La scomparsa di Ettore Majorana

La scomparsa di Ettore Majorana Parte 2°

Seconda lettera da Napoli: sabato 22 gennaio – anno XVI, su carta intestata

“ISTITUTO DI FISICA SPERIMENTALE”

Cara mamma,

Ho avuto la tua lettera e il pacco della biancheria. Non sono raffreddatoHo finito adesso la quinta lezione. Sono ancora al Terminus, ma andrò prossimamente in una pensioneCarrelli è tuttora a RomaIl tempo si è rimesso al belloNel corso della prossima settimana sarò a corto di denari; perciò potresti pregare Luciano di ritirare la mia parte del conto alla banca e magari di mandarmela tutta, tenuto conto dei prelevamenti precedenti e dopo averti restituito le mille lire che mi hai dato ultimamente. Ho buoni indirizzi per pensioni fornitimi dall’infermiera. Credo che verrò fra pochi giorni ma solo per poche ore perché debbo ritirare un libro da Treves e altri da casa.

Saluti affettuosi e arrivederci.

Questa lettera contiene affermazioni molto importanti. Si tratta, rispettivamente, dei soldi, dell’infermiera che a Roma non aveva mai avuto (a che gli serviva, se non per delle iniezioni?), e delle pensioni, per rimanere poi al Bologna nell’ultimo mese.

Si possono notare relazioni successive tra lettera e lettera. Ad esempio, in data 11 gennaio diceva “Napoli” (intendendo l’Hotel de Naples), adesso dice “Terminus”, quando però si sarebbe dovuto dire ‘albergo Termine’ (italianizzando).

E’ vana l’obiezione che le lettere del 1938 non siano valutabili in mancanza della loro contro-faccia epistolare. Contano le allusioni, il cui valore e significato è unilaterale, già valido in sé.

L’infermiera, rimasta sempre anonima, dichiarerà di averlo incontrato a Napoli, dopo la scomparsa, riconoscendo – o meglio indovinando – com’era vestito quando si allontanò per sempre dal Bologna.

Molto probabilmente mercoledì 26 gennaio, Majorana farà un salto a Roma. Passerà all’Istituto di fisica, cercando Fermi. Non è concepibile una data diversa rispetto alle generiche, non specificate affermazioni fatte nel 1964 dal fisico Giuseppe Cocconi, che il 10 gennaio non poteva essere operativo presso il nuovo Istituto romano.

Inutile il ‘ricamare’ su questo fatto, facendo appello a possibili consigli didattici di Fermi, a suoi testi di fisica (suoi o di Rasetti), oppure ad altre cose di questo genere. Ettore non andò in cerca di Fermi, prima di recarsi a Napoli, per salutarlo. Dice Cocconi: Una faccia scura, e fu tutto lì.

Non è stato notato che questa testimonianza scritta di Cocconi, richiesta nel 1965 da Amaldi, nella quale ci si riferisce al gennaio del 1938 (non alla ripresa dell’anno accademico), rifletteva il desiderio di Amaldi di capire qualcosa. Sicuramente Amaldi conosceva anche questa lettera del 22 gennaio, che è fondamentale. Che poi Amaldi faccia finta di non sapere nulla o quasi, questo è un altro discorso. Ma si tradisce più volte, sia accennando a Carrelli, per certi suoi ricordi; sia recuperando il termine preciso di scomparsa fingendo, però, di non sapere che le lettere per Carrelli erano due; sia disarticolando le date, ma smentendosi da una riga all’altra, esattamente per lasciar intendere che la “scomparsa” era molto più articolata e ben diversa da come lui la stava precisando. Detto in altre parole, la versione fornita da Amaldi nel 1966 è volutamente disarticolata e disorientante. Tale reticenza, ma col beneplacito della famiglia, la dice lunga sullo stesso comportamento dei familiari (i fratelli di Ettore, Salvatore e Luciano). Si nascondevano i fatti non perché Ettore fosse morto nel 1939, come hanno di recente sostenuto Guerra e Roncoroni senza alcuna prova (e perché soltanto adesso?), ma ‘perché’ c’era dietro una vera ragione di riserbo.

Ecco alcuni esempi di trasposizione:

*Carrelli è tuttora a Roma = < Altra correrà e mai lutto >.

*Non sono raffreddato = < Farsa non freddo tono >.

*Ho finito adesso la quinta lezione = < Qui ha idea il sole senza tono finto >.

Questi esempi sono caratterizzati dalla stessa identica convergenza univoca, o freccia concettuale, che sorregge i segnali testuali.

Ettore richiedeva la parte liquida della sua eredità. Ciò esclude categoricamente ogni proposito di suicidio (vedi Occhialini, il 18 gennaio a Napoli, appena 4 giorni prima), ed elimina in radice anche l’assurdità del delitto per un presunto “affare di Stato”. La preordinazione è evidente se si considera che queste somme furono ritirate da Ettore pochi giorni prima di ‘scomparire’. Egli non ritirerà lo stipendio del mese di marzo, in pagamento anticipato il 26 marzo, che era sabato, segno evidente che il denaro non gli occorreva. Ciò incrina fatalmente anche la versione della scomparsa sottintesa da Guerra e da Roncoroni, ma comodamente messa da parte.

Nel corso della prossimasettimanasarò a corto di denari. Il 27 gennaio – cioè il giovedì successivo – era disponibile in banca la somma degli stipendi già maturati dalla data della nomina (16 novembre), dopo il visto della Corte dei Conti. Il 26, mercoledì, Ettore si recò a Roma. La palese contraddizione (è assurda la versione che Ettore non avesse alcun senso pratico e nessuna considerazione del denaro: ma prima che assurda, è smentita dalle lettere del 1933 da Lipsia, dove egli dimostra puntualità, precisione e pignoleria anche nelle cose quotidiane), è intenzionale ed è un altro segnale.

Gli importi maturati a fine gennaio, e lo stipendio successivo del mese di febbraio, regolarmente accreditati, non furono ritirati che pochi giorni prima della scomparsa: è un fatto è accertato che Ettore avesse con sé una considerevole somma di denaro e il passaporto, allorché lasciò il Bologna (cfr. Recami). Non ritirò lo stipendio di marzo, accreditatogli in banca il 26, perché ‘scomparve’ dal 25, in fine settimana.

Nella prima lettera da Napoli, scritta martedì sera, dove figurano alcune ripetizioni, Ettore aveva terminato con un ultimo riferimento sempre a giovedì13per le vicende della sua prima lezione. Recami, sordo alle dichiarazioni di Gilda Senatore, l’allieva cui Ettore consegnò in Istituto una cartella di documenti con i testi delle lezioni la mattina di venerdì 25 marzo, che non era giorno di lezione, ripeterà, da un’edizione all’altra, anche nel 2011, che ciò avvenne di giovedì (giovedì 24 marzo). La Senatore disse che in quella cartella figurava anche la lezione di sabato 26, che ovviamente non si tenne. Recami ha colto la ‘liaison’ con i due ‘giovedì’ precedenti, e forzando i termini reali dell’ultimo episodio, se ne è servito, come ‘suo’ segnale interno, per riparasi dall’accusa di palese incongruenza, rispetto alla fuga immediata di Ettore in Argentina, con un passaporto valido soltanto per i paesi europei e in scadenza ad agosto. Sciascia aveva già detto l’altra metà della verità: che quella di Ettore era una fuga, che le ragioni i questa fuga stavano nei contrasti con Fermi e nell’intuizione della bomba atomica, sul presupposto – già noto altrimenti – che Majorana era presago della fatalità di un conflitto globale. L’epilogo conventuale è la falsa trama di Sciascia. Ciò non aveva alcun senso, già nel 1975: non c’era alcuna ragione di silenzio nei riguardi della famiglia, mentre il Vaticano l’avrebbe dovuto sapere, e, dunque, informare chi lo ricercava o lo aveva a lungo cercato. Figuriamoci oggi, sebbene Renato Marmolino pare avesse affermato che Ettore morì nell’ottobre del 1987, nella certosa di Ferneta, nei pressi di Lucca e Viareggio, dopo che a Firenze erano comparse delle scritte del seguente tenore: “Ettore, sappiano che sei vivo”.

Con la lettera del 22 gennaio è già miseramente franata l’amenità dell’Affare di Stato. Cade pure l’insensato e contraddittorio “gioco a nascondino” di Guerra e Roncoroni, seguito da misteriosa morte che sarebbe avvenuta prima del mese di settembre 1939: asserita verbalmente, ma non provata in alcun modo. Ettore avrebbe dovuto chiedere la liquidazione degli altri cospicui beni di sua spettanza, non soltanto la parte liquida in denaro e titoli vari. Il fratello Luciano potrà provvedere immediatamente (la lettera di sabato 22 giunge a Roma lunedì )? Ettore è veramente acorto di denaro?

Fra pochi giorniverrò a Roma. ‘Poco’ vuol dire prima di ‘sabato prossimo’? No. Significa mercoledì, che non era giorno di lezione. Ettore ha dato più segnali insieme, di cui uno fondamentale. Chiede soldi in costanza di stipendio, li domanda per lettera, prendendo la scusa – contraddittoria e falsa – che a Roma si sarebbe intrattenuto solo per poche ore. Ma tornando alla misteriosa morte di Ettore, che sarebbe avvenuta nel 1939, non è certo aprendo un altro capitolo che si può dire che il caso sia stato risolto. Ciò vale anche per i fautori della teoria del complotto. A quando le prossime puntate?

Noi ci accontentiamo della ‘versione’ dello scomparso.

Infermiera significa < in era Fermi >. Ettore dosa sottilmente le ‘scansioni’ dei suoi segnali a ventaglio. La sua prima lettera da Napoli era l’unica a non recare l’anno XVI dell’era fascista, ma lui annoterà l’anno dell’era fascista anche nella brevissima lettera d’addio per la sua famiglia (lo avrebbe fatto un falsario?).

Più chiaro di così? Ritroveremo il nome di Fermi altre due volte (nella carta intestata dell’Istituto napoletano, e nella espressione cruciale fra tre mesi = Fermi resta). Non si tratta di combinazioni casuali, ma d’intenzioni. E ritroveremo infine quelli di via Panisperna, nella definizione ironica di lenti (come i neutroni termici).

Istituto Sperimentale di Fisica significa: < A tali passi Fermi e dicesi tutto >. La chiave d’anagramma era stata suggerita. Dirà Cocconi: Majorana venne in cerca di Fermi. Gli fui presentato e scambiammo poche parole. Una faccia scura. E fu tutto lì.

Adesso è chiaro chi fosse l’infermiera, ovviamente non inventata. Ed è chiaro che Amaldi facesse riferimento alla “malattia”, che nel foglio matricolare l’interessato annotasse “salute cagionevole”, ma non è chiaro a che servisse l’infermiera (che a Roma non aveva mai avuto); non è chiaro perché si dichiarasse con Gentile contento degli studenti, perché intendesse dimettersi dall’insegnamento dopo che il mare loaveva rifiutato, e perché non l’abbia fatto prima, se non voleva giocare a nascondino con i suoi cari e con la polizia. Il fu Mattia Pascal non c’entra nulla. E’ stato Amaldi il primo a rifarsi al “personaggio di Pirandello” per trovare una scusa a quanto riferirà ufficialmente, tutto distorcendo. Dove si trovava Amaldi, se non a Roma, quando Ettore capitò da Fermi, e poi quando telefonò Carrelli?

Quanti sono i segnali contenuti in questa lettera del 22 gennaio? Almeno una decina.

Ettore volle dapprima ‘indicare’ Fermi a Roma, e quindi Segrè a Palermo.

Carrelli scomparirà nella successiva corrispondenza (nessun accenno su di lui per Gentile), per essere poi il destinatario delle due ultime lettere di Majorana (la prima da Napoli, la seconda da Palermo). Carrelli-cartelli farà ancora parte della linea ironica di Ettore, diretta a far risaltare il (significato del) sole da Palermo.

Testo ‘segreto’, esteso ad abundantiam, della lettera del 22 gennaio:

“FERMI A TALI PASSI E DICESI TUTTO”

Cara mamma,

Hitler eleva la poca carta e chi attua un abile dolo. Farsa non freddo tono. Qui ha idea il sole senza tono finto. L’ora massima sarà pronta con un termine mesidue, non sono in pena. Altra correrà e mai lutto. A limite è il bel sol promesso.

Nel corso della prossima settimana sarò a corto di denari, perciò potresti pregare Luciano di ritirare la parte del conto alla banca e magari di mandarmela tutta, tenuto conto dei prelevamenti precedenti e dopo averti restituito le mille lire che mi hai dato ultimamente.

In buoni indirizzi per Hitler penso io a minar l’infido Fermi.

Credo che per poche ore navigherò solo perché dovrebbero far ritirarmi su rada tedesca tra Cipro e il Libano.

Saluti affettuosi e arrivederci.

Ettore non ripeterà mai più l’arrivederci, qui per la prima e ultima volta.

Il nome di Hitler – che comparirà espressamente nelle due lettere del 23 febbraio e del 2 marzo – è una delle due parole chiave impiegata da Ettore, per la comprensione degli ulteriori dettagli (sue ultime parole, il 26 marzo, dopo di che il silenzio).

L’altra parola chiave, suggerita dalla carta intestata dell’espresso da Palermo del 26 marzo, è chiaramente il sole (“Grand Hotel Sole – Palermo”, di Vincenzo Sole: V.S. come Vittorio Strazzeri), specificato anche dal disegnino del sole all’alba.

Una riprova? L’ultima carta intestata recava in bella evidenza due numeri di telefono (alias, < finte le due o do numeri >). Telefoni: 11.748 – 17.672. Perché Ettore scrisse e telegrafò, ma non telefonò, come invece avrebbe dovuto fare in quelle asserite circostanze? E’ razionalmente chiaro: 1) i propositi di suicidio erano falsi; 2) Ettore non telefonò perché non si recò a Palermo.

Carrelli è tuttora a Roma. Carrelli telefonerà a Fermi, il 28 marzo, a mattinata inoltrata, chiedendogli dapprima se aveva visto Majorana e poi informandolo della sua scomparsa. Fu Fermi ad avvertire la famiglia, sempre per telefono. L’allarme era scattato. I fratelli di Ettore si precipiteranno a Napoli, e Luciano, martedì sera, salperà da Napoli, diretto a Palermo, col traghetto della “Tirrenia” (le navi T). Perché costringerli a tanto? Ettore non poteva non saperlo, ma Ettore (non eliminato da nessuno) era scappato. Martedì mattina i fratelli leggeranno quella lettera Alla miafamiglia, lasciata in stanza in una busta. Carrelli riceverà il telegramma alle 11 di mattina di venerdì 25, prima delle due lettere a seguire. Aveva un’utenza telefonica a casa sua. Alle 14 dello stesso giorno riceverà la prima lettera da Napoli. Domenica mattina (domenica 27 = “giorno del sole”), riceverà infine la lettera espresso da Palermo.

Nota colorata: 72 (via Depretis 72) è il rovescino di 27; 11 di questasera e 11 della mattina dopo (sabato 26); VS = VS; 17 = valore ‘numerico’ delle ‘lettere’ iniziali di EM e di CP (Ettore Majorana e Carlo Price). Fu Sciascia (vedi capitolo VIII) a domandarsi dei ‘numeri’, e a chiedersi di quel se potete (vedi lettera alla famiglia): noi forniamo ‘numeri’ e ‘parole’.

 

Terza lettera da Napoli: mercoledì 23 febbraio – Anno XVI

Cara mamma,

Sono all’albergo Bologna, via Depretis, che è abbastanza buono e molto pulito. Personale quasi tutto bolognese. Ho una stanza discreta; oggi me ne daranno una migliore su via Depretis, da cui potrò vedere fra tre mesi il passaggio di Hitler. Siete guarite dai vostri due piccoli raffreddori? Verrò forse dopo Carnevale.

Saluti affettuosi.

 

Il Carnevale del 1938 iniziò giovedì grasso, 24 febbraio, e durò fino a martedì primo marzo. E’ la classica festa in maschera. Particolarmente vivace quello di Napoli, dove Ettore rimase tutto il tempo, senza tornare a Roma. Per lui, la mancanza delle lezioni si prolungherà fino al martedì 8 marzo, data della ripresa.

Sabato 5 marzo, contrariamente alle sue dichiarazioni, non ci fu lezione. Ettore non poteva non saperlo. Il lungo intervallo riguardò il periodo tra giovedì 17 febbraio (lezione 15) e martedì 8 marzo (lezione 16). Cioè, ben 17 giorni.

La parola “Carnevale”, che gli era cara fin da bambino, ritornerà anche da Lipsia (lettera del 22 gennaio 1933).

Da questo momento, cioè dal 23 febbraio, continuerà sempre a parlare dell’albergo Bologna, fino all’ultimo. Lo zio Quirino insegnava fisica sperimentale a Bologna. La designazione iniziale di Ettore era per Bologna. Fu cambiata all’ultimo momento.

Il nonno di Ettore, Salvatore, era stato due volte ministro con Agostino Depretis, “l’irto spettral vinattiere” secondo il Carducci.

Albergo Bologna significherebbe < Bel globo ‘a Ragno’ > (= la svastica, che ha forma ‘mobile’ di ‘zampe’ di ‘ragno nero’, sul cerchio o globo solare).

I dati significanti della lettera del 23 febbraio 1938 sono l’albergo Bologna, la stessastanza, e l’associazione con Hitler (che non è occasionale e di circostanza). La linea di sviluppo delle allusioni, degli avvisi o segnali, è sempre a ventaglio, progressiva e unidirezionale. Tutto si svolge sul filo dell’ambiguità, salvando le apparenze: ma ex post tutto torna chiaro (sistemandosi al posto gusto ogni tessera del puzzle).

 

Testo ‘segreto’ ad abundantiam della lettera del 23 febbraio:

 

Cara mamma,

E’ globo che sorge, molto buono e pulito, se l’alba invita abbastanza al perdono. Qui essa sol perenne o globo. Dai due ho una certa distanza, oggi nessun tiranno pese miglior via; ma dai forti messaggi di Hitler potrò vedere palese cura.

Forse due fedi e i vostri diritti da piccola guerra? E forse provvederà Locarno.

Saluti affettuosi.

 

Sempre il sole, e sempre Hitler. Quando mi accinsi a verificare la traccia, per dettagli, della fuga segreta in Germania (derivante dalla analisi critica testuale), cioè tramite anagrammi chiaramente per tentativi, ma impiegando le parole ‘sole’ e ‘Hitler’, non conoscevo ancora le rivelazioni fatte a Giorgio Dragoni da Gilberto Bernardini nel 1974 e quelle fatte in modo del tutto affine da Bruno Pontecorvo a Firenze, presente Bernardini. Conoscevo soltanto la trama di Recami (poi aggiornata da Esposito nel 2010), ma nel 2002 (“Ipotesi Klingsor”) avevo già fatto le due asserzioni fondamentali: che le lettere del 1938 contenevano la soluzione autentica del caso e che c’erano pure degli anagrammi di complemento.

In Italia vigeva la Monarchia sabauda al disopra del nuovo regime mussoliniano. Fede monarchica, e fede fascista, non erano conciliabili. La ‘piccola guerra’ sarebbe quella d’Etiopia. I Majorana, in famiglia, parlavano anche di politica.

La proclamazione dell’Impero era in contrasto col vecchio trattato di Locarno (1925, però giuridicamente attuale), di garanzia fra Germania, Francia, Inghilterra, Italia e Belgio. Prima del 1935 i governi inglese e italiano riaffermarono solennemente i loro obblighi di garanti del trattato di Locarno. Il 25 e 26 marzo del 1935 il francese Simon e l’inglese Eden effettuarono una visita a Berlino senza concludere nulla.

Le trattative franco-inglesi e italo-francesi confluirono nel convegno di Stresa (11-14 aprile). La guerra d’Etiopia dava disturbo alla politica tedesca di riarmo. Il Reich millenario si prospettava con ben maggior forza che non il roboante “Impero” del Re e del Duce (con la guerra d’Etiopia il gruppo di Fermi a Roma era entrato in allarme, mentre è falso che si fosse sfaldato). Pio XI, davanti a quegli eventi che stavano via via maturando pronunciò le parole del Salmo: “dissipa gentes quae bella volunt”.

Majorana era perfettamente consapevole del problema europeo (e mondiale) della pace. E’ingenuo presupporre un totale estraniamento, un riflusso privato di tinte drammatiche (un caso Asperger), anziché un coinvolgimento. Gli anagrammi, ma non solo, danno invece ragione al forte interessamento politico, in linea con le scelte del tempo del liceo (estremismo di destra).

Si può notare il costante riferimento al significato del sole nell’ultima lettera espresso da Palermo, per Carrelli, insieme alle continue smentite circa idee suicide. Parole chiave sempre ‘sole’ e ‘Hitler’. Ettore chiederà a suoi il “ricordo” e poi il “perdono”. Perdono perché li aveva necessariamente ingannati – la sua improvvisa scomparsa doveva essere clamorosa e fuorviante; e ricordo, perché era ‘vivo’, egli sarebbe ritornato come aveva promesso a Carrelli, ma “possibilmente” solo al termine della sua vera “vicenda”. Lo stiamo raccontando impiegando le ‘sue’ parole, seguendo il ‘suo’ teorema sotto traccia. Non è ‘invenzione’, ma ‘ricostruzione’.

 

Quarta lettera da Napoli: giovedì 3 marzo – Anno XVI

(per l’amico e collega Giovannino Gentile)

Caro Giovannino,

Ho ricevuto la tua cartolina inviata a Roma. Ho passato qui il Carnevale; immaginerai facilmente quali follie. Tutta Napoli è in preparazione per la prossima visita di Hitler.

Sabato riprenderò le lezioni. Sono contento degli studenti, alcuni dei quali sembrano prendere la fisica sul serio.

Spero che ci rivedremo presto.

Saluti affettuosi.

 

La lettera è stata scritta il mercoledì delle ceneri. E’ finito il Carnevale ed è iniziata la Quaresima.

Quali follie poteva immaginare facilmente Giovannino Gentile, ottimo fisico teorico, suo collega a Milano, e carissimo amico fin dal 1928? La frase seguente, riferita al fermento napoletano per la prossima visita di Hitler, non può avere un significato ironico e riduttivo, perché Majorana lo escludeva già, chiaramente, negli identici riferimenti contenuti nella sua precedente lettera alla madre. Giovannino, con una cartolina postale inviatagli a Roma, avrà fatto qualche allusione o riferimento alle vacanze di Carnevale di uno scapolo, e a come andava con l’insegnamento. Rapide parole. Ettore era contento delle lezioni. E chiudeva con uno spero - Spero che ci rivedremo presto. “Spero che”, “Ho preso una decisione”, “Spero di” e “Spero che”. E’ questa la serie che conta. La menzione di Hitler non è casuale. La nuova stanza del Bologna è legata al nome. ‘Hitler’ è una delle due parole chiave che aprono gli anagrammi, dando adito ai dettagli ulteriori, una volta ristabilito l’essenziale circa le ragioni della scomparsa (sillogismo costringente della medesima stanza).

Carrelli si accorse che Ettore era tutto concentrato su certi studi di cui non parlava. Non si trattava degli impegni di docenza. Ettore è contento degli studenti (5 ragazze e due ragazzi). Falso e irrazionale che fosse rimasto traumatizzato dall’insegnamento. Sabato 5 marzo non ci fu lezione. Ettore non poteva non saperlo. Era questo il segnale per il suo amico, l’unico che avesse (e che la pensasse come lui). Quali follie, se non in quella direzione? Dopo il Carnevale, dopo i deliri e i festeggiamenti delle folle, invasate dalle esibizioni del potere in armi, ecco, adesso, la “Quaresima”, il mercoledì delle ceneri, la cruda realtà. Sarebbe scoppiato il conflitto, inevitabilmente. C’era stato il Patto (segreto) dell’Asse Berlino – Roma (1936), non ancora il Patto d’acciaio (22 maggio 1939, a Berlino, che sanciva l’affinità tra i due regimi). Ettore non tradiva l’Italia, ma la ‘Monarchia’ (forse non è una battuta che ogni fine anno scommettesse sulla caduta del fascismo). “Nel novembre del 1937, alla stampa tedesca, fu impartita la direttiva di non dare pubblicità ai preparativi, intrapresi dallo NASDAP a tutti i livelli, in vista della guerra totale” (J. Fest, Hitler, pag. 738).

Meglio in convento, non è vero? E un monaco “olandese” (come Goudsmit); e “nere croci”: << Ed è vero >> (i lettori distratti di Sciascia non hanno forse ‘capito’ le sottigliezze di quel saggio).

Sciascia aveva avuto un furioso litigio con Segrè, presente Moravia. Da qui il saggio del 1975; ma Recami fu il primo emissario di Sciascia, quando ormai erano scomparsi Luciano e Salvatore Majorana, ed era restata, a Roma, la sola Maria.

Il giorno della scomparsa da Napoli (venerdì 25 marzo), Majorana vorrà in qualche modo indicare due dei suoi studenti: una ragazza e un ragazzo. Prima Gilda Senatore, consegnandole una cartella di manoscritti, dicendole rapidamente: Poi ne parleremopoi ne paleremo. Lo stesso giorno nominava per lettera Sebastiano Sciuti, scrivendo a Carrelli per congedarsi. Il 25 marzo ci sono un “poi” e due “dopo” rivolti a soggetti distinti. Ambiguamente, come in un’illusione ottica: e’ il ‘volto’ della ‘giovane fanciulla’, o quello illusorio e ingannevole della ‘vecchia signora’? Era la morte desiderata, la follia, la malattia, oppure una nuova vita? No, fu una fuga. Non da, ma per. Senza un solo granello di egoismo (= oggi un molo si orna del sole). Nulla a che vedere con una ragazza ibseniana, il caso di Ettore era straordinariamente differente.

[Non prendermi “per una ragazza ibseniana” = pausa inganni razza ebrea; s’intende: l’atomica della ‘fisica ebrea’, contrapposta alla ‘fisica ariana’: cioè Bohr, Fermi, Szilard, Segrè, Pontecorvo…].

Testo segreto, ad abundantiam, della lettera a Giovannino Gentile (quarta lettera da Napoli). Questa lettera inviata all’amico fisico nucleare a Milano contiene il segreto della bomba atomica.

Caro Giovannino,

Una volta incaricato aiutavo Hitler a Roma (Inviolato voto a Hitler cui una carta amara). Hitler lo pensavo qui a casa; qui facile immagine al mentire follia. Preparo azione per Hitler ma la prassi di Napoli è tutta in visti (La posta in preparazione è prevista da Hitler – mai ispiri lutto).

Renderò lezioni per il sabato (Sabato lì per orrende lezioni). Sono qui in essere gli studi sulla fisica del nucleo di uranio, tanto comprende il bario restante.

Spero ‘verde’ per resto chimico.

Saluti affettuosi.

