LA DOMUS MUSAE DI ASSISI E IL THEATRUM DEI PROPERZI
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1* Un articolo di archeologia [Francesca Boldrighini 2012 in “Atti Properziani” 2014] riaprirebbe il caso della c.d. domusMusae che Margherita Guarducci considerava vera casa di Properzio, e dunque prova definitiva che il poeta fosse nato ad Assisi. Si sostiene però che la domus non fosse una casa di abitazione, il che è corretto, bensì un annesso in qualche modo collegato a un vicino teatro, fatto erigere dalla gens Propertia su mandato testamentario di un Sextus Propertius, secondo quanto risulta o risulterebbe da una lapide frammentaria rinvenuta in loco nel 1949 da Fioravante Caldari, allora Presidente dell’Accademia Properziana del Subasio, a seguito dei primi scavi finanziati a sue spese in quel sito umbro-romano, sul quale poi sorse nel quinto secolo d.C., la prima chiesa episcopale cristiana della città, Santa Maria Maggiore, strettamente legata a memorie francescane.
La lapide fu ricomposta nel 2005 in base a nuovi frammenti ed è stata letta da Luigi Sensi [in Atti Properziani 2005] sebbene incompleta, in connessione alla edificazione di un “teatro”. Pertanto, al problema già posto dalla domus musae si aggiunge quello del teatro romano di Assisi, collocato dai primi archeologi nella parte alta, originaria e più antica della città umbra, accanto al complesso architettonico medievale del duomo romanico di San Rufino e nelle vicinanze della vecchia cinta muraria, del “circo” vero e proprio, del grande sacello o torrione, e dell’anfiteatro.
Problemi concettuali complessi, affrontati in modo limitato e parziale, molto spesso in termini e in modi non esatti, anche dal punto di vista logico, oltre che archeologico, insomma senza considerare il quadro generale e trascurando persino dettagli essenziali ai fini della comprensione.
2* Qualcuno lasciò questa scritta: << Ho baciato il teatro… >> ? Oscilavi domum musae è difatti il graffito di un anonimo, in data 22 febbraio 367 d.C. [Caristia o Cara cognatio / oppure Cathedra Petri], che aveva baciato [uscendo] la casa della musa. Una “casa” oppure un “teatro”?
Se per l’appunto – come sembra ritenere Francesca Boldrighini – dovessimo intendere che il “teatro romano” di Assisi fosse collocato nei paraggi, quindi casa o luogo della musa teatrale…: nel qual caso, il “criptoportico” o “casa della musa” secondo la Guarducci, sarebbe un annesso ovvero una qualche struttura pertinenziale del theatrum, iniziato da un certo Sextus Propertius e poi – con mandato testamentario di un C. Propertius – fatto terminare nell’arco di un certo tempo da altri discendenti del ramo locale della gens Propertia [L. Sensi, 2005].
Non è la prima volta che nel trattare delle antichità umbre e romane di Assisi sono state fatte affermazioni ipotetiche, in realtà prive di fondamento, e sono stati trascurati dati e dettagli oltremodo importanti ed evidenti. Ciò è in parte dipeso anche dal fatto che anziché promuovere il coinvolgimento di ricercatori locali si è preferito delegare a istituzioni universitarie e a studiosi di settore, realizzando una specie di ‘esproprio’, con risultati per alcuni aspetti negativi.
Nello scrivere un articolo impegnativo, occorre dire esplicitamente in chiaro e documentare l’ipotesi, anziché rinviare a dati ipotetici inesistenti. E se si trascura, oppure si ignora, il dato scientifico primario – e cioè che i locali della domus musae sono orientati astronomicamente come la chiesa che li ingloba – il pasticcio di pretesa scienza e gli equivoci aumentano, a danno del lettore e della realtà storica di Assisi.
Ne è riprova nel documento diffuso nel 2014 dalla Accademia Properziana del Subasio che preferirebbe favorire e/o sancire ipotesi illogiche e non dimostrate, anziché accettare suggerimenti corretti. Ecco il documento diffuso dall’Accademia:
Accademia Properziana del Subasio – Comune di Assisi – Soprintendenza ai Beni Archeologici
Assisi per il Bimillenario di Augusto
14.d.C. – 2014
La città di Assisi celebra il Bimillenario della morte di Augusto in memoria del profondo legame tra l’antico municipio di Asisium e il fondatore della pax Augusta. Dal poeta Properzio, che ha reso immortale il ricordo della guerra di Perugia, al tempio della Minerva che fissa nella pietra il rapporto della città con i Triumviri, alle Domus che testimoniano la comunanza di gusto artistico con la Roma di età augustea, Assisi è infatti tra le rare città che possono celebrare il Bimillenario non come partecipazione ad un atto di omaggio al fondatore dell’impero romano, ma anche come ricordo della propria vita culturale, politica e artistica.
