La scomparsa di Ettore Majorana

La scomparsa di Ettore Majorana Parte 1°

 

 

Fotografia di Ettore Majorana pochi mesi prima della scomparsa

 

1938: LA SCOMPARSA DI MAJORANA

Abstract:La “ricomparsa” di Ettore Majoranaèdel tutto eventuale, ma la scomparsa è sicura. E così lui l’aveva chiamata. La scomparsa avvenne in un fine settimana del 1938: venerdì 25 marzo. Fu un fatto clamoroso ed evitabile. Allora, perché scrivendo ad Antonio Carrelli, il direttore dell’Istituto di fisica dell’Università di Napoli, sabato 26 marzo inviò da Palermo un telegramma urgente e una lettera ‘espresso’ con i quali avvertiva di aver rinunciato agli adombrati propositi di suicidio e che subito sarebbe ritornato all’albergo Bologna di Napoli, in via Depretis 72, dove da oltre un mese si era ormai stabilizzato, prendendovi la residenza? Ettore telegrafò e scrisse, ma non telefonò (cosa che invece avrebbe dovuta fare, perché Carrelli aveva un apparecchio telefonico domestico).

La scomparsa si compone di 4 lettere: dal 19 al 26 marzo, dopo di che il silenzio. Le ultime tre lettere appartengono ai giorni 25 e 26 marzo. Una di queste fu lasciata in camera d’albergo, per i suoi familiari: qui parlava di lutto, qualche segno di lutto, ma per non più di tre giorni. Nella prima lettera per Carrelli, sempre il 25 marzo, parlava invece di scomparsa. Majorana si sarebbe imbarcato la sera del 25 marzo sul traghetto postale della Tirrenia diretto a Palermo. Da Palermo, la mattina stessa, fece sapere che sarebbe rientrato, che insomma le brutte idee era passate, ma comunque che il suo caso era differente da quello di una ragazza ibseniena (Erik Ibsen, drammaturgo). Il mare lo avrebbe rifiutato, ma lui sarebbe tornato di nuovo a Napoli via mare. Queste ed altre incongruenze rendono il caso oscuro e apparentemente incomprensibile. Con sé aveva una cospicua somma di denaro, il passaporto valido per i paesi europei che sarebbe scaduto nel 1939, e per di più sapeva nuotare. Majorana sarebbe ritornato a Napoli, evitando Carrelli e i suoi stessi familiari, chiedendo ospitalità presso due conventi di Gesuiti per poter effettuare degli “esercizi spirituali”, sarebbe stato visto dalla sua infermiera, e poi più nulla. Che fine fece? Si affacciano in astratto le ipotesi del suicidio, dell’omicidio, e della fuga. Ma quanto erano sinceri i propositi iniziali di suicidio? La trama è spezzata oppure è unitaria, nel senso di una rappresentazione dolosa? Era Majorana il passeggero della cabina n. 37 nel viaggio notturno da Palermo a Napoli, la notte tra sabato 26 e domenica 27? Perché l’ultima lettera da Palermo, scritta su carta intestata del Grand Hotel Sole-Palermo recava un sole all’alba e due numeri di telefono? Come mai il ‘suicida’ annotava anche la data fascista dell’era, anno XVI? Possiamo credere alla ‘sua’ rappresentazione per lettera, oppure fu un inganno? Ma, allora, perché scomparire in quella maniera, a esclusivo danno dei suoi cari? La scomparsa di Majorana non è un caso comune di scomparsa. E’ invece qualcosa di complicato ed enigmatico, tanto più egli era un genio della fisica nucleare, anche se nel 1938 parlare di bombe atomiche sarebbe stato del tutto fuor di luogo. Quale il movente? Il caso è rimasto insoluto. A queste domande vari autori hanno cercato una possibile risposta, cadendo spesso nei tranelli della logica. Nessuna ipotesi è stata provata e del resto il fatto materiale era sconcertante. A meno che la soluzione autentica del “caso differente” non sia contenuta nelle stesse lettere dello scomparso. Questa ipotesi, che si rivela vincente, è qui presentata per la prima volta. Con risultati straordinari. Ovviamente, la soluzione autentica della scomparsa, perfettamente razionale, vale soltanto fino alla data del 26 marzo, dopo di che tutto potrebbe essere accaduto, ma non secondo le intenzioni di Majorana, autore esclusivo di se stesso. Presentando questa soluzione, per la prima volta in modo esaustivo e organico, ne forniremo in dettaglio le prove e la documentazione analitica. In un articolo precedente abbiamo già definito il campo d’indagine, rappresentato dalle che lettere del 1938. Riportiamo il testo delle ultime tre lettere, del 25 e 26 marzo 1938:

Alla mia famiglia – Napoli, 25 marzo 1938 -XVI

Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, potate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi. Aff.mo Ettore

Ad Antonio Carrelli:

Napoli 25 marzo 1938 – XVI

Caro Carrelli,

Ho preso una decisione che era ormai inevitabile. Non vi è in essa un solo granello di egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti. Anche per questo ti prego di perdonarmi, ma sopra tutto per avere deluso tutta la fiducia, la sincera amicizia e la simpatia che mi hai dimostrato in questi mesi. Ti prego di ricordarmi a coloro che ho imparato a conoscere e ad apprezzare nel tuo Istituto, particolarmente a Sciuti; di quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle undici di questa sera, e possilmente anche dopo. E. Majorana

Terza e ultima lettera:

Palermo, 26 marzo 1938 – XVI

Grand Hotel Sole – Palermo” (e un sole all’alba)

Telefoni: 11.748 – 17.672

Caro Carrelli,

Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però l’intenzione di rinunciare all’insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli. Aff.mo E. Majorana

Ettore scomparve. Da qui comincia il ‘giallo’ della sua misteriosa sparizione. Perché agì in quella maniera?Crediamo di poterlo spiegare dettagliatamente. Si tratta dunque di un articolo molto importante per i suoi contenuti e le puntuali dimostrazioni.

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PARTE PRIMA

 

 

LE NOVE LETTERE DEL 1938 E LA SCOMPARSA

 

1* Che fine fece Majorana? A 107 anni dalla sua nascita, a 75 anni dalla sua misteriosa scomparsa, finora nessuna certezza, nessuna notizia. Nulla di nulla. Soltanto un vuoto, una misteriosa assenza. Queste le ultime parole dello scomparso (contenute in una lettera ‘espresso’, su carta intestata del Grand Hotel Sole – Palermo, che giunse da Palermo a Napoli, domenica 27 marzo, alle ore 14, al domicilio di Antonio Carrelli, la cui abitazione era munita di telefono): << Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli >>. La lettera recava in bella vista due numeri di telefono.

Il destinatario di quest’ultima lettera, dopo di che il silenzio, era il direttore dell’Istituto Sperimentale di Fisica dell’Università di Napoli, dove, dal mese di gennaio del 1938, Majorana aveva iniziato il suo corso di fisica teorica, nominato in ruolo il 16 novembre 1937 “per l’alta fama di singolare perizia”.

Ettore scomparve durate ‘un fine di settimana’ (in una sua lettera del 9 marzo, mercoledì, la quint’ultima, densa di umorismo e di allusioni, così si era ‘congedato’ dalla madre e dalla sorella Maria: Spero di venire in fine di settimana). In realtà, non tornò a Roma, quel sabato 12 marzo, quando a Hitler riuscì la mossa dell’annessione dell’Austria, e da questo momento seguirono altre quattro lettere, di cui le ultime tre nei giorni 25 e 26 marzo. In una di queste tre lettere, in data venerdì 25 marzo, indirizzata “Alla mia famiglia” e lì lasciata nelle sua stanza d’albergo, l’albergo Bologna in via Depretis 72, egli parlava di lutto, qualche segno di lutto, ma per nonpiù di tre giorni. Ma ormai, domenica 27 marzo, Ettore di fatto era già ‘scomparso’, col problema di quando effettivamente scomparve. Ciò avvenne subito o dopo? Non può essere escluso a priori che la sua scomparsa sia avvenuta prima, a Napoli, ad es. imbarcandosi su un’altra nave (il piano sarebbe stato possibile ricorrendo a un aiuto).

Venerdì 25 marzo, che non era giorno di lezione (insegnava di mattina nei giorni pari della settimana), Ettore si era recato all’Istituto di fisica e aveva consegnato alla sua bella allieva Gilda Senatore una cartella contenente quantomeno il testo autografo delle lezioni, dicendole per due volte: Poi ne parleremo, poi ne parleremo. (Chi vuole inquinare i fatti dirà riparleremo, ma è chiaramente sbagliato).

Il giorno stesso scrisse e imbucò una lettera ordinaria per Carrelli, nella quale, parlando d’improvvisa scomparsa, annunciava: Ho presouna decisione che era ormai inevitabile.

Con questa lettera salutava Carrelli, e i suoi studenti, Sebastiano Sciuti in particolare, parlando di ricordo, almeno fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo. Senza specificare cosa avrebbe fatto e perché.

In quella scomparsa, dunque già un ‘fatto compiuto’, non c’era un solo granello di egoismo.

Alcune parole si ripetevano da una lettera all’altra, altre erano un anagramma dell’altra, e in modo sottile figuravano un poi e due dopo. Una stranezza, sebbene ben congegnata, cioè in maniera accettabile, per un suicida, che si esprimeva in termini di lutto per i suoi cari, lasciando quella lettera che sarà letta per ultima, e in termini di scomparsa per Carrelli, che in definitiva era un estraneo. Scomparsa può significare morte, quindi lutto; ma Ettore non parlava ‘apertis verbis’ di suicidio e di morte, pur alludendovi. Un estremo pudore, oppure un gioco di parole (e di significati)?

Prima d’abbandonare – verso le ore 17 – l’albergo Bologna, in via Depretis 72, in cui si era stabilito – in una certa stanza – fin già dal 23 febbraio, Ettore lasciò in quella camera (dove rimanevano tutte le sue cose, avendo come al solito saldato il conto), un brevissimo messaggio per la sua famiglia, che così iniziava: Ho un solo desiderio:che non vi vestiate di nero.

In questa lettera – non spedita ma infilata in una busta – parlava poi di qualche segno dilutto, ma per non più di tre giorni, e se potete, chiedendo ‘ricordo’ e ‘perdono’. Prima il ricordo, poi il perdono. Senza dire nulla sul suo gesto estremo, senza una parola di spiegazione: soltanto il fatto compiuto, il mancato ritorno, che ovviamente – in caso di suicidio – esigeva il ritrovamento del cadavere. Ettore scomparirà, e mancherà il suo cadavere. Perché?

Qualcuno, di recente, ha cercato di mettere in dubbio la lettera alla famiglia, lasciata nella stanza dell’albergo Bologna. Come mai? Parlare di un falso imitativo è assurdo. Ma la ragione è questa: fu la lettera letta per ultima, che serviva a chiudere l’anello esclusivo di una comunicazione in forma remota: lo si tenga a mente.

Nella prima lettera per Carrelli, Ettore parlava di scomparsa, senza indicare dettagli, oppure altre circostanze. Il 25 marzo dobbiamo registrare un poi orale per la Senatore (che stranamente rivelerà pubblicamente questo incontro solo alcuni decenni dopo, mentre era cosa già nota a Carrelli, e, dunque, anche alla famiglia), e due dopo messi per iscritto.

Nel testo delle lezioni autografe consegnate alla Senatore erano presenti ben sette rinvii a lezioni successive, però mai tenute. Altri rinvii sono contenuti nelle lettere da Napoli del 1938, tra cui spicca quella della prossima visita di Hitler, a Napoli, il 5 maggio (cadente di giovedì): Ho una stanza discreta; oggi me ne daranno una migliore suvia Depretis, da cui potò vedere fra tre mesi il passaggio di Hitler (lettera scritta alla madre, la mattina del 23 febbraio, cadente di mercoledì, prima dell’inizio delle vacanze di Carnevale, che andarono, quell’anno, dal 24 di febbraio fino al primo marzo: il due marzo, che era il mercoledì delle ceneri, Ettore rispondeva a una cartolina inviatagli da Giovannino Gentile, rimbalzatagli da Roma, qui confermando che tutta Napoli era in preparazione per la prossima visita di Hitlere che era contento degli studenti).

Nelle parole dette alla Senatore, congedandosi rapidamente, dopo averle consegnato la cartella, poi ne parleremo, poi ne parleremo, si coglie ‘Palermo’ (manca solo una e), mentre nella prima lettera per Carrelli, e nella lettera lasciata in stanza per i suoi familiari (da leggere ‘post eventum’), nulla si diceva del progetto di morte, appunto buttandosi in mare all’andata, durante il viaggio notturno in nave verso Palermo, dove non sarebbe dovuto giungere (= scomparsa a bordo).

Anticipare Palermo, senza dirne nulla per lettera, se non ‘dopo’(Il mare mi ha rifiutato, scrivendo a Carrelli una seconda lettera (e telegrafando, facendo a meno di telefonare), è sicuramente significativo.

2* Al momento di lasciare per sempre l’albergo Bologna, continuamente citato nella corrispondenza che va dal 23 febbraio fino al 26 marzo, ultima lettera da Palermo, Ettore indossava un soprabito di colore grigio ferro e un cappello marrone. Aveva con sé una rilevante somma di denaro, riscossa pochi giorni prima, e il passaporto valido soltanto per i Paesi europei, scadente ad agosto. Fatti, e circostanze certe, che non possono essere messi in dubbio. Ettore sapeva anche nuotare.

Il 22 gennaio aveva chiesto che gli fosse inviata la parte liquida dell’eredità paterna. Il padre, ingegnere telefonico, era morto nel 1934, all’età di 59 anni, per luttuosa malattia.

Tale richiesta appare alquanto strana, almeno per due ragioni: 1) il giorno 27 avrebbe dovuto riscuotere lo stipendio del mese di gennaio, e, in aggiunta, la quota retributiva già maturata, a far data dalla nomina, decorrente dal 16 novembre 1937, giacché il trattamento complessivo era annuale, con tale decorrenza; 2) gli stipendi furono riscossi soltanto poco prima di ‘sparire’, ad eccezione di quello da pagarsi il 26 marzo (sabato, il 27 era domenica). Ciò ‘significa’ che Ettore non aveva bisogno di soldi.

Un’altra singolarità, mai notata in precedenza, è la seguente. Se prendiamo in fila i rispettivi capoversi delle tre lettere di scomparsa del 25 e del 26 marzo, otteniamo, in modo normativo o prescrittivo, in una ambigua scomparsa, questi ‘dettami’ o ‘informazioni’: 1) Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero; 2) Ho preso una decisione che era ormaiinevitabile; 3) Spero che ti siano arrivati insieme (seconda e ultima lettera per Carrelli da Palermo) il telegramma e la lettera.

Lo stesso procedimento può essere ripetuto per i finali di lettera. Si ricaverà che ciò che sta in mezzo è come se venisse meno. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli. Dettagli, per di più ulteriori, dopo aver omesso l’essenziale? E’ evidente che allora tutto si concentra in una espressione melodrammatica e incredibile: Il mare miha rifiutato (come vedremo, questa espressione singolare contiene di nascosto la riposta autentica dell’Autore).

Oltre ai ‘segnali, la sequenza dei capoversi mostrerebbe da sola intenzioni diverse dai propositi formali di suicidio. Se prendiamo gli ‘explicit’ delle medesime lettere, le ultime tre lettere della scomparsa, misteriosa ed enigmatica, otteniamo una conferma: 1) Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi; 2) conserverò un caro ricordo almeno finoalle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo; 3) Sono a tua disposizione perulteriori dettagli.

Scrivendo a Carrelli, Ettore moltiplicava i suoi messaggi. Due lettere per costui, e tre righe per i suoi cari. Due lettere spedite: una lasciata, invece, in stanza d’albergo, da leggere a cose fatte, post eventum.

Segno di” (lutto), è “disegno”. C’è un’architettura, un disegno intenzionale, e c’è una trama, non una rappresentazione fatta sembrare spezzata in due tronconi, separati e distinti, il ‘prima’ e il ‘dopo’.

Ettore anticipava ciò che non avrebbe poi compiuto. Dunque, egli non aveva alcuna intenzione di compiere quanto sembrava in contrario far credere.

Lutto e scomparsa sono sinonimi a condizione che esista un cadavere. Ettore adotta il lutto per i suoi cari, e scomparsa per Carrelli. Il lutto è a termine (post mortem). Non più di tre giorni. Il cadavere non sarà ritrovato. La stanza dove Ettore lasciò la sua brevissima e sconcertante lettera d’addio per la famiglia, è quella stessa stanza da cui avrebbe voluto vedere il passaggio di Hitler.

La parola stanza è ripetuta nel secondo telegramma inviato da Palermo all’albergo Bologna: Non entrate nella mia stanza, ritornerò lunedì. Il Bologna è continuamente citato fino all’ultimo. Nella prima lettera da Napoli (11 gennaio), Ettore riferiva che oggi – con Carrelli – abbiamo comprato i mobili per la mia stanza (s’intende, in Istituto), graziosamente offerti dalla Facoltà. Parole che si ripetono, in una stessa lettera e da una lettera all’altra. Segnali, sottili allusioni. Una sequenza a ventaglio, convergente e univoca.

Fa soltanto confusione chi ha sostenuto (Roncoroni 2013) che le lettere di Ettore vanno lette così come sono (e come sarebbero?), e poi che non è vero che siano ‘diaboliche’ (chi l’ha detto?).

Le lettere di Ettore sono quello che sono, e contengono segnali certi, interpretabili ex post (dopo la sparizione). Questo è un dato sicuro, mai analizzato a fondo, per come avrebbe richiesto. E questi segnali, dirigendosi solo ai familiari, escludevano Carrelli, che fu soltanto un tramite. Ed escludevano, ovviamente, qualsiasi altro estraneo.

Carrelli riceverà un telegramma urgente da Palermo, alle 11 di mattina di sabato 26: Non allarmartiAltSegue lettera. Nell’espresso proveniente da Palermo (vergato con penna diversa da quella impiegata per le lettere del 25 marzo, e su carta intestata recante un “sole” all’alba), così si proseguiva: Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio.

Quanto meno quella e rappresenta un ‘non sequitur’. Non ha senso dire che il mare mi ha rifiutato all’andata e che dunque ritornerò a Napoli, all’albergo Bologna, rimanendo a disposizione per spiegare, con ulteriori dettagli (mancava però l’essenziale), perché il caso è differente da quello di una ragazza ibseniana (probabilmente il dramma “La Donna del Mare” di Erik Ibsen).

Sabato 19 marzo – festa nazionale religiosa di San Giuseppe – Ettore scriveva rispondendo a una lettera del fratello Salvatore: Per ora non vengo perché lunedì ho alcune faccende da sbrigare all’anagrafe e altrove.

Aggiungeva di aver preso provvisoriamentela residenza anagrafica al Bologna e che avendo da fare lunedì, non sarebbe venuto a Roma la sera di quel sabato (stasera), per cui inviava un telegramma affinché non lo aspettassero. Sarebbe tornato a Roma certamente sabato prossimo.

Sabato 26 marzo Ettore sarebbe invece giunto in nave a Palermo, viaggiando di notte con propositi di suicidio, da qui inviando due telegrammi e una lettera ‘espresso’, con i quali chiariva che sarebbe ritornato all’albergo Bologna, dove però nessuno lo rivedrà. Dopo, un impenetrabile silenzio. Se le intenzioni di suicidio fossero state sincere, Ettore avrebbe dovuto “telefonare”, anziché “scrivere”, facendosi precedere da due “telegrammi”. La carta intestata da Palermo, Grand Hotel Sole, col disegnino di un sole radioso all’alba, recava in bella evidenza due numeri di telefono: 11.748 e 17.672 (11 e 17).

Ettore sapeva benissimo che il telegramma precede ogni lettera, ma rivolgendosi a Carrelli, dice insieme. Carrelli riceverà il telegramma alle ore 11 di sabato; alle 14 la prima lettera da Napoli, e la mattina dopo – domenica, ‘giorno del sole’ – la lettera “espresso”.

Dopo aver accennato alle sue dimissioni dall’insegnamento, rimaneva a disposizione per ulteriori dettagli. Sul presupposto, cioè, che avesse già detto l’essenziale: Il mare mi ha rifiutato.

Da qui un’altra ambiguità. Quanto era differente il suo caso da quello di una volubile ragazza ibseniana? E con un evidente non sequitur: giacché il mare lo aveva rifiutato all’andata, allora egli ritornava, via mare, subito dopo a Napoli, cioè all’albergo Bologna? Così precedendo, col suo arrivo all’alba, alle ore 5.45, il recapito materiale dell’espresso per Carrelli al proprio domicilio (tra le 5,45 e le 11 di quella domenica del 27 marzo c’era un intervallo di cinque ore).

Questi ‘dettagli’ della “scomparsa” furono sempre trascurati dai solenni Autori che si occuparono del “caso”, a cominciare da Edoardo Amaldi (il cui paragrafo n.8, ultimo paragrafo, è un caleidoscopio di palesi contraddizioni, di bugie e di travisamenti: sabato 13 maggio 1950 Amaldi ebbe a Napoli un incontro ‘a porte chiuse’ con Carrelli, in cui ovviamente tutto seppe con esattezza).

Fino alle nuove ‘verità somme (2012-2013) di Stefano Roncoroni e di Francesco Guerra, a proposito della precoce morte di Ettore, che sarebbe avvenuta in Italia, prima del 22 settembre 1939, in località imprecisata, circondata dal massimo mistero (ma la madre Dorina e la sorella Maria non ne seppero mai nulla: e non c’è una tomba, manca il certificato di morte, non esiste alcuna pietà o memoria funebre, e di che fosse morto Ettore, a soli 33 anni non è dato sapere, anzi, nemmeno sarebbe stato assistito), mentre la medesima notizia – il caro estinto – fu divulgata a mezzo stampa dalla Rivista Missioni dei Gesuiti del nord Italia. (Una lettera del Padre Caselli parlava di “caro estinto”, cui “nulla osta” per la istituzione di una borsa di studio religiosa, mentre non è stata esibita dai suddetti Autori neppure la lettera di richiesta, in tal senso, da parte del fratello Salvatore, grande custode del sommo segreto e scomparso nel 1972).

3* Come prestar fede alla scombiccherata ricostruzione di Amaldi, irta di errori e contraddizioni testuali, e credere infine alla versione di Roncoroni, un Majorana da parte materna, che si fonda su affermazioni altrui, quelle di un estraneo, che poteva aver equivocato facilmente tra ‘scomparso’ ed ‘estinto’, e, tutto ciò, per un ermetico quanto irrazionale segreto di famiglia (parte di essa), già reso noto a mezzo stampa?

Manca la coerenza, e manca ogni principio di prova. “Onus probandi incombit eo qui dicit”. La morte si prova con la morte. Per un anno e mezzo Ettore avrebbe giocato a nascondino. Quindi, anche il “Punto fermo” di Francesco Guerra, quasi somiglia a una ‘presa in giro’ (almeno per ora).

Ettore in convento è un’invenzione di Sciascia, che lo farebbe morire prima di aver computo 68 anni. Ettore in Argentina – direttamente nel 1938 – è un’invenzione di Recami. Ettore, presumibilmente morto di malattia prima dello scoppio della seconda guerra mondiale con l’invasione della Polonia (senza alcuna assistenza medica, senza ricovero in ospedale?), oppure morto da suicida, o addirittura morto assassinato; senza sapere dove; e, dunque, come fecero a saperlo i suoi fratelli, se lui scappò ancora una volta?, è l’ultima invenzione in ordine di tempo (2012 e 2013).

In mezzo a tali estremi, si colloca la versione assurda – frutto di altrettanto fraintendimento di dati elementari evidenti – del presunto rapimento o assassinio per un “affare di Stato”.