Ettore aveva già compreso, in via teorica, l’effetto di scissione del nucleo da parte dei “neutroni lenti” di Fermi sull’uranio 235 fissile, con due o tre neutroni, così liberati, per alimentare esponenzialmente la reazione a catena? E perché, allora, Otto Hahn consentirà a Lise Meittner, riparata all’estero, di arrivare, dal residuo chimico del bario radioattivo, all’idea della fissione del “nucleo a goccia” dell’uranio, secondo la concezione di Bohr? La spiegazione è che di mezzo c’era Fermi, già in partenza per gli Stati Uniti, dopo aver ritirato il premio Nobel a Stoccolma. Fermi, senza la prova chimica del bario, ma con l’impiego della camera di Wilson, lo aveva già capito. Lui e Segrè non furono così ciechi come poi vollero far credere. Amaldi non ne era a conoscenza. In cattedra a Palermo già dal 1936, Segré tentò invano di ottenere quella prova chimica, che riuscì invece a Otto Hahn, il 22 dicembre del 1938 al KWI di Berlino, che era rigidamente controllato e sorvegliato dai nazisti. La Germania fece sapere al mondo che la scoperta era tedesca. Fermi già sapeva. Fu lui a costruire nel 1942 la prima pila atomica critica nel centro urbano di una città popolosa come Chicago. Al massimo segreto militare di Los Alamos, in una località desertica del Nuovo Messico, vasta e isolata, aveva corrisposto tanta irresponsabile superficialità sperimentale di Fermi, non ancora di nazionalità americana, e delle autorità militari che lo controllavano, da compromettere potenzialmente la salute e la vita di milioni di americani? Certamente Fermi sapeva, e il suo progetto di reattore, alternativamente alla bomba atomica di massa critica, ma con uranio 235 difficilissimo da separare, nei chilogrammi necessari, dall’uranio naturale (quasi tutto 238), doveva già essere stato concepito idealmente in Italia, prima della sua fuga negli Stati Uniti, giustificata dalle leggi razziali adottate anche dal fascismo.

La vera storia della bomba atomica non è stata ancora scritta. Fermi aveva scoperto la scissione del nucleo alla fine del 1934 a Roma (non fu così cieco). Il brevetto americano ottenuto riguardava i transuranici (per copertura). Al termine del conflitto mondiale gli americani trovarono, così, un’ottima scusa per non corrispondergli i diritti milionari che egli aveva richiesto per quel brevetto collettivo, suggerito da Corbino, che si era lasciato andare a entusiasmi che Fermi allora non condivise e che comunque erano d’altra natura, come ben sapeva D’Agostino.

Quant’è credibile la rivelazione in anagrammi della bomba atomica il 2 marzo 1938, giorno delle ceneri?

La stringa di partenza è enorme. Per Gentile sarebbe stato impossibile (molto peggio di Keplero nei riguardi di Galileo, per un anagramma, segnalato come tale, di soli 35 caratteri). Ettore intendeva questo? Studenti risoluti aprendere la fisica sul serio. Studi di fisica? Carrelli lo vedeva occupatissimo in cose di cui non intendeva parlare (gli studi di uno che poi si voleva suicidare?). E la trama di Sciascia: Ettore aveva intravisto la bomba atomica (nel 1938). E le proteste di Amaldi e di Segrè. Ettore in Argentina (Recami). Gilberto Bernardini, e Bruno Pontecorvo (a Firenze, il 17 marzo 1990. E il contradditorio “misterodell’uranio” (Segrè, Autobiografia, pag.155). E le voci di Princeton su Ettore (1974: autobiografia di Tullio Regge, L’infinito cercare, 2012, pag.103 ss.). E una certa fotografia (molto sospetta). C’è qualcosa che non va: non in ciò che si è ‘trovato’, ma in quello che non è stato raccontato. Con i piani di Hitler, come scriveva Segrè, di conquista mondiale (pag.185). Giovannino Gentile morì alla fine di marzo del 1942, a Milano, per una banale setticemia dentaria. Perché i decisi fautori del complotto non indagano? A Sommerfeld, che nel 1942 aveva 74 anni, fu impedito dal governo tedesco di venire a Milano, su invito di Gentile, a tenere una conferenza.

Poteva afferrare Gentile l’enigma di Ettore? Il suo nome fu tirato in ballo molti anni dopo da Gilberto Bernardini, che rispondeva ad Amaldi sul passaggio di carte, le lezioni appunto, appartenenti alla cartella consegnata da Ettore alla Senatore. Sempre Bernardini, riferendosi a Ettore, scriverà a Recami (il 9 maggio 1984), parlando di: << complessa spiritualità umana, tanto più estesa e illuminata di quella sulla quale hanno fantasticato certi romanzieri >> (si riferiva forse a Sciascia?).

Rispetto a dati contraddittori, a silenzi e reticenze pesanti, davanti a un quadro che lascia molto a desiderare, quasi sotto ogni profilo, le lettere del 1938 costituiscono l’unico criterio di riferimento. La verità autentica di Ettore deve trovarsi qui per forza, abilmente occultata.

Quinta lettera da Napoli: mercoledì 9 marzo – anno XIV

Cara mamma,

Ho avuto la tua lettera. Prenderò tutte le precauzioni per la biancheria. Dei cartelli affermano con molta enfasi che i servizi di stireria e lavanderia dell’albergo sono inappuntabiliQui c’è un tempo bellissimo, ideale per navigare nel golfo.

Coma va con lo sport invernale? Credo che Maria abbia già fatto grandi progressi nella pittura e che possa presto mandarmi la fotografia delle sue opere più famose…Spero di venire in fine di settimana.

Saluti affettuosi.

Le lettere del 1938 rappresentano una corrispondenza piuttosto banale, ma talvolta attraversata da lampi e da squarci improvvisi. Non poteva che essere così, se Ettore aveva bisogno di collocarvi dei segnali. E con frasi, spesso, molto corte. Infine, con espressioni ambigue o contraddittorie (scomparsa, ragazza ibseniana, il mare mi ha rifiutato ecc.). Lettere ‘diaboliche’, come dice Roncoroni, esagerando, per renderle innocue?

Intanto è veramente diabolico che Ettore, che come si asserisce sarebbe morto nel 1939, non abbia una tomba. Che sia stato sepolto in segreto: dove, nessuno lo sa. E invece, non è questa del 9 marzo una lettera diabolica: Ettore sta scherzando, e con sua madre, appena due settimane prima della sua scomparsa. Significa qualcosa? Certo, significa che navigare è bello: tutto il contrario di quanto poi, apparentemente, avrebbe scritto, il 25 marzo, e fatto sapere da Palermo il giorno successivo. Le idee suicide non hanno i puntini di sospensione…(come nella lettera). E tutto accadde in un “fine di settimana” (dal 25 al 27 marzo).

E l’associazione cartelli-Carrelli è verosimile, è intenzionale? Si tratta di ennesimo segnale? Le lettere di Ettore non sono per niente così semplici e scontate come chi non vuol vedere, ha invece erroneamente e comodamente sostenuto. Ettore aveva cessato di menzionare Carrelli dopo la seconda lettera del 22 gennaio; parlandone, in realtà di lui nulla dice, nessun accenno a relazioni didattiche, a frequentazioni, a qualsiasi episodio: ma sarà Carrelli il destinatario pletorico, sebbene necessario, delle ultime due lettere del 25 e 26 marzo, la lettera della scomparsa e poi a seguire la lettera della avvenuta revoca, la mattina dopo, delle intenzioni iniziali (apparenti) di suicidio (propositi di). Carrelli-cartelli è un sottinteso ‘ex post’. Ettore prenderà precauzioni per la biancheria (solito ritornello della madre). L’enfasi è ironicamente ‘allusiva’: i servizi di stireria (il ‘ponticello’ da sartoria, per stirare le giacche, da cui spunterà il sole radioso della carta intestata di Palermo, si chiamava ‘mezzaluna’, in gergo), sono inappuntabili (l’albergo Bologna esponeva cartelli – al plurale – con tanta enfasi?). I servizi di lavanderia (si ti butti a mare, è ovvio, ti bagni, ma un po’ ti lavi), erano efficienti: il sole asciuga i panni. Ettore sta ironizzando su quel foglio dell’espresso. Ce l’ha già in mano. Se così non fosse, avrebbe detto alla madre di non preoccuparsi, l’albergo svolge bene ogni servizio per i clienti, ma glielo avrebbe detto per tempo, non adesso, il 9 marzo. Non c’era alcun bisogno di evocare cartelli, al plurale (e con moltaenfasi = etimologicamente il far apparire, il mostrare insistito e ridondante di un discorso). Non c’è dubbio: cartelli è un gioco di parola volutamente ritagliato su Carrelli.

Lo conferma il seguito della lettera, nell’ordine: la navigazione nelle acque del golfo; le opere famose di Maria (disegni), con puntini di sospensione (che dirigono l’allusività); lo Spero (anagramma di preso, Ho preso unadecisioneche era ormai inevitabile…) di venire (tornare) in fine di settimana. La sequenza è perfetta anticipazione ordinata di quanto accadrà e di come avverrà.

La trilogia della scomparsa è un meccanismo preordinato, come la calligrafia, ordinata e calma, della ‘lettera d’addio’(già notata da Sciascia). Si tratta, anzi, di una tetralogia, che contemplava anche la lettera di risposta del 19 marzo al fratello Salvatore (“Turillo”), provocata dal fatto che Ettore era ormai da un mese che non tornava più a casa (e non tornerà a Roma sabato 12 marzo, giorno dell’annessione dell’Austria, evento clamoroso di cui tacerà).

Come va con lo sport invernale? La madre e Maria si erano buscate il raffreddore da tempo (vedi lettera del 23 febbraio). Si trattava di una forma influenzale fredda. Lo sport invernale sono appunto gli starnuti: “et-scii”. Ettore allude, per lui proprio nessun acciacco, a Napoli brilla il sole primaverile. Allusiva è l’intera lettera, in tono particolarmente scherzoso.

Cosa lo trattenesse a Napoli (teneva lezione martedì, giovedì e sabato), tanto da non poter essere sicuro di ritornare a Roma, è facile da immaginare: non l’umor tetro di un suicida, ormai alle soglie della crisi, ma la necessità, anche per lui, di un distacco non violento, mediato dalla lontananza. Le risposte di Ettore sono ordinarie, banali. Nulla racconta della sua vita a Napoli, dei suoi nuovi impegni, delle sue impressioni.

La sua corrispondenza è reticente, in linea con le immaginabili lettera da casa, e a questa aderente: ma utilizzando gli spazi consentiti da tale schema ‘rutinario’, molto domestico, per inserirvi i suoi segnali o preavvisi in modo soft. Segnali in sequenza, questo sì: era necessario un ventaglio.

Testo ‘segreto’ ad abundatiam dell’ultima lettera alla madre:

 

Cara mamma,

Ettore tuo ha la valuta. Pure tutte le azioni banca che prenderò pari lire.

<< Dei cartelli affermano con molta enfasi che i servizi di stireria e lavanderia dell’albergo sono inappuntabili >>.

E’ qui lealmente con la nave, il possibile modo per fuggire. Con le navi T verso Palermo?

<< Credo che Maria abbia già fatto grandi progressi nella pittura e che mi possa presto mandare la fotografia delle sue opere più famose…>>.

Vedendo astri spera infine nei miti.

Saluti affettuosi.

Pochi giorni prima di scomparire Ettore ritirerà gli stipendi maturati e convertirà pari lire i valori rappresentativi già inviatigli da Luciano ‘a mezzo banca’, richiesti il 22 gennaio. Si procaccerà la valuta necessaria. Dispone di un passaporto, valido soltanto per i paesi europei, in scadenza ad agosto. Sa dove andare. Qui è atteso. Altro non gli occorre. Il denaro serve, soprattutto, per indicare che è vivo. Le fugaci apparizioni a Napoli sono essenziali: gli servono per far credere di non essersi allontanato. Per farsi cercare (invano): non era lui, bensì uno che doveva far credere di poter essere Ettore, anche il 12 aprile, molti giorni dopo la scomparsa. Il regista è Ettore, altri eseguono. Costoro sono agenti dei servizi segreti tedeschi. Ettore non andò a Palermo e non tornò poi a Napoli con i traghetti “Tirrenia”, che volgevano anche il servizio postale. Salì su un’altra nave, battente bandiera tedesca, dal molo Beverello del porto di Napoli, verso le 18 di sera (il sole tramontava sul Tirreno poco dopo le 18,30, e c’era la mezz’ora vivida del crepuscolo). In quella scomparsa non un solo granello di egoismo = < Oggi un molo si orna del sole > (oggi, venerdì 25 marzo, poco dopo aver abbandonato l’albergo Bologna poco dopo le ore 17).

I traghetti della “Tirrenia” avevano una grossa T sui fumaioli. Ettore non aveva alcun motivo per andare a Palermo, se non quello di far credere di essere tornato al punto di partenza. Non essendo lui a compiere il viaggio di ritorno in nave a Napoli, occorreva eliminare un testimone a bordo (cabine a tre letti, solitamente occupate), e ciò spiega che a rendere dichiarazioni rimase un solo passeggeri, il prof. Vittorio Strazzeri, nel cui posto in cabina furono piazzati due estranei: il presunto “inglese”, Carlo Price, e il presunto Ettore Majorana, un giovane con tutti i capelli (così riferirà Strazzeri). Nessuno saprà più nulla dell’inglese e di Majorana (in realtà sparirono tre persone, e non due).

Recami, dalla quarta edizione del suo saggio sulla scomparsa di Majorana (2002, pag. 125), ha riportato – però senza citare la sua fonte – gli stessi contenuti di una lettera ricevuta nel 2000 dal prof. Francesco Guerra, inviatagli da un collega di rango accademico: << Qualcuno, addirittura, ci ha reso edotti di come Majorana abbia abbandonato il piroscafo Napoli-Palermo della “Tirrenia” prima della partenza, sia passato in Germania, poi partito per l’Argentina, e infine rientrato in Italia: forse proprio in un convento >>.

Recami afferma di non aver incontrato alcuna prova ma neanche di poterlo escludere. Recami però non spiega (e non lo spiegherà nemmeno il suo collega e collaboratore Salvatore Esposito), come abbia fatto Ettore a raggiungere direttamente l’Argentina nel 1938 con un passaporto non valido per l’oltremare. Le notizie giunte su Ettore in Argentina riguarderanno il periodo tra il 1950 e il 1961. Il molo Beverello del porto di Napoli,‘molo passeggeri’, si trovava a meno di 5 minuti di strada a piedi dall’Albergo Bologna in via Depretis.

Fuggire lealmentecon la nave? Sì, perché la “fuga” è comunque “sleale”; mentre il sotterfugio del dover sembrare il caso di un uomo in preda a una forte crisi morale e spirituale, cioè il suicidio, era un grosso sacrificio personale: un atto di viltà. Quel distacco, lacerante e necessariamente muto, per cui ci si doveva ridurre a un falso addio brusco e oscuro, avveniva indubbiamente senza un solo granello di egoismo (ma l’aggettivo solo conteneva un richiamo al sole, come anche quel solo ultimo desiderio di chi scomparire doveva). Il concetto oggettivo di lealtà, in una fuga con un’altra nave, riposava in un grosso sacrificio personale, e poi di tipo familiare. Fuga segreta, ma leale: sempre in nave.

I suoi cari, vedendo quel sole all’alba dell’ultima lettera da Palermo, l’astro del sole (e il sole nero della ‘Germania di Hitler’, “stella polare del mondo”), avevano una qualche ragione di speranza: nel mito, e nel “mitico scomparire” di un vivo (mitico scomparire è un’espressione di Sciascia).

Ultima lettera a casa: sabato 19 marzo – anno XVI

Caro Turillo,

Ho avuto la tua. Per ora non vengo perché lunedì ho alcune faccende da sbrigare all’anagrafe e altrove.

Vedrò se è possibile avere il ‘libretto’ per la mamma, ma non vedo come si possa affermare la convivenza perché io ho l’obbligo di prenderela residenzaa Napoli,anzi l’ho già presa provvisoriamente qui in albergo, alias via Depretis 72.

Vi mando un telegramma perché non mi aspettiate stasera, ma verrò certamente sabato prossimo.

Saluti affettuosi.

“Turillo” è il fratello maggiore Salvatore, morto nel 1971, mentre Luciano, che era più giovane di qualche anno, di un anno soltanto rispetto a Ettore, era morto nel 1967.

Il libretto è quello della “mutua”. Con questa scusa la madre di Ettore, vedova di un alto dirigente statale (il padre di Ettore, morto nel 1934, era stato un pezzo grosso del Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni nel settore della telefonia), cercava di avvicinarsi al figlio. L’assistenza mutualistica E.n.p.a.s., per i familiari “a carico e conviventi” avrebbe potuto estendersi alla madre, ma la madre di Ettore era una facoltosa possidente, oltre che essere titolare della pensione di reversibilità del marito, Fabio Massimo, scomparso all’età di 59 anni.

Perché mandare un telegramma, se Ettore avrebbe potuto telefonare? Il centralino telefonico di Stato per le comunicazioni interurbane (cioè “tra” Napoli e le altre città italiane come Roma) si trovava proprio in via Depretis. Altra discrasia: la residenza anagrafica, Ettore l’aveva già presa al Bologna, di cui adesso specificherà non solo la via, già indicata il 23 febbraio, ma anche il numero civico: 72, che è il rovescino di 27.

L’anagrafe c’entra, come l’altrove, per allusione, e per quanto meglio vedremo.

Il 19 marzo, festa di San Giuseppe, era giorno di vacanza. Quel sabato prossimo, sabato 26 marzo, si avranno le ultime notizie di Majoana (da Palermo). E’ vivo. Dice che ritornerà subito a Napoli, lasciando intendere che domani all’albergo Bologna, ma non si farà più vedere.

E’ sparito, scomparso per sempre. Un fulmine a ciel sereno. Quale la ragione?

*L’auto definizione del caso differente da quello di unaragazza ibseniana, è questa: LA MIA IMPROVVISA SCOMPARSA CHE ERA ORMAI INEVITABILE. Ciò equivale a dire: IL MARE PRIMO AVVISO CHE LA MIA ERA ABILE SCOMPARSA IN VITA.

Ettore era un genio capace di risolvere a mente, in una trentina di secondi, integrali matematici di grandissima difficoltà. Fermi non gli stava dietro nemmeno col ‘regolo calcolatore’. Uno come Majorana poteva anagrammarsi nello stesso tempo e modo in cui stava rapidamente scrivendo.

Che cosa doveva fare, proprio lunedì mattina (lunedì 21 era il giorno dell’equinozio di primavera), all’anagrafe e altrove, se la residenza l’aveva già presa? Chiaramente si tratta di segnali. I segnali sono quattro: a) che in realtà non aveva nulla da fare; b) che lunedì è la stessa parola che impiegherà nel telegramma da Palermo per l’albergo Bologna di Napoli; c) che l’anagrafe e altrove alludono ad altre faccende rispetto all’altrove, qui inteso in senso metaforico, e rispetto al registro anagrafico dei decessi (anticipazione che mancherà il cadavere); d) che il telegramma si ripeterà ancora (due telegrammi da Palermo il sabato successivo).Vale ovviamente il principio che dove c’è con figurazione c’è anche significato. Ettore era un genio, non uno sbadato.

Ancora una volta l’albergo Bologna, sempre citato dal 23 febbraio, a significare che il mancato ritorno, lì, in quella stanza dell’albergo, dove aveva lasciato la lettera alla sua famiglia (una lettera di tre righe), è il luogo e il momento di chiusura del circuito dell’informazione, remota ma senz’altro autentica, sulla verità d’Autore circa la sua “scomparsa”.

Questo schema formale, già molto indicativo, rappresenta il primo livello (nel 2002 intendevo, in primo luogo, riferirmi a ciò). Esistono altri due livelli: quello testuale diretto (teorema della stanza), e quello per anagrammi (ulteriori dettagli).

Ogni altra ipotesi, come abbiamo già visto, difetta di aderenza e/o di razionalità.

Quando si formula un’ipotesi indiziaria è strettamente necessario che non avvenga in contrasto con fatti già acclarati o comportamenti certi e assodati dell’agente, che non ci sia alcuna violazione di condizioni o di presupposti già presenti, che l’ipotesi non sia contraddittoria, che si tenga conto del principio del movente, che si evitino le c.d presunzioni a cascata (cioè il “praesumptum de prasumpto”), che gli indizi (plurimi) sia gravi, precisi e concordanti, che si guardi al ventaglio dei possibili casi alternativi, ch ci si astenga da considerazioni e conclusioni affrettate.

Nel caso Majorana si deve altresì tener presente che il “thema decidendum” fu ritagliato e predeterminato dal protagonista (che era un genio).

Il “pupo pirandelliano”, il “caso Asperger”, e via dicendo, sono tautologie (tra l’altro, in contrasto con le manifestazioni dell’agente). La costruzione di (falsi) teoremi impegna gli autori a fornire indizi seri (gravi, precisi e concordanti) e non a ricavarli per presunzione da fatti presunti. In una scomparsa per lettera, gravemente lesiva di forti valori affettivi di cui vi è certezza, i documenti imprescindibili sono le stesse lettere (il loro modo d’atteggiarsi, le espressioni ivi contenute). L’aver costantemente omesso tale analisi compromette in radice la serietà dei tentativi (finora irrazionali) di poter conferire una spiegazione accettabile al caso in esame. Soltanto rispondendo alle domande poste da Roberto Finzi (2002), perché – e perché clamorosa, si può dire di aver potuto affacciare un’ipotesi seria, e non una peregrina congettura.

Il principio dell’onere di prova incombe su chi afferma i fatti costitutivi, mentre spetta l’onere dei fatti impeditivi o modificativi a chi obietti. La morte non si può presumere dalla semplice mancanza del cadavere, se non esistono altri elementi. Tutti gli scomparsi, in questo senso, sarebbero morti: il che è vero nella minor parte di casi, giacché la prevalenza è quella dell’allontanamento volontario, almeno per le persone giovani. Viceversa, non si può sostenere la morte se: se non si mostrano le spoglie e se non si è in grado di esibire un elemento a tali effetti equivalente in modo certo ed esclusivo. Nei casi di scomparsa per lettera (non cercatemi; oppure volevo uccidermi, ma ci ho ripensato), è ben difficile parlare di morte (sono i vivi che non si trovano, i cadaveri sì: prima o poi).

La residenza Ettore l’aveva già presa. La residenza anagrafica (concetto distinto da quello di dimora e di domicilio) può essere liberamente mutata, ciò che non esiste il concetto giuridico di residenza provvisoria. In altre parole, questo è un segnale forte.

Residenza = < senza dire >. Provvisoramente = < morente spira vivo >.

*Nota di colore: Ettore si sentiva un genio di natura (dalla nascita), sapeva chi i suoi fratelli e le sue sorelle non lo erano. Affettuosissimo, in specie con la sorella Maria, ironico e certe volte anche sarcastico, sicuramente un po’ s’annoiava, consapevole di una diversità fatale, che non dipendeva da lui. All’amico Gastone Piquè (il 17 ottobre

1927: all’età di 21 anni, da Passopisciaro), scriveva: << Se non mi viene un accidente, verrò tra pochi giorni. Né devi credere che sia impossibile che mi venga un accidente nel fiore degli anni; al contrario, abbilo per molto verosimile. Infatti io sono stato fin dalla nascita un genio ostinatamente immaturo; il tempo e la paglia non sono serviti a nulla e non serviranno mai, e la natura non vorrà essere così maligna da farmi morire immaturamente d’arteriosclerosi >>. Nessun preannuncio, sia chiaro, d’idee da futuro suicida. Ettore sottolineava, invece, la sua incapacità a cambiare, rimanendo “genio immaturo”. Ma scherzava pure, com’era solito fare con Gastone: << Ma benché vasto e insondabile sia il mare del mio disprezzo per tutto il mondo sublunare (gli uomini, la cose quotidiane ecc. – n.d.r.) non è senza giubilo che mi appresto a varcare la soglia della rinomata saletta in via Montecatini (il Faraglino, a Roma, vivace ritrovo di studenti e di scherzi mordaci – n.d.r.), né senza trepidazione berrò il calice amaro, sino all’ultima goccia >>(chissà se Ettore, che il 2 agosto aveva scritto sempre a Gastone, da Montecatini terme: acqua purgativa… il dovere mi chiama…, non si fosse ricordato che il 17 ottobre gli scriveva da ‘Passopisciaro’).

Testo ‘segreto’ ad abundantiam della sesta lettera da Napoli

Caro Turillo,

Vuoto ha la tua. Lunedì non vengo e nella faccenda da sbrigare ora per telegrafo ho vera lacuna.

<< Vedrò se è possibile avere il libretto per la mamma, ma non vedo come si possa affermare la convivenza perché ho l’obbligo di prendere la residenza a Napoli, anzi l’ho già presa provvisoriamente qui in albergo, alias via Depretis 72 ( = vivo ho qui l’alba mentre sporge in oro, se il 27 già da vita separa).

Vi do anagrammi perché se mi resta un tema tale spetta mentre tace, ma non verrò sabato prossimo. (Sabato prossimo non verrò perché una carta geme mesta, mal imitando me vi aspetta mentre resta).

Saluti affettuosi.

La chiave a prima vista nascosta del giallo della “scomparsa” per lettera, sta nella menzione di Hitler e nel disegnino del globo solare all’alba, lì sulla carta intestata del “Grand Hotel Sole – Palermo” (in via Vittorio Emanuele 291, lontano due chilometri dal porto, ma molto vicino all’ufficio centrale delle Poste e Telegrafi, e dei Telefoni di Stato).

Lunedì 21 marzo, giorno dell’equinozio di primavera, Ettore non aveva nulla da fare all’anagrafe e altrove. Si tratta invece di altri segnali, sempre più efficaci, per indicare che non ci sarà alcuna variazione anagrafica (registro di morte) e nessun altrove o aldilà. Nessun lutto possibile, la scomparsa era programmata da tempo.

Anziché inviare un telegramma, avrebbe potuto telefonare (il centralino si trovava a due passi dal Bologna). Ettore ha qui legittimato i suoi anagrammi, di cui preso e spero erano esempi testuali nelle due lettere per Carrelli. All’anagrafe e altrove + untelegrammasignificano: Telegrafo un anagramma e levare l’alt. Ciò conferma che anagrafe e telegramma danno anagramma (+ telegrafe). Il telegramma è quello per Carrelli: Non allarmarti Alt Segue lettera (quale?). Levando l’Alt, adesso è chiaro quale delle lettere per Carrelli: Margine altra lettera un sole. Ettore si è fatto riconoscere, gli anagrammi lui li ha inseriti. Sole e Hitler sono parole chiave.

Pur dovendo telefonare da Palermo, date le specialissime e riservatissime circostanze di propositi di suicidio, da lui asserite (Il mare mi ha rifiuato), scriverà un ‘espresso’, cioè l’altra lettera per Carrelli, preceduto da due telegrammi, uno per Carrelli e l’altro per l’albergo Bologna.

Nel telegramma per Carrelli, se leviamo l’alt e impieghiamo la ‘parola chiave’ sole, il testo ambiguo e incerto del telegramma (quale lettera a seguire: la prima da Napoli del 25 marzo per posta ordinaria o la seconda per espresso da Palermo il 26?), si razionalizza immediatamente (Margine altralettera un sole).

In realtà, Ettore conosceva perfettamente i tempi postali (viaggiando forse con questo stessofoglio inviato per espresso). Ovviamente il telegramma e la lettera non arrivarono insieme: giunse per primo il telegramma, alle ore 11 di sabato 26; il pomeriggio alle 14, arrivò a Carrelli la prima lettera da Napoli, resa ormai innocua dal telegramma (Non allarmarti). Domenica 27 (domenica in inglese e in tedesco è il giorno del sole), alle 11 di mattina, giunse a Carrelli la lettera espresso. Se Ettore fosse ripartito in nave da Palermo, la sera stessa, come aveva scritto e lasciato chiaramente intendere arrivando domani, egli sarebbe giunto alcune ore prima (5 ore prima) del recapito dell’espresso, che è chiaramente l’altra lettera.

