: certe spunti sono inconfondibili; il che nulla toglie al genio di Pierre de Fermat o a quello di Cartesio che utilizzò magnificamente il piano infinito pitagorico concependo la geometria analitica). Anche l’aritmetica modulare di Gauss ha una impronta pitagorica.96 E possibile che i pitagorici avessero compreso qualcosa persino in tal senso. Poco più di 10-20 generazioni, storicamente continue e attive, sono sufficienti all’accumulo di un patrimonio ottimo di civiltà.

Gli uomini del passato erano acuti e problematici, con un loro tipico modo di ragionare. Mille strade diverse portano sempre a verità profonde.

Il piano funge da modello di unificazione fra aritmetica e geometria. E’ una di quelle idee produttive, che lasciano il segno, così definite dalla psicologia della Gestalt fondata da Max Wertheimer che si interessò al genio di Einstein.

Il punto geometrico era definito dai pitagorici come unità aventeposizione. In Platone-Euclide è l’ente elementare che non ha parti (a coloro che sono curiosi suggeriamo di leggere in chiave di aritmetica primitiva, sia per lo zero che per i numeri primi, il canto 9 dell’Odissea, interpretando filologicamente il nome di Polifemo).97

Per correlare la decade numerica alla 4dimensioni (la quarta dimensione apparterrebbe al piano pitagorico illimitato e come è tale adombrata nel mito della caverna di Platone),98 i pitagorici utilizzarono un’immagine archetipa: la rappresentazione simbolica delle 4 righe della tetraktys.99

Per i pitagorici il punto-unità, avente posizione, aveva lo stesso valore dimensionale del segmento.100

Quindi erano convinti che la retta infinita avesse dimensione doppia, come il piano limitato (paradosso della curva di Peano, 1890).

Di conseguenza il cerchio di diametro infinito generava una circonferenza rettificata equipotente (come nella Dotta Ignoranza di Cusano).

Allo stesso modo il singolo punto individuava un cerchio infinitamente ridotto. Il valore dimensionale del punto era idealmente l’unità, a prescindere dalla materialità fisica. I pitagorici avevano una concezione puramente ideale del numero, non lo identificavano con alcun elemento materiale (si trattasse del calculus dal pastore, per la conta dei capi del gregge, la mattina, all’uscita al pascolo, e la sera al rientro nei ricoveri: le pietruzze corrispondenti dovevano coincidere, altrimenti qualche armento non aveva fatto ritorno e andava ritrovato). Il numero nasce da un corrispettivo materiale: 11 marinai, Ulisse compreso, aggrappati al ventre di 11 pecore per entrare nell’antro del Ciclope, che poi rappresenterebbe il simbolo dei popoli indigeni della Sicilia quando i Greci cominciarono a colonizzare l’isola fondando vari centri. In seguito il numero diviene astratto, seguendo le sue regole di pensiero. Quando incontrò la geometria, fu per il calcolo delle aree dei lotti terrieri, ma numero e geometria erano destinati a convivere: la geometria analitica di Cartesio è figlia del pensiero greco.

I pitagorici interrogarono lo spazio, sezionando un cono retto. Possiamo immaginarli già sulla riva di quel mare sulle cui sponde Newton raccolse le sue conchiglie metaforiche.101 Il cono retto ideale, generato da un triangolo rettangolo di rotazione con cateti identici) ha la proprietà di coniugare le 3 dimensioni. Le sezioni coniche102 erano considerate come aree, e non come curve lineari.103

A questo punto siamo possiamo passare a tre frammenti di Eudemo-Proclo, riportati qui di seguito:

Primo frammento: << I Pitagorici pensavano che tutta la scienza matematica dovesse venir divisa in 4 parti, attribuendo una di queste parti al ‘quanti’ (tò poson) e un’altra al ‘quanto’ (tò pelìkon) ed assegnando poi a ciascuna di queste parti a sua volta due parti. Perché essi dicevano che la quantità discreta , ovvero il ‘quanti’, può essere considerata o in sé stessa oppure in relazione con qualche altra; ma che la quantità continua, o il ‘quanto’, è o stabile o in movimento. Quindi affermavano che l’aritmetica contempla la quantità discreta in quanto esiste in sé, mentre la musica quella che è in relazione con altra; e che la geometria considera la quantità continua in quanto è stabile; ma l’astronomia contempla la quantità in quanto è di natura sua mobile >> .104

Il significato di questo passo fa leva sul numero 4. Ingloba 4 ripartizioni: aritmetica, musica, geometria e astronomia. I pitagorici scopersero analogie fra punto e unità, fra linea e diade, fra superficie e triade, che si ascriverebbero ai tre tipi di angoli rettilinei (acuti, retti, ottusi). Affermavano inoltre che il triangolo fosse il principio della generazione. Messa la cosa in questi termini, la questione rimane banale. Vista invece nell’ambito simbolico della tetraktys diviene più sottile. La quarta dimensione (ultima riga simbolica) è quella adombrata da Platone. La scala dimensionale pitagorica segue la numerazione da 1 a 4, passando dal punto-unità-segmento al piano infinito.

La ragione concepibile delle cose concrete è il numero-dimensione. Si tratta del loro manifestarsi più puro. Gli oggetti fisici sono trini. Possono esistere perché triangolabili (unità minima). Il piano infinito è ideale, serve per giustificare l’Essere. La sua essenza è puramente logica. Ecco che il mondo pitagorico di Parmenide è invariante (lo è anche in termini di fisica moderna). Ecco che la realtà chimica di Empedocle è pitagorica (Giamblico aveva ragione a inserire nel catalogo dei pitagorici Parmenide ed Empedocle, mentre sbagliano i critici moderni, Popper compreso).

Secondo frammento:105 << Il presente corollario benché c’insegni che lo spazio attorno ad un punto è distribuito in angoli eguali a 4 retti, è subordinato a quel mirabile teoremasecondo cuisoltanto i 3 poligoni seguenti possono riempire lo spazio attorno ad un punto, cioè il triangolo equilatero, il quadrato e l’esagono regolare. Però il triangolo equilatero dev’essere preso 6 volte; perché 6 volte 2/3 fa 4 angoli retti. E l’esagono deve essere preso 3 volte; perché l’angolo di qualsiasi esagono è retto ed 1/3 di retto. E il quadrato deve essere preso 4 volte; perché l’angolo di qualunque quadrato deve essere preso 4 volte. In conseguenza, 6 triangoli equilateri riuniti per gli angoli formano 4 retti, e così 3 esagoni e 4 quadrati. Ma tutti gli altri poligoni, per quanto siano complicati, riguardo agli angoli, sono deficienti di 4 retti o eccedenti , e quelli soltanto, presi gli anzidetti numeri di volte, dànno 4 retti.E’ questo il teorema pitagorico >>.

Proclo, rifacendosi a Eudemo di Rodi, starebbe trascrivendo una banalità: 6 angoli di 60 gradi (come nel triangolo equilatero) fanno un angolo giro di 360; ugualmente 4 retti di 90 gradi e 3 angoli di 120 gradi (angolo esterno dell’esagono). Si tratta, però, dello spazio intorno a un punto. Quindi è implicito il piano infinito. Ed ecco che il teorema pitagorico è diventato la chiave per le caratteristiche solide dei 5 poliedri pitagorico-platonici.

Il seme dello spazio è la triangolazione (così è in geodesia).106

Terzo frammento: Sempre << secondo Eudemo, le innovazioni concernenti l’applicazione (paraballein), l’eccesso (uperballein) e il difetto (elleìpein) delle aree sono antiche e dovute ai Pitagorici. I moderni prendendo a prestito questi nomi li trasferirono alle così dette linee coniche, parabola, iperbole ed ellisse; invece l’antica scuola nella sua nomenclatura relativa alla descrizione delle aree in piano su una retta finita prendeva i termini in questo senso. Un’area è detta applicata a una data retta quando una area uguale in superficie a una cert’area data è descritta su di essa; ma, quando la base dell’area è maggiore della data linea, allora l’area è detta essere in eccesso; e quando la base è minore, cosicché una parte della data linea resta fuori dell’area descritta, allora l’area è detta in difetto >>.

Quest’ultimo brano indica che furono i pitagorici a studiare per primi le sezioni coniche, intese però come aree e non come linee curve, cosicché cerchio e parabola risultano iscrivibili nel quadrato (questo il senso del passo), mentre non lo sono – per eccesso o per difetto – l’ellisse e l’iperbole. Un esempio è fornito dalla famosa scodella di Galileo.107

Poiché un ramo di parabola, in senso figurato, è perfettamente inscrivibile in un quadrato, cioè quadrabile senza eccesso o difetto, se riuniamo due identici rami di parabola presi però uno inversamente all’altro (a formare una losanga chiusa) rispetto ai due vertici opposti lungo la sua diagonale di un quadrato di lato 6 (quindi con area 36), verificheremo facilmente che l’area del quadrato è stata divisa in 3 parti uguali (ciascuna di area 12), di cui solo due parti hanno identica forma, ponendosi invece in mezzo un’area curvilinea (quella a forma di losanga), che è attraversata simmetricamente dalle diagonali del quadrato.108 Ma anche questa area interamente curvilinea vale 12, e di conseguenza ognuno dei suoi 4 spicchi eguali in cui può essere tagliata dalle diagonali del quadrato vale 3 (cioè 1/12 dell’area del quadrato). L’area del triangolo isoscele iscritto nel quadrato 36 vale 18, mentre l’area racchiusa da un solo ramo di parabola inscritto in tale quadrato, vale 1/3 di 18, cioè 6, quanto il valore numerico del lato del quadrato. 36 è un numero pitagorico quadrato (derivante dalla somma dei primi 6 numeri dispari successivi: 1 + 3 + 5 + 6 + 9 + 11 = 36), mentre 6 è un numero fattoriale, pitagorico triangolare perfetto (cioè derivante dalla somma di 1 + 2 + 3 e dal loro prodotto 3!).

I pitagorici avevano compreso la connessione tra la sfera e i 5 poliedri regolari che vi si possono inscrivere. Inoltre, il triangolo rettangolo coi cateti uguali, ruotando gennera il cono retto, così come la rotazione di qualsiasi triangolo produce sempre un cono. Tra cono retto, sfera e cilindro – inscritti in un cubo unitario – si possono individuare delle relazioni. Ma il passaggio dal retto al curvo è reso possibile soltanto dal numero irrazionale e trascendente pi greco. Archimede farà utilizzo di queste pre-cognizioni pitagoriche, citando però espressamente soltanto l’atomista ionico Democrito, quanto ai volumi retti tra cubo e piramide, e curvilinei tra cilindro e cono, ricavati ai tempi di Demorito da esperienze empiriche attraverso la granularizzazione della sabbia necessaria per il riempimento (ma è proprio questo il principio elementare che sta a base degli indivisibili e del metodo per esaustione di Eudosso).

Un poliedro è semplice se non ha ‘buchi’, cosicché la sua superficie possa essere trasformata, per deformazioni continue, nella superficie di una sfera. Poiché i pitagorici sapevano già che i poliedri regolari erano iscrivibili nella sfera, il significato dei 5 solidi è molto più profondo di quanto non appaia. Keplero ne aveva tratto ispirazione per il modello eliocentrico rappresentato nel Mistero Cosmografico (1596: l’anno della nascita di Certesio), al quale era sempre rimasto affezionato, ignorando la gravità newtoniana.

Cartesio doveva aver compreso la profondità di questi concetti, se aveva ritenuto di nascondere la sua scoperta, che Leibniz intese come partecipata in segreto ai Rosa-Croce tedeschi; ma è assai dubbio che Cartesio fosse legato a questa setta, anche se fu sospettato di appartenervi. Si trattava della formula dei poliedri semplici che connette facce, spigoli e vertici, resa nota da Eulero soltanto nel 1730.

Per quale ragione Cartesio tenne segreta una formula così bella e semplice, e perché Leibinz, che ne era venuto a capo nel 1676, a Parigi, quando riuscì a decifrare il taccuino cifrato di Cartesio, non la rese nota?

Si trattava forse di un segreto della setta dei Rosa-Croce che non poteva essere rivelato? E di quale segreto poteva trattarsi? Una formula geometrica non ha segreti al di là di quanto rivela. Sarebbe come affermare che il teorema di Pitagora, base fondamentale della geometria piana, dovesse rimanere segreto.109 La formula, scoperta per primo da Cartesio, ma ovviamente attribuita a Eulero, che la pubblicò, riguarda una costante di relazione tra vertici, spigoli e facce di ogni poliedro semplice: il numero dei vertici, sottratto al numero degli spigoli, ed aggiunto al numero delle facce, è sempre uguale a 2.

A tal fine Cartesio aveva confezionato una triplice tabella, potuta riconoscere da Leibniz in base alle figure tracciate sul foglio che si riportavano ai 5 solidi del Timeo di Platone:

TetraedroCuboOttaedroDodecaedro Icosaedro

Facce : 4 6 8 12 20

Vertici : 4 8 6 20 12

Spigoli : 6 12 12 30 30

Leibniz riuscì a trascrivere soltanto una pagina e mezza delle sedici pagine che componevano il fascicolo cifrato. Forse non sapremo mai cosa contenessero le altre quattordici pagine e mezza, perché dopo il 1691 di questo taccuino segreto di Cartesio si è perduta ogni traccia.

Per dimostrare la formula dei poliedri semplici: v – s + f = 2, si può immaginare che il poliedro sia considerato cavo, con una superficie di gomma sottile. Se si asporta una faccia, si può deformare la superficie rimanente, fino a distenderla su un piano limitato. Rimarranno lo stesso numero di vertici e di spigoli, ancorché deformati, mentre il numero dei poligoni sarà diminuito di una sola unità. A questo punto il reticolato può essere triangolato. Con una serie di operazioni di questo genere, si può ridurre il tutto ad un solo triangolo, il quale avrà perciò 3 lati, 3 vertici, e 1 sola faccia: 3 – 3 + 1 = 1. A questo punto la formula dei poliedri – cioè la relazione tra vertici, facce e spigoli – è uguale a 1. Ne deduciamo, allora, aggiungendo la sola faccia che manca, che v – s + f = 2.110

Ci dobbiamo tuttavia domandare (come fece Arthur Schopenhauer nei riguardi della dimostrazione del teorema di Pitagora data da Euclide ), se si tratti di una dimostrazione superficiale, ancorché esibita in forma elementare,111 valida e convincente solo dal punto di vista formale, anziché una dimostrazione profonda, fermo restando che l’argomento appartiene alla topologia, cioè a un ramo specialistico della matematica moderna che non è neppure alla portata di un semplice laureato in questa disciplina.