Presumendo “a cascata”, da fatti già presunti, sarebbe dimostrabile ogni cosa e il suo l’esatto contrario. La fatica di cercare e di ritrovare la verità, questi Autori d’ipotesi irrazionali e non dimostrate, la lasciano ai lettori, i quali, non potendo raggiungerla in alcun modo, allora dovranno fidarsi? E manca sempre il cadavere.

Mentre Roncoroni e Guerra si sono scordati anche del passaporto. Anche questo documento finì nella tomba sconosciuta? E perché mancherebbe il cadavere?

Ovviamente, perché Ettore morì senza certificato di morte, in un luogo che nessuno conosce, e fu sepolto senza che nessuno lo sapesse.

Ovviamente, perché fu rapito o eliminato. Chi ha profilato tale ultima ipotesi, non sostenuta da alcun elemento indiziario, contestuale e diretto, ha scordato di rileggere le lettere dello scomparso, giacché basta la lettera del 22 gennaio per far crollare miseramente l’illazione gratuita: Ettore, che si sarebbe finto suicida pro tempore, per sfuggire ad un pericolo grave ed imminente, non solo disdisse tutto quanto la mattina ‘dopo’, ma parlò di lutto ai suoi cari e di scomparsa a Carrelli (non il viceversa, come invece avrebbe dovuto fare).

In effetti, nessuno degli Autori che si occuparono della “scomparsa” è credibile. Le ipotesi sono ideologiche o irrazionali. I fatti “certi” della “scomparsa” sono ignorati, o usati parzialmente, oppure sovvertiti (vedi altro pezzo sugli Autori).

4* Un ultimo tentativo di ‘mistificazione’ sarebbe stato quello d’insinuare che la lettera di addio lasciata da Ettore in stanza, fosse un falso del ‘dopo’. Qualcuno avrebbe invece pensato di trasformare, a parole sue, le < e > in < i > senza il puntino, di questa brevissima lettera (cercando di introdurre nel testo della lettera elementi di un presunto dialetto catanese).

Caduto questo tentativo, ovviamente inconsistente, si è parlato allora di un falso materiale, non esibendo l’originale della lettera, sempre su carta filigranata, identica alle altre lettere del 1938, ignorando che non solo la calligrafia è perfettamente conforme, ma anche che fu usata la stessa penna stilografica. Non può essere falsa una lettera autentica in tutto e per tutto, ma può essere soltanto scomoda.

Poi, perché fabbricare un falso, esibito soltanto nel marzo del 1972, a Recami, e da questi fornito a Sciascia, perché potesse scrivere il suo famoso phamplet, pubblicato dapprima a puntate su La Stampa di Torino?

Affacciare che di un falso imitativo si trattasse, a sostenerlo nel 2013, più in nota che altro, è quasi un esempio di ‘malafade’ mirata allo scopo: nell’architettura della scomparsa, la lettera Alla mia famiglia è la chiave di volta; di più, è la condicio sine qua non della verità autentica dichiarata da Ettore ‘in filigrana’ (teorema della stanza).

Il vero “giallo Majorana” potrebbe iniziare anche da qui: dai tentativi di nascondere la ‘verità’, giacché le lettere del 1938 contengono nelle loro pieghe la parallela verità autentica della misteriosa scomparsa, a tutto conforto dei familiari, uniche vere vittime del fatto misterioso e irrazionale. Non degno di un genio, comunque.

Verità nascosta; abilmente inserita tra le righe. E contraddizioni palesi, volute come tali. Un filo occulto, solidissimo, rende infine trasparenti le vere intenzioni del grande Autore ai soli familiari, celandole a ogni estraneo, Carrelli compreso, il quale fu usato ad hoc, come tramite d’informazione in eccesso.

Superando il paradosso del mentitore, cioè “Epimenide cretese”, per cui si produce una continua un’autoreferenzialità ad infinitum, il genio di Ettore Majorana ha trasformato in verità, a scoppio ritardato, le sue necessarie bugie e finzioni.

Attraverso l’inspiegabile silenzio, il “dopo” spiegherà razionalmente il “prima”, che era stato una falsa rappresentazione.

Il thema decidendum della suaimprovvisa scomparsa fu prefissato e delimitato con massima precisione, aldilà di ogni equivoco potenziale, da un’intelligenza superiore.

Vani quei tentativi di formulare ipotesi estranee a tale ‘imbuto forzato’. La verità è ‘una’ soltanto. Ettore la specificò di nascosto, senza alcuna ambiguità, nelle stesse lettere. Le sue indicazioni in filigrana, sapientemente collocate e distribuite, sono assolutamente costringenti, non ammettendo alcuna deroga. Fu una “scomparsa” per lettera, e quelle sue stesse lettere, tutte autentiche, contenevano contemporaneamente la verità, sotto false apparenze.

Dapprima l’essenziale; a seguire, gli ulteriori dettagli. Nulla tralasciando per la comprensione delle sue vere intenzioni, dietro alla mascheratura di una messinscena (termine impiegato sia da Recami, che da Luisa Bonolis).

Però, come mai “il caso” sarebbe “rimasto irrisolto” (L. Bonolis, 2002, pag. 103), se Recami dava Ettore in Argentina, seppure con un “forse” cautelativo; e se Sciascia lo faceva morire in un convento?

Non può dirsi “risolto” il “caso Majorana”, il caso differente, se invece di guardare alle sue lettere, si guarda a Ettore? (Non è impossibile che un Majorana in fuga sia stato eliminato, purché si possa sapere almeno perché scappasse, in quella maniera). Il ‘dopo’ non è congenere al ‘prima’ e al ‘durante’. Si tratterebbe di un errore concettuale, anche se il dopo è determinato dal prima; ma occorrerebbe conoscerne i punti di continuità.

L’eventuale presenza di Ettore a Buenos Aires negli anni ’50 sarebbe un punto di continuità. Col problema di che cosa avrebbe fatto nel frattempo. Era lui in persona l’uomo sulla nave, nel luglio del 1950? Se fosse lui, il caso di scomparsa sarebbe risolto, quanto a Ettore; ma non per quel che concerneva le sue lettere, cosa intendesse ‘dire’ e ‘fare’ in quei frangenti. Il dopo, si riverbera sempre sul prima. Non necessariamente il contrario.

Se Ettore rimase vittima di un attentato, il prima deve lasciarne il margine. Se Ettore non morì subito, ma solo verso la fine dell’estate del 1939, le sue lettere del 1938 non possono essere ignorate, tentando addirittura di eliminarne una o più d’una (tentativo di ‘destrutturazione’ di F. Guerra, evidentemente abortito).

Rendendo pubbliche quelle lettere del 1938, col consenso della sorella Maria, una volta scomparsi i fratelli di Ettore, Luciano Salvatore Rosina, di fatto fu ‘pubblicata’ anche la soluzione autentica del casodifferente che queste lettere contengono.

Ciò avvenne non perché nessuno in famiglia se ne sarebbe mai accorto, mai ci avrebbe riflettuto, difatti queste lettere state gelosamente occultate, e ne circolavano versioni erronee, frammentarie, fumose e inverosimili; ma perché Sciascia, che nel 1975 scrisse a mano doppia, si era impegnato a dare uno sbocco all’inconcludenza ‘ufficiale’ di Amaldi (1966), che era parsa sospetta.

5* Le lettere del 1938 sono 9 in tutto. C’è un intervallo di un mese tra il 22 gennaio e il 23 febbraio, ma non c’è alcun ‘buco’ logico rilevabile.

L’affermazione che le lettere del 1938 fossero più di nove, non può essere accettata, per due ragioni: 1) almeno fino a quando le lettere ‘mancanti’ non saranno esibite, essendo cosa certa che la famiglia conservò tutto; 2) perché Erasmo Recami ottenne e pubblicò in seguito tutto il materiale del 1938, sebbene abbia selezionato e censurato in parte le lettere del 1933 da Lipsia, nelle quali s’intessevano le lodi e i meriti della rivoluzione nazista (esistono quasi tutte le lettere ricevute da Ettore, ma stranamente trascurate: in una di queste, il padre gli avrebbe rimproverato gli eccessivi entusiasmi per Hitler – cfr S. Roncoroni 2013).

Le lettere del 1938 contengono una serie di segnali sottili, bensì coerenti e univoci, di avvertimento alla famiglia, comprensibili soltanto a cose avvenute. I fatti successivi sono stati, per così dire, prefigurati in anticipo. Fingere che ciò non sia o sia stato puramente casuale è praticamente impossibile. L’univocità e convergenza dei segnali è prova evidente di un’intenzione preordinata.

La scomparsa volontaria non poteva rimanere ambigua e irrisolta nei riguardi della famiglia. Mentre non c’è alcuna possibilità concreta che potesse trattarsi di scomparsa involontaria (alias rapimento o assassinio mirato).

Chi ragioni in questi termini – a parte il fatto che non c’è spazio alcuno per una simile congettura nelle parole e negli atti di Majorana – mostra di non intendere che la presenza certa di segnali elimina in radice questa ipotesi e che altresì si ha a che fare con un genio sommo che seppe circoscrivere perfettamente il caso differente, il ‘suo’ caso.

Rozzezza’ contrapposta a ‘finezza’ ermeneutica’ Parrebbe di sì.

Verità’ falsa: perché non è conciliabile con quelle stesse lettere, e, comunque, non è stata provata; e verità autentica, che posiamo dimostare, Teoremi, che tali non sono, ignorando il teorema logico costringente della “stessa stanza”, chiaro frutto della genialità di Majorana, però fatto passare per folle o per uno stupido (caso del gioco a nascondino, e caso opposto del delitto per un oscuro affare di Stato).

Aver trascurato di notare la presenza insistita di questi segnali o preavvisi (magari con la scusa, chiaramente infondata, che mancherebbe l’altra metà passiva delle lettere ricevute: e dove sarebbero finite?), rende illecita e falsa qualsiasi altra ipotesi antagonista a quella autentica, di cui diremo a tempo e luogo. Mentre i dati espressi delle lettere, i comportamenti o fatti accertati di Ettore, impediscono categoricamente l’ingresso dell’ipotesi del “suicidio”, anche durante il presunto viaggio di ritorno in nave da Palermo a Napoli, del rapimento o assassinio tombale per un presunto “affare di Stato”, e del folle “caso Asperger”, con relativo insensato ‘gioco a nascondino’ nei riguardi della famiglia e della polizia, che lo stavano cercando ovunque.

Il thema decidendum, posto esclusivamente da Majorana, precisamente circoscritto e delimitato, è ‘quando’ lui iniziò a mentire, poiché lo fece senz’altro (falsa è l’ipotesi dell’affare di Stato ovvero il c.d. ‘caso involontario’ o ‘terza ipotesi’).

Luisa Bonolis (monografia su Majorana del 2002, pubblicata come Quaderno de Le Scienze – Scientific American) coglieva nel segno mettendo in luce che la scomparsa era dolosa e preordinata.

E’ l’identica base da cui sono partiti Sciascia e poi Recami. Tuttavia nessuno si è accorto che la questione è più diretta ed estesa.

Non ha molto senso affacciare il dolo senza spiegarne il perché. La scomparsa avvenne a danno esclusivo della famiglia. Costoro, i suoi familiari, gli ingannati, quelli che subirono il trauma, che denunziarono la scomparsa, e che parteciparono affannosamente alle ricerche rivelatesi vane.

Chi afferma il ritrovamento di Ettore deve provarlo. Invece, dal “caro estinto”, chiaro equivoco verbale finalizzato al “nulla osta” della pia borsa di studio, non si può passare sic et simpliciter alla presunzione di morte, senza esibirne il relativo certificato. Né sarebbe valido argomento la mancanza di un procedimento giurisdizionale di morte presunta, già constatata l’assenza dello scomparso. Ettore era vivo, il 26 marzo.

Dopo 31 mesi dalla scomparsa di un 31enne, lo zio Giuseppe Majorana (e lo zio Quirino Majorana), lo consideravano morto. Ovvio che la madre abbia desiderato una pia borsa di studio in memoriam, pagandone la relativa somma di 20 mila lire del 1939, pur seguitando a considerarlo vivo, tanto è vero che lo nominò per testamento, nel caso che “fosse ritornato”.

Il presupposto del “caro estinto” era il silenzio di uno che aveva scritto che sarebbe ritornato. Enigma per la famiglia, che non escludeva il caso di morte come la stessa sopravvivenza.

6* Lo storico Roberto Finzi (2002), dopo aver correttamente rilevato che il “paradigma” o “consensus” corrente sulla figura di Majorana è affetto da gravi errori e pesanti manipolazioni, poneva due questioni essenziali: “perché” scomparire, e perché in quella maniera “clamorosa”.

Le due domande di Finzi s’inseguono. Il suicidio rimaneva oscuro (in genere i suicidi spiegano le ragioni del loro gesto, oppure lo compiono senza lasciare nulla: qui siamo a metà, con l’aggravante che il suicidio in seconda istanza sarebbe stato due volte afflittivo e difficilissimo da comprendere); mentre la pubblicità “clamorosa” della scomparsa (dovuta ai comportamenti di Ettore) non aveva senso, a meno che servisse da specchio per allodole (Ettore, telefonando da Palermo, avrebbe tutto messo a tacere: ed invece telegrafa e scrive ancora).

Mancando un “perché”, ecco che è sorto l’enigma: dapprima per i suoi cari, poi per i ‘lettori’ dei libri su Majorana.

Chi ha affermato che la lettera d’addio alla famiglia sarebbe falsa, si è scordato che nel verbale di polizia del 17 aprile, circa i “propositi di suicidio”, le lettere lasciate sono almeno due.

Ed è, questo, un classico esempio di superficialità, questa volta teso a ‘ingannare’ i lettori?

Il 18 aprile 1938 il capo della Polizia Arturo Bocchini sapeva che Ettore aveva lasciato una lettera per la famiglia nella sua stanza dell’albergo Bologna.

Il telegramma per il Bologna, con la variante lunedì anziché domani, aveva senso e scopo, quanto a tale lettera.

Chi invece ha congetturato l’affare di Stato, ha assunto per buono un grave errore di Recami in prima edizione, poi da Recami corretto in seguito, senza una sola riga di spiegazione.

Ettore non rimase a Palermo due giorni, giacché il viaggio di Strazzeri avvenne nella notte tra sabato e domenica 27. [A prescindere dal fatto che: 1) Ettore fosse andato veramente a Palermo, ma su questo non c’è alcuna prova certa; 2) fosse effettivamente presente nella cabina n. 37, quella notte del presunto viaggio di ritorno a Napoli].

Presumere un giallo internazionale dalla mancanza del cadavere, il dato da spiegare, e, comunque, spiegabile con una fuga volontaria, significa fare violenza al sistema razionale della c.d. “prova logica”.

Chi asserisce la morte, vuoi per malattia o per attentato, questo deve poter provare, in modo chiaro e sufficiente. Le congetture fumose contro i fatti dichiarativi o comportamentali di Ettore, lasciano il tempo che trovano: si tratta di illazioni fini a se stesse, di chiacchiere prive di pregio e di contenuto possibile. E’ assurdo chiamarle ipotesi dacché sono molto meno che un’astratta congettura: di questo passo si potrebbe arrivare a qualsiasi cosa. Perché non rapito dagli extraterrestri?

Se, invece, esistono, nelle lettere dello scomparso, dei segnali univoci, allora la traccia da seguire è questa, e da qui anche il thema decidendum, ‘canalizzato’ o ‘veicolato’ dal vero Autore di se stesso.

L’efficacia costringente dei risultati ottenibili secondo questa linea, fa già fede circa l’autenticità del sistema. Chi non lo intendesse violerebbe ipso facto i parametri della logica ermeneutica. La sequenza di segnali univoci, i risultati analitici coerenti con i segnali o preavvisi, impongono una relazione di autenticità assoluta.

Se Majorana fece ricorso a questo schema, per informare i suoi cari a cose fatte, dopo averli però sottoposti a un trauma psicologico improvviso e violento, ma di tono non eccessivamente drammatico (dice Recami che un margine di speranza gliela aveva pure lasciata), allora è la condizione del silenzio successivo, il tramite logico che si salda strettamente col segnale. ‘Sono scomparso, ma vi avevo già avvertiti, nella sola maniera che mi era concessa, essendo costretto a mantenere formalmente il segreto’.

Questo lo schema, appunto in una condizione di forza maggiore. L’esatto contrario dell’assurda ipotesi del caso esterno mirato, che richiede la consapevolezza iniziale del pericolo. I disavveduti (e i falsari ideologici) s’imbattono qui nella secca smentita del grande Autore di se medesimo.

7* Ettore fascista, liceale oltranzista di destra, divenne ‘nazista’? Il “consensus” se ne scandalizza: sarebbe ingiusto sul piano umano e storicamente infondato. Il che è falso. ‘Nazista’ nel 1933, e ancora nel 1938 (Hitler è citato di nuovo, dopo le leggi di Norimberga del 1935, nelle lettere di mMajorana), non era all’epoca un fatto criminale, ma era una simpatia politica molto diffusa. Talune simpatie rimasero ugualmente coerenti. Non c’era nulla d’ingiusto, sul “piano umano e storico”, nel caso di Bruno Pontecorvo, scomparso nel 1950 da Roma, per raggiungere segretamente l’Unione Sovietica di Stalin? Non si possono fare due pesi e due misure, se si vuole rimanere giusti ed equanimi.

Emilio Segrè ‘doveva conoscere’ la verità: nel 1988 pubblicò, per il cinquantenario della scomparsa (secondo lui Ettore si buttò dal piroscafo durante il viaggio di ritorno), la famosa lettera, ricevuta da Lipsia nel 1933, in cui si diceva un gran bene di Hitler, e si giustificava persino la questione ebraica (definita però, in una lettera a Giovannino Gentile, come sciocca ideologia razziale).

La pubblicazione di questa lettera, che Amaldi, nel 1966, dichiarava affondata con l’Andrea Doria nel naufragio del 1956, non solo è un chiaro atto di accusa, ma, cosa non notata prima, contiene nella chiusa finale una dichiarazione implicita di speciali contatti di Majorana con esponenti nazisti di Lipsia.

Ettore, certamente non da solo, si era recato presso le rotative di un importante quotidiano filo-nazista di Lipsia, per leggere in anteprima il testo del discorso di Mussolini sul Patto a quattro (rinviato), anziché sui o nei giornali di domani (il testo riportato da Recami non coincide col testo riportato da Segrè).

Recami qualcosa doveva averla compresa, pur negando più tardi il nazismo di Ettore, trasformando – in parte qua – il testo della lettera (sui in luogo di nei).

Tanto è vero che metterà il punto esclamativo sulla parola << Hitler >> ! nella citazione a testo della lettera del 23 febbraio 1938, che di questo esclamativo mancava in origine (cfr. pag. 93, cap. VII, 2011).

Ettore, sul discorso del Patto a quattro: << Lo leggerò questa nottesui o neigiornali di domani >>. (E, dunque, come ‘sarebbero’ le lettere di Majorana?).

Mentre Sciascia, che tale lettera del 1933, da Lipsia, non poteva ancora conoscere nel 1975, si lascia andare a quest’altra affermazione sorprendente (rivelatrice di ben altra trama), a proposito del soggiorno di Ettore in Germania: << poiché di quel che non sappiamo siamo portati a immaginare un altro e più importante incontro >>, che non quello con Heisenberg (capitolo V).

Il saggio di Sciascia è effettivamente ambiguo, almeno quanto la scomparsa di Ettore, terminando con un << Ed è vero >>, dopo un reticente monaco “olandese” e un cimitero di “nere croci” (e l’atomica del 1945; e un rifugio in convento, irrazionale e assurdo; e la morte di Ettore, prima di 68 anni, come se fosse scontato: messaggi per chi capisca, e afferri, il doppio modo di scrittura di Sciascia).

Bruno Pontevorvo lo rivelò, a Firenze, il 17 marzo 1990, lì presente sul palco anche Gilberto Bernardini: << Ettore è finito all’Ovest >>.

Gilberto Bernardini lo aveva già rivelato alla fine del gennaio del 1974, a Pisa, a Giorgio Dragoni: << Ettore si trasferì in Germania per collaborare alle armi del Terzo Reich >>.

Le rivelazioni fatte nel 1965 da Fiorenza Tebalducci, che da ragazza allora piuttosto piacente, avrebbe frequentato Ettore a Firenze, nel 1935 (ad Arcetri si parlava già di sfruttamento dell’energia nucleare), ne rappresentano perciò l’antefatto ‘spionistico’, sul presupposto che la stessa Tebalducci non fosse per nulla una mitomane in cerca di notorietà (nel 1965).

La pista tedesca fu di nuovo ‘riferita’ in una lettera del 2000 da parte di un fisico cattedratico al collega Prof. Francesco Guerra, mai resa pubblica da Guerra, nella quale si riportavano dichiarazioni circostanziate, apprese da un altro soggetto, ma note anche a Recami nel 2002 (come fece Recami a saperlo?).

In altri termini, Ettore non andò a Palermo (qui si servì dell’opera altrui); s’imbarcò a Napoli su un’altra nave (probabilmente il “Castellon”, battente bandiera tedesca, con primo scalo a Catania – n.d.r.), e si diresse in Germania.

Recami si tutela dicendo di non aver controllato la fonte, ma rimane il problema di come egli abbia potuto apprendere una notizia del genere, fermo restando che Guerra non avrebbe mai inteso divulgare quella lettera, da lui personalmente ricevuta (così il Prof. Guerra mi ha riferito in una mail).

A questo punto si comprendono meglio le affermazioni (non controllate) di Recami, a partire dalla IV edizione 2002 (pag. 125), ed anche una vecchia lettera del 1928, da Roma, di Giovannino Gentile a Delio Cantimori, a proposito dell’ambiente di Fermi nell’Istituto di fisica di via Panisperna: << All’Istituto, dove finisco per restare tutto il giorno, sento un po’ di freddo nelle relazioni con gli altri, ebrei e atei: annullano l’umanità nel culto della logica e dell’egoismo. Così diversi da noi! >> (cfr. P. Simoncelli, “Tra scienza e lettere”, 2006, pag. 37).

La pista argentina di Recami riguarda, se mai, il “dopo” del “dopo”. Le lettere del 1938 restano il documento basilare, altra cosa è il ‘dopo’ di Ettore da vivo.

Sciascia, nel 1986, citava con Recami una lettera, da lui ricevuta, evidentemente con certe informazioni (rimaste sconosciute), ma riguardanti l’Argentina, dove mai e poi mai Ettore sarebbe potuto arrivare, con un passaporto non valido per l’oltremare, senza alcuna ragione, e restando poi in silenzio, in paese che nel 1938 aveva una forte presenza d’informatori dell’Ovra, come rilevava nel 1988 lo stesso Sciascia.

Una fuga segreta di Ettore in Germania – segreto militare: ermetico e impenetrabile – non cozza per niente con la banale possibilità di poterci andare allo scoperto ed anche rispetto al fatto che della sua presenza in terra tedesca nulla sarebbe poi risultato, in modo ufficiale, nel dopoguerra. Un italiano, elemento sicuro, però nato in Germania, che lavorava alle armi segrete tedesche?

L’informativa “segretissima” del settembre 1944 proveniva dall’ambasciatore della R.s.i. Filippo Anfuso, che era nato a Catania.

Il contatto avuto da Anfuso, debitamente garantito, avvenne per telefono. Ci fu una ufficialità schermata, che garantiva tutta la faccenda, senza svelare la fonte, difatti rimasta anonima. L’ambasciatore della R.s.i. Filippo Anfuso poteva dunque riferirne con certezza a Gardone, a Mussolini in persona. In ottobre Luigi Romersa andrà poi in Germania in missione segreta per conto di Mussolini.

8* Si trattava dell’arma risolutiva, l’arma segreta vincente delle forze dell’Asse, sempre negata dai protagonisti della missione segreta americana Alsos, che però frugò a lungo l’Università di Napoli, nel 1943, e che appena liberata Roma (nel giugno del 1944) interrogò Amaldi (c’era anche un progetto per farlo fuggire con un sottomarino dalle coste dell’Adriatico)?