Programma della celebrazione:
Sabato 15 novembre 2014
Sala della Conciliazione ore 9.30
Saluto delle Autorità
Intervento del Presidente dell’ Accademia Properziana del Subasio prof. Giorgio Bonamente
Relazioni:
Prof. Andrea Giardina. Università di Pisa. Accademia dei Lincei:
Augusto e le città dell’Italia
Prof. Paolo Fedeli . Università di Bari. Accademia dei Lincei
Augusto e il suo programma nel IV libro delle Elegie di Properzio
Dott.ssa Francesca Boldrighini . Soprintendenza Archeologica di Roma
La domus Musae
La cittadinanza è invitata ad intervenire.
Il documento istituzionale qui sopra riportato fa riferimento alla domus musae e alle Celebrazioni augustee per il Bimillenario della morte [14 d. C.].
In altre parole, con la scusa di Properzio ‘poeta cortigiano’ – ma ignorando Properzio segreto – si pretenderebbe altresì di accreditare anche una versione assurda, non confermata da alcun dato, sulla domus musae.
Molto probabilmente è – o sarebbe – cosa inutile cercare di ricondurre la verità sulla corretta via, giacché la presunzione “scientifica” di certuni è di natura monopolistica, oltre che istituzionale. Noi abbiamo a nostra disposizione solo e soltanto i dati di fatto e la logica. Elementi, che nel presente odierno, vengono forse scartati in nome di valori superiori: l’irrealtà e l’inverosimiglianza. Cui si aggiungerebbe l’ispe dixit categorico, imposto dall’alto, così espropriando la possibilità stessa di un confronto dialettico e l’affiorare del vero.
Il medico non sbaglia mai, ma povero il paziente. Il “teatro” di Assisi romana sarebbe stato “baciato” da un anonimo in un luogo abbastanza misterioso – casa o criptoportico – ornato da affreschi di età post augustea e da graffiti di mani diverse su preziosi intonaci originari.
Non potendo succedere una cosa simile a casa d’altri – nell’anno 367 d.C. Assisi viveva un’epoca di relativo declino, ma nessuna invasione barbarica si era allora verificata – si è dovuto inventare che “casa” non fosse, bensì una specie di annesso teatrale. Peggio ancora, con l’avallo ufficiale, che è o sarebbe stato fornito a tale ipotesi, però priva di riscontro nelle cose. Ignorando che il sito assisiate della c.d. domus musae è orientato astronomicamente sul punto del sorgere del sole alla data del solstizio invernale e che anche il complesso murario difensivo immediatamente adiacente ha un suo preciso orientamento a est, certamente non casuale come il singolare dato precedente.
Quando si fa un’archeologia impropria, ciò che ne deriva è inattendibile. Al contrario, sarebbe questo il dato ufficiale, che però non sta in piedi, neanche per se stesso.
Nelle adiacenze della domus musae non c’è spazio alcuno per un teatro romano, nessun reperto sta lì a provare nei dintorni l’esistenza di un monumento importante, tra l’altro qui del tutto fuori posto, nel cuore della città abitata, e nemmeno funzionalmente collocabile quanto agli spettatori e rispetto alla direzione della radiazione solare. All’eresia, in termini razionali della Guarducci che una “casa” di privata abitazione potesse essere liberamente visitata e persino rovinata da graffiti sugli intonaci, se ne è aggiunta un’altra: casa non era, ma si trattava di annesso servente a un teatro invisibile e senza tracce. Dovremmo dire ‘sciocchezze’ belle e buone, che poi portano a facili battute: se prima avevo “baciato” [uscendo] la “casa dei poeti” – Properzio e Paolo Passenno suo discendente e municipale – adesso ho baciato un “teatro”? Magari, passando per la Mongolia [cfr. articolo 2012 e relativa bibliografia].
Cose del genere non appartengono ad Assisi antica, ma a quella entità fittizia che è stata costruita negli ultimi decenni, in varie pubblicazioni, che non distinguono i vari tipi di travertino e che ‘guardano’ soltanto a ciò che si vuole ‘credere’ di vedere, in modo isolato e frammentario, trascurando quasi tutto il resto, comunque violando spesso la razionalità.
Indagini formali, che hanno tanto di accademico quanto di artificiale, ma poco o nulla di reale e di commisurato. L’Accademia proporrebbe questo genere di pubblicazioni, e non permetterebbe di esprimersi ai dissenzienti in grado di dimostrare i fatti con prove e argomenti logici: da qui l’esigenza di un sito web dedicato ai “misteri di Assisi non risolti, e anzi trascurati o inquinati da una ufficialità che non tollera confronti. Si chieda il lettore ‘chi’ avrebbe ragione, e se infine gli sembri accettabile, o condivisibile, il monopolio del vero. Da parte nostra, con modestia non remissiva, cerchiamo di ristabilire la verità effettiva, esibendone regolarmente le prove.