* E’ possibile fornire una dimostrazione elementare, ma profonda, dei 5 solidi pitagorici, che magari fosse già alla loro portata?

Resterebbe in ogni caso da dimostrare, sempre in modo semplice e diretto (senza cioè entrare nella topologia), perché i solidi pitagorici siano soltanto 5, e perché debbano avere soltanto 3 tipi di faccia poste in sequenza secondo il numero dei lati: 3, 4, 5: cioè facce triangolari equilatere nei tre casi simili del tetraedro, dell’ottaedro e dell’icosaedro; facce quadrate nel solo caso del cubo; e facce pentagonali regolari per il dodecaedro.

La seguente dimostrazione elementare che esistono soltanto i suddetti 5 casi di poliedri regolari con esclusione di ogni altra possibilità, è una dimostrazione vera e propria, derivata da prestigiosi autori, ma potrebbe non essere profonda. Del resto, come fecero i pitagorici a giustificare la ‘costruibilità’ esclusiva dei 5 solidi cosmici? Che cosa rappresentavano per loro aldilà dei 4 elementi – aria, acqua, terra, fuoco – e del quinto elemento ‘cosmico’?

La formula dei poliedri è sempre quella di Cartesio-Eulero, giustificata in modo elementare, riducendo tutto a un triangolo, e poi alla fine aggiungendo il triangolo o la faccia rimanente. Verrebbe così comprovata la relazione: v – s + f =2.

Passiamo adesso al secondo punto: cioè, che possono esistere soltanto i suddetti 5 solidi regolari.

Dalla formula generale si ricava che nF = 2nS (cioè le facce sono il doppio degli spigoli, perché ogni spigolo appartiene a due facce).

Si può perciò ottenere: 2S/n + 2S /r – S = 2. Ovvero: 1/n + 1/r = ½ + 1/s, in cui deve essere n maggiore o uguale a 3, e la stessa cosa per r,poiché un poligono deve avere almeno 3 lati, e almeno 3 lati devono incontrarsi nel vertice di ciascuno degli angoloidi del poliedro. Ma n e r non possono essere entrambi maggiori di 3, poiché in tal caso il primo membro dell’uguaglianza non potrebbe superare ½, e questo fatto è impossibile per ogni valore positivo di s.

Per n = 3, si ottiene: 1 /r – 1/6 = 1/s. R può quindi essere uguale a 3, 4, 5 (6 e ogni numero maggiore sono esclusi).

Per questi valori di r e n si ottiene cioè che gli spigoli sono 6, 12 o 30 (il che corrisponde al tetraedro, all’ottaedro e all’icosaedro). Analogamente per r = 3, si ha l’uguaglianza 1/n – 1/6 = 1/s, da cui segue che n = 3, 4 o 5 e che, dunque, gli spigoli sono 6, 12, 30 (valori questa volta riguardanti il tetraedro, il cubo e il dodecaedro).

Per sostituzione dalla formula generale, si ottengono i valori dei vertici e delle facce dei 5 solidi pitagorico-platonici (cioè si arriva alla tabella di Cartesio individuata e riconosciuta da Leibniz).112

Pertanto sono stati provati, in modo elementare, i 3 elementi essenziali di tutta la questione: 1) che la formula di Cartesio è esatta; 2) che vale soltanto per i 5 solidi regolari, aventi quel dato numero di facce; 3) che tali facce regolari possono essere soltanto il triangolo equilatero, il quadrato e il pentagono regolare.

Quindi l’esagono, e ogni altro poligono regolare con lati maggiori di 5, restano esclusi: non possono dar luogo a poliedri regolari iscrivibili nella sfera. Anzi, la sfera si pone al limite superiore di un poliedro di infiniti punti-faccia, così come il punto pitagorico (avente posizione) è, paradossalmente, il limite inferiore del cerchio e della sfera ‘puntiformi’.

C’è, per caso, un’altra via elementare per giungere al medesimo risultato di possibilità-impossibilità, ma che abbia caratteristiche concettuali profonde? Quali furono i pensieri nascosti di Cartesio? E quali i pitagorici? Se guardiamo ai vari 6 che compaiono sulle tre righe della tabella di Cartesio, si potrebbe pensare all’esoterico numero 666 dell’Apocalisse di San Giovanni. Ma non è così. Cartesio venne a capo della relazione, ma non pubblicò il risultato, che anticipava di un secolo Eulero. Il segreto doveva essere d’altra natura. Anche se magari non riusciremo a svelare il segreto dell’estremo riserbo di Cartesio, che addirittura cifrò l’innocente formula geometrica, vogliamo tuttavia provarci.

In questo, il bel libro di Aczel non ci ha convinti. Anzi, l’evidente lacuna ci spinge alla curiosità di cercare di comprendere fino in fondo il mistero.

Dovremo tentare di ragionare come i pitagorici, di carpire il loro segreto? Può darsi che questo tentativo ci aiuti a rintracciare l’enigma di Cartesio.

RITORNO AL PITAGORISMO

Il ritorno al pitagorismo richiede una piccola ricapitolazione della vicenda dei 5 poliedri platonici con qualche notizia sui 13 poliedri semiregolari studiati da Archimede che ne costituiscono una evidente ripresa. Il neoplatonico Proclo attribuì ai pitagorici i 5 solidi regolari, chiamandoli figure cosmiche e cosìconfermando l’associazione ai 4 elementi: fuoco, aria, acqua e terra; nonchè al cosmo (rappresentato dal dodecaedro), adombrato da Platone (Timeo, 55 D). Il Demiurgo ha prodotto gli elementi utilizzando triangoli elementari (Timeo, 54 A ss.). Platone riprende il teorema pitagorico descrivendo i 5 solidi e concludendo che il dodecaedro (cioè la quinta combinazione) servì a decorare l’universo (si tratta della fascia dello zodiaco), che secondo lui è unico (come nel poema di Parmenide e nel Misterocosmografico di Keplero, pubblicato nel 1596, nell’ambito della concezione eliocentrica, respinta dalla Chiesa Cattolica col processo a Galileo).

Cartesio era informato. Conosceva benissimo Platone. Oggi però sappiamo che i Dialoghi di Platone riflettono le dottrine orali.113 Sappiamo che Platone era essenzialmente un pitagorico. Ciò spiega pure la continuità millenaria che va dalla Scuola Italica e che giunge fino all’Accademia, e che attraverso il neoplatonismo e il neopitagorismo, si concluse ad Atene nel 529 d. C., con la chiusura dell’Accademia imposta dall’imperatore Giustiniano.

Il pitagorismo, tuttavia, ha varcato un altro millennio, giungendo fino a noi. Non era una dottrina ingenua, sulla quale avrebbe operato il mito. Doveva essere una cosa seria, se nel ‘900 ritroveremo un dibattito filosofico scientifico sul pitagorismo moderno. Dai neopitagorici romani, come Nigidio Figulo e Cicerone, fino a Giamblico, a Damascio e a Proclo; da costoro fino ai neopitagorici moderni, come il famoso astronomo inglese Eddington, uno dei protagonisti della relatività generale di Einstein e dello spazio-tempo.

La dottrina platonica degli elementi, che tanto colpì Werner Heisemberg, è geometrico-atomistica. Si fonda sulla simmetria e lo scambio; riguarda il movimento e la quiete, il grande e il piccolo.

I 5 poliedri regolari del Timeo adombrano dottrine nascoste. Platone fornisce una spiegazione (Timeo 54 E) di come si sia prodotto ciascun genere di tali forme elementari e per il concorso di quali numeri.

Il primo gruppo è quello del tetraedro, dell’ottaedro e dell’icosaedro. Si passa poi al cubo e al dodecaedro. Il dodecaedro viene brevemente definito come la quinta combinazione, cioè come l’ultimo anello. Il Demiurgo si servì del dodecaedro per decorare l’universo. [Con riferimento alla fascia delle 12 costellazioni zodiacali].

Il Demiurgo fece utilizzo di triangoli elementari di specie diversa, e qui Platone fa implicito riferimento al mirabileteorema pitagorico riportato da Proclo.

La questione di dividere il piano in poligoni congruenti è strettamente collegata ai solidi regolari. E’ probabile che gli antichi egizi conoscessero almeno tre tipi, e perciò Pitagora, partendo dal tetraedro, dall’ottaedro e dal cubo, costruì in seguito (Loria, op. cit., p. 39: per tentativi) l’icosaedro e il dodecaedro che non sarebbero stati precedentemente noti (il che è falso, ma evidentemente Pitagora intendeva definirne meglio le proprietà).

Sei triangoli equilateri riuniti danno il piano, e questo procedimento non può continuare. Tre quadrati congiunti per un vertice conducono al cubo e quattro danno un piano, onde dal quadrato non si può ottenere nulla di nuovo. Invece tre pentagoni regolari riuniti danno origine a un nuovo solido regolare, il dodecaedro, mentre non è possibile riunirne un maggior numero. E poiché, finalmente, tre esagoni riuniti formano un piano, il metodo di costruzione per tentativi non è più applicabile, e la determinazione dei poligoni regolari convessi è si è pertanto esaurita sulla base della sequenza 3, 4, 5.

Nessun documento sta a provare quale sia stata la linea seguita dai pitagorici (Loria).

Dallacostruzione dell’icosaedro regolare (Loria, op. cit., p. 40) Pitagora fu probabilmente indotto a notare l’esistenza del pentagono regolare, mentre per il dodecaedro gli era indispensabile conoscere una costruzione per tentativi.

A questo punto il Loria passa all’esame di un pentagono, triangolato con 3 diagonali, indicando per confronto la proposizione 11 del secondo libro degli Elementi di Euclide, che infatti si riporta a questa suddivisione,

Per quanto grande sia l’ammirazione verso questo impeccabile storico della matematico, il Loria, ci permettiamo di dissentire. I tentativi precedono una scoperta teorica, e non si esauriscono nel solo fatto del provare e riprovare.

I pitagorici dovevano sapere quale strada percorrere, ciò che stavano facendo e perché lo facevano.

I 5 solidi regolari non sono una curiosità empirica, ma un manifesto geometrico e simbolico. Dietro a queste figure ci deve essere una concezione teorica dello spazio. Anzi, qualcosa di più. La tetrakys pitagorica riunirebbe due mondi apparentemente separati: la geometria e l’aritmetica, che vengono rappresentate in una sorta di scala simbolica che risale alle quattro dimensioni e che in aritmetica fondava il numero 10: per righe e per file.

Si può notare che il pentagono regolare è triangolabile a partire da un triangolo isoscele ricavato dal suo vertice, e che questo procedimento, ulteriormente sviluppato, porta alla proposizione 11 di Euclide.

La ‘diagonalizzazione’ progressiva del pentagono conduce alla famosa stella a 5 punte, che era il simbolo del pitagorismo, e che era nota già a Platone, come figura auto-replicante.114 Infine il pentagono regolare, ‘diagonalizzato’ 5 volte di seguito, in modo progressivo orientato, genera 11 triangoli.

Il Demiurgo costruì gli elementi o forme prime utilizzando dei “triangoli”, ma si trattava chiaramente di un’allegoria, che contiene il suo nucleo di allusioni.

Passiamo ai 13 solidi semiregolari di Archimede. Che il grande siracusano li abbia concepiti e studiati, componendo un’opera Sui Poliedri che non ci è pervenuta, lo sappiamo da Pappo (I-II sec. d. C.), che ne serbò notizia nella seconda parte del V libro della Collezione matematica.

Per dimostrare che a parità di superficie la sfera è il corpo di volume massimo, Pappo la paragona ai 5 solidi regolari pitagorici e ai 13 solidi archimedei dotati di regolarità parziale. Per questi ultimi, Pappo osservava che il numero degli spigoli è espresso dalla semisomma del numero dei lati di tutte le facce (che sono 18, 24, 36, 36, 48, 72, 60, 90, 90, 60, 120, 180, 150), mentre il numero dei vertici si ricava dividendo per 3, 4 o 5 la stessa semisomma, secondo che gli angoli del poliedro sono tutti triedri, tetraedri o pentaedri (123, 124, 243, 244, 483, 304, 603, 245, 604, 1203, 605 – ove gli indici indicano il numero delle facce di ciascun solido semiregolare archimedeo).115

Le facce dei poliedri di Archimede sono date da poligoni di 3, 4, 5, 6, 8, 10 e 12 lati. Dieci poliedri presentano facce regolari di 2 tipi, i restanti tre facce regolari di 3 tipi.

Pappo si limita a descrivere questi poliedri senza riferirne l’origine e lo scopo.

E’ probabile che Archimede conoscesse già la formula Cartesio-Eulero (in tal senso Loria, op. cit., p. 335).

La geometria di Archimede è ideativa e costruttiva,116 e un anonimo scoliasta riferisce un procedimento uniforme per costruire i primi 5 casi dei solidi semiregolari archimedei, che costui potrebbe aver derivato dall’opera perduta del siracusano.117

I poliedri semiregolari sono caratterizzati dalla proprietà di avere tutti gli angoli solidi identici. Per dualità, corrispondono ad essi analoghi poliedri, aventi facce fra loro identiche. Il metodo di Luca Pacioli (di derivazione dei cristalli) è in grado di condurre alla costruzione di 12 poliedri, ad eccezione del caso p10.

Secondo Pappo, Platone avrebbe fatto un’esposizione della teoria dei corpi regolari (opera che non è pervenuta), mentre stando a Erone, risulta che Platone avrebbe aperto ad Archimede la strada verso i poliedri semiregolari convessi, con l’esempio di uno o forse 2 corpi a 14 facce (Loria, op. cit., p. 123).

Ci limiteremo al Timeo e ai 5 solidi regolari pitagorici. Platone118 spiega che il Demiurgo si è servito di due tipi di triangoli elementari: quello scaleno e rettangolo (avente il quadrato del lato maggiore triplo del quadrato del minore e il cateto minore uguale alla metà dell’ipotenusa), e quello isoscele, pure rettangolo.