Heisenberg e molti altri scienziati tedeschi non ne sapevano nulla. Il progetto nucleare tedesco, in altre parole la bomba e non il reattore, era defilato e rigidamente occultato; ma gli inglesi non sprecarono certo le loro bombe in Norvegia per distruggere l’impianto che produceva l’acqua pesante.

Kurt Diebner, nazista dei corpi militari, era una figura scientifica di terz’ordine. Il problema è chi si celasse dietro di lui.

Dopo la guerra Diebner tenterà di accreditare brevetti addirittura sulla fusione. Romersa nell’ottobre del 1944 a Reugen assistette a un vero testo nucleare, di scala ridotta e di concezione diversa. Nemmeno le due bombe atomiche americane (con l’uranio 235 che non sarà più impiegato), avrebbero potuto salvare la Germania: sì, invece, le V2, a testata nucleare tattica.

L’unico serio ostacolo alla presenza segreta in Germania di Majorana scomparso a fine marzo del 1938 deriva dalla scoperta del bario radioattivo al KWI di Berlino effettuata sperimentalmente da Otto Hahn alla fine del 1938, quando ormai Fermi era in fuga in nave verso l’America, dopo aver ricevuto il premio Nobel a Stoccolma preannunziatogli con largo anticipo da Bohr.

La vera storia della bomba atomica non è stata mai scritta. La scoperta sperimentale di Hahn e Strassmann fu interpretata teoricamente da Lise Meitner fatta fuggire da Berlino con un passaporto scaduto. Fermi e Szilard avevano rispettivamente intuito la fissione e la reazione a catena. Fermi in America si attribuirà subito un merito speciale (è questa la ragione di un furioso litigio tra lui e Bohr ai primi di febbraio del 1939).

A seguire la prima lettera di Einstein al Presidente degli Stati Uniti, i primi di agosto, dove saranno fatti i nomi esatti e nel giusto ordine di Fermi e Szilard. Tutto veniva da via Panipserna, alla fine del 1934. Ettore ‘sapeva’, aveva capito. Lui dunque era più importante da vivo che da morto. Nessuno eliminò Majorana, in una prospettiva futuribile, alquanto incerta e lontana, del rischio nucleare. Bensì sarebbe stata più che ragionevole la necessità di equilibrare le forze in campo scientifico in una prospettiva tecnologicamente eventuale ma teoricamente possibile. Il quadro potrebbe essere questo. La vicenda della scomparsa va esplorata in ogni direzione.

La pista dell’Argentina – con riferimento al 1950 – è stata raccontata da Recami. Questa ‘storia’ è molto più complicata, ed era molto meno confusa e oscura di quanto fu fatta sembrare da parte di chi forse la conosceva bene (il fisico cileno Carlos Rivera Cruchaga). E fu particolarmente sottaciuta (anche il fisico italiano Mario Rasetti, a Priceton nel 1974 o all’inizio del 1975, sentì dire qualcosa sulla sorte di Majorana da alcuni fisici di fama mondiale che avevano preso parte al progetto Manhattan, con l’affermazione che pareva fosse morto di recente: cfr. Tullio Regge, autobiografia, 2012, pagg. 102 ss.).

Carlos Rivera Cruchaga, sul finire degli anni ‘70 rispettabile decano della Facoltà di Fisica a Santiago del Cile, fu nei primi anni ‘50 uno dei tramiti fra la Germania del’Ovest di K. Adenauer e l’Argentina populista del dittatore J. D. Peròn (dopo il fallimento della mirabolante ‘impresa’ futuristica della fusione nucleare promessa da uno scienziato austriaco nazista Ronald Richter), per la fornitura all’Argentina del primo reattore nucleare tedesco a uranio naturale e ad acqua pesante costruito in Germania da Heisenberg durante il periodo d’interdetto alleato (prima del 1955) sulla ricerca nucleare in quel paese sconfitto.

Le versioni, fornite in seguito da Rivera e poi dalla moglie Violeta nel 2006, dopo la morte del marito, divergono in modo singolare dalla versione continuamente riportata da Recami. In effetti, Rivera rivelava sostanzialmente la verità, circondandola però di particolari falsi o inventati al fine di renderla incontrollabile. Tutto ciò riguarda, eventualmente il “dopo” e il “dopo del dopo”, mentre le lettere del 1938 contengono, racchiuse nel loro seno, le effettive intenzioni di Ettore, a data 26 marzo, appunto per quello che i suoi familiari stretti erano stati ammessi a conoscere, “dopo” lo sconcerto iniziale col silenzio dello scomparso e le vane ricerche.

La logica non ammette deroghe. Col suo agire volontario, sebbene a ciò costretto, Ettore non poteva giocare con gli affetti più sacri, la famiglia, cui era notoriamente molto attaccato. Pertanto non avrebbe mai potuto lasciare dietro di sé un mistero del genere. Se così aveva agito, e nessuno poteva averlo eliminato, allora le sue lettere devono contenere nelle loro pieghe un contro messaggio che spiegava la verità che non poteva essere detta altrimenti per causa di forza maggiore. In altri termini, il caso della fuga segreta in Germania, dove evidentemente era atteso, non solo era un segreto politico-militare, circondato dal massimo riserbo, ma era un vero scomparire, uno strappo, una presa di distanza, anche sotto il profilo soggettivo: una messinscena che serviva a coprire una fuga di scopo, apparentemente assurda e incomprensibile, volutamente ambigua e confusa, congegnata in modo tale che soltanto la famiglia avrebbe potuto capire, ma soltanto a cose fatte, e sicuramente dopo diverso tempo.

In effetti, queste lettere del 1938, dalla prima all’ultima, contengono una larga copia di segnali. L’esistenza di segnali e avvisi, che anticipano sottilmente i fatti successivi, si può spiegare solo e soltanto in questa direzione, a diretto ed esclusivo conforto dei familiari, esclusi gli estranei, in una scomparsa per lettera nella quale era stato coinvolto Carrelli come tramite necessario, e clamorosamente la famiglia appariva come l’unica vittima, sconcertando chicchessia e allontanando ogni sospetto.

Questa ipotesi dà finalmente un senso al caso in sé della fuga, che è il presupposto necessario sia in Sciascia che in Recami, a prescindere dalle conclusione di questi autori (rifugio in convento, fuga pirandelliana in Argentina).

9* Fantasiosi autori su Majorana hanno coniato invece una serie di congetture e d’ipotesi improprie e irrazionali, una più romanzesca dell’altra, non tenendo conto del fattore delimitante necessariamente impresso da Ettore alla sua scomparsa e non afferrando le sfumature ‘razionali’ delle lettere del 1938, con allusioni e una fitta serie di segnali coerenti e univoci.

Trascurando i documenti essenziali della scomparsa per lettera, non ricavandone le corrette conseguenze, ogni congettura è diventata possibile: ad esempio, anche che Ettore fosse stato ricattato per omosessualità o pedofilia, e perciò costretto a fuggire simulando il suicidio. Anzi, quest’azzardata ipotesi, del tutto infondata, ma rientrante nel novero del non impossibile, spiegherebbe certi dettagli: l’inevitabilità ormai della scomparsa, il falso motivo del suicidio, lo sparire dalla circolazione, le dimissioni dall’insegnamento, il silenzio, il romitaggio e la latitanza anche nei confronti dei suoi familiari. [Per cui Guerra e Roncoroni hanno scelto una strada pericolosa: il “caro estinto” non prova nulla, ma fa sorgere mille altre ‘domande’, persino sulla sifilide: basta leggere il recente saggio su Majorana del fisico portoghese Joao Magueijo, in cui si adombra persino questa possibilità sulla base di certe affermazioni fatte per lettera da Segrè ad Amaldi diversi anni dopo, sebbene il prof. Guerra abbia protestato, attraverso la Società Italiana di Fisica, contro il suo più giovane collega].

E dunque, perché no la fuga segreta in Germania? Fermì fuggirà in America (nel dicembre del 1938), Pontecorvo in Russia (nell’agosto del 1950). Segrè, nell’estate del 1938, si trovava già in America, lì intenzionato a restare, a ragione delle minacciate e imminenti leggi razziali del fascismo. Saggiamente, l’ebreo italiano prof. Emilio Segrè si era preparato un gruzzolo in Svizzera, al quale attingere in caso di necessità.

Perché Majorana la sera del 25 marzo 1938 si sarebbe imbarcato a Napoli, con dichiarati propositi di suicidio, sul traghetto diretto a Palermo, la città dove Segrè insegnava fisica sperimentale dal 1936? L’ipotesi del complotto, che fa leva soltanto questa circostanza, con Segrè che stava a Palermo, non sta in piedi: Majorana revoca il suicidio appena sbarcato a Palermo, e fa sapere che tornerà immediatamente a Napoli. Anziché parlare di complotto e omicidio tombale (col cadavere fatto sparire), si dovrebbe riflettere sul fatto che lo scomparso volontario, in questa maniera aveva ‘indicato’ Segrè, avendo già ‘indicato’ Fermi a Roma (testimonianza di Cocconi, ma non solo). Nei comportamenti apparentemente contradditori di Majorana c’è invece una logica sottile, tanto più che come regolare vincitore del concorso a cattedre del 1937, se non si fosse fatto ricorso alla procedura di una nomina speciale fuori terna per salvare la cattedra di Giovannino Gentile, Ettore sarebbe dovuto andare ad insegnare fisica teorica a Palermo, collaborando con Segrè (al quale aveva scritto da Lipsia, nel 1933, la scandalosa lettera che Segrè finse fosse andata perduta, ma che poi pubblicò nel 1988, guarda caso, ricorrenza del cinquantenario della scomparsa di Majorana).

Sembra che Guerra sia possibilista: forse Ettore fuggì in Germania, ma è sicuro che morì in Italia prima del 3 settembre 1939. Lo ‘diceva’ Padre Caselli, divulgando, a mezzo stampa, nel settembre del 1939, il gelosissimo segreto, noto soltanto a una parte della famiglia di Ettore, i due fratelli di Ettore, senza che la madre e la sorella Maria (e la sorella Rosina), lo sapessero, quando fu la madre a pagare le 20 mila lire di quella pia borsa di studio per nuovi sacerdoti, quando Maria, poi negli anni ’80, partecipò in prima persona alle ricerche di Ettore in Argentina avviate da Recami, e quando la madre di Ettore lo nominò per testamento, prima di morire nel 1965, all’età di 89 anni. Si può obiettare davanti agli argomenti di fede proposti da Francesco Guerra e da Stefano Roncoroni soltanto nel 2012-2013, certamente con un enorme ritardo?

Il “caro estinto” del Padre Caselli è tutto ciò che sono stati in grado di offrire: senza esibire, o poter mostrare, nemmeno la richiesta precedente, fatta da Salvatore al Caselli, che appunto gli rispondeva in quei termini. Lasciamo perciò l’incombente ai fautori della opposta teoria del complotto, che hanno tutto l’interesse a far fuori, da subito, il nostro Ettore. Lui, molto probabilmente, non era d’accordo. Difatti scappò in Germania. Lo sappiamo dalle sue lettere, e lo dimostreremo. La presenza di segnali coerenti – che si è preferito ignorare, ma che non potevano sfuggire ai familiari, che chissà per quante volte, quelle lettere, avranno letto e riletto – dà garanzia di autenticità e parimenti instrada l’interprete. Il morto del 1939 non è il morto del 1938. Si muore una volta sola. Si mettano d’accordo. Ma, soprattutto, provino la morte dello ‘scomparso’, giacché l’unico dato certo – in questa vicenda – è che Ettore non ricomparve a Napoli, per spiegare le dettagliate ragioni del suo comportamento come invece aveva scritto la mattina di sabato 26 marzo, utilizzando un foglio di carta intestata, che sarà sottolineato nel corpo della lettera stessa (questo stesso foglio).

Nel caso del “caro estinto” del 1939, lasciando comodamente da parte il presupposto della sparizione: per quali ragioni, con veri propositi iniziali di suicidio, oppure no?, sarebbe bastato che Ettore avesse fatto presente riservatamente ai suoi cari che erano fatti suoi e che loro non dovevano intromettersi: questa la giustificazione plausibile del “caro estinto”, una scomparsa prematura stante la giovane età, per quale causa non è dato sapere, forse un suicidio ritardato di un anno e più?, e non un gioco insensato a nascondino. Gli Autori avrebbero dovuto spiegarlo, ma non dicono nulla, preferendo moltiplicare gli enigmi, con la scusa di saper offrire la soluzione assurda del caso differente. Ma Ettore aveva evidentemente bisogno di uno scandalo, di un fatto clamoroso e incertissimo, che coinvolgesse direttamente la famiglia, in modo potenzialmente drammatico con l’affannosa ricerca del vivo, con la sua introvabilità che poteva dar adito al caso del suicidio de giorno dopo, almeno per gli estranei, rispetto all’ambito familiare stretto.

Nei “propositi suicidi” anche la valenza di un distacco forte da tutto, di una necessità ineluttabile (non “un solo granello di egoismo”!), e allo stesso modo una presa di distanza: soprattutto la Germania, escludendo la barbarie della persecuzione ebraica.

L’ammirazione che Majorana aveva per la Germania (di Hitler) e il rifiuto però della sciocca ideologia della razza (parole sue), sebbene riconoscesse che in Germania esisteva una questione ebraica, e parlasse pure di operazione chirurgica (sic: nel 1933), formeranno oggetto di un nostro intervento a parte, in cui analizzeremo specificamente questi aspetti, che potrebbero dipendere anche dal fatto che da studente liceale del terzo anno, a 17 anni, Ettore facesse parte di un movimento di destra, le Camice azzurre (nell’ottobre del 1922 ci sarà la marcia su Roma, all’epoca Majorana aveva compiuto 18 anni e si era già iscritto al primo anno della facoltà di ingegneria all’Università di Roma). Il ‘filonazimo’ di Majorana è accertabile.

10* La riunione segretissima di Berlino del 5 novembre 1937, c.d. “protocollo Hossbach”, determinava le linee guida della Germania nazista, dal passo imminente dell’annessione dell’Austria all’annessione dei Sudeti (e relative miniere di uranio), fino alla spartizione della Polonia col Patto Ribbentrop-Molotov.

La scomparsa di Majorana bilanciava, di fatto, la futura emigrazione di Fermi (da qui l’infermiera della lettera del 22 gennaio, che ricomparirà alla fine, restando sempre anonima: Ettore a Roma non aveva mai avuto un’infermiera). E serviva, altresì, da rimedio rispetto all’ebreo bianco, all’epoca sotto accusa, vale a dire il premio Nobel Werner Heisenberg, che non aveva la piena fiducia del regime, sebbene gran patriota.

Nell’ottobre del 1937 Heisenberg era presente con Fermi alle celebrazioni “Galvani”, a Bologna. Ettore, che aveva scritto la prolusione di quel Convegno per conto dello zio Quirino, trovò una scusa per sottrarsi. Eppure nel 1933 diceva un grane ben del tedesco, e gli invierà pure un biglietto quando gli sarà consegnato il Nobel, l’anno dopo.

La scomparsa di Majorana si poneva a ridosso di due settimane rispetto all’Anschluss dell’Austria (12 marzo 1938) e si collocava all’interno del confuso periodo della guerra civile in Spagna che difatti non era ancora terminata. Venti di guerra, ed equilibrismi diplomatici del dittatore tedesco, che inseguiva il suo programma dello “spazio vitale” sull’orlo di una crisi globale (com’era successo con la prima guerra mondiale). Il “Reich millenario” durò appena 12 anni (dal 1933 al 1945). Il 1938 si preannunciava come un anno particolare, dove tutto era possibile: la pace, se le potenze europee avessero lasciato fare a Hitler, non opponendosi ai suoi pericolosi ‘revancismi’ territoriali, oppure lo scontro, che si sarebbe prevedibilmente allargato.

La posizione dell’Italia Mussolini oscillava tra una politica comune con la Germania di Hitler, secondo il Patto dell’Asse Berlino-Roma del 1936, o il ritorno all’alleanza con la Francia (e l’Inghilterra). I semi di quest’ultima politica d’alleanze risalivano all’epoca di Giolitti (nella prima guerra mondiale l’Italia si era alleata con la Francia l’Inghilterra). Il patto militare con la Germania, il c.d. Patto d’Acciaio, fu stipulato a Berlino il 22 maggio 1939. Ai primi di maggio del 1938 Hitler era arrivato in visita in Italia, presenziando a Napoli, il 5 maggio, a una grande parata militare nelle acque del golfo. Il corteo di Hitler, che giunto in treno da Roma alla stazione di Chiaia, non sfilerà mai in via Depretis, sotto quelle finestre dell’albergo Bologna, dove Majorana aveva preso una stanza dal 23 febbraio 1938, dopo aver continuamente cambiato alberghi, senza mai stare in una pensione, come invece aveva fatto sapere il 22 di gennaio. Fra tre mesi vedrò il passaggio di Hitler. Così scriveva alla madre il 23 febbraio. Per scomparire a marzo.

11* Il progetto nazista dell’arma nucleare, trasportabile dai missili di von Braun (poi trasformati in “arma di vendetta”, ma il progetto iniziale risaliva al 1937), era di tipo alternativo rispetto al progetto americano del 1942, fondandosi su testate di piccola carica equivalente (100-200 tnt), di concezione mista (fissione-fusione). I tedeschi non ebbero un reattore da cui ricavare il plutonio fissile per una vera bomba atomica (20 mila tonnellate tnt equivalenti), e separare l’uranio fissile 235 dall’uranio naturale 238 era impresa disperata (gli americani ci riuscirono, ma non andarono mai oltre la loro prima e unica bomba all’uranio impiegata per prima sul Giappone senza averne effettuato il test preventivo: quello di Alamogordo fu il test della bomba al plutonio, di concezione assai più complicata, sebbene occorressero soltanto 9 kg. di materiale fissile rispetto ai 55 kg. della bomba all’uranio 235).

Tale progetto nazista, sconosciuto a Heisenberg e al suo contorno, non giunse a compimento. Fu una fortuna per la Germania stessa e per l’Europa. Tuttavia, i primi esperimenti esplosivi di tipo nucleare furono realizzati in Germania. Ed è questa la parte sconosciuta, non ufficiale, della storia della bomba atomica, di cui fu taciuta anche la consapevolezza antesignana di Fermi, trasformata in un brevetto ottenuto in America subito dopo gli esperimenti del 1934, tramite la massoneria internazionale di cui Corbino era un capofila.

Ettore, nella sua prolusione napoletana del 13 gennaio, accennerà anche alle scienze sociali (suo un articolo sulle leggi statistiche e l’arte di governo pubblicato nel 1942 da Giovannino Gentile) e alle applicazioni pratiche della fisica atomicadi portata più vasta e forse rivoluzionaria che l’avvenire potrà riservarci. Col suo genio, egli aveva capito che inevitabilmente, in un conflitto mondiale di lungo periodo, la bomba atomica, di cui Fermi e Slilard erano già teoricamente consapevoli, sarebbe stata costruita e impiegata. Quella nucleare sarebbe stata l’arma assoluta, decisiva in un non lontano futuro, potenzialmente capace di distruggere il pianeta. Perché il ‘caso’ di Majorana sarebbe dovuto essere un caso personale, un caso di c.d. sindrome di Asperger, anziché il caso di un fisico teorico nucleare d’avanguardia, già capace di previsioni scientifiche profetiche, come nel caso dei neutroni, nel 1932? Poteva essere il caso di un fisico di simpatie naziste, nel 1933 aveva parlato elogiativamente di rivoluzione, costretto a fare una scelta, a decidere da che parte stare in anticipo sui fatti bellici, però preventivabili e da lui stesso presagiti (si dice che fosse convinto dell’inevitabilità di un conflitto imminente, di larga portata, e che comunque ogni anno scommettesse sulla caduta di Mussolini, il che avvenne alcuni anni dopo, il 25 luglio 1943).

L’ucronia della ‘bomba atomica’ nel 1938, secondo Amaldi in polemica con Sciascia, e Sciascia in precedente polemica con Segrè, non teneva conto del fatto che i principi teorici della bomba erano già noti, anche prima della scoperta del bario radioattivo. [Ettore aveva compreso che i neutroni lenti scindevano il nucleo a goccia dell’uranio 235 isotopico in due elementi di peso quasi equivalente, il bario e il cripto, così liberando due-tre neutroni per la reazione a catena: incredibile, ma vero].

Impossibile che Ettore avesse compreso con largo anticipo quello che dal 1942 in poi sarà in America il Progetto Manhattan? Nel 2002 mi divertii a buttar giù uno strano articolo – molto meno fantasioso e romanzesco di come venne da me presentato – in cui facevo due affermazioni ‘straordinarie’: 1) che le lettere di Ettore contenevano la soluzione autentica del caso differente; 2) che Martin Bormann, segretario del partito nazista, ‘sapeva’ (ma questo attiene al dopo, che è ovviamente eventuale).

A quest’ultimo riguardo vanno citati due radio-messaggi del febbraio 1937 in codice “Enigma” della centrale nazista “Odessa” di Barcellona, captati dai servizi inglesi: “Un certo M. è pregato di mettersi in contatto con Martin Bormann” (Records FBI, Epionage).

Bormann era stato condannato in contumacia dal tribunale di Norimberga, ed è strano che fosse stato fatto in chiaro il suo nome e cognome, mentre è taciuta l’identità del misterioso M. L’enigmatica vicenda di Martin Bormann, fuggito dal bunker di Hitler a Berlino, la notte del primo maggio 1945, si sarebbe poi conclusa con la (falsa) riscoperta del suo cadavere (soltanto il cranio), a Berlino nel 1972. Mentre < M. > è rimasto completamente sconosciuto. I due radio messaggi sono autentici, quale sia stata la vera sorte di Bormann, se morto quella notte oppure se riuscì a mettersi in salvo, come capitò ad altri suoi compagni di fuga, per poi morire in America del Sud (come ancora si sostiene, nonostante gli accertamenti della magistratura tedesca nel 1972).

La fotografia pubblicata da Simon Wiesenthal nel 1989 nel suo libro più noto fu quasi sicuramente trovata addosso ad Adolf Eichmann, quando fu catturato in Argentina da un commando israeliano, mentre il terzo passeggero di quella foto, alto 168 cm., è rimasto ufficialmente sconosciuto (ma è impossibile che Eichmann non sia stato costretto a parlare). La foto, ripiegata in due, era di più ampio formato (se ne conosce una strana inversione speculare, mentre l’originale sembra irrintracciabile).

Fu sviluppata in Argentina. Sulla nave “Giovanna C.”, salpata da Genova alla fine di giugno del 1950, viaggiavano altri profughi nazisti dall’Europa. Uno di essi scattò la fotografia, da me notata da tempo e poi segnalata al prof. Giorgio Dragoni, dopo aver effettuato un primo riscontro con metodi elementari sui rapporti fondamentali dei triangoli del volto, coincidenti fino alla decima cifra dopo la virgola.

[Il prof. Ettore Majorana jr., fisico sperimentale, ha pubblicato sul web un confronto realizzato a computer, utilizzando il medesimo paragone divulgato da Repubblica, e poi su Italia 1, trasmissione Misteri, senza impiegare altre e migliori foto di paragone, sicuramente disponibili: il risultato principale raggiunto dal prof. Majorana jr. è, a mio avviso, nel senso che il cranio di un ragazzo di 17 anni, in foto tessera, non è il cranio di un adulto ormai formato]. Ripeto, ancora una volta, che tutto ciò riguarda, eventualmente, il ‘dopo’. Quando si parla di cose molto delicate occorre evitare gli equivoci e le affermazioni perentorie. Le ipotesi documentate sono invece legittime, a differenza delle conclusioni affrettate.