Adesso è tutto chiaro. Ettore ha svelato la sua macchinazione. Falsa ogni altra ipotesi sulla scomparsa. Assurda la c.d. teoria del complotto; falsa e strumentale la ‘bugia’ della morte di Ettore nel 1939. Con la conseguenza, altresì, che un’indagine mirata su “Carlo Price” (l’inglese a dire di Salvatore Majorana presente a bordo nella cabina n. 37 per il viaggio da Palermo a Napoli di Vittorio Strazzeri la notte tra sabato 26 e domenica 27 marzo 1938) e su un certo “Charles Price – Zedick”, un ebreo russo naturalizzato inglese a Glasgow (mio esclusivo merito, di cui ci si è in qualche modo appropriati, tacendo la fonte dell’informazione personale, l’aver obiettato che Zadick-‘il giusto’ potrebbe essere il nome di copertura di una falsa spia inglese, attiva in Italia nel 1943, che per l’appunto si faceva chiamare “Giusto”), sul presupposto, accertato in atti, che Price-Zedick era deceduto a Glasgow nel febbraio del 1938 (un mese prima della scomparsa di Majorana), rischia di essere decisamente sterile a riguardo del problema della scomparsa di Ettore, a meno che non si riescano a conoscere gli estremi completi ed esatti dell’origine russa di questo Price, affinché si possa controllare con esattezza la sua ‘vera’ vicenda.

Il secondo telegramma da Palermo era diretto all’albergo Bologna: Tenete chiusala mia stanzaarriverò lunedì. Non c’è alcun anagramma, ma la riprova dell’esattezza del sillogismo testuale mediante il quale Ettore aveva fornito (secondo livello), la soluzione autentica del suo “caso”.

Ritorneròdomaniall’albergo Bologna”, “arriveròlunedì”. In che notte viaggiò il prof. Strazzeri, unico testimone? Ettore andò a Palermo? E quando tornò a Napoli, se andò prima a Palermo, e poi ritornò a Napoli, da cui sarebbe partito alle 22.30 di venerdì 25 marzo, in tal caso viaggiando sempre con i traghetti della Tirrenia (le navi T)? Poiché Ettore ha etto il falso, allora perché lo fece, e quando iniziò a mentire?

La trama è unitaria e dolosa, o era spezzata in due, come appunto fu fatta sembrare? Queste chiare ed esplicite domande gli autori su Majorana non se le sono mai poste. Alcuni l’hanno dato per sottinteso, nessuna delle loro congetture o mezze soluzioni è di per sé accettabile. Tutto frana a un vaglio critico puntuale. La lettera espresso da Palremo recava in bella evidenza due numeri di telefono. La dicitura Grand Hotel era divenuta inattuale: le guide del Turing per l’anno 1938 parlano di “albergo”, anche se esistono campioni d’epoca, in cui si continuava a usare la vecchia carta intestata. Ma Grand Hòtel Sole – Palermo significa Ger. H. Stella Polare mondo (G.H.S.P. nello steso ordine delle maiuscole).

Abbiamo fatto altre anticipazioni, ma la nostra esposizione è forzatamente tale. Avanti e indietro è lo stesso schema impiegato da Majorana, nel senso che ciò che verrà dopo spiegherà il prima, e quanto viene prima si salderà al dopo.

La lettera di risposta a Salvatore del 19 marzo 1938, fa parte integrante della tetralogia della scomparsa dolosa. Non c’è spazio – e non c’era già da prima – per le false congetture, tra loro opposte e contrarie, del “gioco a nascondino” di un folle e della eliminazione mirata di uno ‘sciocco’. Chi si è ridotto a tali invenzioni non ha voluto cogliere il ventaglio dei segnali. E continuerà a sostenere che tali segnali non esistono, mentre sono assolutamente certi, e chiaramente rivolti allo scopo.

Luciano Majorana, nel rogito notarile per Notaio Giuseppe Barbagallo in Catania, Rep. N. 5286 – Fasc. n. 1742 del 12 ottobre 1963 (cortesia del Prof. Giorgio Dragoni), atto ostensibile a richiesta (sic), fece implicitamente constare – nel documento autografo allegato, così reso autentico, consistente in una “copia di lettera da spedire al Prof. Renato Ricamo”, un docente dell’Università di Catania – che di Ettore “scomparso” nulla più si sapeva. << … Qualche mese prima della sua scomparsa, Ettore gli aveva parlato di alcune novità sulla Fisica atomica, accennando a un conduttore magneticoche potesse consentire il trasporto di masse magnetiche così come i metalli consentono il trasporto di elettroni…>>.

La tetralogia del 19 – 26 marzo (4 lettere e 2 telegrammi) è un insieme unitario e inscindibile, nonostante le contrarie apparenze, così fatte volutamente sembrare. Se i suoi, a Roma, si fossero ‘allarmati’, non vedendolo ritornare a casa da Napoli la sera di sabato 26 marzo (stasera: e poi, il 25 marzo, questa sera), nulla sarebbe potuto succedere. La famiglia non fu ‘complice’ o parte attiva in alcuna maniera nella misteriosa scomparsa, e anche Carrelli è assolutamente sincero: Ettore non si fece più trovare.

Carrelli, il 28 marzo, lunedì, in tarda mattinata, telefonò a Roma, dopo essersi immediatamente sincerato che sabato 26 mattina Ettore non aveva fatto lezione.

Chiamò Fermi, che avvertì subito i Majorana. I fautori del complotto sono costretti a supporre che in qualche modo facessero parte della presunta congiura sia Fermi, che Segrè, e forse anche Carrelli. Invece Carrelli telefonò a Fermi supponendo che forse Ettore era tornato a Roma, anziché rientrare al Bologna, come gli aveva scritto.

Lunedì sera e martedì mattina giunsero a Napoli i fratelli di Ettore, Salvatore e Luciano, e con Carrelli fecero denunzia di scomparsa alla Polizia, senza mostrare la lettera d’addio lasciata da Ettore nella stessa stanza del 23 febbraio. Luciano partì subito dopo per Palermo per svolgere ricerche in loco (non risultava un cartellino alberghiero, depositato per legge in Questura, relativo alla ‘presenza’ di Ettore al Grand Hotel Sole almeno per poche ore? Sì o no? Sembra di no – Roncoroni 2013).

Ettore si era presentato a Napoli, “molto agitato”, al Padre De Francesco del Gesù Nuovo, qualche giorno ‘prima’ di scomparire, oppure qualche giorno dopo? Quale la “traccia sicura” (lo riferiva la madre in una lettera a Mussolini) della sua presenza successiva di Ettore a Napoli? C’è sempre l’infermiera (la testimonianza della: così dirà Salvatore scrivendo a Rosina). La congettura del complotto non regge in alcun modo. Ettore, proprio lui, stava giocando a nascondino con i suoi cari e la Polizia? Una ‘bugia’, un ‘errore’, l’uno vale l’altro. Con ‘errori’ e ‘bugie’ si perde solo tempo (c’è chi ha sostenuto che Ettore andò, con falsi documenti, direttamente in Argentina, per dare lezioni private e fare l’astrofilo!).

C’è anche chi ha ritenuto che i fatti di scomparsa non tengono. Ad esempio, mancherebbero le buste delle lettere per Carrelli: e i telegrammi? Quelle lettere per Carrelli ritornarono nelle mani della famiglia, che le conservò. Ciò avvenne qualche tempo dopo, a seguito delle infruttuose ricerche. In ogni caso i fratelli di Ettore le avevano trascritte fedelmente. C’è poi chi nega che la lettera d’addio sia autentica. Siamo al ‘delirio’, senza aver capito nulla della ‘logica’ della “scomparsa”, oppure al maldestro tentativo di falsificazione dei fatti.

La congettura – spacciata per teorema – che la mancata ricomparsa di Ettore all’albergo Bologna dipendesse da un rapimento o assassinio tombale a Palermo, non tiene conto che ciò sarebbe dovuto avvenire in ore diurne, e in pieno centro, qualcuno poi avendo viaggiato col ‘biglietto di Ettore’, la notte tra sabato 26 e domenica 27, data accertata dalla famiglia del viaggio di Strazzeri nella cabina n. 37, a tre letti, salpando la nave “Tirrenia” dal porto di Palermo alle 19 (ancora con la luce del crepuscolo). I fautori della morte successiva, nel 1939, dovrebbero indicare la tomba o almeno mostrare il passaporto di Ettore, prima di inventare soluzioni. Comunque, Pio XII, salito al soglio nel marzo del 1939, non fornì risposta alle istanze in tal senso della famiglia della scomparso. Ettore non ottenne rifugio in convento. Perciò girovagò ramingo, di qua e di là, e come fece dunque a resistere ai rigori invernali, e forse non era stato promesso un cospicuo premio (30 mila lire) per chi ne avesse fornito notizie?

La Domenica del Corriere era letta anche presso i barbieri di paese. La somma di 30 mila lire era per quei tempi favolosa. Sembra che nessuno l’abbia pagata e nessuno l’abbia riscossa. Certi inventori di leggende rurali (fu ritrovato, scappò nuovamente), di quanta credibilità godrebbero? Come si seppe che era morto se era scappato? Da chi e dove sarebbe stato sepolto?

Domandare ospitalità in conventi per poter fare “esercizi spirituali” (termine esatto, noto a Ettore che aveva studiato dai Gesuiti a Roma), è tuttavia un non senso. Ettore non è stato ucciso o rapito, e non stava giocando col dolore dei suoi familiari. Ciò che resta, scartando gli errori, è null’altro che la verità. L’errore sta nella falsa prospettiva di fondo, ignorata la quale, si potrebbe andare sempre a ruota libera. Il tema della scomparsa per lettera era stato prefissato dallo scomparente, le lettere contengono la anche risposta autentica all’enigma. Il vero teorema logico è questo. Il resto è irrazionale perché in contrasto con fatti certi, perché presunto malamente e non provato, perché contraddittorio o incoerente. Nessuna prova, pure asserzioni verbali, nessun vero indizio logico o materiale.

LE LETTERE E LE AZIONI DELLA SCOMPARSA

1* Quanto è stato già esposto e commentato si scarica direttamente sulla trilogia della scomparsa. Le lettere sono tre, in data 25 e 26 marzo, tutte recanti l’anno dell’era, accompagnate da due telegrammi da Palermo, sabato 26, e dalla consegna, la mattina di venerdì 25 marzo, alla allieva Gilda Senatore, di una cartella contenente il testo autografo delle lezioni (e forse anche altre carte, quest’ultime però mai recuperate). Con tale gesto Ettore diceva addio all’insegnamento (non addio alla vita).

La decisione inevitabile (e non ‘irrevocabile’) di Majorana, era stata già presa; però egli dirà alla Senatore: << Signorina, tenga queste cartepoi ne parleremo, poi ne parleremo >> (chi preferisce ripetere ‘ne riparleremo’, mente, sapendo di mentire, e lo fa in modo strumentale). Un poi e due dopo caratterizzano la scomparsa. Molte cose sono state tralasciate dagli autori quando anche i dettagli sono essenziali.

Prima lettera per Carrelli da Napoli, venerdì 25 marzo – Anno XVI

Caro Carrelli,

Ho preso una decisione che era ormai inevitabile. Non vi è in essa un solo granellodi egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti. Anche per questo ti prego di perdonarmi, ma sopra tutto per aver deluso tutta la fiducia, la sincera amicizia e la simpatia che mi hai dimostrato in questi mesi. Ti prego anche di ricordarmi a coloro che ho imparato a conoscere e ad apprezzare nel tuo Istituto, particolarmente a Sciuti; dei quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo.

E. Majorana

Mai la parola ‘morte’ o ‘suicidio’. Non un addio. Il perdono precede il ricordo (è logico: ma è illogico chiedere di essere prima ricordati, e poi perdonati). Nella lettera non è citata la Senatore (eppure costei non ha mai mentito). La scomparsa è improvvisa (quo ad effectum?), ma era ormai inevitabile. Senza egoismo ma Ettore, ovviamente, si rendeva ben conto delle noie. Non dice nulla a proposito di dimissioni dall’insegnamento, il cadavere avrebbe determinato ogni effetto: ma non dice dove andrà, come farebbe a uccidersi (‘scomparsa’ non è necessariamente sinonimo di ‘morte’). In vita almeno fino alle 11 di quella stessa sera (stasera / questa sera), epossibilmente anche dopo. [Calcolo delle maree? – Nessuna nave, della nave lo si apprende da Palermo, dove sbarcherà, ma su questo non c’è certezza. Sarebbe rientrato a Napoli, sempre via mare, viaggiando la notte successiva: ma anche su questo non c’è certezza. Sarebbe comparso episodicamente a Napoli nei giorni successivi, ma la “traccia” non è “sicura”, almeno nel senso che fosse effettivamente lui in persona]. Ettore non tornerà più all’albergo Bologna. Carrelli e la famiglia non avranno più notizie. Ettore è scomparso, come aveva anticipato.

La lettera, di posta ordinaria, arriverà a Carrelli alle ore 14 di sabato 26 marzo. Che cosa poteva afferrare Carrelli da questa missiva, preceduta da un telegramma di rassicurazione, proveniente da Palermo, giuntogli sabato mattina alle ore 11? Ettore gli scriveva a domicilio, non in Istituto. Una lettera ‘diabolica’, o una lettera sincera?

Chi ha affermato, però contraddicendosi, che le lettere di Ettore sono sincere, per ciò solo dimostra di un essere lui insincero, per primo. Nelle lettere di Majorana del 1938 ci sono segnali certi, comprensibili ex post; e le ultime 4 lettere sono tutte quante insincere. La scomparsa non era improvvisa. La scomparsa era premeditata. Le lettere non sono nemmeno diaboliche: sono semplicemente necessarie, e proprio in quella maniera, in una scomparsa per lettera, rivolta a un dato scopo. Parimenti rivolta a dire, a spiegare in filigrana, ma ai soli familiari, ciò che dapprima era stato occultato e mistificato, facendo credere ciò non era.

Questa prima lettera per Carrelli contiene un ‘addio’, senza bisogno di esplicitarlo verbalmente, ma non una dichiarata volontà di suicidio, di morte (termine mai impiegato).

Majorana (si) ripete tre volte: (sopratuttotuttatutti. La caratteristica ricorrente, però ben dosata, di parole che si ripetono, è sicuramente finalizzata allo scopo di richiamare l’attenzione su quelle altre parole che contano sul serio.

Nella lettera è nominato l’allievo Sebastiano Sciuti. Non la Senatore. Erano i due più in gamba. Quella mattina stessa Ettore si era recato in Istituto per consegnare, quasi di soppiatto all’allieva Gilda Senatore, una cartella: << Signora Senatore, tenga queste carte. Poi ne parleremo, poi ne paleremo >>. Ettore sta indicando Palermo.

E’ il segnale per chi “poi” – “dopo” – dovrà ricucire tutta la faccenda e cercare di capirci qualcosa: la sua famiglia, i suoi due fratelli. E significava che Ettore stava forzatamente mentendo.

A Carrelli non fa sapere che prenderà una nave, per viaggiare di notte, per buttarsi a mare. La lettera termina con un dopo che è un capolavoro d’intelligenza. Nessun ‘addio’ per nessuno. L’addio lo fanno le letture e le interpretazioni errate. Ettore naviga da maestro tra ambiguità di vario tipo, e se ne serve per il suo scopo: scappare, ma anche avvertire i suoi cari, nonostante la finzione necessaria. Il genio di Majorana va oltre il paradosso autoreferenziale del mentitore. Sfida i fatti e le reazioni, mentendo ma anticipando gli eventi. Riesce a ‘dire la verità’ fingendo. La verità fatta sembrare e quella che al contrario lo riguarda. Il mentitore perenne, che afferma di dire la verità, dice insieme il vero e il falso. Dice la verità mentendo, come il falso dicendo il vero (uno stato si sovrapposizione). Ecco perché Ettore userà lo stesso avverbio il giorno “dopo”: Spero che siano arrivati insieme il telegramma e la lettera (avrebbe dovuto dire: ‘Col mio telegramma ti ho tranquillizzato, segue una lettera da Napoli, non tenerne conto. Tornerò immediatamente all’albergo Bologna, e sono a disposizione, anche se intendo dimettermi’; in realtà, avrebbe dovuto telefonare). Insieme è anche pleonastico e inutile (anche se siamo già al dopo). Ma la posizione di fatto di Carrelli è quella della sequenza telegramma, prima lettera da Napoli, seconda e ultima lettera da Palermo, cl solo, che giunge domenica, giorno del sole (ricordando il proverbio che ‘non c’è sabato senza sole’).

Poi ne parleremo è un triplice anagramma: E il mare propone - Palermo per noie – Napoli per eremo. Gli scettici, però non in grado di formulare obiezioni calzanti, e poi scettici ‘contra rationem’, non capiscono che Ettore ha anticipato tutto (anche tutta la falsa faccenda di Palermo). Chi ama perdere tempo a rincorrere cose che non sono, a inseguire fantasie assurde o questioni inutili, oppure preferisce mistificare e quindi darsi ragione, si renda conto che nulla obbligava Majorana a recarsi dalla Senatore: il testo delle lezioni avrebbe potuto lasciarlo in camera o spedirlo per pacco a Carrelli. Si reca in Istituto perché sapeva che la Senatore si trovava lì di sabato. E lo fa perché costei possa ripetere ai fratelli di Ettore quelle esatte parole (parleremo – Palermo). La Senatore (che si dichiarerà sempre convinta che Majorana a uccidersi non ci pensava proprio): 1) non consegnerà subito quelle carte, ma dopo un po’ di tempo, a causa di una malattia (dato sospetto); 2) le carte le avrebbe consegnate a Francesco Cennamo (“Caccemo” si sposò con la Senatore), che poi le consegnerà a Carelli (che le trattenne, e che ne farà uso per alcuni suoi studi e pubblicazioni); 3) la Senatore credeva di doverle conservare, avendole ricevute (l’intermezzo della vicenda ha ‘risvolti’ e ‘retroscena’ ‘incredibili’: si rimanda a S. Esposito, 2010, pag. 121, qui facendo presente che gli autori sul presunto affare di Stato e sul caso opposto della morte di Ettore nel 1939, non si pongono mai questione, preferendo ignorare Cennamo-Caccemo e/o sbagliando data). Ettore non scelse a caso la Senatore. Che Ettore evitasse le donne, o che gli piacesse la Senatore, sono fabulae (fa specie che Recami si sia affidato al secondo caso di storiella: ma Majorana si è detto tutto, e il contrario). Anche la favola che si sia buttato a mare durante il viaggio di ritorno (ovviamente col cappello marrone in testa, tanto per non farlo sapere).

Testo ‘segreto’ esteso:

Caro Carrelli,

Ieri ho deciso che una vita rimane nobile se opera. Ne sorga il sole ma non è soloun disegnino, e mamma potrà scoprirvi avvisi procurandosi delle parole con tema “mare” che sono aiuti e dettagli. Ma da qui sorgendo per primo anche per ditta, mostri che per aver eluso fiducia di amicizia insieme a simpatia questa mialettera ha sopra tutto il luttoin casa. Mentre parto mi pregi il tuo Istituto a ricordare usciti a codaanche coloro che ho imparato a conoscere, da apprezzare “lenti”; illuderà tutti voi almeno un caro ricordodopo che passi questa sera, se qui debolmente indica il nero confine.

E’ impressionante. Ora si comprende perché ‘tante parole’ per Carrelli e ‘pochissime’ per la famiglia. Non occorrono troppi commenti. Molte parole rimangono le stesse. La parola noie fa da ponte con la Senatore. Da apprezzare lenti sono Fermi e Segrè, che non si sono subito resi conto dell’effetto di fissione del nucleo dell’uranio bombardato con neutroni “lenti” (cioè neutroni termici, rallentati con la paraffina o sostanze idrogenate).

Ultima lettera per Carrelli da Palermo: sabato 26 marzo – Anno XVI

Grand Hotel Sole – Palermo

(ditta o insegna dell’Hotel con un sole all’alba e due numeri di telefono)

Caro Carrelli,

Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutatoe ritornerò domaniall’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunciare all’insegnamento. Non mi prendere peruna ragazzaibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulterioridettagli. Aff.mo E. Majorana

La lettera fu stata spedita per espresso. Il sacco postale (delle ore 18) fu caricato sul traghetto Tirrenia che alle ore 19 salpava per Napoli. Majorana l’ha fatta precedere da un telegramma per Carrelli [Non allarmarti Alt Segue lettera] e un altro telegramma è stato inviato all’albergo Bologna perché gli tenessero la stanza; e, soprattutto, perché non trovassero la lettera d’addio per i suoi famigliari, lì lasciata in una busta (aperta o chiusa?). Ritornerò domani, torno lunedì.

Il traghetto per Napoli salpava da Palermo la sera stessa di sabato, alle 19, con arrivo a Napoli domenica 27 marzo all’alba (alle ore 5,45). Se Ettore fosse salito sulla nave quella sera, avrebbe viaggiato in una cabina a tre letti insieme al prof.Vittorio Strazzeri e a un “inglese” (che però parlava in italiano del sud), “Carlo” (o Charles?) “Price”. Da quella cabina spariscono nel nulla due passeggeri su tre. Si arriverà a rintracciare Strazzeri dal numero del biglietto o lista di viaggio intestata a Majorana per quella stessa cabina. Sembra che tale lista di presenza a bordo sia stata ‘aggiunta’ all’ultimo momento, poco prima della partenza.

Ettore salì su quella nave? Sbarcò a Napoli? Un altro che poteva somigliarli viaggiò forse col suo biglietto? Chi poteva essere “Carlo” (o Charles) “Price”? Nel 2010 è stata scoperta sul web l’esistenza di un dossier inglese segretissimo, intestato a “Charles Price – Zedick”, ebreo di origine russa, trasferitosi in Inghilterra, poi naturalizzato inglese, a Glasgow, nel 1927. Questo dossier era stato vincolato per un secolo, dal “16 novembre 1927” (il decreto di nomina per Majorana decorreva dal 16 novembre 1937). Poco dopo l’apertura di un’inchiesta della Procura della Repubblica di Roma sul caso Bini-Majorana, nel 2011, il dossier fu stranamente desecretato.

Come si chiamava, in origine, “Zedick-Price”? Il “Charles Price” naturalizzato come inglese cui questo dossier si riferirebbe per presunte ragioni di privacy, morì a Glasgow nel febbraio del 1938. Perché l’esistenza di questo dossier segretissimo poteva essere rilevata su Internet, dove nel 2010 lo rintracciò Guido Abate, mentre nel 2011 fu svincolato? La privacy secolare per un immigrato morto del 1938 sembra assurda. La data del 16 novembre coincide con quella della nomina di Majorana dieci anni dopo. Nessun servizio segreto conserverebbe a futura memoria elementi diretti o indiretti di un presunto omicidio compiuto per ragioni di Stato.

Se Majorana fosse giunto a Napoli all’alba, avrebbe preceduto di alcune ore il recapito postale della lettera espresso a Carrelli. Il telegramma per Carrelli arrivò alle undici del mattino di sabato 26, mentre la prima lettera da Napoli fu recapitata con la posta del pomeriggio. Tutto ciò non può non destare sospetti. Le ultime tre lettere di venerdì 25 e sabato 26 portavano l’anno XVI dell’era fascista (unica eccezione la prima lettera da Napoli in data 11 gennaio 1938).

Perché il telegramma da Palermo e la prima lettera per Carrelli da Napoli sarebbero dovuti arrivare insieme? Le lettere a seguire erano due: quella da Napoli e l’espresso da Palermo. Il telegramma annullava la prima lettera da Napoli. Non ci sarebbe stato bisogno di una seconda lettera da Palermo. Ettore avrebbe potuto e dovuto telefonare riservatamente a Carrelli, la cui abitazione era munita di telefono. La carta intestata del Grand Hotel Sole – Palermo (questo stesso foglio) significa dunque qualcosa.

Quanto meno, Ettore richiamava l’attenzione sull’insegna dell’albergo di proprietà di un certo Vincenzo Sole: cioè un sole all’alba. Vincenzo Sole e Vittorio Strazzeri. Non allarmarti. Impensabile per il 1938, il verbo contiene la parola arma.

Il fratello Salvatore noterà l’insincerità delle 4 espressioni principali di questa lettera: il mare mi ha rifiutato – viaggerò con questo stesso foglio – non sono una ragazzaibseniana – sono a disposizione per ulteriori dettagli.

Come dimostra la lettera del 19 marzo a Salvatore, Ettore conosceva benissimo i tempi postali. Forse viaggiando con questo stesso foglio è un’espressione che non introduce incertezza sul momento e sul modo del presunto viaggio di ritorno, ma sul sacco della posta. Analogamente ‘a lettera e telegramma’ insieme. Dosando il modo di esprimersi, e sfumando quel tanto che lo rendeva comunque accettabile, Ettore sta affermando che viaggerà la notte stessa verso Napoli, in contraddizione col contenuto del telegramma inviato all’albergo Bologna, dove dice che ritornerà lunedì. Quindi esalta la domenica (domani), come giorno del sole, e recupera la parola lunedì, già presente nella lettera del 19 marzo. Ed sempre quella ripetizione già vista di date parole.

Ha rinunciato all’insegnamento per iscritto. Sparendo, si è attenuto ai suoi obblighi giuridici: ha consegnato le lezioni (compresa quella di sabato 26, che si smarrirà), ha rinunciato alla cattedra. Ciò fa presumere, ancora una volta, che mentiva circa il suo ritorno a Napoli, e dunque il restarea disposizione per ulteriori dettagli ha un altro significato. Ettore mente, ‘dicendo’ parallelamente la verità. La parola insegnamento ne contiene due: ‘insegna’ e (io) ‘mento’. ‘Mentire’ circa il suo ritorno all’albergo Bologna, domani o lunedì; ed indicare – su quellostesso foglio – l’insegna del “Grand Hotel Sole – Palermo” (con un sole all’alba).

Testo segreto esteso dell’ultima lettera ‘espresso’ da Palermo:

Ger. H. Stella Polare mondo

Caro Carrelli,

Il sole che resta a lato lettera presenti i miei veri anagrammi. (Il sole che sta a lato esterni per lettera i miei veri anagrammi). Il fuerher domina atomi e miti, vaga risorgerà l’alba ornando i fregi questo stesso foglio con globo a lato.

Mentre l’insegna o dizione annunciò Hiter in opera. Non pensarmi perire e in differente azzardo perché la causa è benigna. Sono pure autore di esposizioni altri dettagli.

Aff.mo E. Majorana

Sole e Hitler sono le parole chiave per gli anagrammi. Il concetto di anagramma era stato suggerito e giustificato testualmente (anagrafe e telegramma = anagramma). Gli anagrammi corretti sono stati autenticati più volte insieme. Ed era l’unica risorsa disponibile per dettagliare il contro messaggio contestuale della scomparsa segreta dolosa, non potendo qui ammettersi a priori e in linea di principio il caso di un codice comune a chiave condivisa. La congenita aleatorietà della comunicazione remota tramite anagrammi è di duplice genere: il fattore permutativo e poi l’ordine necessario delle parole. Tuttavia ciò non esclude in radice che con un lungo e insistito esercizio di pazienza ne siano ricostruibili i testi corretti, utilizzando le due parole chiave suggerite, sole e Hitler, e seguendo la trama concettuale della fuga segreta di scopo, indicata testualmente in filigrana (teorema della stanza).