Col triangolo scaleno il Demiurgo forma il tetraedro, l’ottaedro e l’icosaedro nel modo seguente. Con 6 di questi triangoli forma un triangolo equilatero, la cui faccia è ripetuta 4, 8 e 20 volte (tetra, otto, icosaedro). La costruzione del cubo è elementare (6 facce che si richiudono ad anello).

Platone non specifica, però, la costruzione del dodecaedro (12 facce pentagonali regolari chiuse ad anello), e non lo identifica come elemento. Albino (o Alcinoo che sia), riferisce: << Dio si èavvalso del dodecaedro per l’universo: per questo motivo si vedono nel cielo 12 segni zodiacali nel cerchio dello zodiaco, e ciascuno di questi segni si divide in 30 parti; e come nel dodecaedro, che risulta composto da 12 pentagoni divisi ciascuno in 5 triangoli ulteriormente composti ciascuno di 6 triangoli, si trovano complessivamente 360 triangoli, così anche nello zodiaco si trovano altrettante parti >>.

I matematici hanno osservato che con i triangoli di cui parla Platone non si può ottenere un pentagono, bensì un esagono.

Per giustificare il passo sopra riportato del Didascalico di Albino si dovrebbero chiamare in causa altri triangoli e un differente sistema di triangolazione che è apparso improbabile nel contesto del Timeo.

Alcuni studiosi hanno osservato che Platone potrebbe aver chiamato in causa il dodecaedro per il fatto che le diagonali si intersecano in modo che ad esse si applica la sezione aurea (vale a dire il pentagono stellato).119

Come stanno le cose? In quale modo si può cogliere il presunto segreto, ideativo e costruttivo, dei 5 solidi pitagorici? Del resto, non sappiamo nulla di più di quanto annotato da Cartesio nel suo taccuino segreto, rispetto a quanto riportato nei suoi scarni appunti da Leibniz. Quindi bisogna immaginare. E noi proveremo a farlo.

UNA NUOVA DIMOSTRAZIONE

La dimostrazione elementare fornita nel precedente paragrafo (tratta da Courant e Robbins facendo a meno delle risorse matematiche della topologia moderna), procede su due gradini: 1) la dimostrazione della validità generale della formula di Eulero; 2) la prova che i poliedri regolari sono 5 soltanto e con quelle precise caratteristiche.

Attraverso una serie di argomentazioni originali, cercheremo invece di esibire una dimostrazione elementare profonda, che possa rispondere a tre domande: 1) quale sarebbe il significato della costante 2 della formula di Cartesio-Eulero; 2) come i pitagorici ricavarono i 5 solidi e perché lo fecero; 3) perché il tipo e i rispettivi numeri della facce di questo 5 solidi regolari, esaustivi di ogni altra possibilità, sono necessari e insostituibili.

Iniziamo dalla considerazione che la tetraktys pitagorica unirebbe l’ordine della decade numerica con quello del succedersi delle 4 dimensioni. E’perciò necessario accostarsi, in modo elementare, al concetto di dimensione, che tuttavia elementare non è, come ammoniva Poincarè nel 1912.120

Questo concetto non presenta difficoltà, finché si ha a che fare con semplici figure geometriche come punti, rette, triangoli e poliedri. Un solo punto o una classe finita di punti hanno dimensione zero. Un segmento (classe infinita di punti) ha una dimensione, la superficie di un triangolo o di una sfera ha due dimensioni, la classe dei punti di un cubo ha tre dimensioni.121

Ci domandiamo se tali affermazioni, comunemente accettate, siano corrette, almeno dal punto di vista ‘pitagorico’.

Il concetto di dimensione è infatti scivoloso. Secondo Poincarè, una retta ha una dimensione, perché due qualsiasi punti su di essa possono essere separati tagliandola in un punto unico, che ha dimensione zero; mentre un piano ha due dimensioni, perché per separare una coppia di punti del piano si deve tagliar fuori un’intera curva chiusa (che ha dimensione 1). Questo fa pensare che la dimensionalità abbia un carattere induttivo. Che dimensione ha la c.d. polvere di Cantor?

Si prende un segmento e se ne sottrae la terza parte centrale. Si continua a procedere così, sempre di seguito. Allora la dimensione di quanto resta al limite di questo processo è 1 o zero?122

Lo stesso potrebbe domandarsi estendendo il procedimento al piano: ha classe 1 o classe 2?

Immaginiamo di chiamare tutto ciò (più o meno arbitrariamente) principio di continuità dimensionale. Se assegniamo al punto (senza parti di Euclide) il valore 1 (come i pitagorici), potremo dire che il valore 2 appartiene allo stesso modo alla retta infinita e al piano limitato. Ce lo consentirebbero queste due osservazioni: il punto ha lo stesso valore del segmento (che pure contiene infiniti punti); la curva di Peano (una retta infinita) riempie tutto il piano delimitato (cioè un quadrato).123

A questo punto possiamo dire che i corpi solidi appartengono alla dimensione tre, che è l’unica sperimentata dai sensi, a parte la teoria della relatività generale.

Mentre la superficie sferica e il piano infinito pitagorico dovrebbero avere dimensione 4, chiudendo l’anello delle dimensioni geometriche che si manifesta ai sensi nel mondo a 3 dimensioni, attraverso i corpi fisici concreti.

Poiché il punto, il segmento, la retta infinita, il piano delimitato e quello infinito sono astrazioni seppure di fertile impiego geometrico e matematico (il filosofo Thomas Hobbes litigò a lungo col matematico John Wallis sostenendo che la superficie deve avere uno spessore minimo e che il cerchio è quadrabile!), dovremmo concludere pitagoricamente per la necessità (non importa se ideale) di un piano illimitato,124 che sarebbe contemporaneamente spazio e numero (basti pensare alla somma densa di infiniti “numeri quadrati” successivi).

Questo piano infinito ideale – che se infinitamente curvato corrisponde alla superficie sferica – sarebbe il generatore dell’universo geometrico euclideo, rappresentativo della realtà sensoriale.125

Platone, nel mito della caverna, riporterebbe un’eco di tale concezione. Lo spazio infinito pitagorico che sarebbe, in mano al Demiurgo, il generatore di tutta la realtà fisica (è questo il senso dei 5 poliedri del Timeo), deve essere necessariamente piano non potendo aggiungersi una quinta dimensione (che del resto sarebbe fuori tetrakys).

La sua necessità deriva da una astrazione, sulla quale è stata costruita la dottrina delle idee: un aspetto ‘segreto’ dei numeri ideali di Platone, che sembra anticipare la teoria “cantoriana” della potenza degli insiemi infiniti, si connetterebbe al piano pitagorico.

La tetraktys conterrebbe in sé la rappresentazione simbolica di questo segreto.

Si trattava forse dello stesso segreto venuto in mente a Cartesio, in analogia al mito della caverna, dove è adombrata la quarta dimensione? Forse Cartesio si aspettava una costante 3, e non la costante 2?

Perché Cartesio tenne segreta la sua formula, addirittura cifrandola? Che motivo poteva a avere, al di là del timore dell’Inquisizione per la visione eliocentrica? La Cosmografia di Keplero era stata pubblicata nel 1596 ed era conosciuta. Il timore di Cartesio sembra perciò inspiegabile, a meno che la sua formula non aderisse, di per sé, ad in mistero della setta dei Rosa Croce, destinato a rimanere segreto. Stiamo ripetendo quanto già detto. Si può uscire dalla gabbia?

La costante 2 della formula dei poliedri semplici avrebbe il valore dimensionale del piano delimitato. Sarebbe stata questa la prova in mano ai pitagorici per giustificare il criterio della continuità dimensionale nell’ambito della dicotomia limitato e illimitato. Archimede avrebbe poi risolto le dicotomie pitagoriche di movimento-stasi e di retto-curvo. E lo avrebbe fatto proseguendo sulla scia di una concezione già avviata nei fondamenti, dagli stessi pitagorici della Magna Grecia. Il numero 4 è la costante della superficie sferica, pari a 4 cerchi massimi (risultato bellissimo!).

Dal momento che abbiamo definito Archimede come un grande pensatore di matrice pitagorico-platonica, e non un atomista epicureo come invece sostiene lo storico della scienza Michel Serres, dobbiamo appoggiarci di nuovo a lui, cercando di rintracciare il filo nascosto della c.d. questione archimedea. Dobbiamo cioè domandarci come fece a trovare il volume e la superficie della sfera, come ottenne l’area del cerchio e il valore della circonferenza, come trovò il valore approssimato di pi-greco. Limitandoci al minimo indispensabile, formuleremo delle ipotesi per giustificare l’intuizione dimensionale di questi rapporti semplici, che Archimede proverà in modo formale attraverso le sue principali dimostrazioni.126

Nel trattato sul Metodo (al termine della proposizione 2) Archimede fa una mezza rivelazione: << Veduto ciò: che qualunque sfera è quadrupla del cono avente per base il cerchio massimo e altezza uguale al raggio della sfera, mi venne l’idea che la superficie di qualunque sfera è quadrupla del cerchio massimo della sfera: la supposizione consisteva nel ritenere che come qualunque cerchio è uguale ad un triangolo avente per base la circonferenza del cerchio e l’altezza uguale al raggio del cerchio, così qualunque sfera sia uguale al cono avente per base la superficie della sfera e l’altezza uguale al raggio della sfera >>. Egli dice la verità, ma l’analogia che qui illustra e confessa, da sola non è sufficiente. In ogni caso, la dimostrazione formale esibita nella proposizione 33 di Sfera ecilindro non svela l’arcano. Se abbiamo ragione, Archimede potrebbe aver associato il valore dimensionale 4 del piano infinito pitagorico (un piano ideale e illimitato che giustificava e riempiva di sé il rotondo sfero dell’Universo, oltre il quale nulla poteva esistere) al mistero del curvo.

I solidi semiregolari di Archimede sono 13, i solidi regolari pitagorico-platonici sono 5: 5 e 13 sono due numeri primi. Se prendiamo le singole cifre, in ordine progressivo dispari, di questi tre numeri primi: cioè 1, 3 e 5, e poi raddoppiamo la serie ottenendo le coppie 1-1, 3-3, e 5-5 (cioè 6 cifre in tutto), con un ordine simmetrico a partire dal centro si può ricavare la frazione o rapporto 355/113. Tale frazione fornisce il valore di pi greco fino alla sesta cifra decimale.127

Il che non ci sembra casuale, anche se abbiamo fatto ricorso alla numerologia.

***

E’ venuto il momento di ritornare alla formula di Cartesio-Eulero per i poliedri semplici, sul presupposto che la costante 2 di questa formula abbia natura dimensionale, rappresentando cioè la dimensione due del piano delimitato (che è poi il generatore e il ricettacolo dei poliedri trasferiti sul piano attraverso operazioni di triangolazione).128

Il corrispondente geometrico dei cosiddetti numericatalani129 che vengono spesso chiamati in causa in problemi di matematica combinatoria, si ottiene da tagli diagonali orientati, operando sulla serie progressiva del triangolo, del quadrato, del pentagono, dell’esagono, e via dicendo. I rispettivi valori catalani di questi tagli orientati (che esauriscono le possibilità collegando due a due i punti di vertice della figura), sono i seguenti: 1 per il triangolo, 2 per il quadrato, 5 per il pentagono, 14 per l’esagono, 42 per l’ettagono, 132 per l’ottagono, ecc.

Osservando alcuni di questi numeri, ci accorgiamo di conoscerli già: il numero catalano del pentagono corrisponde all’anello esaustivo dei 5 solidi pitagorici regolari (nonché alla stella auto-replicante a 5 punte cui dà luogo e che era il simbolo della scuola pitagorica, con il relativo rapporto della sezione aurea, già nota agli antichi egizi). 14 e 42 sono inoltre numeri archimedei nel senso precisato nei nostri appunti su Archimede.130

Il primo numero perfetto pitagorico è il numero 6, che essendo un numero fattoriale (3!), oltre che triangolare, riunisce la combinazione di somma e di prodotto delle prime 3 dimensioni (ovvero delle prime tre righe della tetrakys).

Il numero 6 può essere associato sia alla sfera che al cubo. Alla sfera, in quanto correlato ai sui 6 raggi fondamentali o direzioni spaziali (mentre 4 e 4/3 sono, rispettivamente, le costanti dimensionali di superficie e di volume della sfera stessa). Al cubo, per via delle 6 facce quadrate uguali. Ma il numero 6 della sfera sta anche ad indicare che la sfera è il limite estremo dello sviluppo per facce dei 5 solidi pitagorici, corrispondendo ad un solido regolare, e perfettamente simmetrico, di infinite facce-punto. Di conseguenza, il valore della superficie sferica deve essere quello stesso del piano pitagorico (la costante 4 della superficie sferica corrisponde al valore del piano infinitamente esteso). Ne consegue per tale ragione che possiamo assegnare al cubo e alla sfera, come solidi regolari, uno stesso valore, che è poi il prodotto di 6 per 4 per la sfera (24), e di 8 per 3 per il cubo (24). Infatti, 3 piani intersecatesi simmetricamente in 3 direzioni diverse danno luogo a 8 regioni spaziali *[basti ripensare ai due specchi del Timeo di Platone, posti a spigolo di 90 gradi, i quali triplicano l’immagine].

Quanto ai 5 solidi pitagorici iscrivibili nella sfera e a essa topologicamente corrispondenti, possiamo avere la serie delle facce triangolari equilatere (tre casi), delle facce quadrate (un solo caso), e infine delle facce pentagonali (un solo caso). Sarebbe questo il senso recondito del teorema pitagorico, correlato al piano e all’angolo giro di 360 gradi.

La sfera può essere vista come il caso estremo di solido regolare, la cui facce sono date da infinite unità-punto. Per questa ragione Platone (senza dire nulla di più) connette il dodecaedro alla fascia astronomica dello zodiaco, lungo l’eclittica, contrassegnata dal percorso apparente del sole nelle sue variazioni stagionali. Nella sfera si combina il prodotto fattoriale delle 4 dimensioni (4! =24), e questo valore corrisponde al prodotto < 6 per 4 > fornito altresì dai 6 raggi direzionali e dal valore 4 della superficie sferica, corrispondente al piano infinito.

Dal punto di vista tridimensionale, la sfera 24 e il cubo 24 sono equivalenti, sebbene caratterizzati da due numeri diversi: il 6 della sfera, numero perfetto fattoriale; e il numero 8 del cubo, che è la terza potenza di 2.