3* Quando un problema esiste, non può essere ignorato. Un problema molto serio e condizionante, era quello del luogo di nascita, in Umbria, di Properzio. Non l’ha risolto Margherita Guarducci negli anni ’70 del secolo scorso con la scoperta del graffito anonimo della domus musae. Non l’ha risolto Giorgio Bonamente con un articolo del 2002. Il problema è stato risolto da me con le cifre di Properzio segreto presenti nelle Elegie.
Il fatto che non se ne voglia prendere atto – in primo luogo da parte dell’Accademia – evidenzia lo stile imperante dei tempi correnti. Non solo si pretenderebbe col silenzio di negare l’evidenza, ma si ‘contrabbandano’ verità non provate, giacché l’abbondanza delle iscrizioni e delle epigrafi properziane ad Assisi non è una prova, ma un indizio.
Negli studi di settore c’è dunque un vizio di fondo: l’affermazione ideologica, in assenza di prova adeguata. Per cui il malcapitato scopritore della verità certa e provata si trova davanti all’inerzia, all’indifferenza e alla presunzione di una scienza in realtà carente.
Sono aspetti minori del “problema properziano” – da me risolto in forma autentica diretta – sia la domus musae che il theatrum, il “togato” del museo romano con la prova che il tempio era dedicato a Minerva.
Siccome sono state prodotte schede museali sbagliate e si è chiuso gli occhi davanti a problemi di archeologia molto importanti per Assisi pubblicando tesi erronee, adesso la verità diverrebbe inattingibile.
Rimane però agli atti l’ufficialità, sconfessata da scoperte decisive. Così che la domus musae è quasiun ‘pateracchio’ – un equivoco: cfr. in questo stesso sito web i vari pezzi dedicati a tale argomento –, cui si aggiungono altrettanti errori più recenti. Ed è ovvio che se dobbiamo interpretare la lapide frammentaria – presente chissà perché nella domus musae – secondo la trascrizione che ne ha dato L. Sensi nel 2005, i problemi di sicuro aumentano e non diminuiscono.
Quel Sextus Propertius della lapide era molto probabilmente il poeta di Assisi.
E’ ovvio che Properzio sia tornato definitivamente ad Assisi: questo si ricavava già da Plinio ed è un dato confermato dalle cifre presenti nelle Elegie. Soltanto un’Accademia [cittadina, e non perugina] un po’ distratta non ci aveva pensato, celebrando l’arbitrario Bimillenario della morte di Properzio nel 1985.
Se si fa un semplice richiamo alla ragione si è ignorati, se si producono prove – copiose e autentiche – si è ugualmente ignorati. Il problema è forse di chi ignora. L’ufficialità pretenderebbe il falso storico? Secondo la testimonianza di Ovidio, Properzio sarebbe morto prima del 2 d.C.: ma ciò non significa che sia morto nel 15 o nel 14. Morto dove e sepolto come? Però, aveva casa ad Assisi, e questa “casa”, tuttavia non d’abitazione, bensì “casa della musa”, sarebbe un annesso teatrale?
L’illogicità non si risolve in queste contraddizioni: gli Atti presentano casi di affermazioni gratuite, garantite soltanto dall’ipse dixit. Che ne penserebbe il Presidente, che non sembrerebbe voler accettare confronti o dibattiti critici sul tema, pretendendo forse di imporre altre convinzioni?
L’Accademia Properziana non era un’appendice universitaria, anche se poi lo è diventata di fatto. Non sempre gli studi teorici colgono nel vero. Se si fa confusione tra ambiti autonomi e distinti il risultato netto è o sarebbe il personalismo protagonista; qui con conseguenze aberranti, ed è forse il caso di dirlo.
La confusione riguarda Assisi in età umbro-romana [dati archeologici primari]. Concerne Properzio, la sua vita e la sua opera unica. Non c’è storico che possa prescindere da testimonianze certe. La storia fatta a tavolino, anche su base scientifica epigrafica, è molto orientativa, ma quasi mai risolvente. Da qui la serie di equivoci ai quali ci riferiamo, ma non per spirito polemico fine a se stesso.
Per esempio, dove si trovavano il teatro romano di Assisi, attestato dalla iscrizione Theatrum presente in una trabeazione depositata in antico nei locali della domus musae, e il “circo” con un “fornice” come risulta dalla iscrizione monumentale di età pre-sillana della chiesa di san Rufino? Perché si rischia di confondere due volte il “teatro” romano più recente col “circo” più antico e ormai inutile La confusione nasce – o nascerebbe – da una serie equivoci e di fraintendimenti addebitabili all’Accademia. Moltiplicando i problemi, senza risolverne nessuno, non sembra questa essere una buona via.