Se qualcuno ce li ha messi intenzionalmente, alla fine gli anagrammi potranno riaffiorare, seguendo la punteggiatura, gli accenti e le maiuscole, con un risparmio di nuove parole. Sicuri (e decisivi) sono indubbiamente gli anagrammi di breve stringa nelle definizioni impiegate. Ad esempio, tre giorni = ‘tre in giro’ o ‘giro in tre’.

Un altro efficace criterio è fornito dalla congruenza degli esiti. La base fondamentale e necessaria di questo impianto a comunicazione remota è dato dalla presenza di segnali esclusivamente rivolti ai familiari. Il ruolo specifico di Carrelli intermediario, consisteva nella possibilità di moltiplicare la comunicazione. La parola telegramma unisce insieme le ultime 4 lettere di Ettore. Anagrafe e altrove, dopo aver fissato la residenza che di per sé non è giuridicamente provvisoria ma cambiabile, sono chiari segnali. L’albergo Bologna è la costante necessaria dell’ultimo mese (dal 23 febbraio al 27 marzo). Si trattava della medesima stanza. La ripetizione di certe parole fa anch’essa parte della trama nascosta.

Gli ulteriori dettagli sono rimasti a disposizione con le stesse lettere di scomparsa in una sparizione per lettera. Hanno senso, per anagrammi, solo e soltanto se Ettore avesse già rivelato o fatto intendere l’essenziale. Ed è quanto si riscontra, ricucendo razionalmente la trama ex post, collegando tra loro segnali, avvisi, allusioni, fili o filigrane sottili, ma già sullo sfondo, che a scomparsa avvenuta, cioè post eventum, in un fatto obiettivamente misterioso, però caratterizzato da enigma voluto – il mancato ritorno all’albergo Bologna e il silenzio successivo –, diventano necessariamente parlanti, con un’efficacia logica costringente.

Prima di abbandonare per sempre l’albergo Bologna, poco dopo le 17 di venerdì 25 marzo, Ettore aveva lasciato nella sua stanza, quella stessa stanza alla quale aveva accennato il 23 febbraio (dopo aver cambiato alberghi, fino a stabilizzasi al Bologna, in via Depretis 72), una breve e involuta lettera d’addio per la sua famiglia. Tre sole frasi ripartite in nove periodi. In cui non parlava di morte, ma di qualche segno dilutto, da portare per non più di tre giorniScomparsa per Carrelli, e lutto per la famiglia. A questa singolare distinzione tra possibili sinonimi e destinatari differenti presiedeva una logica indefettibile: la scomparsa volontaria senza il cadavere non può comportare lutto. Tre i giorni del ‘mancato ritorno’: venerdì, sabato e domenica. Con un lutto a termine, impossibile nel suo decorso. Lunedì la scomparsa volontaria è ormai un fatto certo. La ragione di tale sparizione è una fuga segreta in Germania.

La scomparsa si concretizzava in quella stessa stanza del 23 febbraio, legata al passaggio di Hitlerfra tre mesi, il cui corteo non sfilerà mai lungo via Depretis.

La filigrana nascosta – ma costringente – della scomparsa per lettera di Majorana risalta adesso con chiarezza, senza possibilità di equivoci.

Il “thema decidendum” era stato rigidamente prefissato dallo scomparso con le sue innocenti lettere, piene di allusioni e di segnali, che aprendosi via via a ventaglio, convergevano nell’anticipazione dell’evento. Il che esclude ogni fattore esterno alla volontà dell’Autore e include al contrario un preciso scopo o movente.

Senza dire ‘addio’ ai suoi cari (non nominerà Rosina per questa ragione), Ettore spiegava in filigrana le ragioni della sua scomparsa (come, dove, quando e perché).

La sequenza dei messaggi contemplava necessariamente che la lettera alla sua famiglia dovesse essere letta per ultima. La stanza era rimasta in ordine. Qui aveva lasciato anche un almanacco navale del 1937. Aveva saldato il conto. Era un fine di settimana. Sebbene dovesse tenere lezione sabato mattina, agli addetti dell’albergo nulla importava se l’ospite avesse lì dormito quella notte o meno. Tutte le sue cose erano rimaste in camera. La lettera alla sua famiglia era stata messa in una busta, leggermente incollata in punta. Comunque, una busta chiusa. Alla mia famiglia era la dicitura della busta, e non del foglio scritto, riprodotto fotograficamente nel saggio di Recami? Nessuno degli addetti alle stanze si sarebbe potuto incuriosire, leggerne arbitrariamente il contenuto. La camera era rimasta intatta, al massimo avranno cambiato gli asciugamani. Il letto era stato lasciato in ordine. Insomma, l’ospite dell’albergo Bologna si era allontanato per fatti suoi, sul presupposto che lì sarebbe dovuto ritornare al più tardi lunedì sera, perché martedì mattina sarebbero ricominciate le lezioni. Con la differenza fondamentale che Ettore non aveva tenuto la prevista lezione di sabato 26, mattina. Ragion per cui si rimane allibiti, leggendo in un saggio del 1999 (La scomparsa di Ettore MajOrana: un affare di Stato?, pag. 76) le seguenti parole: << Fatto sta che in quei fatidici ultimi giorni […] Majorana temeva quella che avrebbe potuto essere la sua sorte, e si potrebbe presumere che per tale ragione si era forse preparato una via di fuga, cercando di lasciar credere che si fosse suicidato, ma pronto a inviare successivamente, e riservatamente, un messaggio chiarificatore alla famiglia, oltre alla nota laconica missiva >> (cioè la lettera lasciata nella stanza del Bologna). Ed è questo un esempio quasi comico di conclusioni sfumate, ma in realtà credute vere, nascenti non solo dall’aver ricopiato gravi errori altrui (la data del viaggio di Strazzeri posticipata d’un giorno nelle prime due edizioni del saggio di Recami), ma anche dall’aver trascurato l’analisi corretta delle lettere dello scomparso e dall’aver equivocato totalmente il caso, distorcendolo ad arbitrio. Ettore, venerdì 25 marzo si era tagliato dietro tutti i ponti, il 26 mattina fa sapere di essere vivo, ma che rinunziava all’insegnamento (dunque, il ricatto, percepito con terrore da Majoana, consisteva in questo stesso fatto?). E’ ovvio che siamo al ridicolo, oltre che all’assurdo. Così come nel caso della asserita morte nel 1939 dell’affezionatissimo Ettore, che sperava dunque di poter giocare a nascondino con la Polizia e con gli affetti familiari per lui sacri, come dimostra tutta la vecchia corrispondenza con i suoi cari e l’amico Giovannino Gentile.

Come trascorse, Ettore, quelle ore del suo venerdì, dalla consegna della cartella alla Senatore all’abbandono della sua stanza, lasciando l’albergo Bologna verso le ore 17? E come trascorse il resto della giornata? S’imbarcò sul traghetto per Palermo che salpava dal porto di Napoli alle 22,30? Il viaggio durava circa 10 ore, all’andata e al ritorno. La nave giunse a Palermo verso le otto e mezzo di mattina. Il telegramma per il Bologna fu spedito all’incirca alle 10. Dobbiamo presumere la stessa ora per il telegramma per Carrelli, che fu recapitato alle 11. Fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo (undici = induci). Stasera (lettera del 19 marzo); questa sera (prima lettera per Carrelli). Untelegramma.

Dopo, due telegrammi, due numeri di telefono, e un ‘espresso’. Ettore non ritornò al Bologna: né domenica (domani), né lunedì (mattina). Parole che si ripetono, e che ‘dicono’, anch’esse, d’un’altra vicenda.

La lettera per la famiglia, che non conteneva alcun addio, alcuna spiegazione per il suicidio (certi accenni li fece poi a Carrelli), e mai la parola ‘morte’ (id est:‘sono deciso a farla finita, la vita mi è insopportabile, mi uccido’), fu letta per ultima, a cose fatte, martedì mattina, dai fratelli accorsi a Napoli, senza alcun cadavere, né dopo, né mai. Chi ha ‘inventato’ che la morte di Ettore sarebbe avvenuta nel 1939, non ha indicato la tomba, e le spoglie databili, senza alcun certificato di decesso. Non avendo in mano nemmeno il suo passaporto.

Chi ha inventato di sana pianta il delitto per un presunto affare di Stato, connesso a ipotetici affari di spionaggioatomico (Amaldi, 1966) con una fuga oppure un rapimento, che sono questioni ben differenti, ritiene invece che si possa credere e far credere – in una fuga volontaria – a un fatto esterno involontario, in base al dato da spiegare (e non da presumere): cioè la mancanza del cadavere (il ‘cadavere’ di un vivo, cercato a lungo come tale, sia dalla famiglia, che dalla Polizia). Ignorando volutamente quelle stesse lettere: certe loro sequenze, certi segnali qui presenti, e la sottigliezza di un genio come Majorana. La sua intelligenza e il possibile movente per dichiararsi suicida. Insomma: il disegno di una scomparsa per lettera, certamente improvvisa, soltanto come evento (Ettore, il 9 marzo scherzava, ma alludeva anche); bensì, una sparizione segreta, alla quale era pronto già da qualche mese (in seguito a un ordine successivo all’attribuzione della cattedra che non poteva e non intendeva rifiutare: sia la cattedra, che quel comando).

Perciò, l’assenza forzata dello scienziato, non dell’uomo in crisi esistenziale: e con una ragione sufficiente, i propositi di suicidiocome da lettere da luilasciate, per cui quella trama personale, spezzata in due, così appunto fatta sembrare, giustificava in sé l’evento dell’assenza forzata, e, parimenti, il silenzio che ne era seguito. Lasciando dietro di sé un enigma, un mistero oggettivo, senza che ci fosse il cadavere.

Poteva essersi buttato durante il viaggio di ritorno; poteva aver deciso di sottrarsi a causa della vergogna e della debolezza. Lui era ormai un uomo finito. Tuttavia la verità era spezzata in due: quella per gli altri; e quella per i suoi cari, il cui dolore, sconcerto e smarrimento, erano la garanzia del ‘caso personale’. Un caso differente, a suo dire, da quello di una ragazza ibseniana. Certamente così. La scomparsa era ormai inevitabile. C’era un motivo serio, il suo caso non era un affare di cuore, un ghiribizzo, una follia momentanea, o una crisi passeggera. Era la rappresentazione di un dramma necessario, senza un solo granello di egoismoIl mare lo aveva rifiutato.

Per questa ragione ritornava indietro, a Napoli, via mare? Andare a Palermo dove di fatto aveva rifiutato di insegnare e di collaborare con Emilio Segrè, per uccidersi durante il tragitto? Ritornare di nuovo a Napoli, per cercare durante il viaggio di ritorno in nave, l’occasione migliore che rendesse irrecuperabile il cadavere? I fautori dell’ipotesi del suicidio buttandosi dal piroscafo (Segrè; genericamente l’ambiente romano di chi lo conosceva, come asserisce Analdi; la sorella Maria, da un certo momento in poi; Bruno Russo), e i fautori dell’affare di Stato ovvero della teoria del complotto (i servizi inglesi, l’Irgun, i Sovietici?), si giovano forse del fatto che unico testimone del viaggio, testimone condizionale, fu Vittorio Strazzeri, mancando ogni testimonianza sul viaggio di andata (tranne i biglietti di viaggio, ritrovati dalla “Tirrenia”, e mai esibiti). Da qui certe fantasie, alcune delle quali estreme, che invece rientravano nella voluta incertezza apparente di occulto piano di fuga.

Non poteva mancare un biglietto di andata per Palermo. Non poteva mancare quello di ritorno per Napoli. Le cabine erano a tre letti: quindi, due potenziali testimoni. Con chi viaggiò Ettore all’andata? Era lui a bordo, all’andata e al ritorno? Non si riuscì ad appurare nulla di assolutamente certo. C’era una traccia, ma quanto sicura? Perché, se Ettore tornò a Napoli, vuol dire che era andato a Palermo. Ibis – redibis – morieris– non: è l’ambiguo schema della profezia della Sibilla. Dove mettere la ‘virgola’, quale corretto atto d’osservazione in una sorta di stato di sovrapposizione quantistica tra il ‘vivo’ e il ‘morto’?

Nel testo segreto ‘ad abundantiam’ dell’ultima lettera da Palermo, tutto ribatte: frase dopo frase. Dapprima gli anagrammi sono stati autenticati attraverso il sole. Domani diventa ‘domina’ ( Hitler domina atomi e miti). Quello stesso foglio di carta intestata indica i suoi ‘fregi’: < La Germania ‘hitleriana’ è la Stella Polare del mondo >. La causa è benigna, nessun azzardo. Ettore è altresì l’autore certo di altri dettagli. Le sue lettere contengono altre spiegazioni. Egli è fuggito segretamente in Germania dove era atteso. Il ritorno a Napoli non ci fu. Qui a Napoli altra messinscena. Ovviamente con l’intervento dei servizi segreti tedeschi, com’era già avvenuto a Palermo, dove Ettore non si era recato, pur lasciandolo credere, proprio per inquinare totalmente il caso di scomparsa. Nella cabina n. 37 sulla quale viaggiava Strazzeri il terzo uomo non era Majorana, ma un giovane con tutti i capelli, a lui un po’ rassomigliante.

“Carlo Price”, il falso “inglese”, era un agente dei servizi tedeschi, col compito di sparire nel nulla, così com’era venuto, insieme a quell’altro passeggero che doveva impersonare Ettore Majorana, lasciando così da sola la testimonianza condizionale di Strazzeri, opportunamente distratto e distolto da una conversazione in italiano, con accento tipico del sud Italia (nessuna confusione tra il giovane, che rimase muto, e chi stava parlando in dialetto: Price recitò il ruolo di un commerciante). ‘Tre in giro’ è un ‘giro in tre’, in una cabina a tre letti. Quale migliore copertura se non quella di un ebreo russo, scomparso il mese prima? La missione segreta americana “Alsos” frugò a lungo, a Napoli, nel 1943, liberata dai tedeschi. Che cosa cercavano, a Napoli? E perché il dossier Charles Price-Zedick recherebbe la data del 16 novembre (1927)? La velina del 6 agosto 1938, dopo l’indagine sollecitata da Mussolini al quale avevano scritto Fermi e la madre di Ettore (il 27 luglio), si riportava alla possibilità di un complotto, giacché era stato appurato un misterioso inglese a bordo, mentre Ettore stava ritornando a Napoli. Una costruzione perfetta, al riparo anche dalla possibilità di un grave incidente diplomatico (tra Italia e Germania non vigeva ancora alcun patto stretto di alleanza militare).

Carlo Price, se fosse stato un inglese in viaggio o soggiorno in Italia, movendosi tra Palermo e Napoli avrebbe dovuto lasciare qualche traccia di sé. La scomparsa di due passeggeri su tre era veramente strana.

Fu mobilitato il S.i.d. (non l’O.v.r.a.). Nulla risultando, ci si ridusse alla solita velina anonima, che lasciava campo a sospetti, nonostante la voluta e avallata confusione tra Marconi e il radio (elemento chimico radioattivo scoperto dai Curie e utilizzato da

Fermi a Roma per le sue ricerche sul nucleo come sorgente di neutroni). L’occhiuta polizia italiana svolse le sue indagini, ma agli informatori non risultava alcunché.

Lettera Alla mia famiglia di venerdì 25 marzo – Anno XVI dell’era

(letta dai fratelli di Ettore lunedì sera o martedì mattina 29 marzo).

 

Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di luttoDoporicordatemisepotete, nei vostri cuori e perdonatemi.

Appena tre righe. Tre frasi, ripartite in nove periodi. E tre giorni di lutto (a decorrere da quando?).

Il 25 marzo ci sono un “poi” (per la Senatore) e due “dopo” (per Carrelli e per i familiari). C’è un dopo anche da Palermo: ulteriori dettagli, ma non il seguito. Ettore è sparito. Non è ritornato all’albergo Bologna. Manca il suo cadavere.

Ha scritto tre righe ai suoi e ben due lettere a Carrelli. Soltanto con la terza lettera si capisce che avrebbe preso il traghetto della Tirrenia che alle 22,30 salpava da Napoli per Palermo. Ettore sapeva nuotare. Aveva con sé una rilevante somma di denaro e il passaporto valido soltanto per i paesi europei. Che senso aveva andare a Palermo, e perché non a Cagliari, o a Genova, con l’intenzione di buttarsi a mare durante la navigazione notturna? Il 22 gennaio Ettore aveva ‘indicato’ Fermi a Roma, mentre il 26 marzo ‘indicherà’ Segrè a Palermo. Questo è quanto corrisponde alla razionalità.

La lettera “alla mia famiglia” (ovviamente compresa la sorella maggiore Rosina già sposta con un tedesco), lasciata nella “stanza” dell’albergo Bologna, è indubbiamente autentica e contiene alcuni segnali, in aggiunta all’anno XVI dell’era:

  • un solo desiderio = richiamo al sole

  • di nero = ordine

  • segno di = disegno

  • - tre giorni = giro in tre

  • se potete = poste e te(legrafi).

Ettore indicava un lutto a termine sul presupposto del cadavere ritrovato. Il suo modo di agire (morte in mare per affogamento) lo escludeva già in maniera evidente. E’ inutile appellarsi al lutto stretto siciliano, che è una scusa. Per la morte del padre nel 1934 Ettore nella sua corrispondenza impiegò a lungo la carta da lettere listata a lutto.

Qui c’è soltanto l’indicazione di un distacco, lungo e pesante (simile a una morte, ma non la morte vera e propria). Da cui prima il ricordo e poi il perdono. Con Carrelli era una scomparsa, tale di fatto, lasciando presupporre la morte, ma senza il cadavere.

Pertanto, lunedì 28, il lutto fatto sembrare, è chiaramente una scomparsa dolosa: la famiglia lo può comprendere, non Carrelli.

Ettore ha moltiplicato ad arte i messaggi del ‘vivo’, di chi è rimasto ‘in vita’. Questo l’avviso, insito già all’interno della improvvisa scomparsa inevitabile. Proprio qui ne abbiamo le conferme. La messinscena architettata dallo scomparso contemplava che i suoi cari fossero messi inevitabilmente davanti al fatto compiuto ‘dopo i tre giorni’.

Mai la parola ‘suicidio’ o ‘morte’. Non una riga di spiegazione del gesto lasciato intendere, se non il fatto che la “scomparsa” era senza “un solo granello di egoismo”.

La lettera del 19 marzo serviva ad anticipare lo schema del telegramma, e a generare allo stesso tempo sconcerto e scompiglio: Ettore esigeva di essere cercato, il sincero smarrimento dei suo cari era la garanzia del caso personale, sebbene “differente”.

Lo schema di scomparsa analizzato nel 2002 da Luisa Bonolis (sottinteso da Sciascia, da Recami e da Esposito), non contemplava le possibili ragioni, il movente di quelle mosse in serie. Tutti indistintamente gli autori su Majorana hanno tralasciato i segnali contenuti nelle lettere. Avvisi effettivi, allusioni certe. Anche l’espressione piegarsi all’uso è indicativa: come le undici di sera – di questa sera – è un alluso, è un induci.

I segnali si rincorrono, e danno un esito a cose fatte.

 

Testo ‘segreto’ della breve lettera lasciata nella stessa stanza dell’albergo Bologna in via Depretis 72:

 

Alla mia famiglia

Ho un sole che ride: ordine dei testi nono avviso. Qualche avviso cela Hitler, portate pure un sole in segno di luttoma per non più di tre giorni. E poiprendeteposta, e ditemi in cuore vostro, a mite ricordo.

Le lettere del 1938 erano 9 in tutto. Col buco di un mese. Le parole avviso e in vita si possono ‘leggere’ nell’aggettivazione di miaimprovvisa scomparsa (del ‘vivo’), che era ormai inevitabile (= Il mare primo avviso che la mia era abilescomparsa in vita). Se poi le lettere del 1938 fossero state più di 9 (ma allora perché non furono pubblicate?), la prima frase della lettera diverrebbe: < Ho un sole nero : direi in sodo da estinto che vive >. Si può notare che il “poi” ripetuto due volte alla Senatore, adesso si è sostituito al “dopo” testuale. Si può ritenere che tutto ciò sia casuale? La risposta è no. Le lettere del 1938 contengono, dalla prima all’ultima, un ventaglio di segnali. Lo sviluppo razionale di tali ‘avvisi’ comporta un canale obbligato: i contro messaggi di Ettore, destinati esclusivamente alla comprensione unitaria dei suoi cari, con esclusione di ogni altro soggetto estraneo, già a partire da Carrelli-cartelli.

Le ultime 4 lettere, dal 19 al 26 marzo, sono strettamente legate fra loro. Lo sono concettualmente, e lo sono, altresì, per la ripetizione di date parole. Il loro legame concettuale deriva dal ‘dopo’, ciò concretizzando il superamento del paradosso del mentitore. Un aspirante al suicidio non avrebbe mai potuto ingannare i suoi cari.

Il predestinato a essere rapito o eliminato, consapevole del pericolo, non avrebbe mai potuto agire in quella maniera. Un transfuga senza senso, il preteso caso Asperger, non avrebbe mai giocato a nascondino. Il cadavere mancava perché Ettore è fuggito lontano. Nessuna delle 4 ultime lettere è superflua in tal senso. C’era chiaramente un disegno e un ordine. Il se potete è altrettanto eloquente.

PARTE TERZA

IL CASO DIFFERENTE

 

1* Si potrebbe obiettare che una stringa di 35 caratteri (caso degli anagrammi di Galileo Galilei con Keplero) dà luogo (in astratto) a un fattore permutativo di sessantamila miliardi di miliardi di miliardi di modi diversi. Però non si terrebbe conto di questi fattori: 1) che le parole chiave, e il tema di approccio, erano stati suggeriti; 2) che esistono vari casi, particolarmente significativi, peraltro esaustivi, di brevi anagrammi conformi; 3) che c’era convergenza di segnali testuali e allusioni sistematiche dirette; 4) che la logica del sistema era stata accuratamente predeterminata e ritagliata da Majorana; 5) che gli anagrammi riguardano i dettagli, mentre esiste un sillogismo logico costringente, di carattere diretto poiché testuale.

Insomma, l’interprete – necessariamente la famiglia, con esclusione a priori di ogni estraneo – è stato sorretto e guidato passo dopo passo, senza ambiguità, una volta constatata, per mancanza del cadavere, la misteriosa scomparsa del ‘vivo’ seguita dal silenzio.

Il tema da decidere era “perché” quella scomparsa “clamorosa”, con un apparente viaggio di andata da Napoli a Palermo, e poi di nuovo a Napoli da Palermo. Ferma restando la centralità dell’albergo Bologna in questa strana vicenda, e quanto detto venerdì mattina alla Senatore (poi ne parleremo, poi ne parleremo).

La famiglia era convinta che Ettore fosse ritornato a Napoli [dunque era andato a Palermo, anche se non c’è prova che avesse preso alloggio all’Hotel Sole, per qualche ora, ripartendo in nave alle 19 di sabato 26 marzo diretto a Napoli: i biglietti di viaggio, da soli, non provano nulla].

La cosa non eracosì tragica, come dapprima era apparsa (lettera di Gilberto Benardini a Giovannino Gentile, senza data, ma risalente alla fine di aprile del 1938). C’era una traccia sicura (il convento del Gesù Nuovo, scartata l’infermiera).

I fatti certi sarebbero questi: le lettere (tutte quante autentiche); la dichiarazione del ritorno: Il mare mi ha rifiutatoeritornerò domani all’albergoBolognaviaggiando forse con questo stesso foglio; i due telegrammi; il silenzio. Tutto il resto non è provato a sufficienza. Neanche la presenza a Palermo.

Tuttavia esistono dichiarazioni pressoché invisibili, comprensibili soltanto ‘dopo’, ma non meno certe. Anzi, costringenti. Come due facce di una stessa medaglia: il recto e il verso (quest’ultimo la verità autentica). Aspetti inseparabili, per cui al falso si sostituisce il vero (‘a verso’).

Nella prima lettera da Napoli Ettore aveva alluso all’introvabile professoreterrestre. Il 22 gennaio aveva chiesto i soldi e aveva alluso a Fermi. Tra queste due date aveva colto l’occasione, con Occhialini, per dichiarare che tra qualche settimana sarebbe ‘scomparso’. Il 23 febbraio anticiperà le fila della sua vicenda, legandola a quella stessa stanza dell’albergo Bologna e a Hitler. Fra tre mesi significa < Fermi resta >. La scomparsa è caratterizzata da tre rinvii o avverbi temporali, a data 25 marzo. Il 2 marzo diceva di essere contento degli studenti (è falso il racconto di uno studente che Ettore, un giorno, fermato per strada, si sia messo improvvisamente a correre verso l’albergo). Il 9 marzo scherzava e alludeva (un tempo bellissimo, ideale per navigare nelle acque del golfo). Le ultime 4 lettere, dal 19 a 26 marzo, sono legate da certi nessi. Al loro contenuto, apparentemente contraddittorio, si contrappone la sostanza certa dello schema implicito di collegamento. La scomparsa era improvvisa soltanto come evento. La sua stessa definizione contiene in sé la spiegazione. Carrelli fu il tramite necessario, utilizzato ad hoc. Almeno due lettere, sulle ultime tre, sono superflue, e non intonate tra loro per una dichiarata ipotesi di suicidio. I propositi iniziali di suicidio sono smentiti dalle circostanze materiali che li accompagnavano (denaro, passaporto, saper nuotare). La lettera per la famiglia, letta per ultima, non esprimeva alcun addio, nulla dichiarava esplicitamente per la morte, era troppo breve e involuta. Conteneva un termine per il lutto di non più di tregiorni. Ed è di tutta evidenza il doppio canale di comunicazione: da un lato Carrelli e la famiglia dall’altro, ottenuto anche tramite un’anfibologia. Scomparsa per Carrelli e lutto per la famiglia (non il viceversa, che avrebbe chiarito i reali propositi, indebolendo assai il meccanismo artificiale, per cui mancando il trauma familiare avrebbe fatto difetto l’inganno).

Mancando il cadavere, vi è certezza – a rebours – che il lutto è impossibile, e che si tratta dunque di scomparsa volontaria. La prova certa sta nell’aggettivo qualificativo volontaria, giacché i segnali precedenti impongono necessariamente tale inevitabile conclusione. Ettore ha sfruttato da maestro la sua intelligenza e le sottigliezze del linguaggio in una scomparsa per lettera a tema predeterminato (vivo o morto, mai morto per ragioni estranee alla fattispecie da lui accuratamente ritagliata).

Il termine dei tre giorni (corrispondenti a venerdì 25, a sabato 26 , e a domenica 27 = giorno del sole: cioè in un fine settimana), è un termine rimesso alla famiglia, sebbene introdotto dall’agente. Portate qualche segno di luttoma per non più di tre giorni, a condizione di aver ritrovato il cadavere. La condizione è qui impossibile senza il verificarsi certo dell’evento. Perciò lunedì, trascorsi i tre giorni, la cosa certa è solo e soltanto la “scomparsa”, posta in alternativa al “lutto” (la riserva verbale è stata sciolta).

Il lutto già rendeva poco credibile un esito in mare per affogamento. Se Ettore non fosse sbarcato a Palermo (ma non c’è alcuna prova che qui si sia recato), sarebbe stata “scomparsa a bordo”, un istituto giuridico delle norme sulla navigazione.