Moltiplicando il valore 8 del cubo per 3, in senso dimensionale, si ritorna al valore 24. Sfera e cubo sono equivalenti, anche perché ai 6 raggi fondamentali della prima corrispondono le 6 facce piane del cubo. Tuttavia, la sfera seguita da avere infinite facce-punto, mentre il numero della facce di un solido regolare può essere inferiore a 6, dal momento che < 24 : 6 > consente il minimo di 4 facce piane. Ed è questo il caso limite inferiore, che riguarda il tetraedro, iscrivibile nella sfera, composto soltanto da 4 facce triangolari equilatere.

Il tetraedro si pone, perciò, al limite inferiore della serie dei 5 solidi, ma il suo numero dimensionale (4 per 3 = 12), è correlato a quello della sfera e del cubo. A questo punto si può notare che il valore somma di ogni triangolo equilatero di 3 lati, è 3 (cioè 3 segmenti di valore dimensionale 1, come per il punto pitagorico), e, di conseguenza, il valore complessivo < 4 per 3 = 12 > è accettabile rispetto alla sfera 24.

I punti di contatto con la superficie sferica sono inoltre 4, corrispondendo infatti il numero dei vertici al numero delle facce, in modo che venga sempre rispettato il valore dimensionale 3, proprio del solido in se stesso.

Non può esistere un –edro di sole 3 facce. Non lo consentirebbe l’intuizione e neppure il ragionamento già fatto.

Si deve però ancora dimostrare che il limite massimo della facce triangolari equilatere possibili è 20 (caso dell’icosaedro), quando poi il valore 8 delle facce triangolari dell’ottaedro si correla ugualmente al valore 24 della sfera, poiché 8 per 3 (tale il valore dei 3 segmenti identici della faccia equilatera) dà sempre 24.

Abbiamo più volte asserito – in questo senso – che il valore della sfera è 24 (6 per 4, ovvero 4!). Dal momento che 4 è il valore minimo delle facce e che 24 è il valore assegnabile alla sfera che si compone di infinite facce-punto, si deve coerentemente convenire che 20 facce triangolari equilatere è il valore massimo consentito. Infatti l’icosaedro chiude l’anello del numero massimo di facce dal momento che si trova al quinto posto di serie, mentre il valore 20 delle facce deriva dal prodotto del minimo di 4 facce (corrispondente al valore 4 del piano infinito) col valore 5 dell’ordine stesso di serie (totale 20).

La differenza tra la sfera 24 a infinite facce e l’icosaedro a 20 facce, è 4, ma questo numero rappresenta, ancora una volta, il valore dimensionale del piano infinito pitagorico.

L’icosaedro chiude l’anello della facce possibili. Se poi assegniamo a questo solido il valore 60 (cioè 20 facce per 3, con il 3 dimensionale dato dalla somma dei tre lati uguali del triangolo equilatero), possiamo sempre verificare che questo numero (divisore dell’angolo giro), restituisce la decade pitagorica, dando luogo al quoziente 6 della sfera.

Le facce dei ciascuno dei 5 solidi regolari possono essere tutte quante adagiate su un piano limitato (esempio tipico è il modello a T del cubo a 6 facce). Possono poi essere triangolate. Questo è quanto affermava il Demiurgo nel Timeo.

Se prendiamo i valori catalani di ciascuna faccia, complessivamente il tetraedro vale 4, l’ottaedro 8, l’icosaedro 20, il cubo 12, e il dodecaedro 60. Tali numeri sono tutti quanti divisori dell’angolo giro di 360 gradi.

Troviamo perciò i seguenti valori, rispetto all’angolo giro: 90, 45, 18, 30, 6.

L’angolo giro di 360 gradi non è invece divisibile per 14, con un risultato intero.

Di conseguenza l’esagono è tagliato fuori dall’anello. Ugualmente avviene per l’ettagono, l’ottagono ecc., i cui valori catalani (42, 132..) sono inapplicabili. Questo spiega, ancora una volta, perché il valore limite della sfera coincide coi suoi 6 raggi fondamentali (ovvero i 6 parametri strettamente necessari per le equazioni orbitali, ecc.).

L’anello dei 5 solidi pitagorici non può dunque superare la serie fitta 3, 4, 5 dei lati delle facce possibili (il limite invalicabile, in termini catalani, è quello del pentagono regolare).

Restava però da spiegare perché ci siano solo tre – edri a facce triangolari equilatere (4, 8, 20 facce), mentre con facce quadrate e pentagonali possiamo avere soltanto due casi unici.

Se sommiamo i 3 numeri delle facce triangolari equilatere (4, 8, 20) dei 3 -edri (cioè tetraedro, ottaedro ed icosaedro), otteniamo 32, vale dire 2 elevato alla quinta.131

Se facciamo la differenza, a partire da 20, otteniamo 8, cioè 2 alle terza. Se dividiamo per 4 il numero rispettivo delle facce (4, 8, 20), otteniamo invece i valori 1, 2, e 5. I valori intermedi 3 e 4 non sono ammessi, sia perché già implicati in senso dimensionale, ma anche perché 12 non è potenza di 2, e perché 16, che lo è, non è però divisore intero dell’angolo giro di 360 gradi.

Valori superiori a 20 facce, non sono consentiti, anche perché il semisolido non può debordare dalla decade, dal momento che 360/20 = 18, pari a 1/10 di angolo piatto. Il valore 18 è pari infatti a ¼ dell’angolo di 72 gradi, che a propria volta corrisponde ad 1/5 di angolo giro. L’angolo giro di 360 gradi può essere diviso per 3, per 4, per 5, e per 6 (120, 90, 72, 60). Ma la divisione per 6 non è accettabile in termini catalani.

Restano perciò le sole possibilità della divisione per 3, per 4 e per 5, le quali rappresentano i numeri indice delle serie poliedri regolari a triangoli equilateri, quadrati e pentagoni.

Resta poi da dimostrare perché esistano casi unici per facce quadrate e pentagonali.

Il cubo (come è di per sé evidente), si presenta come esemplare unico. Vale al riguardo il ragionamento già fatto, al confronto del valore 24 della sfera. Anche il dodecaedro è un caso unico, a ragione del fatto che il numero massimo delle 12 facce pentagonali è dato dal prodotto dimensionale del valore solido 3 moltiplicato per il valore 4 del piano infinito.

Non è possibile riconoscere valori superiori, come ad esempio 15 o 30 facce poligonali. Quindi, le due serie uniche non ammettono affini.

La serie degli edri equilateri è essa stessa chiusa ad anello in 3 soli esemplari, la cui somma di facce (32) è la quinta potenza del 2. Due è il valore dimensionale del piano limitato. L’esponente 5 coincide invece col numero stesso dei 5 poliedri regolari possibili.

Si tratta della massima triangolazione riferibile allo spazio 3 avvolto su se stesso, essendo il valore 6 della sfera la conseguenza diretta del fattoriale dimensionale 3!

Sarebbe impossibile un –edro triangolare (necessariamente equilatero) con più di 32 facce (ovvero con un esponente 6 della potenza del 2). Ancora una volta ritroviamo il limite superiore della sfera.

La formula di Cartesio-Eulero ingloba, pertanto, una costante dimensionale 2, che è propria del piano delimitato, come appunto doveva essere.

La somma delle facce e dei vertici dei 5 solidi regolari è 50 + 50 = 100.

La media rispettiva delle facce e dei vertici dei 5 solidi corrisponde alla decade pitagorica.

La somma degli spigoli è 90.132 Manca cioè la decade, poiché ogni spigolo appartiene a 2 facce, e i solidi possibili sono 5 in tutto (il che spiega la differenza 10 rispetto alla media sopra indicata).

Il numero 50 rappresenta anche la somma dei quadrati dei lati del triangolo scaleno elementare 3, 4, 5 (cioè la prima terna pitagorica).

Il valore degli spigoli è dato dalla sequenza 6, 12, 12, 30, 30. Dividendo tutto per 6 (numero assegnato alla sfera), otteniamo la serie: 1, 2, 2, 5, 5 (con somma 15). Il prodotto fattoriale delle 4 dimensioni (o 4 righe dei valori della tetraktys pitagorica: 1, 2, 3, 4) dà 24 (un numero che compare anche nell’Apocalisse)133.

Il 24 preso 2 volte, dà 48. Se aggiungiamo 15, otteniamo 63. Se da questo numero 63, così ottenuto, sottraiamo 50 (la somma cioè delle facce, ovvero dei corrispondenti vertici dei 5 solidi pitagorici), ritroviamo il numero 13, che è poi quello dei 13 solidi simiregolari di Archimede.134

*Il numero 63 merita attenzione, poiché deriva dalla formula delle potenze del numero 2 con esponente numero primo, meno l’unità (esempio: < 2 elevato alla n –1 > – 1, con n numero primo = 7 = < 2 alla sesta – 1 > = 64 –1 = 63).135

Se prendiamo ancora una volta i valori catalani dei 5 solidi pitagorici: cioè 4, 8, 12, 20,60 (corrispondenti al tetraedro, all’otttaedro, al cubo, all’icosaedro e al dodecaedro), e dividiamo per il valore dimensionale 4 (che è l’invariante della superficie sferica ed è anche il valore dimensionale da noi attribuito al piano pitagorico infinito), otteniamo la serie 1, 2, 3, 5, 20.

La somma di questi numeri è 31. Se estraiamo la radice cubica di questo numero, otteniamo un’approssimazione molto più soddisfacente di pi – greco rispetto a come veniva derivato rozzamente in antico, dalla radice cubica di 10.136

La somma dei cubi dei numeri 3, 4, e 5 dà invece 216 (27 + 64 + 125), che è la settima potenza del 2, mentre 64 è la sesta potenza, e 32 è la quinta.

Se prendiamo 3 piani (ricordando sempre lo specchio a 90 gradi di Platone), e li riuniamo simmetricamente, otteniamo (come Già detto) 8 regioni spaziali identiche137(il numero 8, che è la terza potenza di 2, corrisponde alle 8 facce triangolari equilatere dell’ottaedro, che possono essere ridotte a 4 per il tetraedro, mentre l’icosaedro ne possiede 20).

In tutto abbiamo 32 facce triangolari equilatere (4 + 8 + 20). Dividendo per 4, cioè, riducendo al minimo comune divisore, come già visto, otteniamo: 1, 2, 5. La somma di questi numeri è 8. Ancora una volta ritorna il numero 8 del cubo (in corrispondenza ai 3 piani ortogonalmente simmetrici e alle 8 regioni spaziali), che è la terza potenza del valore dimensionale 2 del piano limitato (seconda riga della tetraktys).

Se moltiplichiamo la serie 4, 8, 20 per 6 (ogni triangolo equilatero è scomponibile a sua volta in un massimo di 6 triangoli), otteniamo la sequenza: 24, 48, 120. In tale serie, risultano vuote la caselle intermedie 72 e 96 (24, 48, 72, 96, 120).

Ciò dipende dal fatto che gli estremi della serie, 24 e 120, sono dati dai fattoriali 4! e 5!

Perché esiste l’ottaedro 48, che in base a questo ragionamento non dovrebbe figurare nel novero dei solidi regolari possibili?

La spiegazione è molto semplice. Il triangolo equilatero può essere scomposto in 6 triangoli, come pure in 3. Tracciate le mediane, esse si incontrano nel baricentro. Invece che 6 triangoli rettangoli uguali, adesso abbiamo preso soltanto 3 triangoli isosceli identici. Nel secondo caso (3 triangoli isosceli), abbiamo il tetraedro; nel primo caso (6 triangoli rettangoli), abbiamo l’ottaedro. Pertanto l’ottaedro (8) ha il doppio delle facce equilatere del tetraedro (4).

Tale fatto è impossibile per il cubo.

La somma delle facce del tetraedro (4) e del dodecaedro (8) corrisponde alle 12 facce pentagonali del dodecaedro. Per l’icosaedro, a facce triangolari equilatere, sono 120 i triangoli fondamentali da considerare. 120 è infatti multiplo di 10, così come la “decade” rappresenta la somma totale dei valori dimensionali. Pertanto ritroviamo, ancora una volta, la presenza della tetraktys.

Come già fatto presente, le 20 facce triangolari equilatere dell’icosaedro corrispondono al valore dimensionale 4 del piano pitagorico infinito moltiplicato per il numero (chiuso ed esaustivo) dei 5 solidi regolari.138

Il numero massimo delle facce pentagonali del dodecaedro (12), è pari al prodotto della terza (3) e quarta riga (4) della tetrakrys.

Ad analoghe considerazioni portano i valori di massima triangolazione delle rispettive facce di ogni poliedro pitagorico.

Possiamo costruire la seguente tabella:

tetraedro: 24 triangoli

ottaedro: 48 “ “

cubo: 24 “ “ (= 6 per 4)

icosaedro: 120 “ “ (= 6 per 20)

dodecaedro: 132 “ “ (= 12 per 11)

La somma di questi valori, relativi al numero massimo possibile dei triangoli per ciascun poliedro, fornisce il valore 360, corrispondente infatti all’angolo giro di 360 gradi.

Il valore 132 del dodecaedro (che supera di 12 unità il valore dell’icosaedro), è quello residuale.

Stranamente la semplice somma delle sue cifre restituisce il numero 6 assegnato alla sfera.

Estendendo questo spunto alla somma delle cifre ridotta al massimo possibile per i 5 poliedri della tabella (criterio che però vale soltanto per la verifica della divisibilità per 11 quando il numero considerato, preso con segno alternato di somma e differenza delle sue cifre, dia alla fine un risultato divisibile per 11), si ha (in aggiunta all’evidente alternanza delle cifre di sintesi massima) questa singolarità: tetraedro 6, ottaedro 3, cubo 6, icosaedro 3, dodecaedro 6 (totale 24 = 4!).

La scala dimensionale considerata dai pitagorici corrispondeva alle righe della tetraktys che rappresentava altresì la somma dei numeri naturali da 1 a 10.

In questo modo essi razionalizzarono lo spazio intorno a un punto designato dall’unità, legandolo ai numeri naturali fondati sulle 10 dita.

Lo studio dei 5 solidi regolari, e quello delle aree delle sezioni coniche regolari (cioè iscrivibili in un quadrato: il cerchio e la parabola; e quelle in eccesso e in difetto: l’ellisse e l’iperbole), furono un importante lascito pitagorico per la geometria greca.