Il tempio non sarebbe di Minerva. Ciò comporta o comporterebbe una serie di errori consecutivi, addebitabili in questo caso a un grande e rinomato archeologo, che ha postulato che Cynthia fosse stata figlia dell’infame Hostius Quadra di un passo delle Questioni Naturali di Seneca. Il romanzesco si sarebbe impadronito di una realtà immaginaria. E’ ovvio che una “Cinzia” così non poteva esistere a priori. Figuriamoci poi su Assisi, dove il quadro generale non è stato mai ben colto nel suo sviluppo storico e nella sua interezza.
C’è anche chi sempre in maniera illustre non capisce i Perusina sepulcra. Di questo passo si potrebbe arrivare alla favole. Alla favola di Gallus e del bellum Peuisinum, negando la arae; alla favola erotica degli “Amanti del Tevere”, senza capire il dramma. E folle chi saprebbe da che parte stia la verità: per esempio, perché in Italia il debito pubblico è immane, e come e perché si è consumato un genocidio generazionale. Forse la storia non insegna nulla ed è pertanto inutile. Abbiamo ormai soppresso la ragione?
4* La c.d. domus musae si trova a ridosso e confina direttamente, con l’antica cinta muraria umbro romana. Qui nelle stesse mura c’è una portella originaria – definita come iter precarium e inquadrata quale istituto giuridico del Digesto – la cui scritta antica è stata intesa appunto come passaggio a titolo precario, senza pensare o rendersi conto che il muro umbro-romano di cinta qui non è stato rasato o smozzicato in cima, ma si sprofondava più in basso, al di sotto del cumulo attuale di terreno di riporto che vi si addossa, per cui abbiamo il caso differente di una porticina coeva ed originaria al muro antico, che stava quasi sulla sommità del muro stesso [dato archeologico verificabile, del resto effettivo]. Come se, appunto, nel II – I secolo a.C. avesse avuto senso una servitù di passaggio sul muro di difesa di una città guarnita. Nessun’altra portella di quelle similmente presenti nella cinta muraria, reca un’iscrizione.
E’ ovvio ed è lampante che la qualificazione della iscrizione ancora leggibile – che in antico doveva essere più estesa – non possa essere quella nel senso oggi accreditato. Del resto, il “passaggio a titolo precario” avrebbe richiesto una custodia e un permesso. La portella era forse sbarrata? Il “non senso” in termini logici di certe interpretazioni, che hanno pretesa di scientificità, si scarica sulla reale natura del luogo, connesso alla cinta muraria e alla stessa domus musae, che però non poteva essere una “casa” signorile di abitazione e neppure un annesso teatrale ovvero un deambulatorio recante strane iscrizioni e graffiti. L’anonimo del 367 d.C. – di cui ho fatto già il nome in un pezzo a parte – stava uscendo da un luogo affrescato con quadretti di età post augustea, oscuro e umbratile, ricco di iscrizioni metriche greche ed altri grafiti di cui ho già fornito spiegazione e significati, e il corridoio lì terminava. “Baciai la casa della Musa“. Fine della visita.
Il graffito ‘dice’ chiaramente che non poteva trattarsi di una casa privata e neanche di un annesso a un teatro. Tirare qui in ballo la “musa” teatrale sembra pressoché ridicolo, tanto quanto la trascuratezza nei riguardi della elegia di Tarpeia [IV, 4 , versi 23 e 51], a proposito degli omina lunae e della magicamusa. Vi si aggiungerebbe l’ignoranza o la sottovalutazione del toponimo Moiano e del peso della tradizione, e il fatto stesso della presenza di acque salutari e la prima chiesa cristiana di Assisi. L’Accademia Properziana con somma dottrina avalla simili inconsistenze, riversando sul lettore l’onere o il compito di rintracciare lui i resti di un immaginario teatro romano in quei paraggi. Ciò, perché ad Assisi doveva esserci in età romana un “teatro”, voluto e curato dalla gensPropertia, come testimonierebbero sia la lapide, che la trabeazione, rintracciati all’interno della domus musae scavata per primo da Fioravante Caldari nel 1949 e tuttavia già nota nell’alto medioevo e agli stessi esecutori dei nuovi lavori romanici in età medievale [anno 1162].
Nell’anno 367 d.C. i teatri non erano stati ancora chiusi per interdetto. Tutto funzionava come prima, il cristianesimo ad Assisi giunse tardi, e non intaccò templi o edifici di culto, limitandosi a segni di ri-benedizione con croci in età teodosiana e a una convivenza pacifica tra cristiani e pagani.