C’era il biglietto di andata, e sarebbe dunque dovuto rimanere, sulla nave, almeno il cappello (doveva fare così per forza, se veramente intendeva uccidersi).

Il cadavere, portato dalle acque di marea, avrebbe potuto disperdersi, secondo le mutevoli correnti, o rendersi irriconoscibile.

Portate qualche segno di lutto, senza specificare il termine dei tre giorni, avrebbe introdotto incertezza. Tre giorni servivano, invece, a indicare due cose insieme: a) che c’era un disegno, confinato nel tempo di quel termine; b) che il predetto termine non era incertus an et quando, ma semplicemente impossibile, come la condizione, indicata ai suoi cari, di portare il lutto (se però ci fosse stato il cadavere o un segno certo di morte avvenuta); c) che “tre giorni” conteneva altresì la spiegazione in breve della scomparsa di tre persone, < tre in giro – giro in tre >, i due occupanti della cabina n. 37 a tre letti, sulla quale, oltre a Strazzeri, quella notte tra sabato 26 e domenica 27, viaggiarono altre due persone, anch’esse sparite nel nulla: quindi un sosia di Ettore (ciò spiegando l’incertezza di Strazzeri se il terzo passeggero fosse proprio Ettore in persona, ma sì un giovane con tutti i capelli), e l’inglese “Carlo Price”. Ettore, che non era salito sul traghetto diretto a Palermo, ma qui aiutato dagli agenti dei servizi segreti tedeschi che s’incaricarono di compiere, successivamente anche a Napoli, quanto lui non avrebbe potuto fare, fu il primo dei tre a sparire. Price e un giovane prescelto ad hoc, ingannarono occuparono Strazzeri, unico testimone, sicuro soltanto del fatto che il giovane con tutti i capelli era regolarmente sbarcato a Napoli che era già giorno chiarissimo.

2* Il 25 marzo 1938, poco prima del tramonto del sole sul Tirreno, Ettore salì su un’altra nave, probabilmente il “Castellon”, battente bandiera tedesca, con primo scalo a Catania. Se mai ci fosse stato qualche inconveniente, una volta che la nave avesse raggiunto il porto di Catania, egli poteva sempre dichiarare di aver fatto tutto da solo. Di essere andato a Palermo, e subito ripartito in treno per Catania, dopo aver ceduto il suo biglietto a un terzo passeggero, un giovane con tutti i capelli, che appunto gli poteva rassomigliare (versione Sciascia). In realtà, fu Strazzeri a essere preso di mira (la lista di bordo fu aggiunta all’ultimo momento), fino a occupare due dei tre posti disponibili in cabina: lui, che spesso si recava in Germania, per visitare sua figlia maritata a un medico tedesco. Cosicché fu eliminato il secondo potenziale testimone, che avrebbe potuto smentire Strazzeri, distratto quella sera, prima di coricarsi, dalle chiacchiere dell’inglese, che però parlava in dialetto dell’Italia del sud, mentre l’altro passeggero rimase muto. Ettore non era a bordo.

Da qui, la velina anonima del 6 agosto 1938: nel senso che Majorana vittima di unoscuro complottoper levarlo dalla circolazionecontro gli interessi italiani. La velina non ebbe alcun seguito.

Sembrava che Ettore avesse fatto tutto da solo, e c’era anche la lettera alla famiglia, sebbene non mostrata immediatamente agli inquirenti. L’esistenza di questa lettera constava il 18 aprile a Bocchini: con propositi suicidi, come da lettere da luilasciate. Le gratuite congetture del complotto oppure della sparizione per giocare a rimpiattino, non hanno alcuna dignità logica e in termini di fatto. Ogni altra congettura è subordinata alla scomparsa volontaria, id est fuga di scopo.

Non c’è alcuna possibilità di suicidio: non in mare, e nemmeno gettandosi nel cratere del Vesuvio (l’avrebbe dovuto fare prima, con una sola lettera d’addio, di ben altro tenore). L’irrazionalità degli interpreti della “scomparsa” è stata condizionata dall’intervento dirottatore di Amaldi nel 1966.

Indicando quella stessa stanza su via Depretis dell’albergo Bologna dal 23 febbraio, Ettore ha inserito in filigrana la vera trama della scomparsa. Qui al Bologna sarebbe dovuto tornare, ma qui – in questa stessa stanza – farà trovare la sua ultima lettera, letta per ultima. In quei precisi termini, col limite dei tre giorni. Senza un solo granello di egoismo. Farsi cercare, rendere credibile il caso personale.

Dopo le vane ricerche della Polizia e della famiglia (che si servì di vari aiuti), la mancanza del cadavere costringe l’interprete a prendere atto che al lutto impossibile si era sostituita la scomparsa necessaria del vivo, cioè dolosa e preordinata. Motivata dal fatto che il riferimento testuale a Hitler, ripetuto due volte i lettere distinte, imponeva di rintracciarvi la causa, con riguardo a Fermi e a Segrè, anticipando la fuga di fermi in America alla fine del 1938, già che nell’aria dal 1936 (Rasetti).

Com’è noto, nel 1938 il nuovo Istituto di Fermi a Roma era controllato da ‘pulci’ telefoniche di cui Fermi era consapevole. Le avevano piazzate i tedeschi, non i servizi segreti di Mussolini. Il progetto del Reich millenario non prevedeva in prima istanza un conflitto allargato a tutto il globo, ma un’opera progressiva di conquista degli “spazi vitali” e una serie di accordi diplomatici col miglior offerente. Gioco rischioso che prima o poi avrebbe potuto condurre alla catastrofe del regime nazista.

Sullo sfondo temporale della possibilità di un conflitto allargato, o guerra totale, c’era anche lo sfruttamento dell’energia nucleare. Intanto, nel 1938, la Germania si accaparrava le miniere di uranio dei Sudeti. La prospettiva teorica di un possibile, ma assai difficile sfruttamento tecnologico dell’energia nucleare, come poi avverrà con immani sforzi, era nata a Roma, alla fine del 1934. La Noddack giunse a Palermo, da Segrè, nel 1937. Alla fine del 1934 Ida Noddack aveva già ‘intuito’ e ‘anticipato’ l’idea della fissione del nucleo dell’uranio. Ettore ne era informato (studi al riguardo del prof. G. Dragoni).

***

Il sillogismo testuale della verità autentica in filigrana poggia la sua cogenza su tre pilastri indefettibili: 1) i segnali anticipatori; 2) il teorema della stanza; 3) il modo di scomparsa. Tutto a conforto esclusivo della famiglia, che ne pativa il trauma, e che col suo dolore avallava il caso personale di una crisi interiore.

Quanto differente era quel suo caso, da non confondere però con quello di una ragazza ibseniana? Ettore non fornirà mai i dettagli ulteriori promessi il 26 marzo a Carrelli. Ciò significava che egli li aveva già forniti (messi a disposizioneper) con le sue stesse lettere. Il teorema della verità autentica posta sotto traccia ha la sua conferma nelle ultime parole dello scomparso. Dettagli ulteriori significava come, dove e quando: mentre il perché doveva risultare in modo diretto.

***

3* Quando il 21 agosto 1944 a Napoli Carlo Fecia di Cossato decise di uccidersi per motivi d’onore, scrisse alla madre una lunga lettera, in cui spiegava il suo gesto. Quando nell’ottobre del 1910 si uccise, all’età di ventitré anni, Carlo Michelstaedter, fu con un colpo di pistola, senza lasciar nulla di scritto. Quando si suicidò per amore il matematico Basilio Manià, amico di Giovannino Gentile, fu sempre un colpo di pistola (26 settembre 1939), come farà per altre ragioni, ragioni politiche, l’8 maggio 1959 Renato Caccioppoli, il famoso matematico napoletano nipote di Bakunin, che assistette alla lezione inaugurale di Majorana a Napoli giovedì 13 gennaio alle nove.

Chi decide di compiere il gesto estremo, “lo fa e basta”: senza “doverne parlare”. Ettore ne parlò troppo, r poi sparì. Il suo caso non ha nulla a che vedere con quello di Federico Caffè (scomparso da casa sua la mattina del 15 aprile 1987). Nulla a che vedere i casi sopra accennati.

Sul caso di Ettore, così scrisse l’intimo amico Giovannino Gentile, incaricato di redigere una voce su Majorana per l’Enciclopedia Italiana che tuttavia non sarà pubblicata: << Chi lo ha conosciuto personalmente può in qualche maniera trovare plausibile una crisi spirituale scoppiata nell’animo di Ettore Majorana; non può tuttavia non trovare misteriosa la sua scomparsa, perché, per quanto avesse poco interesse per gli aspetti pratici della vita, era un uomo sempre saldamente piantato con i piedi a terra >>.

Ettore non concepiva la discriminazione nei riguardi degli ebrei pur riconoscendo il problema della questione ebraica e parlando a tal proposito d’intervento chirurgico: sciocca ideologia della razza, tema tristemente dominante. La persecuzione non va senso, era antistorica, pur censurando il nazionalismo ebraico, i rabbini provocatori. Nelle lettere da Lipsia è tuttavia chiaro l’entusiasmo per la rivoluzione hitleriana, per la cultura tedesca, e per il nazionalismo anticomunista. C’è un’analisi politica precisa che si dirige contro il capitalismo internazionale e contro il comunismo sovietico. C’è fervore per le imprese italiane come la grande trasvolata di Balbo e gli avanguardisti. C’è grande interesse, nel 1933, per il problema della pace (Patto a quattro). Segrè e Pontecorvo erano ebrei (rispettivamente di Tivoli e di Pisa). Le loro famiglie furono perseguitate dal nazismo, subirono lutti, come i Capon, anch’essi ebrei romani, con Fermi che aveva sposato Laura, figlia dell’ammiraglio Capon.

Le famigerate leggi di Norimberga risalivano alla fine del 1935, Mussolini le adotterà in Italia alla fine dell’estate del 1938. Il tema della razza conteneva un’ideologia in contrasto con le ‘demo-plutocrazie’ che avrebbero determinato la grande tedesca nel 1923 all’epoca della Repubblica di Weimar e la grande crisi globale del 1929 con crollo della borsa a New York, imputando all’ebraismo internazionale disegni di egemonia mondiale (sia col capitalismo americano che col comunismo sovietico).

La fuga segreta di Ettore in Germania serviva a equilibrare, su campi opposti, in vista di un conflitto globale, in un futuro più o meno lontano in prospettiva temporale, la militanza ideologica del gruppo di via Panisperna, che era decisamente antifascista e antitedesco. Nessuna ‘ucronia’ sulla bomba atomica, tecnologicamente di là a venire. Bensì un bilanciamento preventivo nei rispettivi rapporti di forza. Ettore stimava la Germania, s’intende: quella di Hitler. E ne aveva esaltato i millesaggi, risplendenti come fari tra quelle brume, al paragone del sole italiano; e poi aveva deprecato, con Giovannino Gentile, il volgare materialismo, allora dominante non solo in fisica.

Un materialismo meccanicista che non teneva conto delle nuove basi rivoluzionarie della fisica d’avanguardia, del fattore a-causale a livello fondamentale, fondato sul ‘principio di indeterminazione’, la cui interpretazione statistica, applicata alle scienze sociali, era altresì pertinente all’arte di governo. Su quest’argomento si era espresso anche Gramsci (oltre che Georges Sorel), nei Quaderni dal Carcere (pagina 1429). La programmazione economica sovietica si stava muovendo su questa linea, in sintonia con l’ideologia marxista che pretendeva principi causali deterministici. Mentre la storia aveva molti tratti in comune con certe cause infinitesimali imprevedibili che amplificandosi potevano generare una serie di effetti a catena (come una reazione esponenziale). I fenomeni microscopici, secondo i fondamenti della nuova fisica, stavano alla base della realtà ‘oggettiva’, della materia e perciò anche della biologia, insomma di tutti gli aspetti della vita (storia compresa).

Se il pessimismo esistenziale (l’incapacità di sperare) avesse travolto Majorana, ciò sarebbe dovuto accadere negli anni del ritiro domestico, dalla fine dell’estate del 1933, dopo il ritorno da Lipsia, fino all’indizione del concorso a cattedre del 1937. E invece Ettore dimostra piena autonomia durante questo periodo, con lo strascico della malattia gastrica (una forte dispepsia), e parteciperà improvvisamente al concorso, quando per almeno tre anni consecutivi aveva cercato invano di tenere a Roma corsi di libera docenza in fisica teorica con programmi molto dettagliati. A Napoli era contento degli studenti, non c’è alcun indizio di una malattia incurabile, di un disagio esistenziale conclamato. Il 9 marzo scherzava allegramente per lettera.

Fu forse costretto all’improvvisa scomparsa, da falso suicida, per via di un pesante ricatto? E di che genere? Anche questa congettura cade fatalmente se ci si riferisce a un complotto politico militare ai suoi danni: Ettore aveva preparato le sue mosse già da due mesi (almeno dal 22 gennaio). Non rimane che la fuga segreta, con un preciso scopo (non il ghiribizzo del “pupo pirandelliano” che non avrebbe alcun senso).

La scomparsa aveva questo scopo: di non farne trasparire le ragioni e la destinazione.

Otto mesi dopo toccherà a Fermi di trovare il modo per fuggire. Segrè era rimasto in America dall’estate del 1938, dopo aver costituito un fondo bancario in Svizzera.

Ettore sapeva in anticipo cosa avrebbero fatto altri fisici, a ciò costretti dalle leggi razziali, e prima ancora, in base ai loro convincimenti politici.

Nella ‘scomparsa’ di Ettore, assimilabile a quella del “caro estinto” (egli non aveva dato più notizie di sé), c’era una presa di distanza personale dalla persecuzione razziale, dopo le leggi di Norimberga del 1935. Ciò non toglieva che, condividendo il nazismo hitleriano, il mito europeo del Reich millenario, ne accettasse certi aspetti, almeno a riguardo del capitalismo ebraico internazionale. Ettore in ogni caso era un fervente fautore del nazionalsocialismo in alternativa al comunismo, al capitalismo e alle vecchie e superate monarchie europee, di cui la monarchia sabauda rappresentava uno strano compromesso col regime mussoliniano più da parata che d’apparato. Un conflitto globale era ormai alle porte, giacché la disastrosa prima guerra mondiale non aveva risolto i problemi europei, tutti aggravandoli. Non ci si può esimere da queste considerazioni, che derivano direttamente dai contenuti e dalle preoccupazioni per la pace delle lettere da Lipsia, nel 1933, al momento della rivoluzione nazista con l’ascesa al potere di Hitler.

4* L’inquinamento dei fatti – e delle parole – circa la scomparsa, ovviamente col consenso implicito della famiglia, proveniva da Amaldi che pubblicando nel 1966, sotto l’egida dell’Accademia dei Lincei, una biografia di Majorana, pretendeva di fissarne il paradigma (censurato da Finzi nel 2002). Il paragrafo conclusivo di quest’opera (il n. 8) contiene una tale quantità di errori, di travisamenti e d’imprecisioni, da far ritenere che si trattasse di un falso intenzionale e di un’operazione mirata. Così era, poiché Amaldi aveva avuto contatti diretti con Carrelli su Majorana nel 1950, direttamente a Napoli, e in seguito per lettera. Amaldi sapeva benissimo che le lettere del 25 e 26 marzo erano tre, che Ettore aveva usato il termine scomparsa, che aveva consegnato alla Senatore una cartella il cui contenuto era finto nelle mani di Carrelli, che non c’era alcun verosimile “personaggio di Pirandello, carico di problemi che portava con sé, tutto solo”, che le date della sparizione erano state da lui, Edoardo Amaldi, arbitrariamente anticipate e manipolate. Sapeva dunque di fabbricare un falso, anche dal punto di vista omissivo, e, allo stesso tempo, ne stava prendenedo le distanze, con annotazioni contraddittorie (almeno tre), di cui più evidente di tutte è la conoscenza completa della prima lettera da Napoli, evitando però di fare riferimento all’Hotel de Naples, il “Napoli” appunto, rifacendosi invece al “Patria”.

Amaldi metteva così la ‘museruola’ a tutte le illazioni o indiscrezioni o chiacchiere che erano state fatte sui giornali e sulle maggiori riviste italiane del dopoguerra, allorché il caso era inevitabilmente riaffiorato.

Una di queste indiscrezioni proveniva da Fiorenza Tebalducci (lettera al settimanale Europeo, anno XVI, n. 765 del 23 maggio), in cui costei finiva per rivelare la verità. Nel 1935, a Firenze, Ettore aveva avuto dei contatti defilati con un gruppo di studenti stranieri, probabilmente di lingua finnica (in realtà danese, con agenti tedeschi sotto copertura – n.d.r.). L’isolamento di Ettore, subito dopo il suo rientro a Roma da Lipsia, nella tarda estate del 1933, quando Fermi si trovava ancora in America, ad Ann Arbor, derivava adesso da una chiara presa di distanza, non essendoci mai stata in precedenza una vera sintonia (cfr. lettera di Giovannino Gentile a Cantimori risalente al 1928). Il paradigma di Amaldi, avallato dalla famiglia, era strumentale.

Alcuni dopo, Sciascia, falsificando Amaldi, si rifece alla figura dello scienziato che aveva detto no, con largo anticipo, all’atomica (ciò in polemica anche con Segrè, mentre Fermi era morto nel 1954). Le lettere di Ettore non erano ignote a Sciascia. Fu il giovane Recami, un fisico siciliano, il contatto fra Sciascia e Maria Majorana, dopo la morte dei due fratelli Luciano e Salvatore. Recami ottenne le lettere e le passò a Sciascia che s’incaricò di aggiornare il paradigma di Amaldi che non poteva più reggere. Questa volta con una soluzione assai differente da quella del personaggio di Pirandello: il ritiro – silenzioso e muto – in un convento, di cui però la famiglia nulla sapeva nonostante un appello a Pio XII prima del 1940. Se Ettore fosse scomparso per tale ragione, alquanto improbabile, rimanendo stranamente in silenzio nei riguardi della famiglia, dopo la fine della guerra sarebbe dovuto ricomparire. L’assurdità di questa ipotesi letteraria è evidente. Ciò che invece premeva a Sciascia era il contrasto nascosto tra Ettore e Fermi (i liberi realizzarono la bomba, gli schiavi di Hitler non la fecero).

Recami si deciderà nel 1987 a pubblicare un saggio organico su Majorana, prima che Segrè rendesse di pubblico dominio, per il cinquantenario della scomparsa, in modo assai sospettabile, quella lettera scandalosa che Ettore gli aveva inviato da Lipsia, il 22 maggio 1933, ‘inneggiando’ al regime nazista (lettera che fu accolta malissimo a Roma e di cui nel 1966 Amaldi aveva poi riferito che era affondata col transatlantico Andrea Doria che in viaggio dall’Italia a New York trasportava effetti personali di Segrè!). La trama del “dopo” sarà secondo Recami quella dell’Argentina, però una destinazione impossibile nel 1938 (il passaporto di Majorana era valido soltanto per i paesi europei), quindi una trama sospetta e sospettabile al massimo grado. Recami stava rivelando la coda di una verità scomodissima? Maria Majorana prese parte attiva in prima persona alle ricerche di Recami. Per quale ragione Ettore si sarebbe potuto trovare in Argentina, a Buenos Aires, negli anni ’50, senza far sapere nulla? Perché queste voci, captate anche a Princeton (da Mario Rasetti), almeno circa la ‘morte’ di Ettore non in un convento? Dove era stato prima?

Versioni contraddittorie: ma queste strane ‘voci’ sembravano tirare in ballo anche Yuval Nee’man, importante fisico israeliano, che aveva fatto parte dei servizi segreti, e persino Giulio Racah, Rettore dell’Università di Gerusalemme (a un’analisi critica più approfondita emergerebbero altri inquietanti dettagli).

E’ stata poi la volta della ripresa (nel 1999) della teoria del complotto (in base a due errori di Recami, almeno nelle prime edizioni, e il passo di Amaldi, su ipotetici affaridi spionaggio atomico, con rapimento oppure fuga di Ettore, ipotesi ben differenti tra loro, tacitamente riferito da Amaldi alle dichiarazioni della Tebalducci del 1965.

Di recente (2012 e 2013), dopo lo scandalo suscitato da una certa fotografia, di cui ancora non si sarebbe venuti a capo, la scombiccherata versione della morte segreta Majorana nel 1939. Altri autori di storie di fantasia hanno ricamato invano su ipotesi da ipotesi, contraddicendosi ogni volta, ciò dipendendo dalla leggerezza critica con la quale hanno preteso di affrontare l’argomento. Mentre il saggio del fisico portoghese Joao Magueijo (2010), non prediligendo alcuna ipotesi in particolare, scartava però la pista argentina. Nel 2006, per il centenario della nascita di Majorana, erano usciti altri libri, fra cui un secondo lavoro di Leandro Castellani (del tutto analogo a quello del 1974) e un capitolo del fisico del C.e.r.n. di Ginevra, Etienne Klein (in “Sette volte la rivoluzione”), interamente dedicato allo ‘scomparso’. Una radicale pretesa di novità, conclusione tuttavia affrettata, contraddittoria e priva di riscontri, deriva infine dal saggio di Stefano Roncoroni (uscito a fine marzo del 2013), accolto finora con freddezza nonostante la buona scrittura e la pubblicazione certamente importante di numerosi documenti sconosciuti.

Prima del 1972, quando non si conoscevano che appena due righe dell’epistolario di Majorana, erano state asserite da parte della ‘famiglia’, ristretta o allargata, a seguito di interviste varie, una serie di informazioni erronee e fuorvianti. Dopo l’uscita del saggio di Sciascia era sorta una vivace polemica tra lui, Amaldi e Segrè. Un decennio dopo usciva il saggio di Recami. Una tesi di laurea, poi trasformata in libro, di Alessandro Maurizi, ripercorreva (2009) la vicenda, con particolare riguardo alle varie ipotesi e congetture. Anche Zichichi pubblicò nel 2006 un costoso saggio.

L’interessamento costante all’enigma del caso differente, sebbene a più riprese, prova la tardività della presunta soluzione Roncoroni-Guerra.

Non occorrono altri rilievi, se non che le indagini della Procura della Repubblica di Roma, avviate nell’aprile del 2011, non avrebbero ancora portato a nulla di concreto, sebbene gli investigatori siano di recente rientrati dalla trasferta in Argentina con un carico di documenti.

Il che dimostra altresì (se esiste in tal senso una capacità investigativa affidata agli inquirenti) l’infondatezza – al momento – delle precedenti congetture, e in particolare quella dell’asserita ma non spiegata morte di Ettore prima del 21 settembre 1939.

LA VERITA’ AUTENTICA DEL CASO DIFFERENTE

1* In una scomparsa per lettera, e per un caso evidentemente da risolvere a tavolino, da parte dei familiari, nei confronti dei quali l’enigma manifestava i suoi effetti, la prima cosa da fare era quella di rendersi ragione di quelle stesse lettere. Il caso esterno non poteva inserirsi in una trama che derivava completamente dal soggetto agente, che aveva detto e poi subito dopo disdetto. Che le ultime tre lettere del 25 e 26 marzo 1938 fossero state pubblicate da Sciascia nel 1975, e poi quasi tutto l’epistolario da Recami, nel 1991, ma con tagli e censure, ciò non deponeva a favore della chiarezza.

Il prolungarsi delle reticenze avrebbe reso il caso molto più sospetto e inquietante, quando gli scoop giornalistici erano ormai all’ordine del giorno. Per questa ragione nel marzo del 1972 Maria Majorana decise di liberare il caso dal riserbo che in precedenza lo ricopriva, facendo avere le lettere a Recami e da questi a Sciascia.

Dopo le inutili ricerche in Argentina, cui Maria prese direttamente parte, era venuto il momento (1997) di dar corpo all’ipotesi del suicidio in mare, durante il viaggio di ritorno a Napoli, come se fosse stato naturale un viaggio di andata a Palermo, con denaro e passaporto, in acque interne. Nel 1999, come abbiamo già detto più volte, la congettura di terzo genere del caso involontario, per un delitto derivante da un intrigo internazionale. La storia della ‘majoranologia’ in pillole è questa. Senza mai spiegare nulla, senza affrontare il tema vero di tutta la questione: “perché” Ettore scrisse in quella maniera, come mai una scomparsa “clamorosa”. Luisa Bonolis (2002) fornì una spiegazione parziale, senza indicare il perché: << La decisone di “scomparire” enunciata nel primo messaggio è smentita da una seconda lettera, spedita ‘espresso’ [subito la mattina dopo] da Palermo e scritta su carta intestata delGrand Hotel – Sole [cioè quello stesso foglio], che Carrelli riceve la mattina di domenica 27 marzo [sempre alla undici]. Ettore vi annuncia la decisione di tornare a Napoli. Ma anche questo messaggio viene smentito: Majorana sarà atteso invano >>.

Il perché della sua scomparsa volontaria lo fornì direttamente Majorana, nelle sue stesse lettere, in parallelo alla messinscena fuorviante.

Lo schema seguito da Ettore per rivelare ex post le sue effettive intenzioni si fondava sui seguenti passaggi in serie: segnali anticipatori convergenti sull’evento futuro, richiesta preventiva di denaro quando non ce n’era bisogno, riscossione delle relative somme appena pochi giorni prima di scomparire, scomparsa con passaporto (sapendo nuotare). Fin qui la Bonolis (ugualmente Sciascia e Recami).

Gli elementi che non sarebbero stati notati, ma che pure ci sono, e che fanno altresì parte essenziale di uno schema intenzionale, consistono nella stessa medesima stanza dell’albergo Bologna, luogo centrale della vicenda, dove Ettore sarebbe dovuto ritornare, ma dove i suoi fratelli lessero lunedì 28 il suo messaggio di congedo; nel fatto che tale albergo è stato costantemente citato dal 23 febbraio fino all’ultimo; in via Depretis, dove il corteo di Hitler non sfilò, il 5 maggio a Napoli (si sapeva già che Hitler sarebbe giunto in treno alla stazione di Chiaia); nel fatto stesso che Ettore, in questa maniera, dopo aver cambiato vari alberghi, indicava il “Bologna” in stretta relazione con la menzione di Hitler; nei tre giorni di lutto, ma non più di tre; nell’ alternativa impossibile tra il lutto senza il cadavere e la semplice scomparsa, quindi volontaria e programmata; nel fatto ormai compiuto al quarto giorno; nell’ambiguità intenzionale, decisamente indicativa, tra domani, cioè domenica 27 (giorno del sole, come dala seconda e ultima lettera per Carrelli) e lunedì (come da telegramma al Bologna); nel silenzio assoluto, dopo aver promesso il ritorno al Bologna, in quella stessa stanza, indicata già dal 23 febbraio, rimanendo a disposizione per ulteriori dettagliIl teorema della stessa stanza, di quella stanza del Bologna, si fonda su tre passaggi essenziali: la prima indicazione del 23 febbraio, la lettera per la famiglia, il mancato ritorno dovuto a un lutto impossibile che era una scomparsa volontaria. I tre giorni determinano la costringente rivelazione in filigrana di una volontà autentica, certamente tale, sopra la quale Ettore aveva costruito la sua messinscena, sempre per lettera. Una falsa rappresentazione, non con le sue ultime tre lettere, pletoriche ma ideate alo scopo, bensì in base alle ultime quattro. Si era servito di Carrelli come tramite necessario per la moltiplicazione dei messaggi; aveva iniziato a mentire dal giorno 19 marzo, continuando a fornire segnali convergenti (all’anagrafe e altrove, la residenza già presa provvisoriamenteal Bolognaaliasvia Depretis 72, e un primo telegramma di rinvio).