Se in un semiquadrato è perfettamente iscrivibile un triangolo isoscele, un semicerchio e un ramo di parabola, quanto valgono allora le rispettive aree, posto che quella del triangolo isoscele corrisponde a 1/2?

Quanto è lunga la curva del semicerchio e del ramo di parabola rispetto al lato del quadrato? Era questo l’approccio primitivo per cercare di risolvere la dicotomia retto-curvo, considerato che lo studio dei 5 solidi regolari esauriva la dicotomonia limitato-illimitato?

Alle domande sulle dicotomie pitagoriche retto-curvo e stasi-quiete diede efficace risposta Archimede, il grande geometra pitagorico preconizzato da Platone in un passo della Repubblica. Si trattava di individuare degli invarianti, e questi sono dati da quei rapporti semplici (cioè razionali e proporzionali) che caratterizzano la parabola, la spirale, il cono, la sfera, il cilindro, e certi altri solidi di rotazione (conoidi e sferoidi).

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Se questo inusitato approccio al segreto del teorema pitagorico riportato da Eudemo-Proclo fosse soltanto di tipo numerologico anziché logico come invece riteniamo,139 ci siamo però già cautelati con illustri esempi di numerologia, per cui non abbiamo molto da temere. Se invece la nostra ‘idea’ potesse risultare accettabile, potrebbero derivarne interessanti conseguenze.140

Forse il taccuino segreto di Cartesio (accuratamente rilegato in pergamena e cifrato) è veramente andato perduto per sempre, perciò non sapremo mai cosa potessero contenere quelle altre 14 pagine e mezza, non potute trascrivere da Leibniz. La mente di Cartesio spaziava, mentre la pur elegante formula dei poliedri non poteva dire più di tanto. Ma sappiamo che le prime due derivazioni di pi-greco/4 in serie numerica convergente, sono quelle di Leibniz e Gregory (1671).141 La serie di frazioni egiziane, a segni alternati di numeri dispari pitagorici successivi nella somma infinita convergente a pi greco/4 di questa serie, forse si collegherebbe al rapporto frazionario tra il numero trascendente di pi greco (3,142….), mediatore tra retto e curvo, e il valore 4 della superficie sferica nonché del piano pitagorico infinito?142 Il numero naturale 4, che figura al denominatore della frazione pi-greco / 4 cui tende la serie di Leibniz, ha forse un significato soltanto apparentemente di tipo aritmetico, ma che in realtà è di tipo ‘dimensionale’? E se così fosse, dato e non concesso, allora che tipo di conseguenza matematiche ne potrebbero derivare in generale? Ci limitiamo alla proposta, incapaci di valutare a fondo la serie di argomentazioni sopra affacciate, che abbiamo voluto chiamare numerologia, sebbene il ragionamento abbia delle basi apparentemente fondate.

Più che della mera ‘suggestione’ storico-letteraria di un racconto non banale – derivante dal mito della caverna, ma anche dai 5 solidi del Timeo e dal genio filosofico e matematico di Cartesio quale autore di quel taccuino segreto venuto tra le mani di Leibniz – la curiosa faccenda potrebbe persino condurre a un nuovo approccio.

L’ “universo matematico” astratto dovrebbe corrispondere al dover essere (sia in senso positivo che in senso negativo), regolato da ananke ovvero la necessità ‘parmenidea’.143 Il carattere fondamentale della matematica deriverebbe dunque da un quid ineliminabile, che Cartesio non esiterebbe a riportare all’io penso, fondandosi l’identità sulla separazione (dualità), e ciò generando la logica. L’immensa foresta degli “enti matematici” sarebbe una nostra costruzione, ma non gratuita oppure completamente libera, in quanto troverebbe sempre una risposta nel mondo esterno: da ciò l’irragionevole efficacia della matematica, appunto come strumento necessario e insostituibile per conseguire in termini oggettivi la conoscenza scientifica. Episteme, la conoscenza vera, nei limiti delle sue possibilità, sarebbe il rapporto lucido ed oggettivo tra mente (cogito) e realtà esterna (res extensa). Essere sarebbe – perciò – come pensare, nel senso della filosofia dell’Essere, in Parmenide di Elea. La matematica non lineare della complessità rimarrebbe adeguata.

***

Il bel libro del matematico Amir D. Aczel, Il taccuino segreto diCartesio (Mondadori 2006), ha sollevato una domanda cruciale: perché Cartesio si nascose in quelle 16 pagine? Che cosa aveva compreso da non volerlo rivelare? Cosa rappresentava quella formula, ricostruita da Leibniz? Anche da studente di liceo, mi sarei appassionato a questa strana vicenda. Soprattutto oggigiorno, in un mondo che è così ricco, ma al tempo stesso così povero, in tutto (anche nel fascino del mistero, anche nella speranza). Aczel, nell’epilogo, fa presente che il tratto essenziale dello pera di Cartesio è stato lo sforzo di porre la fisica e la cosmologia su una solida base matematica, quella espressa dalla geometria euclidea. Sorprendentemente, i metodi utilizzati dai cosmologi moderni sono in sostanza delle estensioni di quelli introdotti da Cartesio. Uno dei nuovi modelli della geometria dell’Universo è un gigantesco ottaedro. Forse Keplero era nel giusto?

Le teorie moderne mutano in continuazione. Ma l’impressione che si ricava è che in quelle pagine perdute Cartesio avesse cifrato dei pensieri matematici sul mistero dello spazio geometrico. Da qui all’Universo nella sua interezza la prospettiva è “pitagorica”.

Il nostro è un racconto trasversale, che percorre i piccoli sentieri della curiosità e della stranezza, ma che solleva anche un dubbio serio.

Il dubbio è se i matematici moderni manipolino, ovviamente con eccezionale bravura e geniale creatività, dei simboli formali, scarnificati da ogni rapporto realistico, oppure se la matematica continui sempre a intrattenere un dialogo col mondo, non bastando l’eccezione significativa che la fisica si impossesserebbe ex post dello strumento matematico, astrattamente fine a se stesso, rinnovando l’armamentario. La cosmologia moderna è spaventosa. Il vivente reclama la poesia, il mito aveva bisogno del cielo stellato. La natura è bella ed è al tempo stesso assassina. L’infinito incombe ciecamente. L’uomo “spera”. Spirito e materia. Leggende e speranze. Il segreto di Dio nell’affresco della Creazione nella Cappella Sistina. La “grande bellezza” che non si realizza?

Cartesio, nascondendo nel suo taccuino la formula cifrata dei poliedri semplici del Timeo, manipolati dal Demiurgo per la generazione dell’universo (sempre che di questo soltanto si fosse trattato), avrebbe forse manifestato contrario avviso? Quella formula, così semplice, poteva contenere un segreto cosmico? La matematica, per Cartesio, che fu un grandissimo innovatore, era nel vivo della realtà delle cose, era una ottima immagine del mondo.144 Al segreto di una formula di innocenti apparenze era dunque oscuramente implicito il mistero di una verità pericolosa e perciò non rivelabile? Non il timore dell’Inquisizione, che non ha mai potuto perseguire i matematici in quanto tali, l’avrebbe trattenuto: neppure con riguardo al Mistero Cosmografico di Keplero e alla moderna eliocentrica; bensì qualcos’altro, più misterioso e sfuggente. Che cosa, se non una pericolosa e delicatissima intuizione teologico-matematica?

Forse Cartesio aveva associato la formula dei poliedri a Mosè, alle tavole della Legge, e ai 10 comandamenti? Oppure pensò che il Demiurgo ci ha come schiacciati sulla dimensione 2 del piano limitato,145 mentre nulla sapremo di quella superiore? Ed ecco allora il nostro timore, derivante per analogia dal mito della caverna, dove gli uomini sono destinati a riconoscere la verità soltanto dalle ombre proiettate sulla parete, a ricavare da forme oscure, mobili e distorte, ciò che essi non possono attingere direttamente, non potendo sostenere col loro sguardo la vista accecante del sole?

Platone adombrava dottrine segrete. Cartesio lo aveva compreso? Insomma, voleva evitare noie teologiche, pur pensando tra sé e sé che l’uomo brancola tra buio e luce, tra materia e spirito?

Per Cartesio la materia, che è caratterizzata dall’estensione (res extensa), e la mente (res cogitans), che è impalpabile, sono separate, pur costituendo la diade della conoscenza. La mente si sporge al di sopra della materia. Essa è una realtà inestesa e spirituale.146 Perciò immateriale. Immateriale quanto il piano infinito pitagorico che avvolge la ben rotonda verità e il rotondo sfero dei poemi sulla natura di Parmenide di Elea e di Empedocle di Agrigento, contenendo tutti i numeri dell’Universo?

Che significato assegnò Cartesio alla costante 2 della sua formula?

L’identificazione di spazio e materia comportava una serie di conseguenze: 1) la identità della materia che costituisce il mondo; 2) l’estensione indefinita del mondo; 3) la divisibilità all’infinito della materia; 4) l’impossibilità del vuoto (Paolo Rossi).

Come lo spazio euclideo, il mondo o la materia estesa che compone l’universo non ha limiti (Cartesio, Opere, II, 81).147

L’intuizione del piano pitagorico infinito, che avvolgerebbe il rotondo sfero retto daGiuntura (secondo l’immagine di Empedocle), distruggeva forse la sua concezione del mondo, che se non era quella di Giordano Bruno (infiniti mondi), volgeva però all’infinità della materia contrapposta alla mente?

Ma poiché Dio è infinito, Cartesio aveva concluso che chiameremo indefinite queste cose al solo fine di riservare a Dio il nome di infinito.

Come Parmenide, anche Cartesio osservava la contraddittorietà, strettamente logica, di un nulla esistente. Quindi, risultandogli inconcepibile il vuoto, il problema del trasferimento luminoso doveva coinvolgeva la materia sottile.148 Cosa racchiudevano al loro interno le forme elementari del Demiurgo, ancorché invisibili all’occhio, per la loro piccolezza?

Il mistero di che cosa passò per la testa di quel genio che era Cartesio, quali furono le vere ragioni della sua estrema reticenza, che potrebbero anche esulare dalla sua opinabile fraternità coi Rosa-Croce tedeschi,149 rimane tale. Ma quella formula dei poliedri semplici, così elegante e così fresca, che avrebbe aggiunto altra fama alla sua già grande celebrità, il filosofo della chiarezza non volle rivelarla, anzi la tenne racchiusa nel suo taccuino cifrato, in seguito sparito.

Un solo dato è certo: che Cartesio la concepì; la sua improvvisa morte ce l’ha consegnata, insieme con tutte le sue carte.

Il taccuino segreto era stato accuratamente rilegato, Cartesio non lo avrebbe distrutto comunque, anche se non fosse morto in così poco tempo, lontano dalla sua patria e di una morte misteriosamente sospetta.

Il delitto Cartesio (se si trattò, appunto, di un assassinio per avvelenamento, consumato in Svezia), e il taccuino segreto, adeguatamente preservato sotto cifratura, ebbero forse a che fare col mistero degli alchimisti e con la setta nordica dei Rosa-Croce? Ecco una bella domanda, alla quale, con tutta la buona volontà, non si sarebbe in grado di fornire risposta. Ma i 5 poliedri regolari dei pitagorici del Timeo di Platone potrebbero sottintendere una connessione con le proprietà simmetriche dello spazio e della materia (le 4 forze, più una quinta interazione fondamentale), che ovviamente, al di là dei portati scientifici della fisica moderna, potevano al limite costituire il massimo segreto dell’alchimia, quello della trasmutazione per ricomposizione di nuove forme derivanti l’una dall’altra.150

***

L’Universo del Timeo ha forma sferica e movimento circolare: << Tutto questo ragionamento il Dio che sempre è fece attorno al dio che ad un certo momento doveva essere, e produsse un corpo liscio ed omogeneo, da tutte le parti equidistante dal centro, perfetto ed intero, e costituito da corpi perfetti >> ( 34 B).

Ecco l’inizio del dialogo del Timeo, all’incontro dei personaggi:

<< SOCRATE – Uno, due, tre! E il quarto, o Timeo, fra quelli che ieri erano convitati e che oggi invitano al banchetto, dov’è?

TIMEO – E stato colto da una indisposizione, o Socrate. Infatti, non sarebbe mancato di sua volontà a questa riunione >>.

***

Mancherà sempre qualcuno o qualcosa, ma si continui a dialogare. Il nostro spazio umano e sociale è “numero” ed è “parola”. Quanto occorre, e quanto basta, per la “rappresentazione”.

(avv. Arcangelo Papi, marzo 2014)

1 Vedi A. Koyrè, Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, Torino, 1967, raccolta di saggi; B. Russell, La visione scientifica del mondo, Milano, 1993: G. Preti, Storia del pensiero scientifico, Milano, 1959; L. Russo, La rivoluzione dimenticata, Milano, 1997, I edizione.

2 Cfr. W. Pauli, Psiche e natura, Adelphi, 2006. La filosofia della storia di Hegel potrebbe aver aperto una strada alla psicanalisi di C. G. Jung. Va in ogni caso segnalato il saggio di J. Janes, Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, Milano, 1996.

3 Su questo aspetto degli a priori kantiani si rinvia a E. T. Bell, La magia dei numeri, Milano, 1949.

4 Sui problemi posti dalla dimostrazione in matematica si rinvia a J. D. Barrow, La luna nel pozzo cosmico (contare, pensare ed essere), Milano, 1995.

5 Vedi ad es. la voce Archimede di Attilio Frajese nel Grande dizionario enciclopedico U.t.e.t.

6 Il famosissimo teorema di Pitagora più essere dimostrato in centinaia di modi diversi.

7 Vedi D.L. Goodstein – J.R.Goodstein, Il moto dei pianeti intorno al Sole (Una lezione inedita di R. Feynman), Bologna, 1997.

8 Su Parmenide vedi E. Cassirer, Da Talete a Platone, Bari, 1992.

9 Cfr. il libro del fisico del Cern E. Klein, Sette volte la rivoluzione (I grandi della fisica contemporanea), Milano, 2006, pp. 125 ss. (capitolo 5: Le variazioni nascoste di Wolfgang Pauli)

10 Cfr. J. D. Barrow, op. cit., pp. 181-184..

11 Sul Linguaggio segreto nei numeri cfr. J. King, Casal Monferrato, 1997; Sui numeri primi, la tavola periodica degli elementi e la fisica quantistica cfr. La formula segreta dell’universo di P. Plictha, Casal Monferrato, 1998; ma anche P.G. Odifreddi sul numero 7, Le Scienze n. 463, marzo 2007, p. 103.