12* L’apprendista barbiere Antonio Versaci, allora un ragazzo, riferì molti anni dopo, di aver tagliato i capelli (barba e capelli bianchi) a un Padre cattolico, di passaggio presso il convento di gesuiti di Villa San Saverio, nei pressi di Catania (doveva essere successo all’inizio dell’estate del 1950). Da qui, la strampalata storia di mafia raccontata da Salvo Bella di “Majorana-Magrì” o “Finocchiaro”. Majorana sarebbe stato sequestrato dalla mafia, su disposizioni dei Servizi segreti americani, e tenuto segregato fino alla sua morte (dove sarebbe sepolto nessuno lo sa).

Il cugino Claudio (figlio di Dante Majorana), nel 1972 così si espresse: << La scomparsa di Ettore per me è stata sempre di difficile interpretazione. E’ inspiegabile la sua scomparsa, almeno per me come psichiatra, per diversi motivi. Si prende tutti i soldi per ammazzarsi, incassa lo stipendio, si porta il passaporto: mi sembra tutto assurdo. Può arsi che sia stato sequestrato, anzi sono proprio convinto di questa ipotesi. Io sono dell’idea che Ettore sia stato rapito da qualche potenza, perché l’intelligenza di mio cugino avrà fatto gola a qualche nazione, tant’è vero che fu chiamato a fare parte del Rochefeller Centre >>.

Con questa versione si preferisce ignorare la possibilità della fuga volontaria di un genio straordinario della fisica moderna, politicamente schierato.

Ma l’ipotesi del rapimento (mescolata da Amaldi a quella della fuga) non sta in piedi.

Ettore revocò la sua decisione appena la mattina dopo. Le lettere contengono segnali univoci. Quanto basta per escludere la congettura del caso esterno, cioè involontario, tanto più che il caso volontario era stato chiaramente anticipato dalla richiesta di denaro fatta da Majorana nella lettera del 22 gennaio (gli sbadati, ovviamente, non ci hanno fatto caso).

Ugualmente destituita di fondamento è la versione, data, sempre nel 1972, dal cugino Claudio (figlio di Dante Majorana): << Mi risulta, come del resto è noto, che Ettore era andato a Palermo per incontrarsi con Emilio Segrè. Del suo viaggio in Sicilia ci aveva informato per lettera scusandosi per il fatto che, con l’esiguo tempo a sua disposizione, non avrebbe potuto fare un salto a Catania. Sui motivi della visita all’illustre scienziato non ci aveva detto nulla. L’incontro a Palermo non ci fu perché Segrè era fori sede e mio cugino ripartì alla volta di Napoli >>.

I fautori dell’assurda teoria del complotto ai danni dello ‘scomparso’ iniziale devono fare i conti col thema decidendum rigidamente prefissato da Ettore con le sue lettere e i suoi comportamenti. Non solo: le stesse lettere di Ettore e le rivelazioni fatte poi da Occhialini su quanto Ettore gli avrebbe detto il 18 gennaio 1938 a Napoli escludono in radice questa assurda e non dimostrata prospettiva del rapimento o assassinio, contraria ai fatti accertabili e alla stessa ragionevolezza. Che questa ipotesi sia stata riportata da Amaldi, ma per escluderla, e poi sia stata ripresa in seguito – nel 1972 –questa volta per includerla, è il quasi segno evidente di un retroscena da tacere. Cioè: meglio morto, che ‘nazista’ (come se certe categorie fossero distinguibili nel 1938: purghe staliniane e persecuzione ebraica). L’ipotesi del complotto internazionale, vale a dire un presunto ma non dimostrato affare di Stato, è contraddetta dal modus operandi dello scomparso e dalle sua stesse lettere. Questa congettura è artificiale, costruita sul nulla. Pur tornando comodo a chi eventualmente intendesse proteggere e nascondere un non del tutto improbabile ‘segreto di famiglia’, il caso esterno e involontario dell’assassinio di Majorana non è stato mai apertamente richiamato.

La recente teoria del caro estinto del 1939 (perché soltanto adesso), funziona da sola. Senza tomba e senza certificato di morte: come, appunto, sostengono Guerra e Roncoroni, facendo a meno delle lettere dello scomparso, come se non fossero mai esistite. Tentativo ‘impossibile’ quello di Stefano Roncoroni( un Majorana per linea materna), appoggiato da Francesco Guerra, fisico teorico e custode di elevato rango accademico dell’Archivio Amaldi presso il quale giaceva uguale ritaglio della rivista dei gesuiti “Missioni” (novembre 1939), che si riferiva alla pia borsa di studio istituita a nome dello “scomparso” Ettore Majoana, alias il caro estinto della lettera di nulla osta del Padre Caselli (mentre la “lista Liotta” del deposito nel 1966 presso la Domus Galileana di Pisa delle carte di Ettore contiene in negativo elementi eloquenti dei primi tentativi d’infingimento).

Un equivoco verbale, per estensione di sinonimi, caratterizza la falsa prova, messa in bocca a terzi estranei, della prematura scomparsa di Ettore. Col pubblico annuncio di gelosissimo segreto. E la mancata esibizione della lettera di richiesta, con l’offerta (sic), cui seguiva il nulla osta del padre Caselli (per quale ragione?), circa l’stituenda pia borsa di studio di 20 mila lire nel settembre del 1939. Queste le prove di morte.

La logica del‘falso’ oppure l’equivoco scambiato per ‘teorema’? L’ambiguità domina sovrana. Gli enigmi vengono moltiplicati anziché essere risolti. Peccato che tutto s’infranga davanti alle lettere di Majorana, rispetto alle vere ragioni della scomparsa che metteremo in luce con lucidità, non la nostra, s’intende, ma quella del vero e unico Autore del suo “caso”, che era veramente un caso differente, senza un solo granello di egoismo. Un’improvvisa scomparsa che eraormai inevitabile: questa la definizione d’Autore che si è cercato invano di snaturare chiamandola “irrevocabile” (Roncoroni, 2013); ma vi si legge ‘dentro’ avviso / vivo / in vita (e già sarebbe bastato, se non ci fosse assai di più, compresi gli ulteriori dettagli, ultime parole di Majorana che chiudono la sua ultima lettera di sabato 26 marzo 1939, recante in bella evidenza, su quello stesso foglio di carta intestata, un sole all’alba e due numeri di telefono. Senza alcuna prova diretta e certa della effettiva presenza di Majorana a Palermo (rilevabile col c.d. cartellino alberghiero poiché non esistevano più i registri di firma).

13* Avevamo già messo in evidenza l’infermiera (= ‘in era Fermi’) citata nelle lettera del 22 gennaio. Adesso facciamo presente che l’unica lettera del 1938 che era priva dell’indicazione dell’anno dell’era fascista – anno XVI – apposta invece in tutte le altre lettere, anche in quella, privatissima, lasciata in stanza per la famiglia, era la prima lettera da Napoli, in data 11 gennaio, nella quale si parlava di un certo Caccemo, storpiatura volontaria per Cennamo, giovane assistente di Carrelli, nome già noto a Ettore che infatti leggeva Il Nuovo Cimento dove aveva pubblicato, nell’aprile del 1937, l’ultimo famoso articolo per il suo concorso a cattedre.

Nel maggio del 1937, sempre su Il Nuovo Cimento, era stato pubblicato un articolo congiunto di Carrelli e Cennamo sull’effetto Raman. Cosa che non poteva sfuggire a Majorana sempre aggiornatissimo. Dunque Ettore non poteva ignorare “Cennamo” (nato nel 1910), storpiandone il cognome in Caccemo (e non ‘Caccamo’). Cennamo diverrà marito della Senatore, la bella e bionda allieva di Majorana, alla quale aveva consegnato una cartella con i suoi scritti, il testo delle lezioni di fisica teorica (un capolavoro didattico), dicendole per due volte di seguito: Poi ne parleremo, poi neparleremo. Ettore sapeva già che non sarebbe tornato indietro. Per le orecchie fini quelle parole contenevano già un avvertimento (così come al loro interno contengono la sintesi geniale di tutte le future ipotesi si vorranno affacciare sulla misteriosa sparizione, sul suo mancato ritorno).

Carrelli è stato molto gentile (cfr., per il medesimo grado d’ironia, la lettera a Gentile del 21 novembre 1937, in cui Ettore dava la versione autentica della strana faccenda del concorso a cattedre del 1937 per fisica teorica, ironizzando su Fermi).

L’Istituto di Carrelli è povero, sebbene in ordine. Carrelli prepara le lezioni di meccanica con molti giochetti. L’occupazione dominante è quella degli esercizi, almeno per Carrelli e assistenti (il vecchio Maione e il giovane assistenteCaccemo). E dopo “Caccemo”: Vi è anche un professore di fisica terrestre difficile a scoprire. (Questo un altro segnale, che contiene già la rivelazione di un piano di scomparsa).

L’albergo “Napoli” è discreto, con prezzi ragionevoli; così è probabile che vi rimarrò per qualche tempo.

Sette giorni dopo, il fisico Giuseppe Occhialini, sbarcato a Napoli e proveniente dal Brasile, si sentirà dire che “se avesse tardato di qualche settimana non l’avrebbe piùtrovato” (parole di Majorana riportate dal fisico Occhialini in un’intervista di Bruno Russo negli anni ’90).

I fautori della teoria del complotto – rapimento o assassinio? – che hanno inventato ricamando sul nulla, trascurando i documenti fondamentali e ineludibili delle lettere dello scomparso, dovranno dire che anche Occhialini faceva parte del complotto, oppure che mentiva comunque? La mattina del 18 gennaio 1938 Ettire era già deciso a scomparire, mentre il 23 febbraio dirà che aspettava fra tre mesi il passaggio di Hitler in via Depretis, dove aveva preso alloggio, in certa stanza dell’albergo Bologna la stanza dove sarebbe dovuto tornare, la mattina all’alba di ‘domenica’ 27, ‘giorno del sole’, precedendo col suo arrivo a Napoli, all’alba, ore 5.45, il recapito materiale dell’espresso a Carrelli, che la mattina di sabato 26 aveva ricevuto, prima di tutto, come un fulmine a ciel sereno, un telegramma urgente di rassicurazioni, mentre altre due lettere erano in procinto di pervenirgli (sabato pomeriggio da Napoli e la mattina di domenica da Palermo).

Ettore andò a Palermo, e poi si mise a girovagare, qua e là, magari nelle campagne siciliane o sui monti del Cilento, per ‘giocare a nascondino’?

Ed è vizio comune di molti autori quello di fare a meno delle lettere, cosa in un certo senso evitata da Amaldi, il quale: 1) finse di non conoscerle, lasciandone però traccia; 2) ne sconvolse le date e i fatti, smentendosi da una riga all’altra (questa, nel 1966, la sua presa di distanza, assai eloquente, sotto il patrocinio dell’Accademia dei Lincei). Ovviamente, nessun caso di morte prematura. Non si è saputo più nulla. Così concludeva Amaldi il suo lavoro.

Mancando l’anno dell’era, adesso diventa chiaro per quale “era” quella scomparsa fosse ormaiinevitabile, senza un solo granello di egoismo. Si trattava dell’era Fermi, prevista in anticipo. Majorana era un veggente, un genio capace di prevedere i fatti scientifici e le azioni umane. Sapeva che Fermi sarebbe scappato in America: del resto, nell’Istituto di fisica di via Panisperna se ne parlava già dal 1936, facendo progetti (testimonianza del collega e coetaneo di Fermi, Franco Rasetti, che se ne andrà nel 1939).

Ettore forse si nascose, si ritirò in un monastero, per sempre, pur di evitare l’atomica, ancora lungi a venire, oppure si schierò?

L’ipotesi di Sciascia del ritiro in convento è chiaramente falsa. Oggi lo avremmo saputo; comunque, quel rimedio, all’insaputa di suoi cari, era già di per sé assurdo.

Roncoroni, il grande ‘rifondatore’ nel 2013 degli studi sulla “scomparsa” (questa la ‘verità a metà’), dice no a tutte le ipotesi precedenti. Questo, dunque, il senso ultimo delle affermazioni di Guerra e di Roncoroni: Ettore si mise a ‘giocare a nascondino’, fino a essere ritrovato, ma fuggì di nuovo. Morì prima del 3 settembre 1939. Nessuno sa indicare dove sia stato sepolto, dove si trovi attualmente il cadavere datato e riconoscibile. La morte di Ettore la apprendiamo da un estraneo, il Padre gesuita Ettore Caselli, che non aveva a disposizione il certificato di morte, che infatti è sempre mancato. Si tratta, ovviamente, di un puro argomento di fede, del tutto analogo a quello del prof. Zichichi, che a Majorana intestò, nel 1963, il centro di Erice. Perciò Ettore, che era un “credente”, non poteva suicidarsi: ce lo garantisce il suo confessore, Monsignor Riccieri che violando il segreto del confessionale, fece sapere che Majorana aveva delle crisi mistiche (Zichichi divenne il genero di Gilberto Bernardini, che nel 1974 a Pisa rivelò a Giorgio Dragoni che Ettore era andato in Germania). Mentre tutto il contrario asseriva nel 1966 Edoardo Amaldi, affermando che Majorana non era praticante, pur dicendo espressamente, in una lettera del 1937 a Giovannino Gentile, che lui aveva ricevuto un’ottima educazione religiosa (Majorana aveva studiato a Roma, presso i Gesuiti, scolaro collegiale a soli 7 anni).

14* I fautori del complotto insistono appellandosi a un dossier segretissimo inglese il cui file d’intestazione, o semplice etichetta, fu rinvenuto da Guido Abate su Internet.

Nell’etichetta del dossier si leggeva il nome di Zedick-Charles Price, ebreo russo emigrato in Scozia e qui naturalizzato a Glasgow col nuovo nome e cognome inglesi. Guarda caso, proprio quel “Carlo Price”, il terzo passeggero “inglese” della cabina n. 37 a tre letti, in cui avrebbero viaggiato insieme, quella data notte (ma bisognerebbe domandare a Recami perché ha cambiato ‘data’ da un’edizione all’altra senza una riga di spiegazione), Vittorio Strazzeri, professore di geometria in relazioni con Segrè a Palermo, Ettore Majorana (se non lui un giovane con tutti i capelli), e l’inglese Price, che però parlava in dialetto del sud Italia, a dire di Strazzeri, che fu l’unico testimone a bordo.

Secondo il prof. Vittorio Strazzeri, Price aveva un aspetto da commerciante, non da intellettuale (tanto meno da inglese). Quindi, Ettore è stato eliminato a Palermo, oppure fu seguito da una spia, che poi lo avrebbe eliminato a Napoli (il lettore deve ricostruire da solo la trama del complotto, sul presupposto che meno di 12 ore dopo Ettore aveva già disdetto tutto quanto, appena sbarcato a Palermo da mancato suicida destinato a sparire soltanto per tre giorni, per essere invece ammazzato. Questa la versione assurda di un Majorana stupida vittima.

La versione Guerra-Roncoroni fa di Ettore un caso di lucida follia del tipo Asperger, per giocare a nascondino. La versione complottista, che è inconciliabile con la precedente, fa di Ettore uno stupido. Che bella musica. Quando le lettere del 1938 pullulano di segnali, evidentemente diretti alla comprensione (ex post) dei suoi familiari (qui conta il dato oggettivo), e di essi soltanto, mentre stando ai fautori di Ettore matto o stupido si rimane sempre nel dubbio in che misura la trama della scomparsa fosse unitaria e dolosa, oppure spezzata in due come fu fatta sembrare: il confine tra il ‘prima’ (intenzioni di suicidio) e il ‘dopo’ (promesso ritorno all’albergo Bologna) rimane altrettanto indecifrabile stando a questo genere di autori.

La soluzione certa della trama dolosa ci proviene dai comportamenti di Ettore e dalle sue lettere. In tale direzione si collocavano Sciascia, Recami, Esposito, e la Bonolis. Ma dipende anche dal “perché”, mentre il cadavere seguita a mancare.

Il teorema logico è che se il cadavere mancò fu perché Ettore fu eliminato? Invece poteva mancare perché Ettore volle eclissarsi. In tal caso, ‘perché’ lo avrebbe fatto? Quale ‘ragione’ può soddisfare tutte le condizioni richieste dal caso differente da quello di una ragazza ibseniana, poiché la famiglia fu certamente vittima?

Incidentalmente, va riferito che il drammaturgo Erik Ibsen si portò a Berlino, e da qui a Roma, e poi in Campania. Ettore conosceva questi dati biografici? Il dramma di Ibsen cui poteva riferirsi, era forse La donna del mare?

La presenza a bordo di “Carlo Price” è singolare: da quella cabina sparirono nel nulla due passeggeri su tre. Mentre è possibile che il giallo preveda anche la sparizione contemporanea di tre persone.

Un “inglese” avrebbe dovuto lasciare delle tracce a Palermo e a Napoli. Sembra invece che di “Carlo Price”, tirato in ballo da Salvatore Majorana, nulla di più si sapesse.

Ci furono contatti diretti tra i fratelli di Ettore e il prof. Strazzeri, e, indubbiamente, intercorse in data precedente un’altra lettera, che tuttavia non è stata mai resa nota. [Ecco qui un’altra singolarità. Vittorio Strazzeri e Vincenzo Sole, quest’ultimo il proprietario del “Grand Hotel Sole – Palermo”, dove però non risulta che Ettore abbia alloggiato, nemmeno per alcune ore, senza dormirci, hanno iniziali identiche: VS = VS, e, se vogliamo, EM = 17 = CP, qui stando al valore numerico come da alfabeto delle iniziali dei nomi e cognomi].

Essendo intercorsa una lettera precedente di Strazzeri, perché questa lettera mancherebbe? La prima domanda da fare a Strazzeri era su ‘come’ fosse vestito quel giovane passeggero con tutti i capelli.

Non risulta che tale domanda sia stata fatta. Ma non poteva non essere stata fatta. Sciascia, invece, ricama su una versione che in sostanza è assurda, quella dello scambio di persona fatto da Strazzeri tra i suoi due compagni di viaggio. Strazzeri non doveva aver parlato con l’inglese, che rimase muto, bensì con un giovane, somigliante a Ettore, al quale Ettore aveva dunque ceduto il suo biglietto, lì sul molo a Palermo, anticipandone l’acquisto da parte di questi. Combinazione felice, fortuna assai occasionale, senza considerare che ben difficilmente Strazzeri poteva aver fatto confusione tra un “inglese” e un giovane “saraceno” minuto ed esile, dai tratti somatici inconfondibili e con folti capelli neri.

Ci fu forse una sostituzione di persona con un soggetto prescelto ad hoc e una spia assassina a bordo della cabina n. 37? Peccato però che Zedick-Price fosse morto a Glasgow, un mese prima, in età di oltre la sessantina.

Ma come fidarsi degli inglesi, che per ragioni di privacy avrebbero ‘segretato’ per la durata di un secolo (dal 16 novembre 1927 al 15 novembre 2027) un innocuo dossier, il cui file fu immesso su Internet in anni recenti, dove per l’appunto lo ritrovò Abate?

Un dossier che riguardava un morto del mese di febbraio 1938, sic, appena un mese prima, ma che fu subito reso accessibile, a pagamento, immediatamente dopo l’avvio delle indagini da parte della Procura della Repubblica di Roma sul caso Majorana in Argentina?

Non c’è nulla che quadri. In particolare se si faccia riferimento all’intercettazione da parte dei servizi segreti inglesi dei due radio messaggi in codice Enigma del febbraio del 1947 a proposito del misteriosissimo M.

Se Zedick significa “giusto” in lingua ebraica, allora uno che si faceva chiamare Giusto fu agente inglese doppiogiochista nel 1943, in Italia, interamente gestito dalle forze dell’Asse (fonte Melton Davis, da me recuperata: sebbene su Episteme Forum, consultabile sul web a proposito del caso Majorana, si preferisca tacere che sono stato io, ancora un volta, a rintracciare il dato).

Nessuno sa quali fossero il nome e cognome originari dell’ebreo russo “Zedick – Charles Price”? Se è così, non si può affermare nulla circa la presenza a bordo di “Carlo Price”, se non che sparì pure costui. Un inglese a bordo esclude già la matrice occidentale di un (assurdo) delitto di Stato, mentre Strazzeri si recava spesso in Germania, dove viveva una sua figlia sposata con un medico tedesco (anche la sorella maggiore di Ettore aveva sposato un buon tedesco: la coppia viveva a Milano).

Dalla cabina n. 37 sparirono nel nulla due passeggeri su tre. Ed è possibile che sia sparita nel nulla anche una terza persona: il ‘vero’ Ettore Majorana. Ciò fa parte degli ulteriori dettagli.

I tre giorni del lutto, secondo congruenza logica, equivalgono a trein giro o a un giro in tre. Tre scomparsi, e non due; oppure uno soltanto?

Sciascia e altri autori a seguire maneggiarono, senza accorgersene, la ‘kriptonite’ del “caso Majorana”. Chi viaggiò su quella cabina n. 37 insieme a Strazzeri e quando avvenne il viaggio di ritorno in nave da Palermo a Napoli? La notte del viaggio fu quella tra sabato 26 e domenica 27 (Recami, senza un rigo di spiegazione, si corresse da una dizione all’altra, fino a stabilizzarsi sulla notte tra sabato e domenica). Chi ricopiò supinamente le date di Recami nelle prime due edizioni del saggio, si è dimostrato particolarmente disattento.

E’ vero che Ettore Majorana (rivelazioni 2012 di Stefano Roncoroni autore di altri due importanti articoli su Il Nuovo Saggiatore e su Nuova Storia Contemporanea) nel telegramma proveniente da Palermo e indirizzato all’albergo Bologna, diceva che sarebbe tornato lunedì, in contrasto con quanto lasciava intendere per lettera in data di sabato: ritornerò domani all’albergo Bologna; ma anche queste contraddizioni altro non sono che importanti messaggi, di cui vedremo in seguito il significato e lo scopo.

Il “caso Majorana” è il caso specifico di un genio, non di uno stupido qualsiasi o di presunto folle allo sbaraglio. Il documento essenziale del suo apparente enigma sono le sue stesse lettere: chi saprà interpretarle, senza alcuna violazione logica e senza distruggere i fatti reali, avrà risolto il giallo della misteriosa scomparsa. Del resto, Ettore si era affidato a quelle lettere, inserendovi il thema decidendum per i suoi cari, perfettamente delineato e ritagliato senza alcuna ambiguità o altra possibilità.

La faciloneria – è il caso di dirlo – con la quale si è preteso di fare a meno delle lettere per lasciarsi andare a ipotesi insensate, irrazionali in termini di possibilità di riscontro fattuale e comunque impraticabili, oppure assurde e liberamente inventate, rivela da sola (pars destruens) che ciò è derivato dall’aver superato i limiti precisi consentiti da quelle lettere. Ciò vale anche per il caso della morte precoce del 1939. Chi ha preferito fare quest’asserzione, fondandosi su documenti non probanti, ha però evitato di confrontarsi con le lettere di Majorana. Ne è sortito il solito pasticcio all’italiana per cui le contraddizioni insanabili coesistono tra di loro, ignorandosi l’una con l’altra. Il rifugio in convento, il vagabondaggio, la fuga in Argentina nel 1938, il complotto, e il caro estinto del 1939 sono ipotesi false e irrazionali, destituite di fondamento. Tanto per esse chiari, giacché è stato un pasticcio.

15* Occorre prendere in esame le varie ipotesi sulla “scomparsa” per metterne in luce la loro incoerenza o illogicità ovvero l’illiceità di certe (ri)costruzioni.

La pars destruens è funzionale alla pars construens poiché il thema decidendum fu rigidamente prefissato dallo scomparso. In questo senso Ettore non avrebbe potuto lasciare scoperto neanche il problema del presunto viaggio di ritorno e della cabina n. 37. Perciò abbiamo un solo testimone, Strazzeri: che per di più è incerto, ed è anche condizionale; e non abbiamo, cioè, due distinte testimonianze confrontabili, come invece ci si sarebbe dovuti attendere.