2* Tutto coincide, nulla di più o di meno. La misteriosa scomparsa avveniva a danno esclusivo della famiglia, e degli affetti familiari, da parte di un affettuosissimo e affezionatissimoEttore. Una scomparsa per lettera.

E chi ci garantisce che la stanza del 23 febbraio era rimasta la stessa fino al momento in cui Ettore abbandonò per sempre il Bologna? Tale obiezione è sbagliata nella sua formulazione. Sono le stesse lettere di Majorana a stabilirlo: oggi mi daranno unastanza miglioresu via Depretisda cui potrò vedere fra tre mesi il passaggio di Hitler. Detto l’essenziale, toccava ora agli anagrammi dover ‘colorare’ gli ulteriori dettagli (sempre rimasti a disposizione). I livelli della verità d’Autore sono tre: 1) i segnali coerenti, anticipatori dell’evento; 2) la filigrana diretta, tramite il teorema della stanza; 3) infine gli anagrammi, per ulteriorielementi di dettaglio. Un disegno e un ordine preciso. Chi di ciò preferisse fare a meno, libero di comportarsi come crede, sebbene contra rationem, non giungerà mai a soluzione: Ettore predeterminò e ritaglio accuratamente il tema logico della ‘sua’ scomparsa. Il non averlo compreso ha determinato tutti gli errori che un’analisi critica destruens chiaramente evidenzia. L’ipotesi dell’affare di Stato, e quella opposta e inconciliabile della morte nel 1939, sono senza alcun fondamento: anche a prescindere dalla verità autentica di Ettore, giacché fuori tema.

ANAGRAMMI DI CONFERMA

1* Siamo giunti al terzo livello, all’ultimo substrato dell’informazione. Era inevitabile che Ettore si servisse di tale forma remota, chiudendo l’anello. E va tenuto presente che sarebbe bastato un solo messaggio di avviso, purché lasciasse intendere di essere vivo: il che è comunque avvenuto nella definizione stessa di scomparsa improvvisa, ormai inevitabile (senza un solo granello di egoismo).

Chi avrà saputo spiegare in termini razionali perché Ettore abbia affermato: Il mare mi ha rifiutato, costui avrà risolto il giallo. Bene, Ettore intendeva dire: Ma mairifiuto a Hitler. E si provi a dimostrare che non è così, perché gli anagrammi, anche brevi, darebbero luogo a totale incertezza. ‘Rifiutare’, ‘rifiuto’, ‘rifiutato’: con la conservazione del concetto essenziale. Conservando il senso del rifiuto è impossibile recuperare un anagramma coerente, mentre il genere anagrammatico – con tutti i suoi elementi connaturali di precarietà e incertezza – fu direttamente alluso, certificato e autenticato da Majorana (miei veri anagrammi per lettera).

Ci limiteremo qui a ripercorrere qualche esempio breve, fermo restando quanto già pazientemente ricostruito ‘ad abundantiam’ (per tentativi, ma non inventando dal nulla, come fanno invece altri Autori, con le loro infondate congetture, violando apertamente i limiti critici imposti dalle lettere dello scomparso).

* Telegramma per Carrelli: Margine altralettera – Alt – Un sole.

L’anagramma dà ragione della seconda lettera espresso per Carrelli, chiarendo fino in fondo l’equivoco che il testo diretto: Non allarmarti Alt Segue lettera, introduceva, certificando altresì che sole è una parola chiave d’anagramma, come Hitler.

 

* L’insegna “Grand Hòtel Sole – Palermo” (col globo radioso del sole all’alba, quando la parola francese hòtel, in inglese hotel, era stata abolita dal fascismo e trasformata in ‘albergo’), significa, nello stesso ordine della maiuscole, Ger. HStella Polare mondo, cioè la Germania hitleriana è la Stella Polare del mondo, espressione ripresa dal “Mein Kampf”, e, in parte, da Schopenhauer, una delle letture preferite di Hitler, a proposito del valore della filosofia, con riferimento altresì al patto dell’Asse Roma-Berlino, con Berlino sulla verticale di Roma.

* Ultime parole ripetute alla Senatore: << Poi ne paleremo, poine parleremo >> = E il mare propone – Palermo per noie – Napoli per eremo (triplice anagramma). La parola noie si leggeva nella prima lettera per Carrelli. La parola mare – col non sequitur di quella eIl mare mi ha rifiutatoe (dunque) ritornerò all’albergo Bologna (viaggiando forsecon questo stesso foglio), si leggeva nell’ultima lettera espresso da Palermo(seconda lettera per Carrelli). Roma, Palermo e Napoli. Cioè Fermi, Segré e Majorana. Ettore ha costruito la trama della sua scomparsa da genio qual era, secondo un’architettura che faceva leva su Carrelli come intermediario dell’informazione, la cui realizzazione fu poi resa possibile da aiuti particolari: questa la vera vicenda del ‘complotto’.

Gilda Senatore e Sebastiano Sciuti (insieme) =Usciti Libano gita torna Sede Asse, cioè a Berlino (Sole di Germania e SS ). Con Gilda Senatore = gran sole e dati. Con Sebastiano Sciuti = susciti noi e basta. Particolarmente a Sciuti = Il mare ci porta asciutti.

 

Il mare mi ha rifiutato = Ma mai rifiuto a Hitler (con Hitler, altra parola chiave d’anagramma).

Albergo Bologna = Alba e Globo.

Albergo Bologna, alias via Depretis 72 = Debbo partire, oggi 27 sol sia alla nave (il 27 marzo cadeva di domenica, “giorno del sole”, in inglese, Sunday, e in tedesco Sonntag).

* Indirizzi per pensioni fornitigli dall’infermiera: ma Ettore rimarrà sempre in un albergo. Infine al “Bologna”, dal 23 febbraio in poi. Dice che vedrà a maggio (il 5 maggio: fra tremesi), sfilare il corteo di Hitler, sotto le finestre della sua stanza.

Fra tre mesi = Fermi resta. Fermi se ne andrà dall’Italia partendo in treno da Roma, con tutta la famiglia (moglie e due figli), la sera del 10 dicembre (nove mesi dopo).

Hitler giunse a Napoli, in treno da Roma, alla stazione di Chiaia, poiché alla Stazione centrale di Napoli, intorno alla quale scorreva via Stella Polare, arrivavano soltanto i treni di altra percorrenza. Il corteo di Hitler non sfilerà in via Depretis, passando per il lungomare di via Caracciolo, per imbarcarsi sul molo Beverello. Il dittatore tedesco assisterà con Mussolini a un’imponente parata navale nelle acque del golfo, con 80 sommergibili che s’immersero e riemersero in sincrono. Nell’ultima lettera alla madre del 9 marzo, allegra e scherzosa, Ettore non mancò di alludervi.

 

La mia improvvisa scomparsa che era ormai inevitabile – ed è questa la definizione autentica, con l’aggiunta della mancanza di un solo granello di egoismo – evidenzia un vivo, e un avvisoin vita. Contiene la parola “era”, mancando soltanto nella prima lettera da Napoli, l’anno XVI dell’era fascista. L’espressione completa significa: Il mare primo avviso che la mia era abile scomparsain vita.

Un solo granello di egoismosignifica: oggi un molo si orna del soleEttore non andò a Palermo.

Era (anno XVI) ormai inevitabile (cioè abile orma e in vita) significa < vili ebrei e nati a Roma > (Segrè e Fermi, indicati a Palermo e a Roma). Emilio Segrè era nato a Tivoli nel 1905, Enrico Fermi a Roma nel 1901. Segrè era ebreo, come la moglie di Fermi, Laura Capon, figlia di un ammiraglio. Fermi e Segrè si sottrassero alla morsa del nazifascismo, scampando negli Stati Uniti, dove contribuirono in modo decisivo al “progetto Manhattan” (1942), per la bomba atomica.

*Delle noie che la mia improvvisa scomparsa equivale a: Mamma scopri avvisi e a che parlino del sole.

*La mia improvvisa scomparsasignifica: Scomparso ma prima li avvisa.

Per una ragazza ibseniana equivale a: pausa inganni razza ebrea.

 

* Resto a tua disposizione per ulteriori dettagli (quindi con l’invito per Carrelli a cercarlo all’albergo Bologna, dove non si fece trovare), invece significa: Sono pure autore di esposizioni altridettagli.

Non è possibile dubitare della verità autentica del vero Autore della sua scomparsa poiché fissata su tre livelli.

* Ma per non più di tre giorni. Il lutto a termine, non più di tre giorni, ma senza il cadavere, è una condizione o prescrizione ricollegata a un evento impossibile. Con tanto segnali di riconoscimento. Uno di questi tanti segnali è il se potete (dopo ricordatemise potetee perdonatemi), già notato da Sciascia per il suo forte trovarsi lì. Perciò dobbiamo concludere nel senso che tre giorni ha un duplice significato: quanto alla scomparsa volontaria, e quanto al giallo della cabina n. 37 (peggio per chi non l’abbia compreso: seguiterà ‘a farfalle’).

* L’errore (sicuramente voluto) dell’improponibile storpiatura di Cennamo (giovane assistente di Carrelli nato nel 1910, diventato marito della Senatore) in Caccemo (nulla che vedere con ‘Caccamo’), serviva a sottolineare la frase immediatamente seguente: << Vi è ancheun professore di fisica terrestre difficile a scoprire >>, con questo significato: E’ difficile che un professore di fisica ‘corra’ tristi sere per nave (italiano corretto).

* << Carrelli è stato molto gentile >> è un’ironia voluta sui risvolti del concorso a cattedre del 1937. Ettore avrebbe potuto dire “Carrelli è stato molto cortese”. Invece impiega la stessa ironia della lettera a Gentile del 21 novembre 1937. Il nome di Carrelli continua a ripresentarsi nella seconda lettera del 1938: << Carrelli è tuttora aRoma >> = Altra correrà e mai lutto. Poi Ettore smette di parlarne. Le ultime due lettere di marzo sono indirizzate a Carrelli. Dove c’è configurazione, c’è anche significato.

* Carrelli-cartelli è un’allusione costruita su un gioco di parole con riguardo alla carta intestata che giungerà da Palermo. Dei “cartelli” enfatizzano i servizi di stireria e lavanderia dell’albergo Bologna. E il sole, si sa, asciuga i panni stesi.

* Maria fa progressi in pittura, “presto” potrà mandargli “una fotografia delle sue opere più famose”: il disegnino di un sole, perché Maria era una musicista.

* “Undici” è anagramma di ‘induci’. Alle undici di mattina giungerà il telegramma per Carrelli che annullava tutto. Nella lettera al fratello Salvatore (“Turillo”) del 19 marzo annunciava che non sarebbe venuto quella sera, e che dunque manda un telegramma di preavviso. Lo schema è identico, sabato 26 marzo. Da Palermo dice tornerà subito, ma non si farà più vedere.

* Ana-gramma = anagrafe + telegramma. Ettore non telefona, anche se i suoi hanno l’apparecchio in casa, e così farà anche nei riguardi di Carrelli.

* Assicurava che sarebbe venuto a Roma certamentesabatoprossimoCertamente = ‘mentre tace’.

All’anagrafe e altrove + un telegrammaValel’anagrafe e un altro telegramma. Oppure: Un anagramma al telegrafo e levare l’alt.

Ed è la prova, la certificazione, che non ha alcuna intenzione di uccidersi, e che i suoi veri anagrammi vanno vagliati secondo due parole chiave: sole e Hitler. Ettore ha utilizzato contestualmente degli anagrammi per comunicare ai suoi familiari gli ulteriori dettagli, rimasti a disposizione, allorché tutte le lettere si riuniranno nelle loro mani: cosa che accadde subito, il 29 marzo.

2* Gli anagrammi brevi (perciò affidabili) dei passi più incisivi ed enigmatici delle ultime lettere sono coerenti con i segnali e le parole chiave sole e Hitler (aggiungendo anche avviso). E’ ovvio e scontato che Majorana non poteva ricorrere a segnali o avvisi troppo evidenti. Poteva soltanto agire nel modo in cui ha operato. Una fitta sequenza ad anello di allusioni, con elementi già noti ai suoi familiari (il denaro e il passaporto), impiegando termini ambivalenti, e un’ambiguità di espressioni incisive, che reclamavano una sistemazione logica accettabile.

A un vero suicida sarebbe bastata una sola lettera, ovviamente “differente”. Ecco, perché fu costretto a fare ponte su Carrelli con altre due lettere, perché può comunque affermare che il caso è differente da quello di una ragazza ibseniana (dove già leggiamo razza). E perché può dire – melodrammaticamente – il mare mi harifiutato ( = ma mai rifiuto a Hitler). Il teorema della stanza è ampiamente provato.

ALTRE CONSIDERAZIONI

1* In base alle lettere del 1938, nessuna esclusa, ed altresì con riguardo al modo della sparizione, possiamo ritrarre un triplice ordine di considerazioni per quanto concerne:

  • l’esistenza di un movente, giustificato da causa di forza maggiore;

  • la necessità di un canale remoto di comunicazione, a carattere esclusivo;

  • il rifiuto di congetture in contrasto col tema predeterminato della scomparsa.

Nell’insieme registriamo, sotto traccia, rispetto alle mere apparenze, la presenza della verità autentica dello scomparso, al momento della sparizione, da cui non è possibile discostarsi.

Il problema di quando iniziò a mentire, con esclusione certa di ogni fatto ‘involontario’, di carattere esterno, che abbia determinato un esito negativo, cioè il mancato ritorno, trova soluzione razionale nel quadro d’insieme sopra tracciato, in cui risalta, in modo costringente, la serie univoca dei segnali testuali, finalizzata alla costruzione in filigrana di un sillogismo logico, diretto a certificare l’essenziale, mentre i dettagliulteriori risultano per anagrammi, da risolvere tramite due parole chiave, rese certe, così rovesciando il significato di certe espressioni particolarmente incisive e parimenti enigmatiche, in una ricostruzione da risolvere esclusivamente a tavolino, a conforto dei propri cari, di cui ciascun pezzo è servente rispetto all’altro frammento, restituendo un tutt’uno dal significato inequivocabile.

Le contraddizioni ‘apparenti’ del caso differente erano rivolte a predeterminare un tema critico a circuito chiuso, la cui consistenza si reggeva sulla volontà esclusiva dell’autore di se stesso.

Il profilo della scomparsa presenta l’incertezza di un evento, ambiguamente dichiarato, ma non consumato per mancanza del cadavere, e l’illogicità di un ritorno promesso, non avvenuto. Nel che la scomparsa si realizzava, presupponendo la menzogna deliberata. Il costante riferimento per segnali, fin dal primo momento, è nella direzione dell’evento finale presagito, che si realizzerà: per cui la scomparsa è caratterizzata da predeterminazione, con automatica esclusione di ogni altra possibilità, non derivante in questo senso dalla volontà del soggetto agente, per cui alle effettive intenzioni o movente, non potevano corrispondere le apparenze fatte sembrare. L’inganno si scaricava direttamente sui vincoli e sugli affetti familiari. Se da un lato costoro erano le vittime designate del comportamento ingannevole del loro congiunto, dall’altro non potevano non essere informati, rispetto al fatto compiuto, condizionato dal “caso di forza” maggiore in cui Ettore si trovò ad agire. Per unaragazza ibseniana la volubilità è una condizione caratteristica, mentre per Majorana il caso era differente giacché dovuto a forza maggiore.

Alla fuga segreta, necessariamente tale, corrispondeva ex post – e in condizioni di sicurezza – la rivelazione limitata dell’inganno. Il clamore e lo scandalo erano necessari, ma lo scomparso non lasciava, dietro di sé, un enigma insolubile. Il duplice canale d’informazione e la moltiplicazione dei messaggi rendevano possibile il flusso unidirezionale ed esclusivo della verità nascosta, da recuperare con pazienza e fiducia morale, una volta che il successivo silenzio sempre di più si fosse consolidato.

Al trauma necessario, giustificato da esigenze superiori (senza un solo granello di egoismo), corrispondeva la differenza tra il caso dello scienziato rispetto al caso personale dell’individuo (la ragazza ibseniana). Il mare aveva rifiutato il corpo di Ettore, anche durante il dichiarato viaggio di ritorno, perché la metafora dava già luogo a un chiaro ‘non sequitur’ a cagione di una e irrazionale e perché l’evento volontario di scomparsa eliminava in radice ogni possibilità di lutto, in specie per un lutto debole, caratterizzato da un non (non portate il lutto), da un termine finale di soli tre giorni, e, altresì, da un “poi” e due “dopo”.

Ettore dichiarava e disdiceva nel volgere di poche ore, era l’unico Autore della sua sparizione. I familiari lo compresero, per questo insistettero nelle ricerche, sebbene la prima ipotesi formulata, fosse stata quella di una fuga a Tunisi. Sembrava che Ettore fosse tornato a Napoli, tutto lo lasciava credere (la testimonianza dell’infermiera ed anche una traccia sicura): ma, allora, perché non era ritornato all’albergo Bologna, sebbene intenzionato ad abbandonare l’insegnamento? Lì aveva lasciato tutte le sue cose. In quella stessa stanza. Qui aveva lasciato un massaggio, l’ultimo messaggio ai suoi cari, letto per ultimo, a cose fatte. Il lutto era impossibile, ma i propositi di suicidio erano sinceri? La scomparsa dipendeva esclusivamente dall’agente, ma per quale ragione? Sembrava mancare il tassello fondamentale: il movente; giacché il mancato suicida avrebbe dovuto telefonare e non scrivere, ufficializzando lo scandalo col mancato ritorno. Perché aveva agito in questa maniera, dovendosi escludere categoricamente un caso esterno? A ciò rispondono i tre livelli d’informazione già visti. Era un anello chiuso, a rebours, predeterminato, e, dunque, cogente. Adesso è finalmente possibile conferire sostanza alle argomentazioni di Luisa Bonolis (2002), e dare corpo autentico ai presupposti generici da cui erano partiti Sciascia e in seguito Recami, sebbene con esiti differenti. Il circuito dell’informazione è chiuso in sé, impermeabile a ipotesi spurie, introdotte in modo arbitrario, aldilà del vero thema decidendum predeterminato da Majorana.

2* Il teorema della stanza all’albergo Bologna contiene l’essenziale della scomparsa, per i dettagli occorreva rifarsi inevitabilmente agli anagrammi, la cui compattezza è fuori discussione. E si capisce perché Ettore avesse detto domani e poi lunedì.

Lunedì 28 marzo è vero ‘allarme’, mentre il teorema testuale ha manifestato i suoi effetti, sebbene la loro comprensione unilaterale sia stata necessariamente rimandata al protrarsi, altrimenti inspiegabile, del silenzio nei riguardi non di Carrelli, che è solo un tramite, bensì della famiglia, cui la lettera letta per ultima era diretta.

Per questa ragione il ricordo deve prevalere sul perdono. Il sepotete, già notato da Sciascia, è l’ultimo segnale. Non era questione di “numeri” (che pure ci sono), bensì di “parole”. Sciascia preferì non andare a fondo della questione sebbene avesse accennato in nota alle crittografie, alla scrittura segreta (con riguardo a Stendhal).

Il prof. Guerra pensava dapprima che la scomparsa potesse essere ‘destrutturata’, snidando i fatti fasulli. In realtà ciò è impossibile, mentre la ‘de-strutturazione’ delle apparenze era esattamente quanto Ettore aveva richiesto e suggerito ai suoi familiari, fermo restando che molti errori degli interpreti sono derivati dal fatto di non aver sceverato tra la posizione di Carrelli (e di qualsiasi altro estraneo) e la posizione infungibile dei familiari. Il “pupo pirandelliano” di Recami, desunto da Amaldi, soffre di questo errore di prospettiva, che poi diventa un doppio errore di ordine razionale: andare in Argentina con un passaporto non valido e restare in silenzio.

Identico errore quello di Sciascia, che invertendo i motivi della scomparsa, è costretto ad accettare il silenzio conventuale senza esiti, tagliando fuori la famiglia (quindi senza distinguere rispetto a Carrelli). Il silenzio del vivo, poiché di questo si trattava, esclude a priori il caso esterno involontario, di qualunque genere fosse.

Ancora una volta la solita confusione fra trame differenti di cui è possibile solo e soltanto la trama individuale della fuga di scopo. Mentre il suicidio in fieri è escluso dagli stessi segnali precedenti. Segnali che indicando la scomparsa, comportavano la predeterminazione. Ettore afferma e nega. Ibis – redibis – morieris – non. L’enigma è di facciata, le ultime 4 lettere (dal 19 al 26 marzo) spiegano la soluzione sul filo dei segnali precedenti.

Se non ci fosse stata la terza lettera da Palermo la trama del delitto sarebbe ancora possibile. E’ fuggito,simulando un suicidio, ma è stato raggiunto ed eliminato. Si penserà che s’è ammazzato, oppure che è scappato via simulando. Adesso ciò non è più consentito. Se è tornato a Napoli, evidentemente si nasconde. Ma il suo operato non corrispondeva ad alcun timore. C’erano segnali precedenti, il cui indirizzo alla famiglia, finisce per escludere in concreto la possibilità astratta di altri eventi.

Allora, sta forse giocando a nascondino, quando dal 31 marzo la polizia lo stava cercando? Che senso avrebbe un’ipotesi del genere, che non tiene conto di fattori espressi, che hanno carattere specifico? I segnali escludono in radice anche tale congettura, che non fornendo alcuna prova, sta al massimo a significare che Ettore potrebbe essere ritornato suoi passi, dopo aver realizzato il suo intento segreto di fuga in Germania.

Il difetto principale della congettura sulla morte nel 1939, comunque priva di validi argomenti, si colloca in radice. Ettore avrebbe costruito una trama di scomparsa per ritornare al punto di partenza e da qui iniziare il rimpiattino, quando avrebbe potuto tranquillamente realizzare in mille altre maniere il suo presunto scopo di fuga dalla realtà quotidiana e dalla cattedra per chiara fama. Soltanto per fare un dispetto, prima di tutto a se stesso? Quindi, morire senza ragione, nell’abbandono? E come si seppe della sua morte (dovuta a che cosa), se scappò nuovamente? Un segreto, custodito gelosamente ancora oggi dagli eredi, che però era stato rivelato, a mezzo stampa, nel novembre del 1939 dalla rivista Missioni (Ettore scomparso = caro estinto).

Un segreto assurdo, di cui la madre e la sorella Maria, nulla sapevano. Ed è come ammettere che sì, Ettore scappò in Germania, poi potrebbe essere anche successo che sia rientrato in Italia, deluso dal regime nazista (il passaporto scadeva ad agosto).

Ettore fuggito in Argentina con falsi documenti? Non esistono limiti alla fantasia. Magari per impartire lezioni private e per dilettarsi di astronomia, come è stato detto da chi evidentemente è fuori sesto?

3* I limiti logici della sua “scomparsa” li fornì invece l’unico regista di quell’evento: Ettore in persona. Contestualmente, l’Autore della messinscena fornì la verità autentica del suo ‘operato’. Il genio è questo, il resto sono stupidaggini.

Non esiste una prova decisiva che Majorana sia andato a Palermo. Non esiste prova inconfutabile che fosse ritornato a Napoli, e che qui avvistato nei giorni successivi, magari chiedendo ospitalità presso qualche convento di gesuiti, fosse lui in persona.

Le opinioni a caldo dei suoi familiari si riveleranno fallaci o inconcludenti. Nessuna traccia sicura, mentre lo si stava ricercando assiduamente ovunque, a Napoli e dintorni (i mille occhi degli informatori della polizia dell’epoca, efficiente per questa sola ragione, non forniranno notizie).

Nel caso di fuga segreta in Germania, ricollegabile al c.d. “protocollo Hossbach “(Norimberga, documento PS-386) del 5 novembre 1937, era necessario simulare il suicidio per giustificare la successiva assenza. Il caso reale andava camuffato da caso personale. Il ritorno del vivo al medesimo punto di partenza oscurava la fattispecie. Del resto Ettore poteva essersi soppresso durante il viaggio di ritorno, buttandosi in mare con tutto il cappello (in tal caso Strazzeri si era sbagliato, incerto se fosse lui , ma dicendo che era sbarcato).

Segrè, che era consapevole del “mistero dell’uranio bombardato con neutroni” (pag. 149 dell’autobiografia postuma), lo prese per buono: << Con ogni probabilità si èbuttato a mare dal piroscafo >> (pag. 165). Come se nel 1938 non fosse esistito l’istituto giuridico della constatazione delle “scomparse a bordo” (e relativi controlli).

Nel 1997, conformemente alla versione fornita da Segrè (1995), Bruno Russo, con prefazione di Maria Majorana, pubblicò un saggio sull’ipotesi reiterata del suicidio in mare. Dopo aver riscontrato l’inconsistenza (ritenuta tale) della pista dell’Argentina, secondo Russo Ettore si era buttato dalla nave durante il viaggio di ritorno. Le acque non restituirono il cadavere. Ettore era andato a Palermo con denaro, passaporto, e sapendo nuotare. Poiché il mare lo aveva rifiutato la prima volta, all’andata, allora lui sarebbe tornato di nuovo all’albergo Bologna, e invece si buttò. Quella e serviva dunque per far comprendere ai suoi cari che il lutto era effettivo, che la sua intenzione di morte non ammetteva deroghe, cercando soltanto il momento delle condizioni adatte di marea, affinché il suo cadavere non potesse essere più ripescato?

Fermi dirà due cose opposte insieme: che Ettore, con la sua intelligenza, poteva sparire oppure far scomparire il suo cadavere a piacimento. Allora, chi si pose sulla nave del ritorno, la notte tra sabato 26 e domenica 27, col biglietto di Ettore, nella cabina n. 37, a tre letti, dove viaggiavano Vittorio Strazzeri e “Carlo Price”, un “inglese” secondo il biglietto di viaggio ovvero la lista di bordo? Ciò è in contrasto con la testimonianza, seppur condizionale, di Strazzeri, e col fatto che sul ponte del traghetto viaggiava un battaglione di soldati. E’ in contrasto anche con la procedura di riconsegna dei biglietti, al momento dello sbarco, e persino con le testimonianze sui successivi avvistamenti a Napoli. Hanno forse ragione i fautori della teoria del complotto? “Price” era un agente dell’Irgun? Era forse “Charles Zedick Price” quello che viaggiò con Strazzeri, nella cabina n. 37, col suo nome di naturalizzato inglese, morto però a Glasgow, nel febbraio del 1938, appena un mese prima? E come avrebbe potuto Strazzeri, che non era un individuo qualsiasi, ma un docente universitario, fare confusione tra un giovane con tutti i capelli (neri e incarnato scuro), e un uomo ormai anziano, a prescindere da chi avesse parlato in dialetto del sud, e avesse un aspetto da “commerciante”, e chi invece fosse rimasto muto?

Il terzo passeggero sarebbe sbarcato a Napoli, come gli altri due. Tuttavia da quella cabina a tre letti sparirono due passeggeri su tre. Forse ne era già sparito un altro, direttamente da Napoli, cioè il vero Ettore Majorana?

4* Bisogna decidere tra lettera e telegrammi da Palermo, biglietti di viaggio, lista di bordo e almeno due scomparsi nel nulla. Fermo restando che non c’è alcuna prova assoluta, veramente certa, della presenza di Ettore a Palermo, e poi al Grand Hotel Sole (a tal riguardo bisogna citare anche il brano di un discorso di Hitler all’ascesa al potere, in cui asseriva che la stella della Germania sorgerà e tramonterà quella dei popoli in putrefazione).