12 Sul Cardinale da Cusa cfr. L. de Bernart, Cusano e i matematici, Scuola Nomale Superiore, Pisa, 1999.

13 Ricorre nel 2007 il terzo centenario della nascita di Eulero: vedi articolo di P.G. Odifreddi, Le Scienze n. 464 , aprile 2007, p. 105 (Buon compleanno, Eulero!).

14 In tal senso G. Loria, op. cit., p. 335.

15 Vedi G. Reale, Timeo di Platone, testo greco a fronte, con note e appendice sulla costruzione e struttura dei 5 solidi regolari, Rusconi, Milano, 1994.

1622 A. D. Aczel, op. cit., p. 223. Uno dei primi fisici teorici a rendersi conto dell’importanza in fisica nucleare della teoria dei gruppi, introdotta per primo da Galois, è stato Ettore Majorana.

17 Per i 5 solidi pitagorici regolari e i 13 solidi archimedei irregolari, mi baso essenzialmente sulla trattazione di G. Loria, Le scienze esatte nell’antica Grecia, Milano, 1913, nonchè sulla sua Storia delle matematiche, Milano, 1950. Platone, cfr. Timeo, 53 B-55 D, non definisce i 5 solidi del Demiurgo come figure cosmiche. Però il Demiurgo è meno ingenuo di quanto possa sembrare: il passo cela infatti dottrine non scritte (cfr.G. Reale).

18 In tal senso Piergiorgio Odifreddi. Sono stati scoperti esemplari litici dei solidi platonici.

19 Vedi al riguardo Pietro Emanuele, Cogito ergo sum, Salani 2001, pagg. 174-175.

20 E’ il problema moderno ed attuale della c.d. intelligenza artificiale, fermi restando i limiti di certe espressioni come libertà, consapevolezza ecc., di cui non si può postulare l’assolutezza, mentre esiste e sapere di esistere ha in sé un valore assoluto.

21 E’ quanto sosteneva lo storico Georges Duby in mancanza di documentazione.

22 Il lettore può trovare ampia soddisfazione nel ponderoso capolavoro divulgativo di R. Pensose, La strada che porta alla realtà, Milano 2005.

23 E. Pies, Il delitto Cartesio, Sellerio, 1999.

24 Sulle forme replicanti, che anticipano i moderni frattali, vedi D’Arcy W. Thompson (1917), Crescita e forma, Milano, 1992. Su Platone e le figure auto-simili, vedi P. Zellini, Gnomon, Milano, 1999.

25 Vedi R. Courant e H. Robbins, Cos’è la matematica?, Milano, 1971, pp. 355 ss. La formula Cartesio-Eulero vale per tutti i poliedri semplici, regolari e non, ma non per i poliedri che non sono semplici. I poliedri semiregolari furono studiati da Archimede. La topologia moderna è un ramo fondamentale della matematica avanzata.

26 Chiaramente, raccomandiamo la lettura del bel libro di Aczel, autore di altri stimolanti saggi.

27 Si tratta della Geometria, recata in appendice dall’opera dal Discorso sul Metodo (1637).

28 Vedi Storia della scienza moderna e contemporanea a cura di P. Rossi, vol. 1, Dalla rivoluzione scientifica all’età dei lumi, pp. 232 ss.

29 Storia della scienza moderna, vol.I, , Milano, 2000, p. 235, a cura di P. Rossi.

30 Vedi P.G. Odifreddi, La matematica del ‘900, Torino, 2000, p. 29.

31 Curiosamente il numero 13 si ripete a proposito di altrettanti punti o torri collegate per l’osservazione del moto solare, secondo quanto risulta da recentissime scoperte archeologiche sulla civiltà Incas in Perù.

32 Cfr. E. Colerus, Piccola storia della matematica, Torino, 1960, p. 72; nonché G.Loria, op. cit. pp. 333 ss.

33 Richiamati da G. Loria, op. cit., p. 39-40, e p. 339.

34 Aczel, op. cit., p. 204.

35 Cfr. op. cit., p. 335, con riferimento ai lavori, citati in nota 2, di R. Baltzer, 1861.

36 G. Loria, op. cit.,p. 337.

37 Vedi i frammenti del poema di Empedocle, a cura di C.Gallavotti, Milano, 1993.

38 Sulle dottrine non scritte di Platone vedi G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone, Milano, 1997, con appendice illustrata sulla sezione aurea nell’arte greca, nonché dello stesso autore, Platone – Alla ricerca della sapienza segreta, Milano, 1998. Su Platone e la fisica moderna vedi scritti divulgativi di W. Heisemberg.

39 Su Archita vedi G. Loria, op, cit., pp. 99-105; nonché Pitagora – Le opere e le testimonianze, Milano, 2001, 2 voll., a cura di M. Giangiulio, accanto ad un frammento riportato da Aulo Gellio, Notti Attiche, X, 12

40 Vedi Platone, Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Milano, 2000.

41 A. Piccato, Dizionario dei termini matematici, voce stereometria, Milano, 1987; nonché S. Maracchia, Piccola storia della geometria solida pre-euclidea, Roma, 1971.

42 Vedi H. Meschkowski, Mutamenti del pensiero matematico, Milano, 1973, pp. 15 ss. In tale senso Proco.

43 Cfr. R. Rucker, La quarta dimensione, Milano, 1994, pp. 23-26; R. Casati, La scoperta dell’ombra, Milano, passim.

44 Lucio Russo, in La rivoluzione dimenticata, Milano, 1997, seguito da Flussi e Riflussi, Milano, 2003 (favorevolmente accolta La riv. dim. da S. Guarracino, in Le età della storia, Milano, pp. 110 ss.), ripercorre analiticamente lo stato molto più avanzato della scienza antica in età alessandrina.

45 Si attribuisce a Cebisev questo detto: Nell’antichità i problemi matematici erano posti dagli dèi – un esempio era la duplicazione del cubo. Nel periodo classico da semidei come potevano esserlo Newton e Leibniz, Euler e Lagrange. Oggi sono proposti dai tecnici (citato da P. Zellini, Gnomon, Milano, p. 15).

46 Si allude alla questione archimedea ben profilata dallo storico della matematica Attilio Frajese (Opere di Archimede, Torino, 1974, Introduzione), nonché al c.d. pensiero produttivo studiato dalla Gestalt (cfr.Albert Einstein e Max Wertheimer, di P. Damerow, in L’eredità di Einstein , Padova, 1994, a cura di G. Pisent e J. Renn, pp. 43 ss.) e al pensiero trasformativo di Come Leonardo, D. Perkins, Milano, 2001.

47 La dimostrazone del c.d. “ultimo teorema di Fermat” (cioè l’impossibilità di terne ‘pitagoriche’ di potenza superiore a 2) venne raggiunta da Wiles soltanto nel 1995, chiudendo un percorso che era iniziato con Eulero per la potenza terza.

48 Vedi Pierre de Fernet, Osservazioni su Diofanto, a cura di A. Conte, con prefazione di G. Colli, Milano, 2006.

49 Vedi ad es. M. Piazza, Intorno ai numeri (Oggetti, proprietà, funzioni utili), Milano, 2000.

50 Il calcolo combinatorio ha radici più antiche, ma forse Giacomo Casanova matematico rivendicherebbe l’invenzione del gioco del lotto. E’ da notare il fascino iptonizzante dello spettacolo dell’estrazione dei numeri al lotto, che cattura inevitabilmente l’attenzione di adulti e bambini, anche se non hanno effettuato la giocata. Quindi i numeri esercitano un fascino che può venire soltanto dallo loro antichissima storia.

51 L. Cresci, I numeri celebri, Milano, 2000, p. 137.

52 Vedi Martin Gardner, Successioni affascinanti: i numeri di Fibonacci e i numeri catalani, Le Scienze n.12, agosto 1969 e n. 99, novembre 1976.

53 Cfr. A. Aveni, Scale fino alle stelle, Milano, 1997.

54 Cfr. I Presocratici (testimonianze e frammenti da Talete a Empedocle), a cura di A. Lami, Milano, p. 131.

55 Su Filolao si raccomanda ancora una volta la lettura di Gnomon, op. cit. del matematico P. Zellini.

56 P. Zellini, Gnomon, op. cit.,p. 16.

57 Cfr. J. Dieudonné, L’arte dei numeri, Milano, 1989, pp. 49 ss.

58 Cfr. J.Dieudonnè, L’arte dei numeri (matematica e matematici oggi), op. cit., p. 54, per l’antica rappresentazione geometrica delle radici di un numero.

59 Sui Numeri figurati e le loro proprietà, vedi M. Gardner, Le Scienze n.80, aprile 1975.

60 Cfr. C. Lauricella, Storia del Pensiero, Torino, 1938, vol. I, p. 74; nonché K. Popper, Congetture e Confutazioni, op. cit.., La natura dei problemi filosofici, pp. 136 ss. La tavola delle contrarietà pitagoriche, argomento trascurato, è invece importante, anche se fosse di epoca posteriore.

61 Secondo Michel Serres, Lucrezio e l’origine della fisica, Palermo, 2000, pp. 17 ss., Archimede sarebbe uno scienziato atomista epicureo. Invece gli arabi che lo tradussero e lo studiarono, lo definirono figlio di Pitagora.

62 Vedi P. Zellini, Breve Storia dell’Infinito, Milano, 1980.

63 G. Semerano, L’infinito: un equivoco millenario (Le antiche civiltà del Vicino Oriente e le origini del pensiero greco), Milano, 2001.

64 Orapollo contribuì non poco a stravolgere le possibilità di interpretazione dei geroglifici, anche in presenza del recupero della stele di Rosetta. Ma i greci erano venuti ad apprendere in Egitto, e certamente Erodoto non è il primo, anzi è tra gli ultimi viaggiatori del passato remoto. Pitagora e Solone vi si erano ammaestrati.

65 Nel 1919 i suoi esami comparativi delle stelle ai bordi del sole sulle fotografie dell’eclisse di quell’anno provarono la teoria generale della relatività. Eddington è altresì autore di Spazio, tempo e gravitazione, 1920, trad. it. Milano, 1971.

66 Vedi oggi I sei numeri dell’universo (Le forze profonde che spiegano il cosmo), del cosmologo Martin Rees, Milano, 2002.

67 Non è detto che tutte queste costanti siano tali, anzi è possibile che la costane c della luce presenti temporalmente delle fluttuazioni minime nei limiti di precisione sperimentale..

68 L’unità minima di carica oggi non è più rappresentata dall’elettrone, ma dai quark , che possiedono carica elettrica frazionaria. Ma nessuno ha mai visto un qark libero, a differenza dell’elettrone orbitale o nucleare.

69 La costante lambda di Einstein, da lui riconosciuta come il suo più grande errore, è stata invece ripescata da alcuni cosmologi moderni. Alcuni anni fa si cominciò a parlare di universo piatto, ma non in senso euclideo.

70 Ovviamente in termini numeroloigici.

71 Il lettore tenga presente che parla Eddington, famoso scienziato, e non l’autore del presente articolo.

72 In realtà il valore sperimentale della costante di struttura fine (introdotta da Sommerfeld e che rappresenta il quadrato della carica dell’elettrone diviso per la costante di Plance e per la velocità della luce) è dato da un numero frazionario, pari a 1 /137, 036.

73 Cfr. F. Di Trocchio, Le bugie della scienza (Perché e come gli scienziati imbrogliano), Milano, 1993.

74 Il problema bovino attribuito dalle fonti ad Archimede è stato trattato di recente dal prof. Umberto Bartocci dell’Università di Perugia e dal prof. Umberto Cerruti dell’Università di Torino (vedi i rispettivi siti elettronici).

75 Nel sito elettronico del prof. Umberto Cerruti, intitolato Blog Matematico e liberamente consultabile su Internet, che si arricchisce con cadenza periodica sempre di nuovi articoli, ognuno dei quali più interessate dell’altro, vengono trattati anche raffinati aspetti matematici connessi ai solidi regolari platonici e ai numeri figurati pitagorici.

76 Vedi R. Kanigel, L’uomo che vide l’infinito (La vita breve di Srinivasa Ramanujuan, genio della matematica), Milano, 2003. pp.36 ss.; D. Wells, Personaggi e paradossi della matematica, Milano, 2002, p. 38-39. Molti aneddoti sui grandi matematici antichi e moderni sono riportati nel contesto dell’eccellente Blog Matematico del prof. Umberto Cerruti, che in una serie progressiva, continuamente aggiornata, di articoli matematici di grande livello, è capace unire al rigore scientifico e all’ originalità degli argomenti trattati, una grande freschezza narrativa su questioni niente affatto semplici.

77 Colgo l’occasione per ricordare l’enigmatica figura del torinese Adolfo Gustavo Rol, citando per una analogia che potrebbe interessare gli esoterici moderni, l’eccellente articolo di Pier Giorgio Odifreddi, La fisica mente, pubblicato in La scienza e i vortici del dubbio, 1999, pp. 397-421, Atti del Convegno di Perugia, collana Ricerche Filosofiche dell’Università di Perugia, a cura di L.Conti e M. Mamone Capria (l’articolo passa in rassegna le varie teorie proposte a riguardo dell’interazione tra la coscienza del soggetto e l’oggetto degli esperimenti quantistici).

78 Vedi dettagli in Blog Matematico del prof. Umberto Cerruti.

79 La teoria dei numeri, che è regina della matematica, non ha nulla a che fare con la nostra numerologia. Il lettore interessato alla teoria dei numeri scorra senz’altro il Blog Matematico del prof. Cerruti, dove potrà accostarsi con una certa facilità a molte cose difficili.

80 E’ strano che Archimede utilizzi nel secondo gradino del problema bovino un piccolo teorema algebrico che poi figura in Diofanto. Ma è in sé evidente che si tratta di antiche nozioni pitagoriche.

81 Su Galilei e Keplero, M. Bucciantini, Torino, 2003 (Filosofia, cosmologia e teologia nell’Età della Controriforma). Sugli anagrammi di Galileo indirizzati a Keplero dopo aver osservato col cannocchiale i monti lunari e l’anello non risolto di Saturno, vedi A. Koestler, I sonnambuli, Milano 1990, pp. 367 ss.