Il che non è un punto a favore della presunta ipotesi dell’assassinio per un “affare di Stato” (con Ettore eliminato a Palermo), e nemmeno del suo pedinamento fino a Napoli, per poi qui eliminarlo appena sbarcato (lo esclude la testimonianza di Strazzeri, riferendo che uno di essi, certamente non il giovane con tutti i capelli, non confondibile in questo ricordo, parlava in dialetto del sud Italia).

Era già giorno chiarissimo. Il 27 di marzo, alle ore 5.45, il sole si stava già innalzando dalla parte del molo. Strazzeri assicurò che quel passeggero si era levato ed era sbarcato (la domanda rivoltagli riguardava principalmente questo fatto).

La singolarità aggiuntiva di Vincenzo Sole e Vittorio Strazzeri sembra rimarcare l’ennesimo “avviso”.

Che Ettore potesse essere a bordo dipendeva comunque dal fatto che si fosse recato a Palermo. E a Palermo sarebbe dovuto andare, se il concorso a cattedre non fosse stato così anomalo; ma Ettore, a Palermo con Segrè, è impensabile.

Perché andare a Palermo, senza indicare la nave, con intenzioni suicide? Buttandosi dalla nave durante il viaggio di andata in mezzo al mar Tirreno di sicuro il cadavere, qualora fosse stato ripescato, non sarebbe riapparso dopo pochi giorni, e poteva anche sparire per sempre (così sarebbe stato, per i sostenitori dell’ipotesi del suicidio, come Bruno Russo, durante il viaggio di ritorno). Ma allora perché Ettore aveva aggiunto quei tre giorni per lutto? La scomparsa registrata è quella del vivo che diceva che sarebbe tornato. E ci sarebbero state un paio di fugaci apparizioni a Napoli nei giorni successivi. L’ipotesi della fuga è quella più solida. Voleva uccidersi, ci ha ripensato, ha fatto sapere che sarebbe ritornato, ma poi non ha più avuto il coraggio di mostrarsi a nessuno, evitando anche i suoi familiari. Ma come in un disegno a doppia immagine della psicologia della Gestalt (la donna vecchia che diventa giovane se di dà un’altra guardata allo stesso disegno illusorio), ecco che la stessa identica trama si presta ugualmente all’ipotesi della fuga programmata, dolosa e preordinata, con Carrelli come tramite necessario utilizzato ad hoc, moltiplicando così i messaggi (le tre ultime lettere, alla quale potremmo aggiungere la lettera del 19 marzo, che è la quart’ultima, il cui raccordo col lettere seguenti è perfettamente dimostrabile, distruggendo le labili convinzioni degli autori che si sono occupati del caso facendo a meno di riflettere a dovere su dettagli invece importantissimi, come certe parole che si ripeteranno: lunedì e telegramma).

Le lettere del 1938 costituiscono un unico insieme, non è possibile distinguere un prima o un dopo. La scomparsa non era improvvisa. Certi autori come B. Russo, U. Bartocci, S. Roncoroni e F. Guerra si sono semplicemente sbagliati, scivolando sul tema decidendum introdotto dall’Autore vero in una scomparsa per lettera.

LE IPOTESI SULLA SCOMPARSA

1* Ettore si uccise buttandosi in mare dal traghetto che mentre da Palermo ritornava a Napoli? Fu forse eliminato dagli agenti di qualche servizio segreto? Fuggì lontano per la vergogna, a causa di un gesto estremo, di cui alla fine gli mancò il coraggio? Si ritirò in un convento? Partì invece per l’Argentina? Fece il vagabondo? Fuggì segretamente in Germania? Che altro ancora?

La sua scomparsa fu forse una recita quantistica, un salto quantico, uno stato di sovrapposizione che soltanto un corretto atto di osservazione potrebbe risolvere?

Niente cadavere e nessun’altra notizia. Soltanto il silenzio. Un silenzio inspiegabile oppure un silenzio significante?

Ambigua è la teoria giuridica del silenzio. Può significare assenso oppure il contrario, almeno quale nulla sententia. Dipende dal suo presupposto ‘normativo’. Il silenzio è certamente ambiguo. Il successivo silenzio di uno che aveva detto di ritornare (ma domani domenica oppure lunedì ?), è più che altro un silenzio significante.

Recami conosceva l’esistenza e il testo del secondo telegramma da Palermo per l’albergo Bologna di Napoli. Il suo errore iniziale (1987, 1991), sulla data del viaggio notturno di Strazzeri, dipendeva dal fatto che Ettore scriveva a Carrelli: “Ritornerò domani all’albergo Bologna”, e, al Bologna, che sarebbe tornato “lunedì”. [Il testo di questo telegramma è stato reso noto di recente ed è certificato da Stefano Roncoroni].

Fu una “scomparsa” ambigua, e “clamorosa”, com’è stato correttamente osservato da Roberto Finzi; ma una scomparsa pressoché inspiegabile? Apparentemente, senza alcuna ragione, tranne certi dichiarati, ma non ben esplicitati o chiariti propositi suicidi: tanto, per dover scomparire per sempre? Scomparire, e morire, non sono sinonimi necessari. Il lutto non c’è stato, ci fu invece la scomparsa.

Era forse “scomparso” l’uomo in crisi o lo scienziato nucleare di somma levatura?

Possiamo prestar fede alle dichiarazioni scritte dello ‘scomparso’, alquanto ambigue e contraddittorie, o dobbiamo supporre un inganno, per insondabili motivi?

E quando avrebbe cominciato a mentire, ovvero, l’auto-rappresentazione della scomparsa e la ricostruzione dei fatti certi, portano forse a ipotizzare una trama unitaria, dolosa e preordinata, rispetto alla trama apparente, fatta apparire come spezzata in due, il prima e il dopo, con un esito finale enigmatico e indefinibile?

Non si può prescindere da tale inquadramento logico, di tipo generale, e nemmeno da un’attenta analisi critica delle sue lettere, dei suoi stessi passi, e delle sue ‘mosse’. Facendo attenzione a non argomentare arbitrariamente, o a lasciare dei ‘buchi’ logici.

Perché se Ettore – com’è chiaro – non fu eliminato, come invece ipotizzò (per primo) il cugino Claudio nel 1972, allora le uniche vittime della scomparsa furono i suoi cari. Ma Ettore non si è nemmeno suicidato, buttandosi a mare durante il viaggio notturno di ritorno a Napoli da Palermo, sempre in nave. Tutto ciò lo si ricava dalle sue lettere se si sa interpretarle complessivamente e con chiarezza razionale (mestiere ga giuristi e da avvocati).

Come poteva ingannarli, così crudelmente, i suoi cari familiari, l’affezionatissimo Ettore, che da ‘aspirante’ suicida, ma rassicurando Carrelli, promise il suo ritorno, con relative spiegazioni rimanendo a disposizione per ulteriori dettagli?

E in che misura il suo era un caso differente, senza un solo granello di egoismo? Non si stava comportando come una ragazza ibseniana? E quando avrebbe mentito?

Il suicidio in mare, consumato durante il viaggio notturno di ritorno a Napoli, frutto di massima disperazione, non trovava supporto nella mancanza del cadavere. Né si poteva parlare di “scomparsa a bordo”, secondo la terminologia giuridica delle norme sulla navigazione, allora in vigore (si sarebbe dovuto buttare con tutto il cappello; i biglietti di viaggio furono ritrovati dalla “Tirrenia”, sebbene non esibiti: ma i fratelli di Ettore non tralasciarono di appurare questi importanti particolari, restando solo da sapere se fosse proprio lui, Ettore in persona, il terzo passeggero della cabina n. 37, occupata da Strazzeri e certo “Carlo Price”). Infine Ettore sarebbe stato viso a Napoli nei giorni successivi; ma era veramente lui?

Perché Segrè lo vorrebbe affogato in mare? Perché, questa, l’ipotesi che trovò più credito fra gli amici, come affermava Amaldi nel 1966, poi ripresa nel 1997 da Bruno Russo e supportata da conformi ‘impressioni luttuose’ della sorella Maria?

La pretesa ricostruzione di F. Guerra e di S. Roncoroni è in netto contrasto con le dichiarazioni ufficiali e i comportamenti dei vari familiari. L’ipotesi del complotto è in contrasto netto con le dichiarazioni e i comportamenti di Ettore.

2* L’alba è l’ora dei suicidi: ma le acque del golfo avrebbero restituito la salma (Amaldi 1966). Si buttò di notte, in alto mare, col ponte della nave – lo sostenne il fratello Luciano – occupato da un battaglione di soldati che rientravano dall’Africa?

Lo videro sbarcare a Napoli (si disse anche questo); ed era lui a presentarsi, nei giorni successivi, presso uno o due conventi della città, chiedendo di poter fare degli “esercizi spirituali”, mentre l’infermiera (rimasta sempre senza nome) riferì alla polizia di averlo visto a Napoli, vestito allo stesso modo (come faceva a saperlo?) in cui Ettore abbandonò l’albergo Bologna, quel pomeriggio del 25 marzo?

Ettore che si sarebbe suicidato la notte successiva (o altrove, gettandosi perfino nel cratere di un vulcano), è un’ipotesi che non regge.

Il mito dell’eternità del mistero impenetrabile sarebbe stato costruito sul dolore dei suoi familiari, colpiti due o tre volte di seguito? L’incertezza è molto peggio della disperazione. Le ragazze ibseniane lo dicono ma non lo fanno, mentre lui lo disse e lo fece, dichiarando però di ritornare?

Come mai non si era fatto più rivedere all’albergo Bologna, e come poteva muoversi tranquillamente, per Napoli, quando ormai lo ricercavano assiduamente i familiari e la polizia?

La polizia aveva mille informatori, e mille occhi ovunque. E dove avrebbe alloggiato, e come si sarebbe nutrito, come avrebbe fatto a sottrarsi, a nascondersi, sebbene disponesse di molto denaro liquido, ma chi vuole uccidersi non si porta via il denaro con sé, per buttarsi in alto mare.

Per ogni domanda si può escogitare sempre una buona risposta. La gamma è infinita ed è inesauribile; però, contano soltanto le riposte giuste, quelle coerenti col sistema. E non è una risposta coerente quella che fa leva sul complotto, sottintendendo che la mancanza del cadavere deriva da un evento esterno, mirato alla eliminazione di Ettore, che sarebbe caduto in bocca ai propri carnefici. Se manca il corpo, si deve supporre la scomparsa volontaria, ma non per giocare a nascondino.

Abbiamo già messo in luce le ragioni dirette per cui è assurda la trama del complotto.

I ‘facili’ fautori di questa ipotesi, contraddetta in modo assoluto dalle lettere e dai comportamenti di Ettore, oltre che da chiare ragioni di concreta opportunità sia per la presunta vittima, che per i presunti attentatori, dovrebbero tra l’altro spiegare il vivo, che ancora si sarebbe aggirato per Napoli.

I ‘facili’ assertori del “caro estinto” nel 1939 – senza alcun certificato di morte o di sepoltura, senza tomba, senza memoria o pietà funebre – dovrebbero invece dar conto, oltre che del cadavere e del passaporto mancanti, anche del gioco a nascondino, altrimenti conseguibile senza correre rischi di ritrovamento. Se non si fa attenzione alle sfumature, se si tagliano fuori arbitrariamente gli elementi che non quadrano, se non si guarda al sistema globale messo insieme dallo scomparso e al thema decidendum posto dalle lettere e dai comportamenti certi, si ripeteranno sciocchezze. La scomparsa di Majorana è un giallo d’Autore, non una vicenda opinabile e vaga.

Ettore aveva forse costruito una “clamorosa” scomparsa a tavolino, tanto per fare un dispetto ai suoi cari: la madre, i fratelli e le sorelle, facendoli disperare? Oppure intendeva veramente uccidersi, ma con i soldi e passaporto, sapendo persino nuotare, e poi, avendoci ripensato, non ebbe più il coraggio di ricomparire, nemmeno davanti a Carrelli, che certamente si recò al Bologna per accertarsi che fosse tornato, quando avrebbe potuto azzerare quel maledetto meccanismo, che lui stesso aveva innescato, con una semplice telefonata da Palermo?

Il suicidio e l’omicidio per un presunto “affare di Stato” spiegherebbero la mancanza del cadavere, almeno a certe condizioni; ma se si fosse trattato di una fuga dolosa, col preciso intento di non farne capire agli estranei le ragioni e la vera destinazione?

I ‘faciloni’, i costruttori di falsi e insensati teoremi (‘falsi’ perché contro i testi scritti delle lettere e contro i fatti accertati; ‘insensati’ perché contro la logica e il modus operandi di qualsiasi servizio segreto: per essere eliminato, Ettore non doveva certo recarsi a Palermo per parlare con Segrè, che non era suo amico, e col quale non intese mai collaborare scientificamente, altrimenti sarebbe andato direttamente in cattedra a Palermo, l’Università che aveva richiesto, e avviato, il concorso nazionale del 1937, fautore Fermi; ‘assurdi’ senz’altro, sebbene costruiti su misura, certi teoremi, giacché Ettore, se avesse avuto qualche sospetto, o necessaria percezione di un grave pericolo di vita, non avrebbe mai preso la scusa di scomparire da falso suicida, gettandosi poi nelle fauci dei suoi assassini, e conferendo a costoro un alibi perfetto, da perfetto idiota), dovrebbero dunque riflettere a fondo sulla palmare assurdità delle loro congetture, spacciate per verità logiche, e non continuare a giocare su “Price-Zedick”, veramente ultima spiaggia per una versione, tanto infondata quanto priva di ogni riscontro, ricavata arbitrariamente da presunzioni a cascata, il cui primo anello è inesistente.

Ettore si è servito della richiesta, a lui non necessaria, di soldi in data 22 gennaio, per significare ai suoi cari che era proprio quella richiesta della parte liquida dell’eredità paterna uno dei principali segnali espliciti della sua futura sparizione: difatti, riscosse materialmente quelle somme poco giorni prima del 25 marzo, ciò significando che non gli occorrevano proprio. La lettera del 22 smentisce tutti gli inventori di soluzioni gratuite, distratti e incapaci di deduzioni esatte.

Sul piano logico, a prescindere dai fatti principali e poi dalle circostanze minori, tutto ciò assolutamente in contrario, la mancanza del cadavere sarebbe spiegata con quel che invece si doveva dimostrare. Da qui il falso “teorema” dell’affare di Stato, che è il solo e unico frutto dell’aver ricopiato supinamente i due fondamentali errori di Recami nelle prime edizioni: 1) la data del viaggio di ritorno a Napoli, che Recami fissava nella notte tra domenica 27 e lunedì 28, per poi cambiare idea, ma senza una riga di spiegazione nelle edizioni successive; 2) la data della consegna della cartella alla Senatore, che contro le stesse dichiarazioni dell’allieva di Majorana, Recami si ostina ancora a riportare alla data di giovedì 24 marzo, che era stato giorno di lezione, e non a venerdì mattina, giorno 25, che non era giorno libero.

Gli errori più, o meno, inspiegabili di Recami, hanno generato l’assurdità dell’Affare di Stato, sul presupposto che Ettore fosse rimasto due giorni a Palermo. Ma non c’è alcuna prova, certa e indubitabile, che Majorana si sia recato a Palermo. La mancanza di finezza di certe trame fantasiose è evidente. Si dà tutto per scontato, lasciando un mare di vuoti. Peggio ancora, andando a sbattere, in rotta di collisione, contro le lettere dello scomparso, che non ammettono tale possibilità. A questo punto è compito dei lettori spiegarsi da soli tutto il resto che manca, e le assurdità dei presupposti. Simili affermazioni di complotto e altro, non sono nemmeno delle congetture, ma fantasie gratuite, derivanti da incapacità critica evidente.

I ‘facili’ inventori della morte precoce di Ettore nel 1939, dopo aver girovagato qua e là, chissà dove, presumono e inferiscono la certezza dell’evento, contraddicendosi da una pagina all’altra, rispetto a quanto dovevano poter dimostrare per primi, giacché l’evento morte si prova col cadavere o per equivalente altrettanto certo (ad esempio il certificato di morte, la tomba, oppure mostrando il passaporto di cui Ettore disponeva, come prova certa almeno di un esito di avvenuto ritrovamento).

Questi ‘facili’ inventori di ‘assurdità’ o di ‘falsità’, fa lo stesso, evidentemente ignorano il principio logico – generale e indefettibile – dell’onore della prova: onus probandi incumbit eo qui dicit.

Dimostrato che il caro estinto è espressione effettivamente impiegata dal Padre Caselli nel settembre del 1939, torna superfluo l’accenno del corrispondente nulla osta. Si trattava, invece, di un equivoco verbale, per nulla indicativo della morte certa. La rivista Missioni dirà “scomparso”. Il fatto ‘costitutivo’ non è stato provato, mentre è provato in re ipsa il fatto ‘impeditivo’.

Manca la lettera, o istanza o richiesta di Salvatore, mentre fu la madre ad erogare la somma, e non è possibile – in tutta evidenza – lasciare a un terzo la ‘dichiarazione’ del fatto ‘costituivo’ della morte su ‘oggetto’ a lui estraneo.

Costoro, i ‘faciloni’, lasciano ai loro lettori l’incombente di completare o di razionalizzare quanto essi hanno omesso o non gli è riuscito provare. Siamo ad argomenti di fede oppure all’ipse dixit. Pura autoreferenzialità.

La logica processuale della ricerca della verità non potrebbe tollerare un tale modo di procedere. Non c’è alcuna prova semiplena, bensì un banale equivoco verbale ‘tra e tra’, che dallo “scomparso” riporta al “caro estinto”, e viceversa. I lettori di simili amenità, se criticamente acuti e avveduti, rimarranno perplessi; se digiuni e profani, sapranno infine quanto già sapevano prima:praticamente nulla.

E’ perfettamente esatta, e condivisibile, quell’affermazione testuale di Roncoroni che le ricerche sul caso Majorana dovranno ripartire da zero. I risultati cui si è arrivati sono rimasti tali e quali erano in precedenza: cioè praticamente zero. Le uniche cose nuove, serie e dimostrate, le stiamo dicendo noi, per la prima volta dopo tanti anni di chiacchiere e di invenzioni.

3* A questo punto facciamo un elenco delle congetture fino ad oggi affacciate:

  1. suicidio

  2. volontario ritiro in convento

  3. rapimento od omicidio tombale da parte di forze straniere

  4. volontario espatrio in Germania (in subordine, per lavorare con gli scienziati nazisti)

  5. fuga in un paese lontano (per esempio in Argentina)

  6. morte precoce, prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, per ragioni sconosciute

  7. assassinio casuale (Ettore aveva con sé una rilevante somma di denaro), oppure fuga volontaria e relativa scomparsa perché ricattato (scandalo pesante). [Ipotesi residuali, non necessariamente in alternativa l’una rispetto all’altra].

***

La “scomparsa” volontaria si potrebbe forse allineare, a date condizioni, a una scomparsa “involontaria”?

In altre parole, Ettore non avrebbe predeterminato, in modo autonomo ed esclusivo, il thema decidendum del caso differente (il che è falso). Ragion per cui, ci sarebbe spazio anche per terze ipotesi. Quest’ultimo assunto è palesemente errato: il caso era già differente rispetto al termine di paragone unico possibile di una ragazza ibseniena già dal 26 marzo mattina. Perché dovrebbe essere nuovamente differente dopo? Fino a prova contraria quella è la lettera di un vivo. Mentre non può escludersi un delitto venale, d’occasione, sebbene torni molto strana e inverosimile la sparizione procurata del cadavere subito dopo una rapina. Potrebbe essere avvenuto di notte, durante il viaggio di ritorno, precipitando a mare il tramortito? Ma la testimonianza di Strazzeri non lascia scampo: quel passeggero notturno si levò dalla sua branda e sbarcò sano e salvo che era giorno chiarissimo. Ma Ettore non poteva essere stato ammazzato a a Palermo, in quelle poche ore diurne, dal suo arrivo fino alla partenza serale del traghetto, salpato verso le ore 19,30.

Siamo al punto che l’omicidio casuale, con occultamento di cadavere, non ha sorte. Mentre l’omicidio mirato, per una trama politica, è stato già escluso da Ettore in più modi, rescindendo l’unico legame possibile tra le intenzioni concrete del soggetto passivo del delitto e l’evento temuto. Tertium non datur.

La congettura n. 7 (*assassinio casuale) non ha alcun pregio, a meno che sia falsa la testimonianza di Strazzeri, ma non se ne vedono le ragioni.

Che poi possa essere ‘falsa’, contro l’intenzione, per altri motivi, dipende anche dal fatto preordinato se Ettore andò, o non andò, a Palermo: il fatto ‘apparente’ non è scontato. L’ipotesi del ricatto per uno scandalo può essere scartata sulla base del principio generale, valido per tutte le ipotesi in elenco, che le lettere del 1938 pullulano di segnali sottili, univoci e coerenti.

La congettura n. 6, che poggia sulle dichiarazioni unilaterali di un estraneo, il Padre Caselli che non trovò ostacoli di sorta per l’istituzione di una generosa borsa di studio a nome di un soggetto scomparso da vivo, ma che in seguito non aveva più dato notizie di sé, fa leva su un equivoco verbale: lo “scomparso” è anche il “caroestinto” e viceversa. La madre di Ettore e la sorella Maria dichiareranno a parole e a fatti, negli anni a venire, che Ettore era ancora vivo: la madre, nominandolo per testamento; la sorella, ricercandolo insieme a Recami, in Argentina.

Non c’è alcuna prova della morte di Ettore nelle circostanze argomentate da Guerra e da Roncoroni. Ci sono invece contraddizioni insanabili, e c’è chiara evidenza di un fraintendimento radicale delle stesse circostanze della scomparsa nel 1938.

Se fosse vera la morte di Ettore nel 1939 (ma l’ipotesi è stata costruita su documenti scartati da Amaldi nel 1966), doveva essere disponibile, come prova equivalente, almeno il suo passaporto, poiché non si è stati in grado di indicarne la tomba e di mostrarne le spoglie datate.

Padre Caselli avrebbe divulgato un ‘segreto’ da custodire gelosamente, oppure gli accadde di confondersi? Manca anche il necessario riscontro dovuto alla richiesta a Caselli di Salvatore Majorana. Fu la madre di Ettore a sborsare la rilevante somma della borsa di studio, 20 mila lire del 1939. E la madre nominerà Ettore nel suo testamento (per negarlo si dovrebbe esibire la copia autentica del testamento, giacché tale voce diffusa originava dallo stesso ambiente di famiglia).

L’ipotesi n. 5 (fuga nel 1938 in Argentina) non sta ugualmente in piedi: il passaporto dello scomparso era valido soltanto per i paesi europei e scadeva ad agosto.

Recami, insistendo fino a oggi su questa ipotesi, senza tener conto di aggiornamenti, è come se avesse dichiarato che in Argentina Ettore ci arrivò, solo e soltanto, dopo la fine della guerra. Pertanto, ci arrivò come profugo ‘ex nazista’. Questo è quanto, se la logica non ha cessato di rimanere in vigore per quanto concerne questo giallo.

L’ipotesi n. 4 (fuga segreta in Germania) non può certamente derivare da una decisione unilaterale, bensì deve necessariamente connettersi a una collaborazione precedente, di cui è principio di prova nelle dichiarazioni della Tebalducci.

Doveva derivare da una richiesta d’imperio, da un ordine ricevuto, con obbligo di segretezza (tuttavia abilmente aggirati nei limiti stessi che gli si presentavano).

Il “dopo” è da tenere distinto dalle intenzioni iniziali. In questo senso è immaginabile che il transfuga possa essere stato eliminato, in fieri, da un avverso servizio segreto, che già ne controllasse le mosse. La segretezza necessaria, da riconnettere ai piani politici in itinere, esclude la banale possibilità di un esodo allo scoperto. La questione dei Sudeti cominciò ad affacciarsi subito dopo, ad aprile (com’è storicamente certo).