Le tracce d’età cristiana sono assai scarse, se non del tutto inesistenti. Resta il problema del passaggio all’epoca cristiana matura quanto al magnifico e monumentale complesso civile e cultuale del foro e del tempio di Minerva, non dei Dioscuri oppure di altre divinità ricollegabili al culto delle acque: sono illazioni totalmente sbagliate, di cui è forte traccia di smentita in Properzio: vertice murus – notior ille murus. Fa specie che archeologi provetti non l’abbiano ben compreso [del resto c’è poco altro di scientificamente valido e mirato, rispetto agli scavi ottocenteschi del Famin e agli studi fatti in seguito da P. Gross e da D. Theodorescu negli anni ’80 del secolo scorso, giacché il pur bel saggio a cura di G. Bonamente, Assisi e gli Umbri nell’antichità, 1991- 1996, ha carattere promiscuo ed è anche ‘per sentito dire’, ripetendo la materia con i medesimi limiti]. Vicenda si ripeterebbe negli Atti 2014 : il visitatore [non anonimo] che scribacchiò col punteruolo di ferro a “casa” altrui, su intonaci affrescati, carico di nostalgia non distingueva tra una “casa” e un “teatro”.
E c’è compreso il ‘giallo’ di mezzo secolo d’imboscamenti da parte della SUBA, con reperti lapidei un tempo considerati “materiali di riporto”. Riportati da chi e quando? Con altre illogicità: soluzioni sbagliate, fatte passare per buone. Anzi, risposte perfette. Tanto è vero che si è smesso di pensare su questi argomenti. La verità acquisita tuttavia non ha fornito soluzioni adeguate, una visione credibile della realtà.
5* Tratteremo anche del “teatro” romano di Assisi. In realtà, l’argomento si allarga anche all’anfiteatro, fermo restando che il “circo” antico fu trasformato presumibilmente in teatro giacché scomparve e non ne risulta altra memoria.
Si deve a uno studio di G. Bonamente un chiarimento sul “torrione” o grande sacello romano appena fuori le mura con un’ubicazione e un’agibilità che il citato Autore non ha forse sospettato oppure avrebbe tralasciato. Il “teatro” di Assisi si trovava a ridosso del sacello, cui probabilmente apparteneva il bel sepolcro romano col mito lunare di Endimione, che fu poi utilizzato come sepolcro per i resti o le ossa di san Rufino, vescovo e martire leggendario, in realtà mai esistito. Il sito web < misteridiassisi > si occupa di questi problemi o derivati in serie, consegnati alla ‘mitologia’ dagli Atti dell’Accademia.
Non si può scrivere un pezzo su Assisi antica senza mettere insieme i vari pezzi dell’evoluzione del passato. Né certi dati – ricavati a tavolino – possono essere automaticamente applicati, in modo esaustivo, a monumenti e reperti ancora enigmatici. Il difetto principale di certi studi accademici consiste nel dato astratto, non sottoposto a verifica di compatibilità reale o realistica. Chi non lo intende, non è già più in grado di fare ricerca seria o storiografia attendibile.
I risultati creano difatti nuovi problemi, senza mai condurre a soluzione. Non è improbabile che il sacello romano del “torrione” si ricollegasse anche alla gens Propertia che curò il “teatro”. Non è impossibile che Properzio sia morto ad Assisi – anzi così dovrebbe essere stato – e che quel sepolcro romano col mito di Endimione – erroneamente attribuito al III secolo – invece risalga a età traianea [un esemplare di caratteri affini, databile verso il 130 d.C. si trova nei musei vaticani]. Tra l’altro, un gruppetto di elegie del secondo libro, riferendosi a presunte volontà testamentarie del poeta, riporta anche il mito di Endimione. Ciò che invece costatiamo è la serie dei ‘non senso’ riguardanti la domus musae e il theatrum. Dovuti inizialmente alla Guarduci, che pure compì un lavoro di eccellente, si sono riprodotti a catena, amplificati e distorcenti.
Nell’anno 367 d.C. quella non poteva essere una vera domus. Ma non poteva nemmeno essere un annesso a un fantomatico teatro. Le case patrizie, e così pure gli edifici pubblici di pregio, templi compresi, erano intatti e pienamente funzionali. Il paganesimo non era stato interdetto da Costantino, tanto è vero che con un editto imperiale – in età costantiniana – era stato soppresso il divieto [risalente a Ottaviano Augusto] di celebrazione rituale del fanum umbro di Spello, caratterizzato da una speciale valenza astronomica circa la latitudine di 43 gradi esatti, connesso al fanum Veltumnae di Volsinii.