82 Cfr. Martin Gardner, Le Scienze n. 36, agosto 1971.

83 M. Gardner, Numeri perfetti e coppia di numeri amicali, Le Scienze n. 22, giugno 1970.

84 Questa formula, che comprende anche il numero immaginario i, è solo un caso particolare di un’altra formula che lega il numero i alle funzioni trigonometriche. Tuttavia potrebbe inglobare un oscuro retroscena dimensionale.

85 Il concetto di trascendenza è stato introdotto da J. Liouville (1809-1882), ma dimostrato per pi greco soltanto nel 1882 da F. Lindemann (1852-1901).

86 Vedi B. de Finetti, Tre personaggi della matematica: e, pi reco, i, Le Scienze n. 39, novembre 1971.

87 La determinazione del valore della superficie sferica è il massimo mistero di Archimede, anche rispetto a quanto dichiarato espressamente nella parte conclusiva della dimostrazione della proposizione 2 del Metodo meccanico.

88 Il periodo siderale della luna, da non confondere con quello sinodico, è di 27, 322 giorni terrestri.

89 Il calcolo del perimetro dell’ellisse è una questione difficile.

90 Vedi ad esempio N. Falletta, Il libro dei paradossi, Milano, 1994, capitolo 25, pp. 209 ss., con ampia bibliografia.

91 Umberto Cerruti, “Blog Matematico”, 11 settembre 2005, pp. 4 ss. Si tratta di grafi del genere hamiltoniano, tranne l’ottaedro che è euleriano.

92 Per esempio, si veda il saggio di Peter Kinglsey, Misteri e magia nella filosofia antica – Empedocle e la tradizione pitagorica, Milano 2007. Sul pitagorismo si vedano: Augusto Rostagni, Il verbo di Pitagora, Torino, 1924; Leonardo Ferrero, Storia del pitagorismo nel mondo romano, Torino, 1955; Christiane L. Joost – Guagier, Pitagora e il suo influsso sul pensiero e sull’arte, Edizioni Arkeios, 2008.

93 Vedi Courant-Robbins, op. cit., pp. 698 ss.

94 Vedi M. Du Sautoy, L’Enigma dei numeri primi (L’ipotesi di Riemann, il più grande mistero della matematica), Milano, 2004; K. Devlin, I problemi del millennio (I sette enigmi matematici irrisolti del nostro tempo), Milano, pp. 33 ss., capitolo La musica dei numeri primi.

95 Ad esempio 6 per 10 – 1 dà 59, che è primo. Ma anche 61 è primo per gemellarità. L’indice 6 della formula indicata nel testo potrebbe connettersi alla sfera, nel modo che vederemo in seguito. I numeri primi di Fermat sono di altra forma, come pure i numeri primi di Marsenne. Su questo vedi Blog Matematico del prof. Umberto Cerruti; nonché il Quaderno de le Scienze n.24, dicembre 2001, pp. 70 ss.m dedicato a Fermat; I. Peterson, Il turista matematico (Viaggio nella scienza dei numeri), Firenze, 1998, pp. 49 ss.; K. Devlin, Dove va la matematica, Milano, 1994, pp. 14 ss,; idem Il linguaggio della matematica (Rendere visibile l’invisibile), Milano, 1998, pp. 41 ss. E’ cgoaro che non è stata ancora trovata una formula generale, valida per tutti i casi, generativa dei numeri primi. Quindi ognuna delle formula attuali, antiche o moderne, presenta dei limiti di validità. La formula di Fermat risalente al 1640 e fondata sulle potenze ulteriori di 2 alla seconda, venne provata falsa da Eulero nel caso di < “2 alla seconda con ulteriore esponente 5” +1 >, che infatti produce un numero elevato dato dal prodotto di 6.700. 417 per 641 (ovviamente si ratta di due numeri primi). Altra formula che non dà più risultati per n =41, è l’espressione < n alla quadratato – n + 41 >, valida per n fino a 40. E’ poi interessante la proposizione IX, 36 degli Elementi di Euclide: << Se, partendo dall’unità, si prendono quanti si voglia numeri raddoppiando successivamente sino a che la loro somma venga ad essere un numero primo, e se la somma stessa viene moltiplicata per l’ultimo dei numeri considerati, il prodotto sarà un numero perfetto>>. Si tratta di un fossile pitagorico, che connette i numeri primi ai numeri perfetti: dal fatto che < 2 alla settima – 1 = 127 > è primo, possiamo dedurre < 2 alla sesta = 8128 > è un numero perfetto pitagorico, cioè somma di tutti i suoi divisori. Sosteneva il matematico J. Hadamard che la bellezza è un criterio di verità. La musica dei numeri primi è perciò necessariamente bella, e potrebbe risultare un frattale per l’orecchio o l’occhio della mente. Neppure si può escludere che al fondo più riposto della fisica dell’atomo si nasconda un ragnatela di numeri primi… mediata da pi greco…(stiamo immaginando). Il problema di trovare una formula generale, applicando la quale si possano trovare soltanto e tutti i numeri primi, è ancora insoluto. La funzione zeta di Riemann è la strada che stanno battendo i matematici oggi. Sui numeri primi vedi E. Borel, Les nombres premiers, Parigi, 1958. I numeri primi sono infiniti, coma già sapevano i greci. Anche questa dimostrazione riportata da Euclide dovrebbe essere stata ricavata da un fossile pitagorico.

96 Gauss, a 19 anni, realizzò l’impresa della costruzione di un poligono di 17 lati, con riga e compasso, passando poi ad altre importanti dimostrazioni correlate. I Greci erano in grado di costruire poligoni regolari con un numero di lati multipli di 2, 3, e 5, ma non sarebbero stati in grado, si sostiene, di costruire poligoni regolari con un numero primo di lati. Teodoro di Cirene e Archita di Taranto, cioè i maestri pitagorici di Platone, ebbero grande influenza su tutta la scuola platonica. Teodoro aveva dimostrato che i rapporti che noi oggi indichiamo come radice quadrata di 5, 7, … 17 sono commensurabili con l’unità. Archita introdusse l’idea di considerare una curva come generata dal moto di un punto e una superficie come generata dal moto di una curva (M. Klein, Storia del pensiero matematico, Torino, 1996, vol.. I, p. 53). Sull’aritmetica modulare e il concetto di congruenza, cfr. Courant-Robbins, op. cit., pp. 76 ss.. Sempre a questa età (1796), Gauss annotò nel suo diario: Eureka! num = t + t + t, nel senso che ogni intero è la somma di non più di 3 numeri quadrati. Tale risultato è in realtà pitagorico e dimensionale, dal momento che la dimensione del piano illimitato è quella dell’indice 4 della superficie sferica: il che spiega il fatto che la capienza infinita del piano numerico pitagorico, dove i numeri triangolari rappresentano la semplice somma aritmetica dei numeri progressivi in ragione dell’unità, sovrasta l’indice dimensionale 3 della somma astratta di 3 qualsivoglia numeri triangolari. Il che non vale per i numeri quadrati, che risultano dalla somma progressiva dei numeri dispari (1 + 3 + 5 + 7 ecc.). La somma di due quadrati successivi (ad es. 9 + 16 = 25) è sempre un quadrato, perché dimensionale del piano infinito è 4, cioè 2 alla seconda. Un numero quadrato dispari è dato dalla somma di 8 numeri triangolari più l’unità. Anche questo banale teorema nasconde un verità dimensionale. Sui solidi regolari pitagorici vedi C. B. Boyer, Storia della matematica, Milano, 1980, pp. 59 ss. Uno scolio del XIII libro di Euclide riferisce che i pitagorici conoscevano soltanto tre poliedri regolari, ma è invece da credere che li conoscessero appieno, poiché è stato rintracciato un dodecaedro etrusco risalente al IV sec. a.C. Del resto la stella a 5 punte (formata tracciando le 5 diagonali della faccia pentagonale di un dodecaedro regolare) era il simbolo (autoreplicante all’infinito) della scuola pitagorica. Tale costruzione chiama direttamente in causa i numeri catalani geometrici. Keplero affermò che la geometria ha due grandi tesori: il teorema di Pitagora, e la divisione della linea in media ed estrema ragione.

97 Cfr. R. Kaplan, Zero, Milano, 1999 ; C. Seiffe, Zero (La storia di un’idea pericolosa), Milano, 2002.

98 Platone, Repubblica, VII, 514 ss.

99 Il numero della giustizia acquista così il suo significato simbolico (come la 4 direzioni). Non è escluso che i pitagorici conoscessero lo sviluppo triangolare del binomio. Anzi, è assai probabile.

100 K. Popper, Congetture e confutazioni, op. cit., La natura dei problemi filosofici, si sofferma, pp. 146 ss., sul problema epistemologico, postosi in antico, sul punto e sulla linea. La questione potrebbe concernere l’antefatto platonico della presenza di Parmenide e di Zenone ad Atene verso il 450, anche se questo fatto è stato storicamnente messo in discussione. La concezione del punto pitagorico, pur non coincidendo con la definizione di Euclide, sembra ben fondata (sarebbe stata questa la ragione per cui Cartesio potè assegnare al punto del piano 2 valori di coordinata). L’ipotesi che il piano illimitato pitagorico, geometrico e numerico, potesse avere dimensione 4, come sosteniamo, per quanto trovi un solido appoggio nelle dottrine segrete di Platone sottintese nella Repubblica, non è accettabile in base alla concezione matematica moderna. Nei presenti appunti mostreremo invece la straordinaria efficacia di questo concetto.

101 Il libro divulgativo di Eddigton sulla teoria generale della relatività, Spazio, tempo e gravitazione, termina con queste parole: << Abbiamo scoperto una strana impronta sulla spiaggia dell’ignoto. Abbiamo escogitato profonde teorie, l’una dopo l’altra, per spiegarne la provenienza. Alla fine siamo riusciti a ricostruire la creatura che aveva lasciato quell’impronta. Ed ecco!, è la nostra impronta >>.

102 Sulle sezioni coniche pitagoriche (in questo caso l’ellisse), vedi F.Vitale, L’astronomia nell’antica Pompei e nella Magna Grecia, Episteme n. 7/1, dicembre 2003, pp. 29 ss. Nella stessa rivista diretta dal prof. Umberto Bartocci, sono stati pubblicato articoli che toccano gli argomenti qui trattati. Segnalo, nell’ordine, G. Faina, Matematica e computers (Metodi classici e metodi sperimentali nella ricerca in geometria combinatoria), Episteme n 3, 2001; U. Bartocci e R. V. Macrì, Il linguaggio della matematica, Episteme n. 5, 2002; R. V. Macrì, Neopitagorismo e relatività, Episteme n. 6, 2002; F. Marcacci, La dimostrazione matematica pre-euclidea tra costruzione e rigore; Arturo Renghini e la sua opera dedicata alla matematica pitagorica, Episteme n. 8, 2004.

103 Questo avvenne in seguito, con Apollonio di Pergamo e con la geometria cartesiana. Anche Archimede studiò le sezioni coniche, ma questi suoi lavori non ci sono pervenuti.

104 Aritmetica, geometria e astronomia costituiscono le scienze formative dei custodi. Il trivio e il quadrivio si riportano al 3 al 4, i numeri ossessione di W. Pauli.

105 Eudemo-Proclo (Taylor), dopo il commento alla proporzione (probabilmente interpolata ) di Euclide: due linee rette che si tagliano formano 4 angoli eguali a due retti.

106 Cfr. Giovanni Schiaparelli, 1884, rivista “La natura”, Dimensioni terrestri e cosmiche.

107 Vedi Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica ed i movimenti locali, giornata prima (1638). Il momento in cui il semicerchio (inserito in modo rovesciato nel semiquadrato, vale e dire a forma di scodella), viene introdotto, è quando Salviati propone: << come si possa mai capire che un sol punto è uguale a una linea >> (quando cioè si tratta di presentare una sorta di paradosso: vedi P. Freguglia, op. cit. p. 139; Bottazzini, Freguglia, Toti Rigatelli, op. cit., p. 239 ss., paragrafo Galileo e i paradossi dell’infinito). Nel 1636 Fermat si occupò invece della quadratura geometrica delle infinite parabole, per le quali le ascisse sono proporzionali a una potenza qualunque dell’applicata, anticipando ciò che in termini moderni è sarebbe il calcolo dell’integrale che esprime l’area della superficie compresa tra la parabola di equazione y = x elevato alla n (con n intero positivo), l’asse delle ascisse e una ordinata qualunque. << Se le potenze delle ordinate sono in un rapporto costante con la sola lunghezza delle porzioni del diametro, ossia con il lato, il rapporto del parallelogramma con la figura è di 2 a 1 per il triangolo, di 3 a 2 per la parabola, di 4 a 3 per la parabola cubica, di 5 a 4 per la parabola biquadratica etc. in infinitum >> (Ad Bon. Cavalierii quaestiones responsa). Nel 1657 Fermat pubblicava anche il metodo di quadratura delle infinite iperboli utilizzando una progressione geometrica (il procedimento non vale per l’iperbole equilatera detta Apolloniana).

108 Questi identici rapporti di aree derivano come conseguenza dal fatto che Archimede aveva stabilito il rapporto semplice di 4/3 dell’area del ramo di parabola rispetto al triangolo inscritto in essa. Ignoro se una figura simile figura elementare sia presa in considerazione da qualche geometra del passato. Ma essa potrebbe in qualche modo nascondersi all’interno della struttura invisibile del problema bovino di Archimede.

109 Il teorema di Pitagora è la famosa quarantasettesima proposizione di Euclide. Arthur Schopenhauer ne Il mondo come volontà e rappresentazione portò un duro attacco alla dimostrazione del teorema di Pitagora fornita da Euclide, che è piuttosto complicata. Secondo il filosofo tedesco siamo come un dottore che conosce sia la malattia che la sua cura ma non rende conto del come funziona la cura. Secondo lui la dimostrazione di Euclide è una brillante esibizione di malignità, poiché verrebbe infilata la verità da una porta secondaria, invece di presentarla apertamente come diretta intuizione di relazioni spaziali. Secondo Martin Gardner le argomentazioni di Schopenahuer sono ingenue, e la dimostrazione fornita dal filosofo tedesco non ha carattere generale, riguardando soltanto il caso del triangolo rettangolo isoscele. Nel 1945 fu pubblicata da Hermann Baravalle una dimostrazione dinamica del teorema in 5 passaggi. I metodi ingegnosi per la dimostrazione di questo teorema si contano a centinaia.