La scomparsa coinvolge il giallo della cabina n. 37 a tre letti. Come si uscirebbe dalla situazione di un viaggio di andata e ritorno Napoli – Palermo, se Ettore fosse stato intenzionato a fuggire segretamente in Germania?

Majorana “vittima” di se stesso, della sua scienza, o di simpatie politiche mal riposte?

Poi scappato in Argentina, dopo la fine della guerra, ormai nell’impossibilità morale e materiale di farsi vivo con i suoi cari, ancora tutti quanti in vita, ai quali aveva già fatto presenti, fin dal momento della scomparsa, le sue vere intenzioni, comunque non potendo rivelare altri segreti?

L’obiezione che al termine del conflitto qualcosa si sarebbe dovuta sapere, non vale nel caso di una fuga segreta e di una segretissima permanenza. Per indicare la permanenza in Germania durante il conflitto (dal 1938 al 1945) di Majorana, basterebbero due soli argomenti: le dichiarazioni dell’ambasciatore a Berlino Filippo Anfuso (che era nato a Catania), e le rivelazioni di Luigi Romersa (agente di Mussolini), cui si aggiungono le ricerche dell’Alsos a Napoli, nell’ottobre del 1943, e due misteriosi radiogrammi in codice Enigma della centrale salva nazisti “Odessa” di Barcellona nel febbraio del 1947 in cui veniva indicato un misterioso < M. >.

Non esistono contro indicazioni sulla possibile presenza di Ettore in Germania durante questo periodo. Il dopo del dopo in Argentina non corrisponde esattamente al quadro delineato da Recami: c’è molto di più, sebbene manchi la prova, perché in tal caso la soluzione sarebbe stata raggiunta.

Interessa invece il quadro della scomparsa, giacché il “dopo” è aleatorio rispetto al contesto temporale di gennaio-marzo 1938, non potendosi escludere nemmeno la morte di Ettore in Germania, sotto i bombardamenti, o per altre ragioni. Ma è chiaro che la fuga segreta in Germania, ipotesi che rientra nel novero di quelle già affacciate in passato, anche negli anni ’50, non era e non poteva essere un fatto unilaterale, di libera scelta, presupponendo necessariamente dei contatti segreti precedenti (provati dalla testimonianza di Fiorenza Tebalducci quanto al 1935), e un ordine adempiuto.

Il giallo della cabina n. 37 durante il presunto viaggio di ritorno da Palermo a Napoli può essere risolto nel senso che Ettore non andò mai a Palermo, qui incaricandosi del compito di spedire atti autografi, già da lui predisposti, alcuni collaboratori (agenti tedeschi). Gli stessi agenti realizzarono a Napoli, in più riprese, altri depistaggi, confermando l’illusione che Ettore fosse ritornato, sebbene non si facesse vivo. Sparirono tre persone, e non due. Ettore per primo, e autonomamente, da Napoli, nel tardo pomeriggio di venerdì 25 marzo, subito dopo aver abbandonato per sempre l’albergo Bologna, che in questa vicenda aveva un ruolo centrale.

Sia nel viaggio notturno di andata, che per il viaggio notturno di ritorno a Napoli, qualcuno compì il tragitto sempre in una cabina a tre letti, con un biglietto intestato a Majorana. Non c’è alcuna testimonianza sul viaggio di andata. Per il viaggio di ritorno fu ‘puntata’ la cabina di Strazzeri, e con un’aggiunta dell’ultimo momento, fu inserito il nominativo di Majorana nella lista di bordo. “Carlo Price”, chiunque fosse costui, è un testimone in meno: neanche a farlo apposta. Tre in giro significa che sparirono effettivamente tre persone. Non due, oppure una soltanto. Il biglietto per il viaggio di ritorno a Napoli doveva essere acquistato a Palermo, ma non si trattava di Majorana. “Tre giorni” significa anche ‘giro in tre’ e ‘tre in giro’. Non più di tre.

Una corrispondente messinscena, organizzata a Napoli, sempre dai servizi segreti germanici, con persone adatte nei giorni seguenti alla scomparsa, avrebbe completato l’operazione. Bastava un giovane, con tutti i capelli, un tipo saraceno che potesse dare l’impressione di poter essere Majorana, a ingannare sia Strazzeri, quella notte del viaggio in nave, che un paio di padri conventuali a Napoli e una certa infermiera. Poche difficoltà per un piano simile, da realizzare sotto scorta, con un soggetto prezzolato. Price, in realtà un agente tedesco sotto falso nome, aveva il compito di condurre quest’ultima parte dell’azione, distogliendo l’attenzione di Strazzeri. Costui era capace di esprimersi in italiano, con accento del sud. Strazzeri è sicuro di aver parlato con l’inglese, e non col terzo passeggero, il giovane con tutti i capelli. Ne resterà meravigliato (dato, e non concesso che ciò non sia stato fatto, che la prima domanda da fare a Strazzeri, era come fosse vestito quel giovane). “Price” distolse Strazzeri dalla possibilità di poter scambiare concretamente qualche parola anche col terzo passeggero, che rimase muto, parlando appunto in italiano, e con accento locale.

Carlo Price “inglese” era già un’ottima copertura; a maggior ragione se fu utilizzata l’identità di un morto del mese prima, “Charles Price-Zedick”. Costui sparisce, senza lasciare tracce, ma sappiamo già (dal lato necessario della famiglia) che la scomparsa dolosa è sorretta dal teorema della stessa stanza, a sua volta fondato sulla congruenza dei segnali e sulle prescrizioni impartite per lettera ai familiari, non più di tre giorni, appunto, in una scomparsa avvenuta per lettera. Tali rivelazioni in filigrana, di ordine costringente, precedute e accompagnate da una fitta serie di segnali congruenti, dichiaravano già le ragioni autentiche della scomparsa, con destinazione Germania.

5* E’ presumibile che il giallo della cabina n. 37, a tre letti, in cui aveva viaggiato Strazzeri, sia da ricondurre al medesimo progetto di fuga.

Carrelli era stato utilizzato come tramite esterno. Facendo leva su di lui, Majorana può moltiplicare i suoi messaggi, nel momento cruciale. Non si vede altra ragione perché abbia scritto appena tre righe ai suoi, e due lettere a un estraneo, sebbene Carrelli fosse il direttore dell’Istituto di fisica, quindi suo superiore gerarchico.

<< Sono in rapporti epistolari conCarrelli che è una gran brava persona (la sua massima: gli uomini sono molto migliori di quel che si crede) >>. Così aveva scritto a Giovannino Gentile, il 21 novembre 1937. Proseguendo: << Anche Segrè e tutti gli altri sono stati molto gentili. Mi meraviglio che per quanto mi riguarda tu dubiti del mio buon stomaco, in senso metaforico. Pio XI è molto vecchio e io ho ricevuto un’ottima educazione cristiana; se al prossimo conclave mi fanno papa per meriti eccezionali, accetto senz’altro. Scusa se mi fermo al primo mezzo chilometro >>.

L’ironia pungente di questa lettera indirizzata al suo grande e fedele amico Giovannino (tale dal 1928), rimanda agli strani ‘risvolti’ del concorso a cattedra del 1937, al ruolo ambiguo di Carrelli, al gruppo di Fermi, alla non integrazione di Ettore nel gruppo, ai contenuti stessi della lettera di Gentile del 1928, a Delio Cantimori, a uno sfondo di false gentilezze e rallegramenti, con la versione autentica di quella singolare procedura di concorso pilotata dal “Papa” Fermi, su impulso di Segrè.

Se poi si considera che tra Majorana, Fermi e Amaldi non corse mai una riga, che la lettera del 22 maggio da Lipsia, per Segrè, fu accolta malissimo a Roma (la stessa lettera ha dato luogo a un ennesimo giallo tra la versione di Amaldi nel 1966 e la sua pubblicazione da parte di Segrè nel 1988 a 50 anni dalla scomparsa), e che tra Ettore e Segrè ogni rapporto si era rotto (Ettore non fu presente al matrimonio di Segrè a Roma, ma a termini di procedura ordinaria di concorso egli rischiava di finire a Palermo, con Gentile probabilmente escluso dalla terna per favorire Giulio Racah, ‘ebreo’, poi, terminata la guerra, Rettore dell’Università di Gerusalemme), allora il quadro si chiarisce in dettaglio: non correva buon sangue tra Ettore e gli altri del gruppo di Fermi, Carrelli non era poi quella gran brava persona che voleva sembrare (l’inciso, posto tra parentesi, serviva a revocare ironicamente il giudizio già espresso, ponendo quindi in risalto l’autoreferenzialità dell’argomento con un effetto comico e sarcastico); il Carrelli di Napoli, che è stato molto gentile (la stanzai mobili), è il Carrelli di cui Ettore si servirà per scomparire. Il 21 novembre 1937 Majorana sapeva già che sarebbe andato a Napoli (era informatissimo). Il decreto di nomina risaliva al 16 novembre, con indicazione di cattedra già notificata a Fermi con nota in data 8 novembre, in cui era stata corretta a penna, già sul testo dattiloscritto, la dicitura per Napoli, in luogo di Bologna. Il 21 novembre 1937 Ettore sapeva già di essere stato richiesto in Germania. Era contento di poter andare a Napoli (lettera del 16 novembre allo zio Quirino che gli aveva anticipato la destinazione). A Giovannino Gentile in data 21 novembre diceva di non sapere ancora se e quando sarebbe andato a Napoli.

Da qui un primo segnale d’incertezza (se e quando); infine, fatto non casuale, bensì voluto, la scelta finale dell’albergo Bologna, in via Depretis, su cui si concentrerà il suo strano cambiamento di alberghi a Napoli, con gli indirizzi per pensioni fornitigli il 22 gennaio da una infemiera di cui non si saprà mai il nome e di cui Ettore non aveva mai avuto bisogno, a Roma, e che infine riferirà di averlo intravisto a Napoli, dopo la scomparsa, vestito come quando egli aveva abbandonato l’albergo Bologna: con un soprabito grigio fero e il cappello marrone (l’infermiera riferì così non perché avesse indovinato ciò che non poteva sapere, ma perché riconobbe gli abiti di Ettore).

Quella “infermiera” di Napoli, chissà perché non identificata, non è un’invenzione epistolare di Ettore: doveva essere coinvolta inconsapevolmente nel piano.

Costei doveva testimoniare di aver incontrato Ettore a Napoli, nei giorni successivi alla sparizione, ingannata dal solito vestito e dalla lontananza, in aggiunta alle altre testimonianze di padri conventuali e di quella di Strazzeri.

La testimonianza del 12 aprile 1938, presso il Convento di S. Pasquale di Portici (consacrata nella relazione in data 29 aprile del questore di Napoli al Rettore Salvi che la trascrive per Bottai), farebbe di Majorana un caso di gioco a nascondino, senza alcuna logica di sostegno. Come poteva pensare di chiedere un rifugio religioso, per esercizi spirituali, rimanendo però muto con i suoi cari, se avrebbe potuto porre riparo a tutta la questione degli asseriti propositi di suicidio, telefonando da Palermo a Carrelli o scrivendogli in altri termini? L’enigma della scomparsa si basa su tali contraddizioni, sul morto che può essere vivo, che ha scritto che sarebbe tornato, che poi sarebbe riapparso a tratti, ma che non si farà più vedere e sentire dai suoi familiari e da Carrelli. Fu la messinscena dei suoi presunti rapitori o assassini? No, fu la recita ingannevole di uno che era stato aiutato a scomparire; fu il piano articolato di cui Ettore era stato l’ideatore. Lo garantiscono i segnali contenuti nelle lettere del 1938, lo conferma il ‘sole’ sulla carta intestata da Palermo. ‘Destrutturare’ la scomparsa significa in realtà riportarla al suo vero scopo. Una fuga: e cioè la fuga segreta in Germania.

*Carrelli è tuttora a RomaAltra correrà e mai lutto. * L’occupazione dominante è quella degli esercizi. Ma tu, cara mammaCerca con calma indizi logici o in chelimite parlo per lettera (vedi prima lettera da Napoli, testo segreto).

Majorana aveva un serissimo movente da occultare. Quanto fece sembrare, in una scomparsa per lettera, era esattamente l’opposto: il caso di una ragazza ibseniana.

DOMANDE E RISPOSTE

1* Majorana coinvolto col nazismo, durante il suo soggiorno a Lispia, nel 1933?

E’ mai possibile che un genio della sua portata si sia lasciato traviare da un credo politico basato sull’antisemitismo, un’ideologia razziale farneticante, dal 1942 responsabile di un’immane tragedia criminale? Perché fuggire segretamente in Germania, se poteva andarci allo scoperto? C’è forse qualche traccia della sua presenza in Germania durante gli anni della guerra? Perché gli scienziati tedeschi che lavorarono al progetto nucleare non hanno mai accennato a Majorana? Come avrebbe fatto ad arrivare in Argentina nel dopoguerra? Perché un vivo non dovrebbe più ricomparire, preferendo il totale silenzio? Che cosa potrebbe contenere di vero quel dossier segretissimo inglese, liberato appena poco tempo dopo l’avvio dell’indagine conoscitiva penale da parte della Procura della Repubblica di Roma, nel 2011, oltre le sue apparenze, oggi ostensibili, di un caso innocuo di “privacy” secolare, con date sospette, senza sapere come si chiamasse in origine “Charles Price”, defunto nel febbraio del 1938, mentre “Zedick” potrebbe essere “Giusto”, un falso agente inglese, attivo in Italia nel 1943?

Perché non supporre che Majorana sia eliminato come scienziato scomodo? E se si fosse veramente ammazzato? E se fosse lui l’uomo cane di Mazara del Vallo, certo Tommaso Lipari? Si rifugiò in un convento e qui è morto prima del 1975? Che altro? Il caro estinto del 1939 è plausibile? E via discorrendo.

Ettore finì all’Ovest, se Piero Batignani (settembre 2010) ha fedelmente riportato, senza involontari equivoci, le dichiarazioni fatte in pubblico da Bruno Pontecorvo a Firenze, il 19 marzo 1990, presente Gilberto Bernardini?

Ettore andò in Germania, come avrebbe riferito Gilberto Bernardini, suocero di Antonino Zichichi, a Giorgio Dragoni nel gennaio del 1974, pochi mesi prima che la vedova del premio Nobel Asturias, in vacanza a Taormina, rivelasse, pur attenuando in seguito, se non ritrattando, che sì, Ettore Majorana, a Buenos Aires, era conosciuto negli anni ’50, almeno in certi ambienti come quello delle sorelle Cometta-Manzoni?

Quanti miti e leggende, quante strambe congetture sulle sparizioni misteriose, con ‘Nerone redivivo’? I casi irrisolti alimentano le fantasie, le presunte soluzioni. E le dicerie si moltiplicano, e si confondono inestricabilmente, annientando i fatti.

Un conto sono le dichiarazioni altrui, altra cosa le proprie. Perché Ettore non si fece ‘dichiarare’, bensì ‘dichiarò’ lui per primo. La sua fu una scomparsa per lettera, il cui punto decisivo è “perché”; e posto che mentì, dicendo che sarebbe ritornato, allora, ‘quando’ avrebbe iniziato a mentire?

A queste ‘domande’ si possono fornire ‘risposte’ soltanto di carattere probabilisticoIl caso non avrebbe alcuna ‘soluzione’, ma soltanto una griglia di ‘ipotesi’ più o meno attendibiliPerché venne a mancare il cadavereSe Ettore restò vivo, se magari non intendeva sopprimersi, perché rimase in silenzioE se intendeva fuggireperché lo avrebbe fatto in quella manieraE se restò vittima di un attentato, perché fu lui il primo a parlare di lutto con i suoi cariPerché affermare una cosa, disdire tutto il giorno ‘dopo’, poche ore ‘dopo’, fornendo rassicurazioni e sostenendo che sarebbe ritornato (al Bologna), e invece scomparve?

2* Guerra e Roncoroni, con un esercizio a puntate, hanno sostenuto di avere in mano la verità, banale e allo stesso tempo ancor più misteriosa ed enigmatica: Ettore morì nel 1939. Peccato che non siano in grado, per adesso?, di indicarci la tomba e tutto il resto (mostrando almeno il passaporto dello scomparso e/o la lettera di Salvatore al Padre Caselli). I fautori del complotto per un presunto “affare di Stato” fanno leva su un teorema logico insistente (smentito dalla lettera del 22 gennaio e dalle dichiarazioni che Ettore avrebbe fatto a Occhialini sei giorni prima a Napoli), e su un dossier (‘desecretato’) che non depone in tal senso. Altri hanno affermato che Ettore morì alla certosa di Farneta, tra luglio e ottobre del 1987 (La Domenica del Corriere, ottobre 1987, articolo di Anna Maria Turi e Norberto Valentini).

Storie a metà, ambigue, non chiare; e manca sempre il cadavere. Ettore, morto affogato nelle acque del Tirreno, di notte, oppure morto ammazzato o rapito, sarebbe ricomparso a Napoli, nei giorni successivi? Era lui? Lui, che giocava a rimpiattino, per finire malamente, a 33 anni circa, sepolto chissà dove, e morto chissà perché?

In ogni caso, la vicenda della improvvisa scomparsa di Majorana, ormai inevitabile e senza un solo granello di egoismo, va colta, in primo luogo, dal punto di vista degli affetti familiari, che egli comunque stava abbandonando. Chi ragioni dalla parte di Carrelli non scoprirà mai nulla. Ettore lanciò segnali ai suoi cari. Questo è quanto.

Che le lettere del 1938 siano nove, o più di nove, poco conta. Conta, invece, perché ne mancherebbe qualcuna.

Perché tre lettere, il 25 e il 26 marzo? Provate a vedere cosa succederebbe se ne togliessimo qualcuna, questa o quella (c’è chi pretenderebbe di eliminare la lettera per la famiglia, che è la cosa essenziale, e che chiaramente autentica).

Succede che per un vero suicida, che avrebbe dovuto scrivere in altri termini, e, comunque, agire diversamente, bastava una sola lettera. Senza il cadavere, che si sarebbe dovuto pensare, se non a una fuga? Le lettere sono tre: ho deciso di farla finita, lutto o scomparsa? No, ci ho ripensato, e dunque torno (in realtà sono sparito).

Quale soluzione si attaglierebbe meglio? Non il suicidio; buttandosi dal piroscafo, nel viaggio notturno di ritorno da Palermo a Napoli, sempre via mare. E nemmeno l’attentato. Ettore aveva revocato i suoi propositi poche ore dopo, il progetto risaliva a due mesi prima, aveva con sé denaro e passaporto, da Palermo era giunto un sole all’alba, molto rassicurante. Scriveva che sarebbe tornato: sì, al Bologna. Non c’è altra spiegazione che la fuga volontaria: ma per quale ragione? Il movente del gioco a rimpiattino è assurdo. Non si può pretendere di ‘spiegare’ una scomparsa misteriosa rinviando a maggiori enigmi, ancor di più inspiegabili. C’è sempre l’affettuosissimo Ettore, il suo ben noto e comprovato attaccamento alla famiglia. L’ipotesi della congiura ai danni di Ettore, che però avrebbe dovuto parlare di morte con Carrelli e di scomparsa con i suoi, potrebbe stare in piedi razionalmente se mancasse la seconda lettera per Carrelli, alternativamente alla fuga volontaria. Invece le lettere sono tre, anzi sono quattro (insieme o blocco unico, sebbene apparentemente contraddittorio).

Ettore sarebbe dovuto tornare a Roma sabato 26, ultimo giorno di notizie da parte sua. Il 19 marzo egli mentiva, sapendo di mentire, oppure la sua scomparsa fu veramente improvvisa? E se sì, determinata da che cosa? Escludendo le intenzioni di suicidio, rimarrebbe la fuga, che potrebbe essere interpretata anche a ragione di un pericolo grave e imminente. Per disdire tutto la mattina dopo, prima di ogni altra cosa? E’ chiaro che Ettore ha predeterminato con logica ferrea il suo caso differente.

Non c’è spazio alcuno per congetture divaganti e fuori sesto. Anche l’ipotesi del caro estinto nel 1939 s’infrange irrimediabilmente contro il tema rigidamente ritagliato e predeterminato dallo scomparso con le sue lettere. La lettera del 19 marzo serviva invece a indirizzare i suoi cari verso la soluzione autentica in filigrana, dapprima sconcertandoli. E’ mai possibile che il nostro Ettore, lui che fu sempre savio (con piedisaldamente a terra), ci abbia fatto questo, senza un solo granello di egoismo?

La famiglia viene per così dire preparata e messa davanti al fatto compiuto. Le lettere dovevano essere tre per forza, col tramite esterno di Carrelli. Due lettere per Carrelli non eliminano la terza per la famiglia. Chi ragiona in questi termini mostra di voler fraintendere e falsare. Ettore che bisogno aveva di far sapere a Carrelli che il mare l’aveva rifiutato, andando e tornando da Palermo, per poi nascondersi a Napoli e dintorni? Avrebbe conseguito il medesimo risultato senza dover sbandierare propositi di suicidio dimettendosi per ragioni di salute, poi sparendo con soldi e passaporto: ma si sarebbe dovuto pensare a una fuga, presagendosi la Germania.

Neanche una sola lettera per Carrelli sarebbe stata idonea. Equivaleva a una fuga (e questo avrebbe dovuto fare, se veramente intendeva svincolarsi dall’insegnamento e dal resto). Perché scrivere a Carrelli, anziché fargli sapere, ma soltanto ‘dopo’, che c’era comunque la volontà di lasciare l’insegnamento? Per Carrelli era scomparsa, per la famiglia era lutto. La conferma viene da Palermo, il giorno dopo, mentre il 25 marzo si rimaneva in dubbio su tutto, qualora non ci fosse stata l’altra lettera lasciata in albergo. E se si fosse buttato subito a mare? Che ne avrebbe saputo la famiglia, se il cadavere non fosse stato trovato? Si può continuare nel ragionamento del togliere o aggiungere lettere, nel dare a esse un diverso contenuto e una ‘tempistica’ differente. Nel caso di temuto pericolo grave, oppure di stanchezza del mondo, di un distacco definitivo dalla vita quotidiana a Napoli, di nausea e di abbandono, Ettore avrebbe potuto e dovuto fare diversamente. Invece ha scelto la curiosa anfibologia verbale tra lutto e scomparsa. L’ha fatto con tre lettere, due per Carrelli, anzi con quattro. Impiegando telegrammi.

3* Le congetture gratuite del rapimento e/o assassinio mirato e del caro estinto nel 1939 fanno volentieri a meno delle lettere del 1938, di tutte quante queste lettere, ignorandone il ricco ventaglio di segnali, il loro significato convergente e i singoli momenti preparatori dell’evento futuro. Pretendono di eliminare il quadro accuratamente delineato da Ettore, introducendovi un movente e un modus operandi estraneo alla logica dichiarativa sottile, per avvisi, di quelle stesse lettere. Ma c’è la lettera del ‘vivo’ post factum infectum: adesso conosciamo altre circostanze, che prima erano rimaste sconosciute, e se si viene a sapere che tornerà, a questo non si potrà credere, per via del silenzio e secondo l’antifona per sottintesi del 19 marzo: verrò certamente sabato prossimo, intanto vi mando un telegramma di rinvio. Come dire: sono costretto a mentire, comprendetelo; se ho fatto così c’è una ragione; ho mentito anche prima, sapendo di mentire; la “mia” non è una scomparsa improvvisa, ma una scomparsa inevitabile. Una lettera vi attende al Bologna, ma questa lettera, predisposta ad hoc, realizza ipso facto la trasformazione automatica del lutto impossibile in scomparsa volontaria per mancanza del cadavere.

Chi vorrebbe eliminare questa lettera lo enuncia soltanto adesso, perché crede di aver trovato il punto debole della versione inconsistente del caro estinto, cercando altresì di trasformare invano la scomparsa inevitabile in una sparizione irrevocabile (sic).

Essendo debolissimo l’impianto congetturale del caro estinto, fondato com’è su un equivoco verbale, ci si appoggerebbe allora alla congettura rivale del complotto, nel tentativo di indebolire l’ipotesi della fuga segreta in Germania, indubbiamente pericolosa. Che cosa avrebbe fatto Ettore, per tutti quei mesi, dove sarebbe stato per oltre un anno, dove avrebbe trovato riparo, e perché faceva così, se non per dispetto? Se è vero che dovremmo ripartire d’accapo, così sostiene Roncoroni, il nuovo enigma o mistero da sciogliere definitivamente sarebbe quello di come e dove Ettore si sarebbe insensatamente rifugiato per giocare a rimpiattino, quello della strana morte precoce, della sua sepoltura segreta, e via dicendo?

I fautori della teoria del complotto (un’invenzione derivante da errate ricostruzioni altrui e da disattenzione critica) fanno leva sul falso suicidio come ‘escamotage’ per sottrarsi a percepite minacce di pericolo, grave e imminente. Un caso improvviso di panico. Per essere eliminato dove e quando? A smentirli basta la lettera del 22 gennaio. Ettore riscosse il denaro giacente in banca pochi giorni prima di sparire. Perciò nessun imprevisto. Non aveva riscosso nemmeno gli stipendi maturati dal 16 novembre. Ovviamente, il tutto, in fine di settimana. Con un Ho preso una decisione, che era preceduta da una fitta serie di spero a partire dal 2 marzo, e che terminava il giorno dopo, sabato 26 marzo, con uno Spero che. Ecco cosa succede a non capire le lettere di Ettore, a voler farne a meno, trascurando ricorrenze di parole, anagrammi testuali, filigrane logiche, e segnali univoci e coerenti. La credibilità sostanziale di tali autori si fonda esclusivamente sull’ipse dixit. Con la certezza, non dimostrata, che Ettore fosse andato a Palermo, ma soltanto per farlo sapere ‘dopo’?

A Palermo ci sarebbe andato col denaro e il passaporto, da falso suicida, sapendo nuotare, per sottrarsi a un grave pericolo o minaccia incombente e per incontrarsi con Segrè. Rassicurato, sarebbe stato quindi eliminato: un alibi eccezionale, i propositi di suicidio, per i suoi presunti assassini. Il ‘teorema’ spiega la mancanza del cadavere. Così hanno ragionato i fautori del complotto. In un viaggio per nave, in acque interne, il passaporto non occorreva. Ettore, rassicurato a Palermo (da chi, se non da Segré?), ritornerebbe adesso tranquillamente a Napoli, intendendo però rinunciare all’insegnamento, ma viene eliminato a Palermo (in pieno giorno), oppure a Napoli? Il passaporto gli serviva, forse, nel caso che non avesse ricevuto rassicurazioni (su che cosa), a Palermo, pronto adesso a scomparire, ma per più di tre giorni?

Un bel pasticcio: comunque si rigiri la frittata, mettendo pezze qua e là, per non aver compreso che lo scomparso senza cadavere, aveva già spiegato ‘tutto’ il 18 e il 22 gennaio. Se invece il caro estinto del 1939 avesse appena pensato che avrebbe potuto conseguire quel risultato da “Asperger” semplicemente con una lettera di dimissioni e con un non cercatemi per la famiglia, si sarebbe risparmiato di dover giocare a nascondino: i suoi non cedettero al suicidio, e perché iniziare il rimpiattino, da Napoli, poco dopo?

E’ dunque impossibile fare a meno di una o più lettere nel caso di fuga segreta per un dato scopo, e non contro qualcuno o qualcosa.