Se si trascura il dato astronomico primario si perde subito di vista la realtà religiosa e politico- militare di questo importante sito cultuale. Cosi come non è stato ancora compreso che l’enigma della domus musae è di affine natura.
Trattare di queste cose con chi ha della realtà antica una visione riduttiva, non olistica, ma limitata al sapere scientifico non aggiornato, è tempo sprecato. Si vedono ‘dopo’, le conseguenze aberranti. Il tempio di Minerva era officiato anche nel 367. Ne esiste la prova certissima. Ed è ovvio che chi di ciò non si è accorto, per incapacità a raccogliere e valutare il quadro d’insieme, o altro, alla fine dica, sottintenda o si riferisca a ‘solenni sciocchezze’.
Il momento del passaggio è il dato essenziale, per se stesso determinante. Gli scavi ottocenteschi del Famin, se correttamente valutati, fanno affiorare tutte le prove: il non tenerne conto ha portato a errori, come quello sulla statua del togato e sul torso di Minerva, e persino sulla conservazione e il nome effettivo del tempio. Vallo a spiegare a chi insiste contro i dati reali certificati nelle cose e poi alla fine pretende atti di appropriazione, senza spendersi in chiaro per un legittimo contraddittorio. Il ricorso autoreferenziale all’ipse dixit serve a evitare che altri possano intervenire, quando l’accesso agli atti ordinari è frutto di selezione in casi come questi? Da qui una ‘sottrazione’ di verità, e un modo di fare non sarebbe del tutto ‘corretto’ sul piano scientifico.
Una domus christiana – prima sede episcopale – sorse ad Assisi nel V secolo, inglobando i resti ben conservati di quel luogo, che non era una pertinenza teatrale, bensì un annesso della vera domus dei Propertii poco più a monte.
Il sito della domus musae aveva in antico un carattere cultuale che è stato in qualche modo conservato. Si trattava di un culto solare e lunare legato ai cicli dell’anno e connesso a impetrazioni per la guarigione da malattie e per le sorti. Per questa ragione sulla c.d. domus musae – a due corridoi – sorse la prima chiesa cristiana di Assisi.
La chiesa primitiva fu rimessa a posto in età longobardo – carolingia, e infine fu ristrutturata in stile romanico nel corso del XII secolo, aggiungendovi il campanile e la nuova abside. La lapide francescana del 1216 posta sull’abside romanica è un altro gran bel giallo, non risolto dal Faloci Pulignani, dalla Frugoni, e nemmeno da N. D’Acunto. A riprova del fatto che gli enigmi di Assisi si accumulano e che per risolverli occorrono strumenti diversi da quelli normalmente impiegati. Ma l’Accademia è la ‘cassa di risonanza’ delle pretese soluzioni, che però non coincidono mai. I giovani si disinteressano, forse scorgendo artifici, e i vecchi sono o sarebbero ‘vittime’ passive del sentito dire. Ciò che conta o conterebbe è il monopolio, peggio che in politica? Nelle ‘muffe’ [?] accademiche non ci sarebbe nulla di vitale, il nuovo non esisterebbe aldilà dell’ambito universitario, per cui l’Accademia è un doppione inutile, giacché è università oppure niente.
Il problema della natura del sito della domus musae è dato, adesso, dalla presenza di una lastra di calcare locale bianco, con la scritta THEATRUM, e da un’importantissima lapide frammentaria, la cui parte principale fu ritrovata dal Caldari e la quale lapide ricorda – ancora una volta – il “teatro” a ragione di un “mandato testamentario” per il suo completamento.
Una lapide mutila, incassata sul fianco della Chiesa Nuova, ricorderebbe la parola latina scena con riferimento perciò a un teatro che potrebbe aver avuto collocazione, in età romana, nello spazio occupato dal grande convento di Sant’Antonio, oggi Scuola elementare. In tal caso il teatro si sarebbe trovato in prossimità della vera domus della gens Propertia – affiorata casualmente per lavori edilizi dopo il sima del 1997 – e nemmeno lontano dalla domus musae dove fu ritrovata la trabeazione.
L’irrazionalità dell’articolo del 2012 sarebbe qui colmata dalle presenti osservazioni che non figuravano a testo.
Difatti, la presenza della trabeazione in calcare locale bianco, portante la scritta Theatrum, non prova ex se che la domus musae sia essa stessa un annesso teatrale, bensì comporterebbe un collegamento con la gens Propertia, tramite l’epigrafe frammentaria valorizzata dal Sensi e attraverso le due domus, nello spazio ristretto di non oltre 200 – 300 metri, a monte e a valle, con ricchi affioramenti archeologici. Tutta quella zona sarebbe appartenuta ai Properzi, dalla c.d. casa del Larario alla domus musae. Ma negli spazi di un dosso, occupati dalle attuali scuole elementari, sorgeva forse il “teatro”?