L’ipotesi n. 3 (rapimento oppure omicidio tombale da parte di forze straniere) ha senso – solo e soltanto – alle condizioni precedenti, durante il percorso solitario e iniziale della fuga (ciò onde evitare ogni complicazione politica con l’Italia, in un caso sfortunato di intercettazione).

Il caso esterno, involontario, tuttavia riconnesso alla scomparsa volontaria, fu escluso da Majorana. Basta rileggere la lettera del 22 gennaio, con la quale chiedeva denaro, poi non utilizzato, e considerare che appena giunto a Palermo, si affrettò a revocare le lettere precedenti, senza telefonare, ma scomparendo. Quando e dove sparì Majorana: subito da Napoli, o in seguito? E quando iniziò a mentire? Se non si sa rispondere a queste domande, a nostra differenza, ogni congettura è puramente di fantasia.

L’ipotesi n. 2 (ritiro volontario in un convento) non ha senso: a) perché non c’erano ostacoli per ‘doverne’ moralmente informare la famiglia; b) perché dopo la fine della guerra nulla avrebbe impedito a Ettore di ricomparire alla luce del sole.

L’ipotesi di Sciascia è chiaramente falsa. Si può altresì affermare identica cosa per tutte le ipotesi anomale come il vagabondaggio ecc., sebbene fossero state segnalate dalla madre di Ettore nella sua lettera a Mussolini del 27 luglio, che non è un ‘falso’, sebbene non abbia un riscontro protocollare.

L’ipotesi n. 1 (il suicidio: Emilio Segrè, Bruno Russo) non ha alcun pregio.

E’ contraddetta dalle ‘modalità’ di scomparsa (soldi, passaporto, e sapendo nuotare); ed è smentita direttamente da Majorana, con un eloquente e graffiante ‘non sequitur’: Il mare mi ha rifiutato e (dunque) ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse conquesto stesso foglio (qui rammentando che c’è prova diretta che Ettore conosceva perfettamente i tempi postali).

Tale dichiarazione del 26 marzo 1938 contiene un frammento fondamentale della “verità autentica” del vero Autore della ‘sua’ improvvisa scomparsa, che era ormai inevitabile: un caso differente da quello di una ragazzaibseniana.

La chiave logica sta nella espressione – veramente da ragazza ibsenianaIl mare miharifiutato. In altri termini, l’ambiguità (voluta) tra lutto (a termine) per la famiglia, e scomparsa per Carrelli (non il viceversa), lega insieme le ultime 4 lettere, dal 19 marzo al 26 marzo. Si tratta di un unicum concepito ad arte, che rivela il dolo o preordinazione di una trama unitaria, anziché la trama spezzata, fatta apparentemente sembrare, in base a falsi propositi di suicidio.

Anche in termini simbolici, quella scomparsa “clamorosa” era altresì una sparizione necessaria, non egoistica, con una presa di distanza dagli eccessi persecutori nazisti, sebbene pur sempre sorretta da una condizione ineluttabile e preponderante, circa il Reich millenario, rispetto alla ambigua situazione italiana tra monarchia e fascismo.

Ettore aveva una grande ammirazione per la Germania (Amaldi, Segrè), ma quella era la Germania di Hitler (anche dopo le leggi di Norimberga, adottate in italia nel luglio del 1938 col preannuncio del famigerato “Manifesto della razza”).

4* Possiamo ripercorrere le congetture sulla “scomparsa” di Majorana in base alle osservazioni di Giorgio Dragoni (2008), tranne la congettura (del 2013) sulla morte precoce nel 1939. Sul Web sono disponibili altre informazioni in proposito 8ad es. F. Scarpa della SISSA di Trieste).

Ci atterremo alla classificazione fatta dal prof. Dragoni nel suo importante saggio sui rapporti tra Ettore Majorana e lo zio Quirino Majorana, noto fisico sperimentale antirelativista dell’Università di Bologna, di cui Dragoni ha in cura da anni il relativo museo scientifico, con le strumentazioni già appartenute ad Augusto Righi, su cui ha pubblicato una recente monografia.

Dragoni ha messo in luce che Ettore nel 1938 era in grado di prevedere in via teorica l’impiego dell’energia nucleare. La circostanza è peraltro confermata altrimenti da due elementi: a) un breve accenno alle future scoperte nella prolusione napoletana; b) il fatto che Carrelli lo vedeva impegnato in qualcosa di molto serio di cui Ettore non intendeva parlare.

Le ipotesi sulla scomparsa – che i nipoti di Ettore nel 2012 definirono drammatica – possono essere classificate in tre categorie:

  • di origine endogena (per ragioni di salute fisica o mentale), con soluzioni che vanno dal suicidio a una fuga dal mondo, a una doppia vita;

  • di origine esogena (rapimento od omicidio);

  • di libera scelta (per ragioni di tipo sociale, politico ecc.).

Dragoni accenna al criterio di probabilità circa le varie ipotesi e ritiene di poter escludere il suicidio e lo schieramento politico. Tuttavia egli sottolinea in modo particolare l’aspetto dichiarato della mancanza di egoismo, nella scelta o decisione di Ettore. Una scelta tormentata, conflittuale, che potrebbe essere consistita nella decisione di allontanarsi dal mondo, rifugiandosi, per esempio, in un convento di stretta clausura, forse all’estero. Comunque un caso meritorio di approfondimento, anche dal punto di vista delle conseguenze, oltre che dei presupposti, da cui Dragoni tendeva a escludere uno schieramento politico di Majorana, sebbene fosse depositario di contrarie rivelazioni.

Le considerazioni di Fermi sulla scomparsa (“sparire” o “far sparire anche il proprio cadavere”) non producevano chiarezza. Emilio Segrè pensò a un affievolimento delle capacità creative, affermando il suicidio in mare. E’ stata attribuita a Segrè, ma da altri autori, la possibilità che Ettore avesse, ad esempio, contratto la sifilide. Altri, più di recente, hanno pensato persino alla omosessualità. Altri supposero che Ettore fosse rimasto deluso – e fortemente traumatizzato – dalla nuova esperienza relazionale dovuta all’insegnamento. Il che è testualmente escluso: Sono contento egli studenti.

Abbiamo già visto alcune opinioni dei parenti. Mentre la madre, finché visse (1965), non si arrese mai alla morte del figlio, e la sorella Maria continuò a oscillare tra la speranza di ritrovarlo e la soluzione del suicidio in mare durante il viaggio di ritorno.

Il fratello Luciano fece constare, in un atto notarile del 1963, ostensibile a richiesta (sic), che la “scomparsa” rimaneva “misteriosa”, mentre Savatore trovò insincere le affermazioni fondamentali dell’ultima lettera ‘espresso’ da Palermo (lettera del 22 aprile 1938 alla sorella maggiore Rosina).

Nessuno ha mai voluto assegnare un significato a quel sole all’alba che ornava la carta intesta di quest’ultimo messaggio.

Tornando a Dragoni, nel saggio del 2008 figuravano due interventi dei nipoti di Ettore.

Il fisico prof. Ettore Majorana jr. (figlio di Luciano M.), così si espresse: Ettore decise di concludere drammaticamente la sua vita. Giacché la vita dell’individuo che si isola, dal nostro punto di vista in nulla è distinguibile dalla sua assenza.

L’altro nipote, prof. Fabio Wolfgang Schultze (figlio della sorella maggiore di Ettore, Rosina), non fa affermazioni, limitandosi a ricordare che in famiglia vi era qualcosa disingolare, con un accenno generico alle non sempre felici ricostruzioniipotetiche sulla scomparsa. I due cugini, nel 2012, ripeterono che Ettore era tragicamente scomparso. Nello stesso torno di tempo Mauro Mazza (direttore della rete Rai Uno) pubblicava un romanzo, L’Albero del Mondo.Weimar 1942, il cui capitolo 6 si occupava di un Ettore Majorana ‘fuggito in Germania’.

Danno da pensare le parole del prof. Ettore Majorana jr. che sembra accennare ambiguamente a una scomparsa dalla vita, che si sarebbe drammaticamente risolta in una assenza, non sceverando bene la circostanza iniziale dell’allusione di Ettore al suicidio (“concludendo drammaticamente la sua vita”).

Perché Dragoni non accennò nel 2008 a quanto aveva saputo nel gennaio del 1974 da Gilberto Bernardini? La chiara risposta è che non fosse quella l’occasione adatta. Ne conveniamo, essendo la prudenza ottimo criterio di guida.

Nel settembre del 2010 usciva il saggio di Piero Batignani, testimone diretto delle rivelazioni fatte a Firenze da Bruno Pontevorvo, presente Gilberto Bernardini. Ettore è finito all’Ovest, e non è questa un’affermazione ambigua. S’intende, molto bene, Majorana che sarebbe fuggito in Germania. Tale soluzione è rimasta sullo sfondo, scandalosa e impronunciabile.

Cosa si deve obiettare rispetto alle congetture, più o meno labili, o fantasiose, della malattia, del disagio, della fuga dal mondo, del vagabondaggio ecc., se non la loro chiara irrazionalità?

Ettore era contento dei suoi studenti (lettera del 3 marzo). Il 9 marzo scherzava con l madre, anche con giochi di parole: il raffreddore, di cui egli non soffriva, era – a Roma – uno sport invernale, nel senso che lo starnuto fa < et-scii > (esempio di umorismo ‘majoranesco’, che talvolta assume altri toni, come la non improbabile, e per noi probabilissima, associazione ironica Carrelli-cartelli).

Riprenderemo in esame questi argomenti, qui valendone l’accenno; ma l’elemento essenziale delle lettere del 1938, e dei fatti di scomparsa, sta nell’affettuosissimo Ettore, che non può aver ‘giocato’ con se stesso, e poi con i suoi familiari.

Esclusa categoricamente la possibilità di un evento esterno involontario, di tipo esogeno, non rimane altro che il silenzio, dopo la promessa di ritorno immediato fatta a Carrelli. Sempre evitando di telefonare, che se fossero stati sinceri i propositi iniziali di suicidio, questo avrebbe dovuto fare, e invece scrisse, e troppo e in una data maniera.

L’anomalia sta nelle modalità di comunicazione e nei contenuti ambigui della stessa.

A questo riguardo valgono le osservazioni analitiche fatte da Luisa Bonolis (2002, pagg. 102 ss., monografia Il Genio Scomparso, Quaderno n. 27 de I Grandi dellaScienza), di cui riportiamo le chiare conclusioni: << Il puzzle torna in ordine se si presuppone un piano deliberato per lasciare nel mistero la propria sorte. Ogni mossa appare predisposta perché una circostanza neghi l’altra, restando tuttavia possibili tutte le congetture, e l’ambiguità o ambivalenza dei messaggi sembra studiata ad arte per autorizzare l’ipotesi di una sofferta incertezza nella scelta. Quando muove la pedina della “scomparsa annunciata” Majorana sembra avere già in mente le successive mosse per la partita: la falsa rinuncia ai suoi propositi e il mancato ritorno. Mentre gli inquirenti svolgono ricerche lungo la pista da lui indicata, egli acquista tempo per attuare la sua sparizione. E il gioco riesce: nessuno saprà mai quel è il suo destino >>.

Il fratello Salvatore, scrivendo alla sorella maggiore Rosina (il 22 aprile 1938: dopo essere stato ricevuto il 18 aprile da Arturo Bocchini capo della polizia), sa già (dalle prime testimonianze di Strazzeri) che Ettore è tornato a Napoli, precedendo di qualche ora il recapito dell’espresso per Carrelli. Comprende perciò che si tratta di un “deliberatoprogramma di sparizione”. Si accorge che “nella seconda lettera per Carrelli non c’è una sola frase sincera”. Si chiede “quale possa essere il vero significato e importanzadi 4 concetti fondamentali”, da lui messi in quest’ordine: “viaggerò con questo foglio” – “ non sono una ragazza ibseniana” – “ sono adisposizione per dettagli ” – “ il mare mi ha rifiutato ”.

Salvatore escludeva il suicidio dilazionato, ponendo in alternativa un programma dinascondimento, per quanto stranissimo. Difatti, che senso avrebbe avuto “giocare a nascondino”?

E perché allora non immaginare una “fuga” mirata? Fu il presunto rientro a Napoli a trarre (inizialmente) in inganno. Tant’è vero che i suoi cari continuarono a cercarlo a lungo (di preferenza nelle campagne, in qualche casa di contadino dove più facilmente è finora sfuggito alla vigilanza e alle accurate ricerche di Polizia: così scriverà la madre a Mussolini, premesso che fu sempre savio ed equilibrato, ma forse vittima della scienza, trattandosi in tal caso di una malattia causata da studi non indegni).

Queste contraddizioni, con Ettore ritenuto vivo, sebbene la velina anonima del 6 agosto ipotizzasse un complotto, trovano soluzione autentica nella serie di segnali presenti nelle lettere del 1938 e nelle indicazioni che queste stesse lettere sono in grado di fornire in modo oggettivo. Il che si sostanzia, secondo i chiari risultati che mostreremo in seguito, in un inevitabile sillogismo, implementato contestualmente dagli ulteriori dettagli.

5* Senza alcun vuoto logico o ragioni di dubbio, nell’ambito e nei limiti imposti da una fuga necessaria, le lettere del 1938, se sapute interrogare, raccontano un’altra storia. Il canale di comunicazione era doppio; necessaria la presenza di Carrelli come tramite, per le mere apparenze. Necessaria la reticenza di Ettore, e necessario il silenzio successivo. Necessario il trauma familiare. Necessarie le lunghe ricerche, senza esito. Era altresì necessario dover fornire una ragione, una spiegazione ‘drammatica’ all’assenza forzata, appunto fatta passare per un “caso” personale. Pertanto, un doppio canale. Percorsi distinti, per le informazioni veritiere, in modo autonomo e separato, in una prima parte, e poi insieme; in guisa tale da poter distinguere tra il vero e il falso, ma tutto, necessariamente, in modo ‘contestuale’.

Una voluta ‘doppiezza’, disposta su più a livelli, percepibile e intellegibile soltanto “ex post”: distinguendo, adesso, tra apparenze illusorie – ingannevoli, enigmatiche – e parallela verità nascosta che forniva spiegazioni per i suoi cari.

A una fuga, necessariamente segreta, corrispondevano dei contro-messaggi occulti per la propria famiglia, che era stata colpita direttamente, per rendere credibile una vicenda di apparenze personali, in luogo di una scelta politica, comunque sofferta, in quelle date condizioni di forza maggiore (e di segretezza).

La rappresentazione per lettera della ‘sua’ scomparsa, enigmaticamente troncata dal silenzio, dal silenzio però ripartiva con forza, una volta rivelatesi inutili le affannose ricerche. Mancando il cadavere, non si poteva certo parlare di lutto. Se una ragione poteva esserci per un comportamento la cui ambiguità risaltava all’occhio dei familiari (di essi soltanto), ciò era dovuto alla anfibologia, voluta e significativa, tra lutto e scomparsa. Lutto per i familiari, scomparsa per Carrelli. Senza cadavere. S’aggiungeva il fatto materiale, percepito come tale in base alle comunicazioni sopraggiunte, che Ettore ‘era’ andato a Palermo, e subito dopo – la sera stessa – ‘era’ ripartito per Napoli. L’enigma stava nell’andare e nel tornare al luogo di partenza, e nell’assenza successiva, senza il cadavere, ma era il silenzio di un vivo.

Nessuno aveva potuto nuocergli, perché Ettore aveva fatto tutto da solo, dichiarando e disdicendo nell’arco di poche ore, e prima di ogni altro possibile incontro.

Non aveva alcun senso un eventuale gioco a nascondino, col rischio di essere subito ritrovato, dopo un tale scandalo, perché l’eventuale volontà di Ettore di allontanarsi da tutto, di essere lasciato in pace, poteva realizzarsi comodamente in tutt’altre maniere, ad esempio dimettendosi dall’insegnamento, per ragioni di salute, e dichiarando ai suoi cari che se ne era andato, ma senza dire dove, magari all’estero (al momento della scomparsa aveva con sé denaro e passaporto). Le argomentazioni sono calzanti e incalzanti.

Perché quella scomparsa clamorosa? Le irrazionali congetture del rapimento ecc., oppure del “gioco a nascondino” con i suoi cari, non tengono minimamente conto delle circostanze delimitanti, introdotte da Ettore con le sue dichiarazioni e i suoi comportamenti intenzionali (mai e poi mai avrebbe potuto trattarsi di un caso di pericolo, cui sottrarsi – invano – con l’escamotage di farsi credere morto ‘pro tempore’, quando il lutto era già a termine).

E se poi si è insistito tanto nel 2013 sul falso presunto di quell’ultima brevissima e non esplicitata lettera d’addio, lasciata in stanza d’albergo, ciò lo si è fatto: 1) contro ogni evidenza materiale; 2) contro la logica stessa della “scomparsa” formale, che non poteva contemplare “propositi di suicidio” – come da lettere da lui lasciate – senza alcuna forma di partecipazione ai suoi cari di tali intenzioni [anche l’altro telegramma da Palermo per l’albergo Bologna a Napoli, lo prova secondo il suo testo: Tenete chiusa la mia stanza, ritornerò lunedì]; 3) bensì strumentalmente, sebbene in inconciliabile contrasto, per lasciare campo alla congettura, però assurda, del rapimento o assassinio mirato, utile tuttavia a mantenere in vita antichi e ambigui sospetti (Amaldi nel 1966 e il cugino Claudio nel 1972), onde favorire confusione e incertezza, giacché quella brevissima lettera d’addio contiene, in sé, la chiave razionale e il punto conclusivo o terzo termine del sillogismo autentico della “scomparsa” volontaria e delle sue vere ragioni.

Secondo Bruno Russo – che con l’assenso di Maria Majorana riproduceva questa lettera d’addio, che Roncoroni (e Guerra) vorrebbero fosse falsa – la storia di Ettore, quellavera, non è la storia di un’ombra. Ma non è nemmeno la storia di un cadavere diluitosi in mare.

Ettore si buttò dalla nave, ed è morto affogato. Il suo fu, dunque, un suicidio a orologeria, giacché fu Bruno Russo a raccogliere le dichiarazioni di Occhialini, su quanto gli disse Majorana a Napoli la tarda mattinata del 18 gennaio 1938, martedì, che era giorno di lezione: << Se avessi tardato di qualche settimana, non mi avrestitrovato >>.

Palese illogicità, quella di Russo, che doveva risultare allo stesso Occhialini che forse non conosceva (?) la lettera del 23 febbraio: oggi mi daranno una nuova stanza su via Depretis, da cui fra tre mesi potrò vedere il passaggio di Hitler.

6* Lasciando agli autori vari il compito di sostituirsi arbitrariamente all’unico Autore del giallo della ‘sua’ scomparsa, ecco i risultati che ne derivano.

Provi il lettore ad anagrammare l’espressione fra tre mesi (=10! fattoriale). Troverà: Fermi resta. Cioè,‘fra tra mesi’, Fermi rimane – ancora – in Italia.

Facendo questa anticipazione non voglio però affrettare i tempi del discorso, poiché la dimostrazione della verità autentica è molto più ampia e articolata, seria e convincente, nonché costringente, che non un piccolo anagramma.

Ma era necessario gettarne le premesse, anche perché l’infermiera è veramente una faccenda strana, che va comunque spiegata. E’ rimasta senza nome, ma sarebbe stata la testimone che riferì d’aver incontrato Ettore a Napoli dopo la sua scomparsa, come ripeteva Salvatore a Rosina nella lettera del 22 aprile 1938: C’è sempre la testimonianzadell’infermiera (vedi il saggio 2013 di Stefano Roncoroni, al quale facciamo pubblicità, sia in senso negativo, che in modo positivo per la ricchezza della documentazione originale).

A chi obiettasse, con la faciloneria di certi autori, che con i giochi di parole, e con gli anagrammi, non si fanno “processi”, si deve rispondere che il primo a farlo fu Ettore, impiegando come falsi sinonimi ‘scomparsa’ e ‘morte’ (lutto), e come esempi di anagramma, Spero (una fitta serie) ed Ho preso (nonché Sciuti, anagramma di ‘usciti’, poiché nella prima lettera per Carrelli ne omise il nome Sebastiano, scordandosi di Gilda Senatore, alla quale però aveva già consegnato, quella stessa mattina,una cartella, dicendole certe parole). Il lettore paziente comprenderà a tempo e luogo le necessarie inferenze.

FUGA SEGRETA IN GERMANIA?

1* Era intenzione (autentica, non rivelabile in anticipo) di Majorana quella di fuggire segretamente in Germania, evidentemente per un ordine ricevuto già da qualche tempo, addirittura prima che inaugurasse il corso di fisica teorica a Napoli (di nero = ‘ordine’)?La verità autentica, ricavabile in filigrana dalle lettere del 1938, è in questo senso. I segnali, almeno una trentina, portano inevitabilmente a tale conclusione.

Stiamo utilizzando le stesse parole dello scomparso, perché le lettere del 1938 ce ne offrono la corretta possibilità: con “rara perizia” del sommo Autore.

In altre parole, il tema è strettamente obbligato, perché da quanto Ettore ha detto due volte insieme, in una prima e in una seconda maniera, non è possibile discostarsi. All’enigma creato direttamente dalle sue lettere, quelle sue stesse missive del 1938 contemporaneamente forniscono puntuali risposte. Cosa degna di un genio, qual era.

La segretezza della fuga serviva a celare destinazione e scopi. Il lettore può tornare indietro a quanto abbiamo già brevemente messo in luce. Non esiste alcuna possibilità di confutare a priori tale versione, che è poi quella autentica, verso la quale lo scomparso aveva – con logica indefettibile – convogliato il thema decidendum affidato ai suoi familiari, prima tenuti all’oscuro e poi autorizzati a saperne molto di più di quanto lui non poteva dire in anticipo. Le lettere del 1938, tutte quante, dalla prima all’ultima, contengono testualmente almeno una trentina di segnali coerenti con il “dopo” (primo livello di informazione remota).

Chi negasse, contro evidenza stringente, che mancherebbe però la costrizione della verità autentica e univoca, direbbe contro ragione. Ciò è stato già asserito da chi ha da me ricevuto risultati e spiegazioni parziali, in modo frammentario e disomogeneo, in parte veri e in parte volutamente falsati. Senza comprendere che il meccanismo è inesorabile, che con tale base di partenza, appunto i segnali univoci e convergenti, è stata in ogni caso assicurata l’autenticità della fonte, e, così pure, la cogenza dei risultati in linea con i segnali o avvisi. Perciò, non è dato inferire, in ordine inverso, che sì, i risultati magari sono congrui e sorprendenti, addirittura stupefacenti, mentre la base di partenza sarebbe invece opinabile, comunque non sicura al mille per mille. Oppure, affermando che gli ‘anagrammi’, di complemento dell’essenziale (= ulteriori dettagli), non sarebbero confacenti a un Majorana, oppure credendo che si tratti solo e soltanto di anagrammi (ignorando che questo genere di comunicazione remota fu indicato, e poi giustificato, proprio da Ettore, e da lui stesso autenticato e reso certo). Oppure pensando che l’essenziale non fosse derivabile, con certezza ed esattezza dalla ‘filigrana concettuale’ della scomparsa, oppure ancora, che Ettore avrebbe fatto meglio a impiegare un codice condiviso, nel qual caso la scomparsa non sarebbe stata segreta, quindi tanto valeva dirlo subito… (certuni, evidentemente, ragionano malissimo, non accorgendosi dell’illogicità manifesta delle loro inconsistenti obiezioni: ma continuando perfino a insistere, come se avessero ragione loro!).

Se esistono segnali certi, meglio tutta una serie di segnali convergenti, è inevitabile concluderne per una comunicazione remota, di tipo autentico e certificata come tale. Ovviamente un doppio canale, essendo stato coinvolto Carrelli. Le informazioni per Carrelli, sono informazioni per la famiglia, ma non vale il contrario.

Il ‘sole’ da Palermo non è forse un segnale, come i due numeri di telefono sulla carta intestata di quello stesso foglio, come Ettore volle sottolineare?