La lettera del 19 marzo 1938 fa parte integrante di uno schema unitario; non segna alcun distacco improvviso tra ciò che era stato il ‘prima’ e il ‘dopo’ a seguire.

E’ illusoria l’idea di un brusco trapasso di eventi o di stati d’animo improvvisi dovuto a un fattore scatenante, come sarebbe stato per il precipitare di una crisi interiore, a lungo covata. La scomparsa era improvvisa, ma ormai inevitabile. Non vi era alcuna forma di egoismo. La genialità di Ettore sta in un costrutto di parole e di definizioni dove tutto sta insieme, nonostante le fallaci apparenze, quando poi dopo è possibile sceverare i momenti distinti della verità, rispetto all’inganno. Questa la chiave che tiene insieme e giustifica le lettere precedenti, con le ultime quattro, formando un solo insieme. Da qui la verità autentica, compresente alla finzione o necessaria messinscena: per quest’unica ragione è stato possibile ripeterla con le stesse parole dello scomparso.

 

L’UOMO DELLA FOTOGRAFIA

1* E’ lui, Majorana, l’uomo della fotografia, ripreso a bordo della nave “Giovanna C.”, salpata da Genova e diretta in Argentina nel luglio del 1950? E se non è lui (il prof. Guerra, commettendo un grave errore, ipotizzò che si trattasse di Gustav Wagner oppure di Alois Brunner, due criminali nazisti che ebbero tutt’altra sorte e vicenda), allora di chi potrebbe trattarsi, se l’identità di questo individuo, molto rassomigliante a Ettore, è rimasta ancora sconosciuta, dopo ben 63 anni?

La fotografia, che ritraeva il criminale nazista Adolf Eichmann e il capitano delle SS Herbert Kuhlmann (non accusato di crimini di guerra), quasi sicuramente era stata trovata addosso a Eichmann, rapito in Argentina dai servizi segreti israeliani nel 1960 e condannato a morte a Tel Aviv nel 1961. L’originale era di più ampio formato, tuttavia altrimenti riprodotto in inversione speculare. Una piega a metà lo divideva in due. Che fine ha fatto questo originale? Quanti profughi nazisti erano a bordo della nave, compreso chi scattò la foto?

A fianco dello sconosciuto, che porta occhiali da sole, alto 168 cm, i due ufficiali nazisti, disposti in diagonale, a rispettosa distanza. Eichmann era alto 176 cm. Il personaggio somigliante a Majorana, con occhiali scuri ma identico nodino di cravatta, è alto quanto Ettore, petto angusto, e un orecchio, il destro, notevolmente deformato e annerito per sottrazione luminosa da un gioco di riflessione da un paranco metallico rotondo sullo sfondo.

In termini forensi, il riconoscimento fotografico necessita al contorno di seri elementi indiziari di supporto. Mentre il disconoscimento deve fondarsi su elementi somatici inconciliabili. Tale dimostrazione negativa non sembra sia stata raggiunta sulla base della lunghezza del volto dal prof. Ettore Majorana junior, giacché il paragone è stato fatto con la medesima fotografia di Ettore diciassettenne (una fototessera), il cranio non ancora ben sviluppato dell’adulto, quando sarebbe stato più logico realizzare il paragone con un’altra fotografia frontale, quasi sicuramente disponibile nell’album di famiglia. Infine la prova positiva della diversa identità dello sconosciuto non è stata fornita, il che è abbastanza singolare (significando comunque che non si trattava di un criminale nazista altrimenti noto).

Le notizie sulla presenza in quegli anni ‘50 di Majorana a Buenos Aires sono forse credibili? Chi frequentava, come riusciva a mantenersi, come dove e quando sarebbe morto? Perché il rispettabile fisico cileno Carlos Rivera Crughaga, all’epoca molto giovane (era nato nel 1925), nel 1978 rivelò al corrispondente da New York del settimanale Oggi, Gino Gullace, di aver saputo della probabile presenza di Majorana in Argentina? Quanto potrebbe corrispondere questa storia – volutamente mescolata a particolari falsi, che mai si sono potuti riscontrare – da parte di un giovane fisico, che all’epoca fungeva da tramite tra Argentina e Germania per la fornitura a Peròn del primo reattore nucleare tedesco, costruito da Werner Heisenberg in Germania, di cui Rivera, in quegli anni, fu allievo all’Università di Heidelberg?

Perché dalla biblioteca dell’Università di Roma furono stracciate via centinaia di pagine da un catalogo di pubblicazioni scientifiche, risalenti agli anni ’30, disponibili presso la biblioteca dell’Università di Buenos Aires? Qualcuno cercò di rintracciare Majorana in questa maniera, controllando il prelievo di testi specialistici, la relativa firma, e, soprattutto, l’indirizzo del richiedente? E chi, se non il Mossad?

La vicenda di Ettore è la storia impalpabile di un’ombra? Di che altro avrebbe parlato Emilio Segrè, diretto in Italia, in volo da New York, nel 1947, durante un viaggio col cardinale francese Eugéne Tisserant (che aiutò i profughi tedeschi del regime), venuti in discorso sul comunismo sovietico? Forse non si saprà mai quale fine abbia fatto il “genio scomparso”, sparito per sempre nel mare nel nulla, oppure in un mare di silenzio. Il custode del mistero (e delle carte) sarebbe un suo nipote, il prof. Ettore Majorana jr.

2* Sappiamo adesso la verità autentica sulla ‘sua’ scomparsaimprovvisa perché sorprendente, sulle ragioni che la determinarono, fatta conoscere ai suoi cari, “dopo” il mancato ritorno all’albergo Bologna e il lungo silenzio che precedette e fece seguito alle sue vane ricerche; ma il “dopo” del “dopo” chi potrebbe conoscerlo? Forse la famiglia? La soluzione del caro estinto nel 1939 che Guerra e Roncoroni pretenderebbero di aver fornito, in realtà è inconsistente e perfino ridicola. Ugualmente si deve dire per i fautori del complotto, oppure per gli inventori di soluzioni altrettanto irrazionali e impalpabili.

Parola di ‘Ettore Majorana’: Oggi abbiamo comprato i mobili per la mia stanza – Oggi mi daranno una stanza migliore su via DepretisIeri ho deciso che una vita rimane nobile se opera - Oggi un molo si orna del sole. Non basta. Del “dopo” non avremmo potuto sapere nulla se non che a un certo punto, dopo anni, sarebbe potuto tornare (dalla Germania).

La ricostruzione indiziaria che possiamo proporre, con molti limiti, parte da alcuni fatti. Nel mese di ottobre del 1943, appena liberata Napoli dai tedeschi, gli addetti della missione americana Alsos, appena costituita con funzioni di controspionaggio nucleare, frugarono a lungo in ciò che restava degli archivi dell’Università di Napoli dopo i bombardamenti, cercando affannosamente qualcosa: che cosa, se non carte o documenti riguardanti Majorana? Chi poteva averne indirizzato l’opera se non Fermi e Segrè? Il fatto in sé è certissimo, desumibile da fonte storica di nazionalità ebraica. Nel settembre 1944, l’ambasciatore a Berlino della R.S.I., Filippo Anfuso (che era nato a Catania nel 1900), inviò a Mussolini notizie riservatissime sulle armi segrete tedesche, compresa la “bomba disgregatrice”. L’esistenza delle V1 e delle V2 era già nota, poiché le “armi vendetta” tedesche stavano piovendo su Londra, in realtà con pochi danni. Gli alleati avevano già invaso la Francia, mentre continuava implacabile l’offensiva sovietica verso ovest.

Il progetto delle bombe volanti risaliva al 1937, ma soltanto dopo lo sbarco in Normandia aveva mostrato segni d’esistenza, con enorme dispendio di risorse e praticamente senza alcun efficace risultato sul piano bellico.

Anfuso garantiva a Mussolini tutto l’impegno tedesco, facendo riferimento a una fonte non ufficiale, un elemento sicuroun italiano: però nato in Germania. Di che natura era questo contatto? Non è difficile una ricostruzione logica della situazione, posto che del carteggio Anfuso, vero com’è vero, pur non restando gli atti originali, esistono comunque le trascrizioni. L’ambasciatore Anfuso, che abbandonerà Berlino poco tempo prima del crollo definitivo della capitale, aveva ricevuto una telefonata proveniente da elevata sede ufficiale, probabilmente il Ministero delle SS guidato da Himmler, per mezzo della quale, con adeguato filtro, egli veniva messo in contatto con un italiano, competente e molto informato, che gli riferiva dettagli rassicuranti. L’ambasciatore Anfuso non era in grado di riferire gli estremi specifici, indicativi della sua fonte d’informazione, ma ne garantiva la serietà. La genericità della fonte – un elemento sicuroun italiano nato in Germania – non impediva ad Anfuso di farvi assegnazione e di poterne trasmettere le rivelazioni. Ciò significa che Anfuso era stato contattato e che la fonte forniva garanzie. Italiano, però nato in Germania (il che è abbastanza contraddittorio e comunque non necessario per Anfuso), serviva invece a dichiarare che il soggetto era inserito nel progetto, che la sua italianità era cosa certa, e, allo stesso tempo, nato in Germania, per impedirne l’identificazione (non poteva trattarsi di Giuseppe Belluzzo, ingegnere aeronautico effettivamente presente in Germania, poiché già noto a Mussolini per essere stato suo ministro nel 1924, prima che lo diventasse a sua volta il fisico Orso Mario Corbino, massone e mentore di Fermi a Roma). Le notizie confortanti di Anfuso furono in seguito confermate dal Rettore filo nazista dell’Università di Bologna, prof. Goffredo Coppola, un umanista, di ritorno a febbraio da un congresso scientifico in Germania. Coppola era stato informato di esperimenti nucleari in corso. Nel frattempo, Mussolini aveva invito in Germania il suo emissario Luigi Romersa, munito di lettera di accredito, che fu ammesso ad assistere a un esperimento esplosivo segreto nell’isola di Reugen, il 13 ottobre 1944 (anniversario della scoperta dell’America). Questo esperimento di forte intensità, nel raggio di circa mezzo chilometro, era senz’altro di tipo nucleare, sebbene anomalo. Il 16 dicembre Mussolini, nel discorso del Teatro Lirico, darà atto di una nuova arma tedesca in preparazione, potenzialmente risolutiva nel conflitto (ormai perduto).

3* Nel 1946, a Norimberga, il ministro degli armamenti, Albert Speer, fu interrogato dall’accusatore americano Jackson, circa esperimenti tedeschi di tipo nucleare.

J. – Ma avete compiuto esperimenti e ricerche nel campo dell’energia atomica, vero?

S – Sì, sfortunatamente non eravamo molto avanti anche perché la maggior parte degli scienziati erano emigrati negli Stati Uniti. I nostri fisici erano in ritardo notevole; soltanto da lì a uno o due anni saremmo riusciti a disintegrare l’atomo.

J. – Secondo informazioni che mi sono giunte, la Germania mise a punto un’arma segreta, totale. In un villaggio appositamente costruito nei dintorni di Auschwitz vennero concentrati ventimila ebrei: una misteriosa, tremenda esplosione li uccise tutti e i loro corpi sparirono senza lasciare traccia.

S. – E’ inverosimile, tecnicamente impossibile. E poi se un progetto del genere fosse stato messo a punto, io lo avrei saputo!

Al processo di Norimberga s’interrogavano a caso gli imputati e peggio si rispendeva da parte loro? Gli estratti di cui sopra sono autentici. Ovviamente gli scienziati tedeschi ristretti a Farm Hall nulla sapevano, mentre la figura minore di Kurt Diebner finirà per risaltare in primo piano (chi si nascondeva dietro di lui?).

Nel febbraio del 1947 i servizi segreti inglesi intercettarono due radiomessaggi in codice Enigma dell’organizzazione salva nazisti Odessa (centrale di Barcellona) dove si faceva in chiaro l’impronunciabile nome di Martin Bormann, il truce segretario del partito nazista, già condannato in contumacia alla pena di morte dal tribunale di Norimberga, mentre si taceva l’identità di un misterioso M. Chi poteva essere costui?

Nel 1950 (probabilmente all’inizio dell’estate), il giovane apprendista barbiere Antonio Versaci avrebbe ricevuto delle confidenze nel convento di gesuiti di Villa S. Saverio, nei pressi di Catania, da un padre lì di passaggio, che avrebbe sostenuto di aver fatto parte prima della guerra del gruppo di fisici di via Panisperna, a Roma (costui aveva i capelli bianchi).

Torniamo alle dichiarazioni di Carlos Rivera Cruchaga. Il giornalista del settimanale Oggi, Gino Gullace, collega di Luigi Romersa e corrispondente da New York, ne riferiva nel mese di ottobre del 1978. Il pezzo esordiva con la notizia di Ettore in un convento in Argentina (nel 1975 era uscito il saggio di Sciascia). Rivera sosteneva di aver sentito parlare due volte di Majoana a Buenos Aires, nel 1950 e poi nel 1960. Il primo episodio si riferiva alla signora Talbert e a suo figlio Tullio Magliotti (nomi e ambientazione fittizi – n.d.r.).

La seconda volta, nel 1960, ci fu l’episodio del cameriere dell’Hotel Continental, a due passi dalla facoltà di fisica e scienze, e relativa biblioteca scientifica, di Buenos Aires (episodio volutamente distorto da Rivera, ma sostanzialmente ribadito, nel 2006, dopo la sua morte, dalla moglie Violeta). Trascurando altre fonti sempre de relatu sulla possibile presenza in quegli anni di Majorana in Argentina (pista da alcuni ritenuta credibile, da altri negata), le dichiarazioni di Violeta Rivera sono invece molto puntuali. Nel 1950 non erano ancora sposati. Doveva trattarsi del mese di ottobre. L’episodio del Continental non avvenne nel 1960, bensì nel febbraio del 1961. I due erano sposati da poco. Mentre Rivera stava scarabocchiando qualche formula su un tovagliolo di carta, si presentò un cameriere (certo Baudano, di origini piemontesi, già professore di matematica e fisica nei licei, scappato dall’Italia per via delle leggi razziali), asserendo che Majorana, famoso fisico italiano, era solito fare in quella maniera (come lo aveva saputo Baudano?), e mostrando ai due una fotografia di Ettore, contenuta in un ritaglio di giornale, che aveva tratto dal portafoglio. Le versioni dell’episodio del tovagliolo sono diverse, sempre di fonte Carlos Rivera e sua moglie. Rivera una seconda volta, negli anni ’80, dirà che il cameriere gli mostrò una fotografia, in cui Ettore era molto più vecchio di come Rivera lo aveva visto nella riproduzione di un libro tedesco degli anni trenta. Aggiungendo che il cameriere gli disse che Majorana, così riconosciuto, veniva lì a mangiare, prima del 1950. Le versioni non coincidono, mentre quella riportata da Recami (2011, V edizione), è rimasta sempre la stessa (le altre versioni sono state riportata da S. Esposito, collaboratore di Recami, nel 2010).

In definitiva, bisogna tener conto anche della versione dei fatti riportata dal fisico Tullio Regge nella sua autobiografia (2012, pag. 102 segg.), e del fatto altresì che Gullace era amico di Werner von Braun, come lo era anche Luigi Romarsa (strani intrecci). A Firenze sarebbero comparse delle scritte sui muri: Ettore, sappiamo dove sei; ci fu quella lettera ricevuta dal prof. F. Guerra nel 2000 (mai divulgata, il cui contenuto ridotto all’osso, è però riportato da Recami); ci sarebbero le rivelazioni sulla morte di Majorana, che sarebbe avvenuta a Farneta, in provincia di Lucca, nel 1987; e ci sarebbe questo Baudano (ormai defunto), il cameriere del Continental, che poteva essere stato incaricato di sorvegliare il posto preferito da Majorana a Buenos Aires, nei pressi della facoltà di scienze (e relativa biblioteca).

Il quadro indiziario porterebbe a presumere che Majorana fosse ricercato dal Mossad, in quegli anni, dopo la cattura di Eichmann in Argentina. In questa ricostruzione, con i limiti che la caratterizzano, come faceva il cameriere italiano Baudano, con trascorsi da docente nelle scuole secondarie in Italia e in seguito rifugiato politico in Argentina prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, probabilmente ebreo, a sapere nel 1960-61, certe cose su Majorana, se non ad averlo conosciuto e riconosciuto, oppure piuttosto in cerca di lui, di sue notizie, di un indirizzo dove poterlo rintracciare su preciso incarico? Perché Recami continua a insistere sulla pista dell’Argentina e perché Maria Majorana prese parte attiva nelle ricerche, scrivendo alla vedova Asturias (col giallo di una lettera, con risposta originale, che si sarebbe perduta lungo il percorso postale, da Roma al destinatario Recami)? E’ possibile in questo quadro indiziario assegnare un ruolo più preciso e definito a personaggi di spicco come Yuval Nee’man, fisico importante, già facente parte dei servizi segreti israeliani, e a Giulio Racah, secondo classificato nel concorso a cattedre per fisica teorica, nel 1937, al quale partecipò Majorana, poi Rettore dell’Università di Gerusalemme, morto a Firenze nel 1964? E’ concepibile riunire insieme, in una sola vicenda, tutti questi spezzoni? E’ credibile la rivelazione fatta nel 1974 da Gilberto Bernardini, mica una qualsiasi, che Ettore fuggì in Germania? E, in definitiva, perché a una esegesi accurata le lettere di Majorana del 1938 confermerebbero tale intenzione?

Il terzo personaggio, del tutto sconosciuto, fotografato a bordo della nave “Giovanna C.” nel luglio del 1950 in procinto di sbarcare a Buenos Aires, era forse lui, Ettore Majorana? Perché non sono stati effettuati riscontri adeguati direttamente sulla foto originale? Dove si troverebbe questa fotografia pubblicata a suo tempo dal noto cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal e che cosa conterebbe il corposo fascicolo dell’indagine conoscitiva avviata nell’aprile del 2011 dalla Procura della Repubblica di Roma?

***

Abbiamo voluto chiudere con una lunga serie di domande, nella possibilità estrema e insondabile che Ettore Majorana abbia veramente ingannato tutti, anche se stesso.

Egli ritornò al Bologna, si chiarì con Carrelli, e poi andò per conto suo: ma perché, allora, certe apparizioni a Napoli, per poi sottrarsi di nuovo, mentre tutti ormai lo stavano cercando, per giocare insensatamente nascondino? Certi obiettivi di ritiro dal mondo, di fuga dalla quotidianità potevano essere tranquillamente conseguite in ben altre maniere. Perché simulare propositi di suicidio, se ne mancava la volontà?

Se il suicidio in mare poneva fine al suo enigma spirituale, senza il cadavere (e il cappello marrone), non sarebbe forse accaduto che la sua storia, quella vera, sarebbe comunque rimasta la storia di un’ombra? L’affermazione con cui si chiude il libro di Bruno Russo, vale per tutte le altre congetture, tranne una. Sarà forse quella giusta?

 

***

Le verità nascoste, da noi messe in luce su basi strettamente razionali, ricorrendo a una serrata esegesi logico-critica rispettosa del testo delle lettere e perfettamente aderente al thema decidendum imposto delle stesse lettere in una scomparsa per lettera, danno ragione dell’esistenza di una parallela e contemporanea verità autentica d’Autore, degna di un genio. Al contrario, le ipotesi o le congetture finora formulate non spiegano nulla: difettano di presupposti necessari oppure mancano il segno circa le conclusioni accettabili. Ettore Majorana si sarebbe comportato, con estrema lucidità, e da figlio affezionatissimo, come un folle, come un “pupo pirandelliano”, come uno stupido, come un personaggio in cerca d’Autore. E invece no: mentì, e al tempo stesso disse la verità. E non ingannò nessuno (tranne se stesso, illudendosi).

La verità d’Autore vale soltanto fino al 26 marzo 1938. Sul dopo, e sul dopo del dopo, che sono eventuali, non v’è certezza, e, del resto, su questo dopo sta indagando la Procura della Repubblica di Roma, forse anche grazie a noi, se non per via delle dichiarazioni dell’ormai scomparso Francesco Fasani di Roma, un emigrato italiano in America del Sud, che negli anni ’50 avrebbe conosciuto Ettore Majorana in Venezuela, ma la foto mostrata del sedicente “signor Bini” non gli rassomigliava per niente.

  • Il 17 ottobre 2010 il quotidiano La Repubblica, inserto domenicale, dedicava tre pagine intere alla fotografia sulla nave Giovanna C. diretta a Buenos Aires del luglio del 1950. L’uomo con gli occhiali scuri, a bordo della nave, in effetti sembra corrispondere quasi in tutto alle fattezze fisiche e all’aspetto di Ettore Majorana, il che non significa però che sia lui in persona. Nel 2011 la Procura della Repubblica di Roma avviava un’indagine a proposito di un certo Bini in Venezuela, se potesse o no essere lui Ettore Majorana (mentre il Corriere della Sera tornava a riprodurre la foto sulla nave, anziché quella di Bini, mostrata in televisione nel 2008 a Chi lavisto?). Nel gennaio 2011 la trasmissione Misteri di Marco Berry su Italia Uno dedicò una puntata speciale alla scomparsa di Majorana e a quella fotografia sulla nave, pubblicata da Repubblica. I tecnici infornatici della rete televisiva riscontravano pure loro una notevole rassomiglianza.

  • Tante ombre e tante possibilità di equivoco. Fortunatamente, nel 2012-2103, sono intervenuti il Prof. Francesco Guerra de La Sapienza di Roma e il Dott. Stefano Roncoroni (un Majorana per linea femminile), a sgombrare il campo e a spiegare che Ettore sarebbe morto nel 1939, prima del 21 settembre. Peccato che non sappiano nulla del cadavere e del luogo di morte, mancando pure il certificato medico (non è stato mostrato nemmeno il passaporto che Ettore aveva con sé al momento della sua scomparsa nel 1938). Così che ne sappiamo adesso meno di prima, perché gli enigmi si sono moltiplicati.

  • Se il Prof. Guerra si è dichiarato sicuro della propria opinione, definita punto fermo, avrà ragione lui. Il che non toglie che fino al 26 marzo 1938 la verità della scomparsa sia e rimanga quella d’Autore. Però è abbastanza strano che i Carabinieri del Ris di Roma si siano recati in trasferta in Argentina per cercare un morto del 1939 se Guerra e Roncoroni avessero ragione.

  • Chissà poi se in successive edizioni dei loro rispettivi saggi – Il caso Majorana e La cattedravacante – Erasmo Recami e Salvatore Esposito sapranno trovare nuovi elementi. Per ora regna il silenzio, mentre a 108 anni dalla nascita di Majorana è ormai sicuro che sia morto. Scomparso per sempre, sebbene Roncoroni abbia sollecitato i parenti a intervenire con chiarezza. Che Ettore sia stato eliminato per un oscuro affare di stato nel marzo del 1938 è una congettura totalmente destituita di fondamento. Chi potrebbe provare che Majorana non sia stato rapito dagli extraterrestri?

Bibliografia su Majorana:

  • Edoardo Amaldi, La vita e le opere di Ettore Majorana, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1966, ristampa anastatica Bardi Editore;

  • Leonardo Sciascia, La scomparsa di Majorana, 1975;

  • Valerio Tonini, Il taccuino incompiuto – Vita segreta di Ettore Majorana, Armando Editore, Roma 1984;

  • Erasmo Recami, Il caso Majorana, Mondadori 1991; Di Renzo Editore 2002 IV; Di Renzo Editore 2011, V edizione aggiornata riveduta e corretta, Epistolariodocumentitestimonianze;

  • Emilio Segrè, Autobiografia di un fisico, Il Mulino, Bologna 1995;

  • Bruno Russo, Ettore Majorana – Un giorno di marzo, Flaccovio Editore, Palermo 1997, ristampa 2005, con prefazione di Maria Majorana, novembre 1996;

  • Filippo Casano, Ettore Majorana – Il genio, T. Casano Editore, 1999;

  • Umberto Bartocci, La scomparsa di Ettore Majorana: un affare di Stato?, Andromeda, Bologna 1999;

  • Roberto Finzi, Ettore Majorana – Un’indagine storica, Roma, 2002;

  • Luisa Bonolis, Majorana il genio scomparso, collana I grandi della Scienza, giugno 2002, Quaderno n. 27 de Le Scienze;

  • Etienne Klein, Sette volte la rivoluzione (cap.4: I fantasmi di Majorana), Rcs Libri, 2006;

  • Salvatore Esposito, Lezioni di fisica teorica di E. Majorana, Bibliopolis, Napoli 2006;

  • Leandro Castellani, Mistero Majorana – L’ultima verità, Ed. Clinamen, Firenze 2006;

  • Erasmo Recami e Salvatore Esposito (a cura di), E. Majorana – Appunti ineditidi Fisica teorica, Zanichelli, Bologna 2006;

  • Massimo Centini, Misteri d’Italia, Newton Compton, 2006, cap.Federico Caffècome Majorana;

  • Paolo Simoncelli, Tra scienza e lettere – Giovannino Gentile (e Cantimori eMajorana), Le Lettere, Firenze 2006;

  • Paolo Cortesi, Lo scienziato che sparì nel nulla, Foschi Editore, 2007;

  • Carlo Artemi, Il piano di Majorana – Una fuga perfetta, De Rocco ed., Roma 2007;

  • Sharo Gambino, L’atomica e il chiostro, Vibo Valentia 2008;

  • Giorgio Dragoni (a cura di), Ettore e Quirino Majorana tra fisica teorica efisica sperimentale, Bologna 2008;

  • Alessandro Maurizi, Il destino di Majorana, Edizioni Simple, Macerata 2009;

  • Salvatore Esposito, La cattedra vacante – Ettore Majorana: ingegno e misteri, Liquori Editore, Napoli 2009;

  • Joao Magueijo, La particella mancante, Rizzoli 2010;

  • Piero Batignani, La scomparsa di Majorana – C’è qualcuno che sa, Florence Art Edizioni, Firenze 2010;

  • Ignazio Bascone, Tommaso l’omu cani, Mazara del Vallo 2010;

  • Giulio Maltese, Il ‘papa’ e l’inquisitore, Zanichelli 2011;

  • Tullio Regge, L’infinito cercare, Einaudi, 2012, pagg. 102 ss.

  • Stefano Roncoroni, Ettore Majorana – Lo scomparsoe la decisione irrevocabile, Editori Internazionali Riuniti, Roma, marzo 2013.

Tralasciando gli innumerevoli articoli pubblicati in tutti questi anni su quotidiani e riviste settimanali, oppure riviste di carattere scientifico, sulla scomparsa di Majorana possiamo menzionare alcuni romanzi:

  • Jorge Volpi, In cerca di Klingsor, Mondadori, 2000, in cui si fa riferimento a un misterioso scienziato sconosciuto, che avrebbe diretto da dietro le quinte l’intera ricerca scientifica del terzo Reich, un matematico di Lipsia, senza mai fare allusioni dirette a Majorana;

  • Mario Farneti, Attacco all’Occidente, Tea 2002, con un Majorana redivivo (si finge che le forze dell’Asse abbiano vinto la seconda guerra mondiale);

  • Mauro Mazza, L’Albero del Mondo. Weimar 1942, Fazi Editore, 2012, il cui capitolo n. 8 è dedicato a Majorana in Germania (pubblicato a parte in Nuova Storia Contemporanea, Anno XVI, n. 1, gennaio – febbraio 2012);

  • Paolo De Reda – Flavia Ermetes, La formula segreta della SS, Newton Compton 2013.

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