Si ha notizia di un tempio di Ercole in questa stessa zona. Il solo dato di relativo conforto è fornito dal frammento epigrafico che si trova incassato muro laterale della Chiesa Nuova, ma che potrebbe provenire da qualsiasi parte della città antica e che peraltro è soltanto ipoteticamente leggibile.
Nel ‘600 i lavori di edificazione della Chiesa Nuova non fecero emergere nulla di particolare. Ed è poi alquanto dubbio che la casa natale di san Francesco si trovasse in quel luogo, certamente sede di un quartiere mediavele, già di età romana.Un teatro antico non sparisce senza lasciare traccia. Il caso speciale di Bevagna presenta ampie e rilevanti tracce di un teatro romano in calce struzzo, posto in una zona periferica dell’abitato antico, tuttavia non lontana da un tempio e da un grande edificio con un bellissimo mosaico, probabilmente le terme. L’assenza di ogni traccia edilizia di “teatro” nelle zone adiacenti alla domusmusae e alla c.d. casa del Larario confinano nel c.d. regno delle favole l’articolo del 2012, ospitato dall’Accademia Properzianma nell’ambito del Convegno Internazionale di quell’anno, Atti 2014.
6* Chi era quel Sextus Propertius della lapide frammentaria recuperata nel 2005? Perché questi reperti – dichiarati tuttavia “materiali di riporto”: cioè non appartenenti al luogo – sono qui riemersi con i primi scavi di Caldari nel 1949, poi proseguiti dalla SUBA? Perché l’imboscamento, durato diciamo pure per mezzo secolo, ancora vivente la Guarducci, di questi frammenti lapidei? Ed è questa “scienza” e “trasparenza”? Infine, come mai queste nuove e improvvise visioni archeologiche dell’Accademia?
Perché – questa la spiegazione – non si è mai capito qualcosa di esatto, circa la natura della domus musae. La stratificazione degli equivoci ha comportato la ‘leggenda’. Spia della contraddizione è proprio quella lapide: ornava il teatro, e doveva trattarsi del poeta, che tuttavia non poteva vivere in una specie di criptoportico che non conduceva ad alcuna abitazione, essendo vera “casa” dei Propertii la c.d. casa del Larario.
Gli errori hanno una doppia faccia: si sussurra, e non si dice, quale fosse la vera “casa”; si danno a credere notizie che non sono confermate sia in termini archeologici, che rispetto razionalità. Il compito dell’Accademia sembrerebbe quello di creare confusione, producendo dati contrastanti e affidandosi alle coperture temporali dell’ipse dixit? Se poni domande, senti rispondere da tizio e da caio: “Non me ne intendo”. Chi se intenderebbe, allora?
Se ne dovrebbe concludere che il Presidente, rivestendo degnamente l’abito accademico e quello universitario, sia il “deus ex machina”. Tuttavia, senza la fabula docta, si vedrebbero solo contraddizioni. Insomma, nulla quadrerebbe: e la ridda delle ipotesi –+va da un volume all’altro; e non ci si raccapezzerebbe, a meno di intendersene per conto proprio.
L’illogicità e le contraddizioni non sono mai buon segno, a meno che non siano il mezzo stesso per procedere oltre. Un teatro che non c’è e una casa che non era un luogo di abitazione? I dati crudi sarebbero questi. L’Accademia ‘teologica’ professerebbe ‘dogmi’ incompatibili?
Anzitutto, verso monte della domus musae, c’era – e c’è ancora – un analogo corridoio: la chiesa antica poggiò sull’uno e l’altro. E’ poi falso che il corridoio posto a sud, oggi noto, proseguisse oltre la facciata romanica della chiesa attuale, e che a nord la chiesa stessa non poggiasse già su un più antico muro di sostruzione. E’ falso che il teatro romano di Assisi si potesse trovare nei pressi della c.d. domusmusae. Al contrario, è vero invece – ed è comprovabile – che il teatro si trovasse là dove già lo indicava il Brizi a fine ‘800, per quanto sembri mancare il requisito della semi-circolarità della cavea. Tuttavia la parte diritta, cioè lineare, che ancora sopravvive accanto al fianco destro del duomo di san Rufino, rappresentava soltanto la fronte rialzata del teatro, con i lati che poi s’incurvano più in basso, dando luogo alla cavea semicircolare: ci sono tutti quanti i segni e le presenze della cavea all’interno delle case e del mulino a olio che vi si sono annidati, e c’era tutto lo spazio necessario per un piccolo teatro, quando la sua stessa collocazione corrispondeva a un razionale progetto anche a riguardo dei raggi solari. Rimosse le antichissime casipole, qui sorse il teatro romano di Assisi, con la “scena” accostata alle mura civiche. E rimane ancora oggi uno spazio superficiale sgombro, nel cui interrato si trovano altre rovine, di cui in parte censite dal Brizi.