E che senso avrebbero, poi, gli ulteriori dettagli, se per la famiglia in angoscia, mancava l’essenziale? Ma i suoi cari lo ritennero vivo, e lo cercarono (il cadavere non c’era, qualcuno aveva viaggiato da Palermo a Napoli col biglietto intestato a Majorana, e quel qualcuno – fino a prova contraria – non poteva che essere lui).

Vale invece riflettere sull’obiezione che in Germania Ettore ci poteva andare allo scoperto, senza dover inscenare un falso suicidio, una clamorosa scomparsa. Perciò, a esser seri, si dovrebbe dire che Gilberto Bernardini e poi Bruno Pontevorvo hanno detto anche loro delle cose insensate; e che altrettanto insensato era anche chi ciò riferì. Qui ribadendo che le altre ipotesi e congetture, come si è visto, sono tutte quante irrazionali. Insomma, non sarebbe inutile far presente che Hitler definì segretamente, il 5 novembre 1937, a Berlino, le linee attive della politica segreta della Germania e della guerra totale, in ipotesi subordinata al mancato conseguimento di quegli obiettivi (dottrina dello “spazio vitale”). Nell’aprile del 1938 si diede avvio in Germania ai passi necessari per l’annessione dei Sudeti (e delle ricche miniere di uranio nella zona). La scomparsa di Ettore seguiva appena di due settimane all’ annessione dell’Austria. Il corteo di Hitler non sfilò mai in via Depretis, sotto le finestre di quella stanza. Il 9 marzo (mercoledì) c’era a Napoli un tempo bellissimo, ideale per navigare nelle acque del golfo. Da Palermo arriverà un ‘sole’ con quello stesso foglio. Che fine avrebbe fatto Majorana, se non fuggì segretamente in Germania? Le confutazioni a priori fanno sorridere, e fanno invece inorridire le ipotesi assurde, inventate senza rendersi conto delle parole contrarie, e insuperabili, dello “scomparso”, che era un genio, non uno stupido qualsiasi, e che non era affatto un malato di mente che amasse giocare a nascondino con la polizia e con i suoi familiari. Quando, al contrario, queste congetture, non dimostrate, fondate soltanto su mere presunzioni a cascata, avrebbero potuto e dovuto avere mille altri modi di realizzazione concreta da parte di Ettore, che non quel modo di scomparire da lui prescelto. Perché in quella maniera e perché in modo così clamoroso? La questione di fondo è questa, e proprio in questo senso Ettore si rivolgeva ai suoi familiari, affinché comprendessero ciò che lui era stato costretto a tacere per causa di forza maggiore, in base a un segreto di Stato. Ed è necessario dare una congrua riposta a tutte queste domande, altrimenti si continuerà a vaneggiare.

Se alcune ipotesi riescono appena a lambire questi interrogativi (ad es. l’ipotesi di Sciascia), non l’ha fatto chi ha postulato un atteggiamento da “pupo pirandelliano” (nel cui novero rientrerebbe anche il caso della sindrome di Asperger), fermo restando che ogni ipotesi ha due versi: un ingresso e un’uscita (un suo fondamento in partenza e parimenti un epilogo teoricamente plausibile).

L’ipotesi di Sciascia non vale in uscita, mentre quella di Recami non vale in ingresso.

Le altre ipotesi non si reggono in piedi per le osservazioni critiche già viste sopra.

E’ rimasta in piedi la sola ipotesi della fuga segreta in Germania.

Questa ipotesi è confermata dalla verità autentica, filigranata da Majorana.

Quando, poi, si pretenda di tirare in ballo l’irrazionalità e a questa ci si appigli, ogni fantasticheria è possibile; ma Ettore produsse da sé, e delimitò rigidamente. il tema logico-critico della ‘sua’ scomparsa, indicandone ex post i termini certi e univoci di risoluzione a conforto esclusivo dei suoi cari già duramente colpiti dal fatto necessario e inevitabile della sparizione silenziosa che non poteva essere intesa se non dopo le vane ricerche e con particolare riflessione e attenzione una volta che le indagini più assidue, quelle della polizia ma anche quelle della famiglia, avevano fornito esiti negativi.

2* C’è capitato di ripeterci e forse lo abbiamo fatto apposta. Per rimarcare, e ribadire, che c’è una differenza radicale tra le congetture sterili, che cioè lasciano le cose come prima, e le ipotesi razionali e fertili, che si fondano su ragionamenti sensati e che si sostengono su argomenti seri e documentati.

Paradossalmente, a differenza di altre pretese soluzioni, sconsiderate e senza prova alcuna, quella che presentiamo in maniera compiuta e dettagliata è la verità autentica per bocca di Ettore, destinata esclusivamente ai suoi cari. Se costoro lo intesero, ovviamente tacquero; se invece non compresero, nulla cambierebbe.

Si tratta della versione autentica, sotto traccia, corrispondente alla verità? Forniamo prove, oggettivamente controllabili, del tutto razionali. In un quadro necessario, emergente dalle lettere del 1938, secondo un’esegesi critica salda, senza alcun vuoto logico. Ripetiamo, ancora, in modo costringente.

Lo sviluppo razionale di segnali certi comporta una soluzione altrettanto sicura. L’esito di questo percorso canalizzato è quello della fuga segreta in Germania. Non esistono preclusioni, in ingresso e in uscita, limitatamente alle intenzioni dell’agente a data 26 marzo.

Il “dopo” è altra questione; ma Ettore non impiegò tali avverbi, o rinvii temporali al futuro (dopo, poi, fra tre mesi ecc.), quanto agli esiti, bensì per le sue intenzioni.

Il problema vero è quello della segretezza della fuga in Germania. Un indizio utile è certamente fornito dal fatto che tra il 9 e 19 marzo (il 12 marzo fu annessa l’Austria al Reich) Ettore non farà alcun accenno a questo evento a dir poco clamoroso. Difatti non scrive tra il 9 e il 19 marzo. La scomparsa avverrà due settimane dopo. Per evitare ogni possibilità di collegamento eventuale, Ettore si è cautelato con un ozioso andare e tornare, via mare, allo stesso luogo di partenza. E’ difficile a questo punto per Carrelli e per ogni estraneo, anche per la Polizia, immaginare un caso differente, poiché Ettore diceva che sarebbe tornato, perché il mare lo aveva rifiutato, ma che il suo caso non era quello di una ragazza ibseniana. Rispondendo alle 4 domande di Salvatore (lettera del 22 aprile 1938 alla sorella Rosina felicemente sposata con un tedesco), emerge la verità autentica del “caso differente”. Quella della fuga segreta in Germania. E’ un caso che il fisico Gilberto Bernardini, col quale Ettore aveva un appuntamento in Germania nel 1933, ha rivelato a Giorgio Dragoni alla fine di gennaio del 1974 a Pisa che Ettore fuggì in Germania per collaborazione scientifica?

E’ un caso che la stessa cosa abbia fatto intendere il fisico Bruno Pontecorvo, il 18 marzo 1990, a Firenze, presente Bernardini?

E’ un caso che l’uomo della fotografia del luglio 1950, a bordo della nave “Giovanna C” in rotta per l’Argentina, gli rassomigli fortemente?

E’ un caso anche la serie di voci, autonome e distinte, che riferivano della presenza di Majorana a Buenos Aires, negli anni ‘50?

Perché se anche si trattasse di caso o errore, concernenti il “dopo”, le nove lettere del 1938 questa precisa intenzione in atto rivelano, se sapute ben interrogare.

PARTE SECONDA

VERITA’ D’AUTORE

1* Durante il breve soggiorno a Napoli per gli obblighi dell’insegnamento Ettore aveva scritto nove lettere: appunto, quante ne sono rimaste. Tutte autentiche. E non ne manca nessuna, nonostante il buco temporale di un mese, tra la fine di gennaio e la fine febbraio del 1938. Se poi ne mancassero un paio per il periodo scoperto che va dal 22 gennaio al 23 febbraio, poco cambierebbe. Le lettere rimaste sono sufficienti. L’analisi critica dei contenuti di queste lettere non consente in ogni caso di rilevare cesure insanabili. Può darsi che Ettore telefonasse, ed è assai probabile che rientrasse regolarmente a Roma. E’sicuramente rientrato a Roma, in mezzo alla settimana, tra le date di sabato 22 gennaio, allorché scriveva in tal senso (credo che verrò fra pochi giorni ma soloper poche ore), e il sabato successivo 29 gennaio, avendo concluso con un arrivederci.

Fu mercoledì 26 gennaio, che non era giorno di lezione, quando Ettore si presentò presso il nuovo Istituto di Fisica a Roma, in cerca di Fermi; qui lo vide capitare Giuseppe Cocconi: una facciascura e fu tutto lì.

Il 10 gennaio 1938, cadente di lunedì, Cocconi non poteva ancora essere operativo nel nuovo laboratorio romano di Fermi. Le attività universitarie erano riprese il 10, dopo la pausa delle vacanze. Nella lettera del 22 gennaio Ettore faceva sapere di aver appena terminato laquinta lezione. Il manoscritto delle lezioni napoletane, recuperato dopo giri oscuri e tortuosi, parte dalla sesta lezione, considerando tale anche la lezione inaugurale del corso, giovedì 13 gennaio, alle ore nove.

In questa stessa lettera del 22 gennaio, su carta intestata dell’Istituto Sperimentale di Fisica di Napoli, compare un’infermiera senza nome, che gli ha dato degli indirizzi perpensioni dove Ettore mai andrà a stare. In costanza di stipendi, pagati il 27 del mese, chiedeva la parte liquida dell’eredità paterna, che ritirerà, insieme agli stipendi precedenti, soltanto poco prima di scomparire (dunque i soldi ce li aveva già; dunque non c’è alcuna possibilità per fumose congetture come il gioco a nascondino e il caso esterno del rapimento o dell’omicidio politico).

Le lettere di Majorana non sono così innocenti, come chi non ragiona coerentemente sarebbe portato a dire. Queste lettere contengono segnali e allusioni ed è una trama in filigrana. Ne abbiamo già posti sinteticamente in luce alcuni esempi anche per quanto concerne la prima lettera da Napoli in data 11 gennaio.

Carrelli è nominato nelle prime due lettere, poi non più, tranne le ultime due, a lui personalmente indirizzate.

Ettore usò tre volte la carta intestata, due volte quella del suo Istituto, in un giorno i cui aveva tenuto lezione e in un giorno in cui le lezioni non si tenevano.

Anche la carta intestata impiegata da Ettore contiene dei messaggi: ad esempio, Istituto di Sperimentale di Fisica equivale a: < Fermi in tali passi e dicesi tutto >. *[Fermi, pur restando ancora in Italia, troverà poi il modo di andarsene, ai primo di dicembre].

Cosicché Ettore ha già ‘indicato’ Fermi a Roma, come infine ‘indicherà’ Segrè a Palermo. *[Fermi e Segrè, in America, parteciperanno al programma atomico degli Stati Uniti, denominato “Progetto Manhattan”].

L’ironia di Majorana è caratteristica: Sono ancora al Terminus *[nel 1938 si chiamava “Termine”: l’albergo aveva un ingresso che dava all’interno della Stazione Centrale, intorno a cui scorreva via Stella Polare], ma andrò prossimamente in unapensione.

Ettore si fermerà più di un mese all’albergo Bologna, in via Depretis 72, dal 23 febbraio fino alla sua “scomparsa” (e al suo mancato ritorno). L’albergo Bologna è stata nominato fino all’ultimo. Non possiamo sapere se, in effetti, nel periodo successivo, fino al 22 febbraio, andò a stare in una qualche “pensione”; ma l’ironia era rivolta anche a quel termine, sebbene contasse soprattutto il gioco di parole contenuto in infermiera (= in era Fermi).

Il fatto che le eventuali lettere mancanti non siano state consegnate a Recami diverrebbe ancor più sospetto o sospettabile. Non dovevano esserci stati altro che alberghi, e comunque queste supposte lettere mancanti non le ha mai scritte. Fatto è che il 23 febbraio fa sapere che è ormai all’albergo Bologna (accanto al quale si trovava il centralino telefonico pubblico), e che gli daranno quella stessa stanza dove rimarrà ancora per un mese, edove lascerà quella brevissima lettera d’addio, e dove non tornerà più.

Che la stanza sia – di fatto – rimasta sempre la stessa, con finestre che davano direttamente su via Depretis, è rilevante per la famiglia, che quella lettera, veramente l’ultima, qui trovò e lesse il giorno 28 sera; ma non può non essere stato così. Il 19 marzo Ettore ribadiva “via Depretis n. 72 (72 è il rovescino di 27).

Il tempo a Napoli è sempre al bello, e mai un raffreddore o una giornata di pioggia, nelle lettere.

Il nonno e uno zio di Ettore erano stati ministri: il nonno due volte, nei governi Depretis. Bologna doveva essere la sede di destinazione di Ettore, poi mutata in Napoli (dove era contento di andare), con un tratto di penna su lettera dattiloscritta, così conservata agli atti (nel caso di Majorana i gialli tendono a ripetersi, ma le spiegazioni che sono state date da coloro che di questo si sono occupati, sono tutte quante sbagliate, per una ragione e per l’altra).

Il corteo di Hitler non sfilerà mai sotto quelle finestre. Il n. 72 di via Depretis è il rovescino di 27 (cioè ‘domenica’ 27 marzo, ‘giorno del sole’).

La madre di Ettore si preoccupava dei panni, della biancheria. Ettore ne trae materia di scherzo (e di allusione): Dei cartelli affermano con molta enfasi che i servizi di stireria e lavanderia dell’albergo Bologna sono inappuntabili.

Caro Carrelli-cartelli, eccoti servito. Da Palermo ti è arrivato, il 27 mattina, un bel sole ‘asciuga-panni stesi’, che spunta da un ‘ponticello’ usato, all’epoca, dai sarti per stirare le giacche.

Qui c’è un tempo bellissimo, ideale per navigare nelle acque dl golfo. Come va con lo sport invernale? Credo che Maria mi possa mandare presto la fotografia delle sue opere più famose… Spero di venire in fine settimana.

Il 9 marzo Ettore scherzava e alludeva. Maria prendeva lezioni di pittura, ma era una musicista. Una delle opere “più famose” è il solito disegnino del ‘sole’. A questo alludeva Ettore, insieme agli starnuti: “et-scii”, che era lo sport invernale praticato dai raffreddati.

2* I segnali sono molti di più, ne abbiamo riportato un catalogo ristretto. Per arrivare alla lettera del 19 marzo (sabato, festa nazionale religiosa di San Giuseppe, con “Giuseppe” Imbò, l’introvabile professore di fisica terrestre, unico non menzionato per nome nella prima lettera da Napoli in data 11 di gennaio, nella quale descriveva l’Istituto di Carrelli).

In questa lettera del 19 marzo, l’ultima a casa sua, così scriveva al fratello Salvatore (Ettore menzionò Luciano, poi Maria, quindi Salvatore, ma non Rosina sposata con un tedesco): Per ora non vengo perché lunedì ho alcune faccende da sbrigare all’anagrafe e altrove. […] ho già preso la residenza … provvisoriamente …qui in albergo, alias via Depretis 72.Vi mando un telegramma perché non mi aspettiate stasera, ma verrò certamente sabatoprossimo (sabato, 26 marzo).

Il 9 marzo aveva concluso: Spero di venire in fine settimana. La scomparsa avvenne in un ‘fine di settimana’. Spero è anagramma di preso (e di perso). La serie degli spero iniziava il 2 marzo, concludendosi con l’ultima lettera per Carrelli del 26 marzo da Palermo: Spero che tisiano arrivati insieme il telegramma e la lettera (la prima lettera da Napoli del 25 marzo). Il 25 quel secco: Ho preso una decisione che eraormai inevitabile.

Sempre, il 25 marzo: un poi orale e due dopo per iscritto. Poi ne parleremo (rivolto alla Senatore), dove si sente bene risuonare l’allusione a ‘Palermo’, mentre a Carrelli (prima lettera) non dice dove andrà, come ‘scomparirà’ (difatti non parla di nave).

Se si fosse buttato all’andata, che cosa si sarebbe potuto sapere? Non restituendo il mare il cadavere, quale lutto? Una “scomparsa a bordo”, constatabile all’arrivo?

Circa il mancato ritorno al Bologna, senza una scomparsa da bordo, e senza notizie successive da Palermo, si sarebbe dovuto credere a una fuga (mai a un delitto mirato). Allora, perché dover presupporre l’affare di Stato, quando invece Ettore scrisse immediatamente, una volta giunto a Palermo, rassicurando Carrelli? Sappiamo: ma solo da Palermo. I tempi dell’informazione sono essenziali. I luoghi effettivi di Ettore rimangono nell’incertezza. Questo è quanto.

A un vero suicida sarebbe bastato farlo: si lasci o no una lettera, rimane il cadavere. E il cadavere non mancò, per via di un assassinio – escluso per primo da Ettore – da parte di misteriosi e ipotetici servizi segreti, che pure c’entravano, eccome, in questa vicenda, ma soltanto perché mancava il corpo del vivo, che aveva deciso di scappare, ma non per giocare a nascondino. I segnali, le allusioni al dopo, tolgono di mezzo le false ipotesi. Il tema è stato rigidamente fissato da Ettore, lo ‘scomparso’.

Tutte le lettere del 1938 alludono tra le pieghe al futuro evento. Le ultime quattro costituiscono un insieme inscindibile, se si guarda a esse con occhio attento.

Ne sarebbe basta una sola. Invece sono quattro lettere. La quart’ultima introduce il tema del telegramma, dell’anagrafe e dell’altrove. Il rinvio serviva a preparare la mossa, con un effetto di ritorno:‘possibile che Ettore ci ingannasse in questa maniera?’

Perché improvvisauna scomparsaormai inevitabile senza un solo granello diegoismo? Ettore ha ripartito bugie e verità, tra Carrelli e i suoi cari.

Carrelli serviva necessariamente al primo flusso d’informazione. Il procedimento funziona a ritroso. La lettera d’addio alla famiglia chiudeva il circuito, traendo dall’ombra la sostanza razionale della controinformazione.

Per tale ragione le lettere sono quattro, concepite proprio in quella maniera, sebbene quella del 19 marzo sia occasionata dal dover rispondere a casa. Né una di più, né una di meno. Ed è questo il primo teorema logico, che non patisce vuoti. I suoi familiari, che lo attendevano a Roma per la sera di sabato 26 marzo, non potranno comunque “allarmarsi”: anzi, sono stati preparati al colpo. Non potranno sapere, in anticipo, di quella lettera lasciata nella stanza: Carelli era stato rassicurato, e sulla sua discrezione si poteva contare. L’albergo aveva ricevuto il telegramma. Prima che iniziassero le pulizie e i rassetti mattinali. Domenica 27 sarebbe “allarme”, ma Ettore ha fatto sapere all’albergo Bologna che tornerà lunedì. Lunedì 28 scatterà l’allarme (Carrelli telefonerà), ma è già trascorso il terzo giorno.

Il lutto, come sinonimo di scomparsa-morte, è ormai impossibile, senza il cadavere.Il termine dei tre giorni non ha un decorso, non ha neanche un inizio: è semplicemente un termine impossibile. Viene a mancare la certezza dell’evento futuro. Ettore sapeva che Salvatore era un avvocato. E la reticenza che Salvatore impiegherà negli anni non riguardava la morte del 1939, ma qualcosa di molto più serio.

3* La stanza dove fu lasciata quella singolare lettera d’addio, contenuta in una busta, è la medesima stanza del 23 febbraio. L’anello dell’informazione si è chiuso in sé come in un circuito elettrico: si dovrà ora prendere atto del nome di Hitler.

Sole e Hitler sono divenute parole chiave, dei sinonimi di altra specie. Al lutto si contrappone il sole, alla scomparsa si collega nome di Hitler. Ettore è fuggitosegretamente in Germania.

L’essenziale fu detto in questa maniera. In modo costringente, con un sillogismo perfetto, fondato su tre passaggi: 1) dapprima i segnali, allusivi e univoci, di valore anticipatorio; 2) la stessa identica stanza; 3) e, mancando necessariamente il lutto, perché mancò il cadavere, fu dunque scomparsa volontaria, dolosa e preordinata allo scopo. Illusoria e falsa ogni altra congettura giacché il thema decidendum era stato accuratamente ritagliato dallo scomparso, preservandolo da ogni permeazione spuria.

* Possiamo anticipare tre ‘rivelazioni’, che riguardano sempre i dettagli:

  • Poi ne parleremo (14 ! – ripetuto due volte) significa: < E il mare propone > – < Palermo per noie > – < Napoli per eremo >;

  • Vi mando un telegramma perchénonmiaspettiate stasera, ma verròcertamente sabato prossimo significa: 1) Vi do anagrammi perché se un temami resta tale spetta mentre tace, ma non verrò sabato prossimo; 2) Sabato prossimononverròperché geme mesta una carta, mal imitando me viaspetta mentre resta;

  • Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la letterasignifica: Il sole che sta a lato esterni i miei veri anagrammi per lettera.

* Riprenderò in esame la questione delle stringhe fattoriali, delle parole ripetute, delle chiavi e dei segnali interni di riconoscimento (ad es. la parola noie).

Il discorso deve seguire il suo iter. Avvertendo che chiaramente sarebbe bastata una sola espressione efficace, una soltanto. Quanto esporrò di seguito è in eccesso, ma è anche vero che se tutte le lettere di Ettore del 1938 contenessero effettivamente la contro-versione fornita in anagrammi, individuatone il tema, a essi ci si potrebbe sempre avvicinare dal punto di vista del contenuto per tentativi.

Sebbene più razionale, come appunto vedremo, sia dover isolare le espressioni più brevi, compendiate e indicative, di cui esistono parecchi casi. Bastando già tali espressioni, tutto il resto sarebbe superfluo. Ma dal momento che Ettore Majorana era un genio straordinario, capace di iper-complessi calcoli mentali nello spazio di appena 30 secondi, ben più facilmente egli poteva ‘anagrammarsi’, penna in mano, scrivendo tranquillamente una lettera. Per questo abbiamo cercato anche di ricostruire stringhe oltremodo potenti come fattoriale, compiendo un lavoro in linea con tutti i possibili dettagli ulteriori.

Le ultime tre lettere si riferiscono alla “scomparsa”. Majorana usò quest’ambiguo eufemismo, senza mai parlare di morte o di suicidio. Il mistero della sua sorte, che scelse di rappresentare per gradi, in n modo volutamente contraddittorio e vago, sembra apparentemente impenetrabile. Ed è questa la ragione di una sorta di ‘mito’, apparentemente aperto a ogni interpretazione, che va ad aggiungersi alla grandezza del suo genio. Una figura “pirandelliana”, col suo intimo tormento? Oppure una lucidissima predeterminazione? Il caso differente era un caso personale, il caso dell’individuo, e non dello scienziato, o viceversa?

La ‘trama’ era veramente quella apparente, o era una trama dolosa, e cioè unitaria, anziché spezzata in due tra il prima e il dopo? Adesso ne abbiamo le risposte: là dove c’è segnale, e il segnale funziona, procede nel suo canale d’indirizzamento, allora non ci può che essere intenzione e autenticità. Dove c’è configurazione c’è anchemessaggio.

4* Il caso non è in grado di operare in tale maniera. Ciò equivale a dire che il mostro fattoriale non è qui un fattore casuale, nonostante il contrario.

Anche le ultime tre lettere non presentano alterazioni della calligrafia, tipica costante dei suicidi, bensì sono caratterizzate da un’enigmatica lucidità, non aliena da contraddizioni, ma ovviamente volute.

Spiegare tali contraddizioni è un’altra maniera per completare il quadro. Tutto ciò lo faremo con criterio e stretta aderenza. Con un’analisi penetrante, senza margini di ambiguità, la stessa apparente ambiguità, ma di scopo, che caratterizzava la parola “scomparsa”, si possono difatti cogliere allusioni, anticipazioni, ripetizioni di parole, forme di avvertimento, apparenti contraddizioni, dunque un robusto filo conduttore.