110 Vedi Courant-Robbins, op. cit., pp.355-357.

111 Infatti la topologia è un ramo avanzato della matematica moderna.

112 Vedi Courant -Robbins, op. cit., pp. 359-360.

113 Vedi G. Reale, Platone (Alla ricerca della sapienza segreta), Milano, 1998

114 Su questi aspetti concernenti Platone vedi P. Zellini, Gnomon, op. cit.

115 Cfr. G. Loria, op. cit., p. 337

116 Altre costruzioni di questi poliedri sono indicate dall’arabo Abu’l Wafa.

117 Si rinvia a G. Loria, op. cit., per i necessari complementi.

118 Vedi nota illustrativa ed esplicativa del Timeo nell’edizione curata da G. Reale.

119 Vedi M.Livio, La sezione aurea (Storia di un numero e di un mistero che dura da tremila anni), Milano, 2003.

120 Cfr. Courant-Robbins, op.cit., pp. 371-376.

121 Courant e Robbins, op. cit., p.371.

122 La dimensione frattale della c.d. polvere di Cantor è frazionaria, ed è rappresentata da log (2) / log (3) = 0,63, ponendosi tra 0 e 1. Il c.d. fiocco di neve di Koch che ricorda una forma esagonale, dà luogo a una curva di contorno che al limite è infinita. Al passo iniziale 0 la lunghezza della curva è il perimetro del triangolo equilatero, cioè 3. Poi tende a crescere. La dimensione (di Huasdorff) di questi frattali è log (n) / log (r), posto che (ad ogni passo successivo) a un segmento se ne sostituiscono n di lunghezza 1/ r ( 1 r-esimo del precedente). La dimensione della curva di Peano è log (9) / log (3) = 2 (devo questi chiarimenti, qui molto succintamente riportati, alla cortesia del Prof. Umberto Cerruti dell’Università di Torino). La polvere di Cantor si ottiene sostituendo ad un segmento 2 segmenti di lunghezza 1/3 (cioè spezzando un segmento unitario sempre di più in tante parti per sottrazione di 1/3).

123 Nel 1890 il famoso matematico torinese Giuseppe Peano scoprì questa proprietà paradossale, che in seguito venne chiamata curva di Hilbert.

124 Questa stessa idea fonda la geometria cartesiane delle coordinate. Si tratta infatti di un piano infinito diviso in 4 quadranti intorno a un punto zero, dove ciascun punto del piano è caratterizzato da un coppia di numeri. In realtà la coppia di numeri del punto si riferisce all’uico vertice esterno di una superficie quadrata o rettangolare, mentre il punto zero di confluenza degli assi ha valore neutro per sovrapposizione di valori direzionali (+ 1, + 1, – 1, – 1).

125 Il quinto postulato di Euclide, sottoposto a revisione moderna con le nuove geometrie, sarebbe stato invece formulato in quel modo, proprio per escludere a priori spazi curvi, cioè concavi o convessi.

126 Ovviamente l’opera di Archimede è molto densa, articolata e complessa, e non può risolversi in due battute. Tuttavia certi rapporti semplici come 4 per la superficie sferica, 4/3 per il suo volume ecc., non hanno fino ad oggi trovato una vera spiegazione al di fuori del calcolo infinitesimale, che certamente Archimede non conosceva. Le dimostrazioni di Archimede sono alquanto formali, mentre è certo che egli adoperava un metodo meccanico di tipo euristico, aiutandosi in questo modo. Ma anche il Metodo di Archimede non è sufficiente a spiegare fino in fondo il segreto di questi fondamentali rapporti semplici, che gli studenti usano ogni giorni secondo le moderne formule della geometria elementare. Per questi aspetti si vedano in nostri appunti sui “Segreti di Archimede”.

127 Questo risultato fu raggiunto dall’astronomo cinese Tsu Chung-Chin nel V secolo d.C. La determinazione di pi greco da parte di Archimede procede da un’opera sintetica (probabilmente mutila) di tre sole proposizioni, la Misura del cerchio. Il valore trovato da Archimede si pone tra le frazioni 22 / 7 e 22 / 71. In questo contesto si ignora come Archimede abbia calcolato con precisione la radice quadrata di 3 per difetto e per eccesso ( 265 / 153 e 1351 / 780). La frazione 355/ 311 è un convergente dello sviluppo in frazione continua di pi greco. Questa approssimazione notevole deriva dal fatto che lo sviluppo della frazione continua è: (3,,7,1,5,1,292,1,1,1,2….), dove all’improvviso appare il quoziente parziale 292 così grande (devo al Prof. Umberto Cerruti anche questo chiarimento).

128 Il triangolo coi suoi tre lati rappresentati da tre segmenti di valore dimensionale 1 (al pari del punto-unità pitagorico) e da tre punti distinti di vertice, avrebbe una somma dimensionale 3, e questo spiegherebbe perchè la forma simmetrica del triangolo equilatero (per quanto il baricentro sia posto sui 2/3 bisettrice dando luogo però a 6 t. rettangoli uguali e 3 tre isosceli identici) possa dal logo alla triplice serie dei poliedri regolari con tale faccia.

129 Per una breve presentazione dei catalani geometrici vedi L. Cresci, I numeri celebri, op. cit., p. 129

130 Si fa rinvio ai “Segreti di Archimede” su questo stesso sito.

131 Archimede per stabilire il valore della circonferenza del cerchio usò poligoni regolari inscritti e circoscritti di 96 lati, cioè 3 volte il valore di 32.

132 Vedi la tabella di Cartesio.

133 San Giovanni nell’Apocalisse (4, 1, ss.) parla di Dio e del numero delle creature che lo circondano : Nel mezzo Lui, l’Unico, l’Innominabile e utt’attorno quattro creature potenti. Sul trono 24 sedie con 24 anziani….Newton scrisse di nascosto un trattato sull’Apocalisse (insieme ad altre opere di carattere religioso ed esoterico), che era la sua riposta all’opera di Mede, pubblicata nel 1627, La chiave dell’Apocalisse (vedi M. Withe, Newton – L’ultimo mago, Milano, 2001; B. J. Teeter Dobbs, Isaac Newton scienziato e alchimista, Roma, 2002).

134 Mi limito a sottolineare questa coincidenza, astenendomi da una analisi specifica dei 13 poliedri semiregolari di Archimede. Il numero 63 così ottenuto somiglia al valore frazionario della dimensione della polvere di Cantor, che è 0,63 (come riportato nella relativa nota).

135 Il caso già visto di 2 alla quinta non rientra nello schema, perché 6 non è numero primo. Il significato di questa formula generativa di numeri primi consiste nel fatto che se il risultato è divisibile per n , allora n è un numero primo. Tale formula delle potenze di 2 con esponente n numero primo, deriva da un’opera matematica cinese, risalente a verso il 250 a.C., che raccoglieva 246 problemi riguardanti calcoli applicati alla vita pratica, ma anche problemi geometrici e aritmetici. Si intitolava Nove capitoli sull’arte matematica. Tale formula non è valida in senso assoluto perché ad es. con n = 341 cessa di avere efficacia. Il numero 341, che è un semiprimo e non un numero primo (infatti 11 per 31 = 341), è ugualmente divisore di < 2 elevato alla 341-1 >, sconfessando la regola di generazione di n primi per divisibilità.

136 Vedi M.Gardner, Lo straordinario numero trascendente pi greco, Le Scienze n.46, giugno 1972. La radice cubica di 10 fornisce l’approssimazione 3,162…; mentre la radice cubica di 31 fornisce il valore 3,1413…L’esponente di radice, nel nostro percorso, corrisponde allo spazio 3.

137 Il numero 8 era associato alla dea Cibele di origine frigia, venerata a Roma come Magna Mater.

138 L’icosaedro chiude la triplice tabella delle facce, dei vertici e degli spigoli elencati da Cartesio.

139 Dal punto di vista numerologico si può notare che il numero 31 è composto dalle prime due cifre di pi greco.

140 La probabilità che due numeri interi presi a caso non abbiano divisori comuni è espressa dal rapporto < 6/ pi greco al quadrato >.

141 Wallis, che ebbe una lunga e singolarissima polemica con T. Hobbes, il quale si ostinava a ritenere che la superficie avesse spessore e che il cerchio fosse quadrabile (come pensava Cusano in polemica col Regiomontano), derivò nel 1665 una formula di pi greco mezzi, fondata su prodotti.

142 La complessa formula di derivazione di pi greco di Ramanujan (1914) prevede al primo termine una frazione, con al numeratore la radice quadrata di 8 e al denominatore il numero 9801 (viene poi moltiplicata per un certo integrale da zero a infinito). Il denominatore di tale frazione potrebbe avere un valore dimensionale, mentre il numero al denominatore potrebbe essere riconducibile numerologicamente alla decade per somma cifre (9801 = 9+9 = 18 =9). Il numero 9 deriverebbe numerologicamente dall somma del valore 4 del piano infinito e dal valore 5 del numero dei solidi pitagorici connessi alla sfera. Ma potrebbe essere anche la terza potenza della dimensione 9 come anche semplicemente il numero nove. Non si sa mai ciò che effettivamente certe prodigiose formule matematiche possono nascondere (infatti esse sono nate da qualcosa che potrebbe persino sfuggire al sommo genio del loro autore). Ciò non toglie che la matematica avanzata e la topologia moderna, dopo Riemann e Poincarè, risultino in questi due ultimi secoli lontanissime dalle conoscenze dell’uomo comune, al cui genere apparteniamo.

143 A coloro che amano il pensiero di Platone suggeriamo la lettura del saggio di F. Nietzsche, Plato amicus sed, Milano, ristampa 2002. A coloro che non essendo matematici, siano comunque interessati alla geometria e ai fondamenti essenziali della topologia, consigliamo la lettura della Geometria intuitiva di D. Hilbert e S. Cohnn-Vossen, Milano, ristampa 2001, con un complemento di topologia a cura di P.S. Aleksandrov. Personalmente siamo convinti che tesori di pensiero si celino ancora in angoli oscuri di apparenze o considerati abbondantemente superati. Ad esempio il pensiero di Parmenide (per quei pochi frammenti che ci sono pervenuti), sembra attualissimo sotto diversi aspetti.

144 Vedi G. Israel, La visione matematica della realtà, Bari, 2003, ove però Cartesio non è mai citato; nonché P. J. Davies e R. Hersch, Il sogno di Cartesio (Il mondo secondo la matematica), Milano, 1988.

145 Basti pensare, per analogia, a Flatlandia di E. A. Abbott, ed. it. Milano, 1993.

146 Vedi ad es. P. Emanuele, Cogito ergo sum (Breve storia della filosofia attraverso i detti dei filosofi), Cuneo, 2001, pp. 173 ss.

147 Su Cartesio segnaliamo G. Rosis-Lewis, Cartesio (Una biografia), Roma, 1997; R. Lauth, Descartes (La concezione del sistema della filosofia), Milano, 2000.

148 Vedi oggi ad es. B. S. Chandrasekhar, Perché il vetro è trasparente, Bologna, 2001. Ma il mistero della luce si conserva nell’enigma della sua dualità onda- particella, malgrado il principio di complementarità di Bohr.

149 Vedi P. Arnold, Storia dei Rosa-Croce, Milano, 1991, con prefazione di U.Eco, pp. 278 ss. Cartesio, nel 1620, allora ventitreenne, arruolato nell’esercito dal principe di Nassau, che si interessava di alchimia, soggiornò in Baviera, nel Wuertemmberg, dove fece la conoscenza di Johann Faulhaber, autore della Analyse des Gèometries, mentre a Norimberga si trovava un altro matematico, Pierre Roten. Rientrato in Francia nel 1623, fu sospettato pubblicamente di essersi arruolato nella Confraternita. Quando Cartesio ritorna a Parigi, Marsenne stava scrivendo un commento al Genesi. Ma i rapporti di Cartesio con i Rosa Croce sembrano assai labili e incerti. Nel suo studio incompiuto sul Buon Senso, si rivela imparzialmente critico. Tuttavia il famoso manifesto rosacrociano di Parigi apparve proprio nel periodo in cui Cartesio era rientrato dalla Germania. Il nostro racconto appartiene al genere del realismo fantastico di cui caposcuola sono stati L.Pauwels e J. Bergier. Quindi rimandiamo alle loro pagine de Il mattino dei maghi, Milano, 1963, dove si parla dei Rosa-Croce. Il primo e l’ultimo consiglio dato da papiro Harris era: << Chiudete la bocca! Chiudete la bocca! >>. Ed è questo che fece Cartesio, non fosse stata la curiosità di Leibniz e di chi lo aveva imbeccato ad andare a frugare tra quelle carte segrete.

150 Trascurando le tante considerazioni e riflessioni su Platone da parte del famoso fisico atomico nonchè premio Nobel Werner Heisenberg, contenute in molti scritti divulgativi del suo pensiero di fisico moderno, si rimanda, a proposito di alchimia (le cui origini si pongono scientificamente in età greco-alessandrina: cfr. L. Russo, op. cit,. e G. Luck, Il magico nella cultura antica, Milano, 1994, pp. 406 ss.), al Mattino dei maghi di Pauwels e Bergier, allo studio su Fulcanelli di G. Dubois (Roma, 1996), a Polvere d’inferno di P. Kolosimo (Milano, 1975), a L’elisir e la pietra di M. Baigent e R. Leigh (Milano, 1998), a I segreti dell’alchimia di P. Marshall (Milano, 2001), ad Arcana Sapienza di M. Pereira (Milano, 2001), e Alla ricerca della pietra filosofale di P. Cortesi (Roma, 2002). L’aura di mistero che caratterizza la cabala alchemica ha impegnato Isaac Newton (il padre della scienza moderna praticava in segreto l’alchimia) e la ricerca psicanalitica di C. G. Jung. E’ possibile ipotizzare che il geloso riserbo del taccuino cifrato di Cartesio fosse connesso con l’alchimia, di cui certamente Cartesio non fu un fautore, mentre Newton fu alchimista in segreto, per tutta la vita.

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