Per rendersene conto occorre leggere e rileggere attentamente queste lettere del 1938, isolare e interpretare tali segnali, meditare su tali avvisi. La loro presenza, e la loro stessa possibilità di significato, se da un lato colpisce, al contrario non è in grado di rientrare nell’ordine della normalità, non potendo per così dire evaporare.

A ragione dell’evento futuro, su cui tali segnali si fissano, coerentemente, e prendono vigore ex post. Scomparsa significa allo stesso tempo morte o sparizione (cioè fuga). Ma il lutto impossibile fissa la scomparsa e la specifica nel suo vero significato.

Secondo l’analogia – fondante in termini di fisica moderna – della sovrapposizione degli stati quantistici, allora deve essere compiuto il corretto atto di osservazione.

Questa anticipazione concettuale sarà oggetto di un accurato esame logico – critico.

Potremo dire, più banalmente, che nella analogia elementare del percorso topologico della lettera (teoria dei nodi), a busta chiusa non è possibile staccare la penna dal foglio, mentre ciò è possibile a busta aperta. In questa maniera si troverebbe il modo di collocare correttamente la virgola fatale nella ambigua profezia dello schema della Sibilla: ibis – redibis – morieris – non.

Possiamo procedere all’analisi critica del testo di queste nove lettere del 1938, di cui forniremo ad abundantiam il possibile testo segreto, fermo restando che non è questa la prova, ma se mai si tratta di ulteriori dettagli, nonostante il mostro fattoriale delle ‘permutazioni’ e certamente il problema del senso, ordinato e corretto, delle sequenze ricavabili.

A chi con poco o nessun criterio ha obiettato che il caso non può essere deciso con anagrammi (che tra l’altro sarebbero pure inventati!), rispondo che la prova non è per anagrammi, ma è testuale, mentre questi ultimi ne costituiscono soltanto la riprova, con altrettanto crisma sostanziale di autenticità.

A costoro rispondevo, da essi però volutamente ignorato, che avrebbe risolto il caso differente chi fosse stato in grado di spiegare l’espressione cruciale Il mare mi ha rifiuato (e).

Qui anticipo – sempre per anagrammi – che questa espressione significa: < Ma mai rifiuto a Hitler >.

Ma poiché i fautori di congetture assurde o non provate preferiscono, ogni volta, le loro ‘invenzioni’, è ovvio e scontato che pretendano di ignorare ragionamenti molto più calzanti, argomentazioni serie e prove evidenti (come la presenza certa di segnali coerenti nelle lettere del 1938 ecc.).

A costoro non basterebbe nemmeno la certezza materiale e logica stretta di osservazioni critiche corrette o di constatazioni di fatti incontrovertibili, e la certezza razionalmente ‘autentica’ del sillogismo sopra esposto. Però, costoro, non sono mai stati mai in grado, finora, di produrre qualcosa di serio, se non errori certi ed equivoci. Con ragionamenti infondati e con presunti documenti che nulla riescono a provare; mentre i fatti certi e la ragione di questi fatti, militano in contrario.

L’analisi critica delle ipotesi fatte sulla scomparsa di Majorana porta alla conclusione certa che nessuna di queste congetture possiede un’efficacia esplicativa accettabile.

Pertanto, è questa la riprova che lo scomparso si era premunito da equivoci di questo genere rispetto alla sua costruzione e rappresentazione per lettera.

Il punto focale è dato dalla posizione morale dei familiari, ben diversa da quella degli estranei. Se non si tiene conto di quest’ottica, esclusiva e necessaria, si finisce per sommare le capre ai cavoli. Il principio di omogeneità presiede all’ermeneutica dei testi epistolari scritti da Ettore nel 1938 e dei suoi comportamenti. Non è dal punto di vista illusorio di Carrelli che si deve guardare alla vicenda, ma dal punto di vista degli affetti, del resto sottolineato da Ettore, però sistematicamente equivocato (ad es. da Recami e da Guerra). La logica di approccio è quella binaria: vero o falso. Se il vero apparente, così fatto apparire, è assurdo, allora è sicuramente falso.

Se Ettore non è ritornato, questa situazione è il ‘vero’ dell’intenzione di scopo. Le lettere di Majorana rappresentano, perciò, la base certa, oggettiva e imprescindibile, per cercare di conseguire quella verità d’Autore, oggetto della presente esposizione, che razionalmente non poteva far difetto. La verità autentica, s’intende; e non le ipotesi fumose, irrazionali o non dimostrate, di chi pretenderebbe, ma invano, di fare a meno dei documenti essenziali e imprescindibili della misteriosa e improvvisa scomparsa di un genio straordinario della portata di un ‘Ettore Majorana’, facendone un caso personale di follia o di stupidità.

 

LE SINGOLE LETTERE DEL 1938

Prima lettera: martedì 11 gennaio (manca l’anno XVI dell’era fascista)

Cara mamma,

Ho annunziato l’inizio del corso per giovedì 13 alle nove. Ma non è stato possibile verificare se vi sono sovrapposizioni d’orario, così che è possibile che gli studenti non vengano e che si debba rimandare. Ho visto il preside con cui ho concordato di evitare ogni carattere ufficiale all’apertura del corso, e anche per questo non vi consiglierei di venire. Carrelli è stato molto gentile e oggi abbiamo comprato i mobili per la mia stanza graziosamente offerti dalla Facoltà. Praticamente l’Istituto si riduce alla persona di Carrelli, del vecchio aiuto Maione e del giovane assistente ‘Caccemo’. Vi è anche un professore di fisica terrestre difficile a scoprire. Ho trovato giacente da ben due mesi una lettera del Rettore in cui mi annunziava la mia nominaper l’alta fama di singolare perizia”. Non avendolo trovato, gli ho risposto con una lettera altrettanto elevata. Carrelli prepara le lezioni di meccanica con moltigiochetti. L’occupazione dominante è quella degli esercizi, almeno per Carrelli e assistenti. L’istituto è molto pulito e in ordine, benché poco attrezzato.

L’albergo “Napoli” è discreto, con prezzi ragionevoli, così che è probabile che vi rimarrò per qualche tempo. Napoli, almeno nella parte centrale, ha un aspetto molto decoroso, benché sia strana la scarsità di veicoli. Vi scriverò giovedì sulle vicende della prima lezione.

Saluti affettuosi.

***

Questa prima lettera a casa di Ettore (i Majorana abitavano a Roma, in viale Regina Margherita 37, e possedevano il telefono), contiene almeno due singolarità.

Il giovane assistente di Carrelli si chiamava Cennamo, mentre il decreto di nomina adottato il 2 novembre 1937, ma con data formale del 16 novembre, vistato dalla Corte dei Conti il 4 dicembre del 1937, non poteva risalire “a ben due mesi” prima, ben inteso, come “atto di partecipazione”.

La nomina (atto amministrativo ‘ricettizio’ da notificare al domicilio del soggetto) porta la data del 10 gennaio 1938 (omessa da Recami), come protocollo in uscita. Quindi Ettore si recò a Napoli lo stesso giorno, senza aver ancora ricevuto tale atto in via Regina Margherita n. 37 dove abitava.

Ettore tira in ballo il Rettore, Giunio Salvi (il Preside era Pierantoni), mentre risponderà al Ministro Bottai (il 12 gennaio): Tengo ad affermare che darò ogni mia energia alla scuola e alla scienza italiane, oggi in così fortunata ascesa verso la riconquista dell’antico primato.

Da qui una serie di conseguenze. La sua prima lettera da Napoli (martedì 11 gennaio) è stata scritta verso sera (a giornata trascorsa), quindi è improbabile che potesse arrivare in tempo a Roma affinché i suoi familiari potessero essere a Napoli giovedì mattina alle ore nove per l’inaugurazione del corso. Se così fu, evidentemente Ettore conosceva benissimo i tempi postali. Questa lettera è l’unica a non recare l’anno XVI dell’era. Tale singolarità è chiaramente un segnale.

Il “camerata prof. Ettore Majorana” (così Il Popolo di Sicilia) intendeva “far casa sua” dell’Istituto napoletano di fisica. Dal 31 luglio 1933 egli era iscritto al fascio (la richiesta fu prodotta dal fratello Luciano, mentre Ettore si trovava ancora a Lipsia).

Quanto alla politica, Ettore da liceale (stava un anno avanti – n.d.r.), aveva militato nelle fila della gioventù nazionalista e girava in divisa, con la camicia azzurra dell’attivismo ultras” (Roncoroni, 2013, pag. 313). Ettore, nel 1938, fu eliminato dal movimento nazionalista ebraico Irgun?

Ucronia, e palese assurdità. Bottai ottenne la cattedra a Pisa in base alla stessa legge Casati che sarà applicata a Majorana per salvare la cattedra del suo carissimo amico Giovannino Gentile, davvero l’unico amico che egli avesse. Ettore partecipò a quel concorso del 1937 (tanto atteso: questa la verità), per andare a lavorare a Palermo, con Segrè, che era già in cattedra dal 1935? Neanche per idea. Quando Segrè, che era ebreo, si sposò con un’ebrea tedesca, a Roma, nel 1935, Ettore non fu invitato, e comunque lui non avrebbe comunque voluto partecipare. Non c’è una sola riga di Ettore con Fermi e Amaldi. La lettera del 1933 da Lipsia per Segré destò irritazione, stupore e scandalo.

Ettore era contento di andare a Napoli. Il decreto è del 2 novembre, la decorrenza della nomina – soggetta a visto contabile della Corte di Conti – è del 16 novembre. L’11 gennaio i bendue mesi erano trascorsi soltanto dalla data dal decreto. Il decreto si riferiva alla nomina speciale, fuori procedura di concorso, “per l’alta fama di singolare perizia”, questa la formula; ma non conteneva la destinazione per Napoli, cambiata a penna nella comunicazione dattiloscritta a Fermi, in data 8 novembre 1937, quale presidente della commissione d’esame, bensì per Bologna. L’errore non era del dattilografo, fu il decreto a essere variato. Ettore era sempre informatissimo. In questa prima lettera intende porre in rilievo la decorrenza retributiva della nomina e la sua perizia. Nella lettera del 21 novembre 1937, scrivendo a Giovannino Gentile, farà sfoggio della sua caustica ironia su Carrelli granbrava persona, su Segrè e tutti gli altri molto gentili, e sul Papa Fermi.

La ‘famiglia’ partecipò alla prolusione del 13 gennaio alle ore nove (sicuramente la madre e la sorella Maria), pur avendoli sconsigliandoli (rimane il problema dei tempi postali per avvertirli. Il padre di Ettore, ingegnere telefonico, era morto di grave malattia, mal diagnosticata e mal curata, nel 1934. Ettore utilizzò a lungo la carta listata a lutto nelle sue lettere private. Ettore avrebbe potuto telefonare.

In questa prima lettera ci sono allusioni al professore “terrestre” introvabile (il non nominato Giuseppe Imbò) e agli asseriti “giochetti” di Carrelli con un’improbabile descrizione dell’Istituto, essendo Carrelli e Cennamo dediti a studi e pubblicazioni di spettrografia sul‘continuum Raman’ (“Nuovo Cimento” n. 5, maggio 1937). Ettore storpiò volutamente il cognome dell’assistente di Carrelli. Lui, che invano aveva tentato, per tre anni di fila, di tenere corsi liberi a Roma, mentre dal 1928 era vacante a Milano la cattedra di fisica teorica di Aldo Pontremoli, collega di Fermi, perito nel disastro polare del dirigibile “Italia”.

Ci sono altresì allusioni sulla brevità del soggiorno a “Napoli” (l’albergo si chiamava Hotel de Naples), con Napoli la cui asserita scarsità di veicoli nel centro cittadino ha dell’incredibile (con ciò s’indicava la non ‘credibilità’ di altre affermazioni in futuro).

Il successivo martedì 18 gennaio, terzo giorno di lezione, Ettore avrebbe dichiarato al fisico Giuseppe Occhialini che se avesse tardato di qualche settimana non l’avrebbe più incontrato. Un suicidio a orologeria? Anche questa testimonianza avalla la fuga, per motivi non egoistici (è tipico di chi scade in equivoci o falsa le cose, pretendere di ignorare fatti che non sono dei dettagli).

Il 31 marzo 1938 cadeva di giovedì. In questa data la scomparsa fu ufficializzata dalla Polizia. Giovedì 13 gennaio e giovedì 31 marzo. Il segnale più incisivo è Caccemo (non un tollerabile ‘Caccamo’), seguito dal professore di fisica terrestre difficile a trovare. Il piano di scomparsa risaliva a prima di portarsi a Napoli per l’insegnamento, come testimoniano le dichiarazioni riferite da Occhialini, fermo restando che i propositi di suicidio erano falsi (“chi ne parla, non lo fa”). Mettere in luce questo aspetto è molto importante. Significa infatti dare senso a quel ormai, una scomparsa ormai inevitabile (quindi necessaria), ma in vita (inevitabile), sebbene improvvisa(dove si legge ‘vivo’ e ‘avviso’).

Nelle strane, inquietanti vicende del concorso a cattedra del 1937, Carrelli nicchiò davanti alle forti pressioni fattegli pervenire, tramite il Rettore di Napoli (che allora non era Salvi, ma Vallauri), dal Senatore Gentile, a favore di suo figlio, che rischiava di rimanere fuori terna (vedi P. Simoncelli, Tra scienza e lettere, 2006, pag. 116).

A rigor di logica, Ettore sarebbe dovuto andare a Palermo, mentre l’alternativa per un solo posto era tra G. Gentile, il figlio del senatore e intimo amico di Majorana, e G. Racah (ebreo, che poi diverrà il Rettore dell’Università di Gerusalemme terminata la guerra e dopo l’orrendo crimine nazista dell’Olocausto). Tre Majorana e Racah non correvano rapporti di simpatia. L’inattesa partecipazione di Ettore al concorso scompigliò i progetti, ma Giancarlo Wick, figlio della nota antifascista torinese Barbara Alison, andò ugualmente a Palermo, come prima della terna (Ettore presupponeva l’eliminazione di Racah, o di Wick, ma quanto a lui, se proprio fosse stato costretto ad andare a Palermo, bene, questa città con un porto, era come Napoli).

Ettore fu inizialmente nominato per Bologna, ma all’ultimo momento ci fu una correzione a penna per Napoli (è illusorio che si trattasse di un banale refuso del dattilografo). La lettera fu lasciata com’era, con quella correzione a penna: un dato eloquente.

Amaldi (1966), pur conoscendo benissimo il testo completo di questa prima lettera di Ettore da Napoli (inserita poi nel fondo pisano a cura del prof. Liotta), parlerà invece di “albergo Patria”. Risulta, dalla corrispondenza parentale pubblicata da Roncoroni nel 2013, che Ettore nel mese di buco epistolare tra il 23 gennaio e il 22 febbraio, fosse stato anche al “Patria”. Ciò non significa che le lettere napoletane fossero più di nove, come sostiene Roncoroni, che le avrebbe viste (e lette) negli anni ’60, ma di cui non ricorda o non dice nulla, mentre trascrive brani di una lettera del padre di Ettore in cui, nel 1933, si rimproverava il figlio di essersi troppo infervorato di Hitler.

Per l’alta fama di singolare perizia” (questa la formula normativa della nomina speciale) si presta a una duplice trasformazione: = < L’alta perizia fa per sol di Germania > – < L’alta perizia sfidi grane a Palermo > (riferimento ‘logico’ al fatto che non recandosi a Palermo, qui potesse verificarsi qualche imprevisto, in un piano di fuga in mente già da tempo). La stringa anagrammata (29!) non dà certezze, ma il duplice risultato è veramente singolare. La prima lettera di Ettore da Napoli contiene segnali sicuri: Caccemo (corretto da Recami in Cennamo, ma così nascondendo questa singolarità), e, subito di seguito, quell’introvabile professore di fisica terrestre (Giuseppe Imbò). Altro segnale il Rettore Salvi, implicato dal fatto che Ettore affermava di avergli già scritto per ringraziarlo, non avendolo trovato, bensì scriverà il giorno dopo al Ministro Bottai. I ‘segnali’ o ‘avvisi’ valgono nella misura in cui la loro ambigua tollerabilità a testo si sveli ‘post eventum’.

Ettore ha alluso ai seguenti eventi futuri: che gli rimarrà per poco tempo a Napoli, che sarà ricercato ‘a terra’ ma non sarà ritrovato, che è salvo, che la sua è una scomparsa premeditata e necessaria. Inoltre che ci saranno ‘esercizi meccanici’ (occupazione dominante). L’ironia su Carelli molto gentile concerne il mobile Carrelli della procedura di concorso legata a Fermi (dapprima Carrelli resistette alle pressioni del Senatore Gentile, poi si ammorbidì). L’albergo “Napoli” è discreto. Questa espressione si riconnette alla lettera del 23 febbraio: Ho una stanza discreta (oggi me ne daranno una migliore). Parole che si ripetono da una lettera all’altra. Ed è un ‘continuum’ di significati. La parola oggi è destinata a riaffiorare più volte.

***

Testo ‘segreto’ esteso (ma contano soltanto i passi sottolineati) della prima lettera da Napoli. *[Si rammenta quanto detto a proposito degli eccessi di traslitterazione. Hanno valore soltanto gli anagrammi brevi, il resto è ‘ad abundantiam’].

Cara mamma,

Se pur all’inizio nel dolo certo giovedì 31 ho la nave in zona. Non è stato possibile avvisarvi e se riferisco che sono proposizioni d’ora, così è possibile che menta e non venga e che non debba ridarmi agli studi. Consigliere del percorso, se all’apertura ho evitato di concordare vie di cui ho il visto con ogni carattereufficiale, non per questo direi in che nave.

Gentile è stato offeso abbastanza ma oggi grazie alla mia Facoltà il mobile Carrelli mi porti a molti comodi mentre parto. L’Istituto di Carrelli mente pratica, si riduca al personale del vecchio Maione e del giovane assistente “Caccemo. E’ difficile che un professore di fisica corra tristi sere per nave.

Trovo annunzio d’agente in cui Hitler attende ben tre mesi e a mia data cura vuole mi dirigano “animi leali” a falsa partenza a Palermo. Con un testo altrettanto elevato, rispondo a Hitler “ trovato angolo e la nave”.

Cerca con calma indizi logici o in che limite parlo per lettera. L’occupazionedominate è quella degli esercizi, sorrise la mitica Stella perenne.

C’è in obolo tutto un mito prezzo di pace, Hitler è sole intatto.

Pregevole indirizzo per angolo Libano coprirà scelte; così che ‘pro abbia’ quel tempo che rimarrò vile.

Dico a Hitler che se scatta un allarme, aspetterò al porto di Napoli, solamente sera, nave con scalo in Libano. Sulle descrizioni del mio “venerdì” prevale vigile voce. Saluti affettuosi.

E’ singolare che il nome di Hitler possa apparire più volte nella trasposizione. Ettore anticiperebbe il piano iniziale di fuga, col suo passaporto valido anche per il Libano, all’epoca divenuto filotedesco, e già sotto l’amministrazione fiduciaria francese, su mandato temporale della Società delle Nazioni avente sede a Ginevra. C’è un invito ai suoi a ragionare correttamente sui fatti e sulle lettere di scomparsa e alla acribia e solerzia per i tentativi o esercizi di trasposizione.

CaccemoVi è anche un professore di fisica terrestre difficile a scoprire = < E’ difficile che un professore di fisica ‘corra’ tristi sere per nave >.

Il verbo transitivo ha qui il corretto significato di ‘correre’ un rischio, di ‘trascorrere’ un certo tempo o di ‘percorrere’ un certo tratto. ‘Sere’, al plurale, richiama l’imbrunire e contempla, per traslato, anche l’idea implicita della morte.

Carrelli prepara le lezioni di meccanica con molti giochetti (espressione testuale chiaramente distorta e ironica). L’occupazione dominante è quella degli esercizi, almeno per Carrelli e assistenti (altra espressione riduttiva, assai poco credibile).

Ciò si traduce in: < Cerca con calma indizi logici o in che limite parlo per lettera. L’occupazione dominante è quella degli esercizi, sorrise la mitica Stella perenne = < almeno per Carrelli e assistenti >. Il tema della scomparsa sarebbe perfettamente risolto.

L’Istituto è molto pulito e in ordine, benché poco attrezzato – restituisce < C’è in obolo tutto un mito prezzo di pace, Hitler è sole intatto >. Ettore si mostrerebbe informato dell’essenza politica del c.d. protocollo Hossbach (un colonnello aiutante in campo), sulla riunione segretissima di Berlino del 5 novembre 1937, che segnò la svolta. La politica dello “spazio vitale”, e del mito del “Reich millenario”, poneva una alternativa tra l’accettazione di tali obiettivi e la guerra.

< Hitler sole intatto > (con riferimento al simbolo solare della svastica nazista), si connette al ‘sole all’alba’ che ‘ornava’ la carta intestata del “Grand Hotel Sole – Palermo” nell’ultima lettera espresso per Carrelli del 26 marzo.

Gli anagrammi pesanti – ovviamente – non danno garanzie. Tuttavia, se qualcuno li ha intenzionalmente inseriti, non può escludersi la possibilità del loro ritrovamento originario. Potremmo invertire ‘dominante’ con ‘perenne’, per cui gli esercizi sono adesso “perenni”, e la Stella è “dominante”. Per Stella (polare, oppure il Sole) si può intendere la Germania (passi analoghi sono presenti nel Mein Kampf di Hitler).

Ciò che conta è la presenza di segnali. Caccemo non è un errore. Ettore conosceva già il nome esatto dell’assistente più giovane di Carrelli (che nato nel 1910, all’epoca aveva 28 anni). E non c’è possibilità di equivoco con ‘Caccamo’. L’ha fatto apposta, per segnalare la frase immediatamente seguente, che è indubbiamente allusiva a quanto accadrà a fine marzo. Da qui anche la possibilità che il relativo anagramma sia alquanto plausibile. ‘Sere’ – al plurale – significa la ‘sera’ dell’andata in nave a Palermo, e la ‘sera’ del ritorno a Napoli sempre in nave. Nella lettera del 19 marzo leggiamo stasera, nella prima lettera a Carrelli, del 25 marzo, questasera. Il lettore può scorgere da solo altre ripetizioni di parole. Dove c’è configurazione c’è anche significato. L’anagramma della frase che testualmente si riferisce un professore, difficile a trovare, di fisica terrestre (materia insegnata a Roma, agli inizi, anche da Fermi), rivelerebbe che Ettore non aveva motivo di correre-trascorrere ‘tristi sere’ in nave (per nave): l’aggettivo “terrestre” scompare, ma ne rimane il significato ironico fissato a testo.

Certamente “difficile” che Majorana intendesse buttarsi a mare con i suoi soldi e il passaporto, sapendo nuotare. Forse si buttò con tutto il cappello?

Il riferimento finale della lettera alle “vicende” della prima lezione di “giovedì”, che fu una ‘lectio magistralis’ o prolusione del corso secondo l’usanza storica in vigore presso l’Università di Napoli, certamente non ignota a Ettore sebbene preferisse evitare ogni ufficialità, è altrettanto significativo. Ettore impiega il termine “vicende” con una certa ironica malizia.

L’anagramma della frase che chiude questa lettera: < Prevale vigile voce sulle descrizioni del mio venerdì > (ove un accento – vi scriverò – è caduto), significa che nelle sue due lettere di venerdì 25 marzo, quella per Carrelli, e quella lasciata nella stanza del Bologna, sul lutto prevarrà la scomparsa (‘vigile voce’, cioè ‘voce’ o ‘vocabolo’ attentamente prescelto).

In ogni caso, la lettera in data 11 gennaio ha un suo andamento. Altro andamento ha la trasposizione integrale di questa stessa lettera, che però conserva una linea di sviluppo, senza fratture improvvise.

 

 

 

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