Nessun “teatro” romano poteva trovarsi là dove, senza ragione e senza logica, e senza alcuna prova, perfino contraddicendosi, si vorrebbe oggi collocarlo con un esercizio di ‘fantasia’.
La domus della gens Propertia insisteva sullo spazio posto a monte, oggi occupato da Palazzo Giampé e dal c.d. Palazzo del Cardinale, impegnando un’ampia superficie. La c.d. domus musae era una dipendenza della casa di abitazione vera e propria, con affreschi d’età augustea. Il visitatore dell’anno 367 ci ha lasciato la testimonianza di un luogo in abbandono, sebbene privato.
Non potendo trattarsi di un annesso a un teatro di cui non c’è alcuna traccia, anche in relazione alla conformazione del terreno, deve per forza trattarsi di un sito cultuale, come fu inquadrato dal Caldari, insieme a K. Kerényi e a G. Saflund. A quel tempo, per venire Assisi, si scomodavano i grandi luminari della cultura europea.
Non esiste – di fatto – alcuna possibilità per un “teatro” situato in quello spazio confinato e ristretto, in discesa e con fronte a sud. Le scuole elementari e l’ex convento di Sant’Antonio non racchiudono alcuna traccia di un teatro. Alcuni reperti lapidei, da me fotografati all’esterno della chiesa di S. M. Maggiore, appartenevano agli stessi ambienti della domus musae.
Che negli scavi qui effettuati della siano stati ritrovati si badi bene, non dei “materiali di riporto” medievale, come già ipotizzavano la Guarducci e altri, bensì materiali lì già depositati in antico, significa che in quel dato luogo, ormai divenuto una pertinenza della grande domus gentilizia dei Propertii, ma già antico sito di culto, posto a stretto ridosso della cinta muraria umbro-romana, caratterizzata altresì da una portella sacra coeva, furono collocati, qualche decennio dopo la visita dell’anonimo, del 367, alcuni resti simbolici del “teatro” fatto erigere secoli prima dai Propetii nella parte alta e più antica di Assisi. Queste memorie pagane di famiglia, una volta in disuso il teatro, e proibiti anche i giochi del circo, furono riportate abbasso e lì dislocate. L’epigrafe latina, che ne ricordava la costruzione, e la grande scritta frontale in calcare bianco locale, recante la scritta theatrum. Ed è la prova che il Sextus della lapide è il poeta delle Elegie, al quale l’Accademia fece il grosso torto di una morte precoce per celebrarne nel 1985 il Bimillenario. Properzio ritornò ad Assisi ed ebbe dei discendenti: questo anche il senso e la portata delle due lettere di Plinio il Giovane che si riferivano a Paolo Passenno.
7* Ecco che succede quando si violano o si evitano nell’ordine: 1) le certezze fornite dall’archeoastronomia, che tramite la bussola satellitare incorporata in un qualsiasi telefonino cellulare potrebbe evidenziare gli allineamenti, senza dover ricorrere a misure più accurate, come il teodolite eccetera: e allora si vedrebbe subito che anche l’andamento esterno delle mura antiche a risalire dalla domus musae è altrettanto orientato, questa volta sull’est esatto; 2) le regole della logica indiziaria; 3) l’esame critico dei luoghi, complessivamente intesi in un quadro unitario; 4) i vari dettagli, per esempio le tre meravigliose colonne di marmi pregiatissimi differenti, che tengono su l’abside antica di S. Maria Maggiore, marmi del tutto estranei a ogni antico “teatro” romano; 4) la scala interna, che con la portella coeva alle mura, posta quasi sulla sommità delle stesse, collegava insieme lo schema del sito a doppio corridoio [e altro ancora]. La domus Musae non è quanto riteneva la Guarducci, né ciò che è stato opinato nel 2102. Si ripete, con la domus, la stessa vicenda del “togato”. Schede museali sbagliate, monopolio della verità, sviste. Il “togato” rappresentava Augusto pontefice massimo, “capite velato”. Non ci vuole molto a capirlo.
All’epoca del Famin la statua augustea di via Labicana a Roma non era ancora affiorata, ed è questa la ragione della dimenticanza ottocentesca. Essendo Augusto, c’è la prova diretta che il tempio è di “Minerva”. Chi poi vorrà trovare formule compromissorie sarà forse creduto, ma non toccherà mai il vero.
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E ritorniamo a Properzio. Un equivoco sostanziale, dovuto in primo luogo al paradigma contradditorio. Murus ille notior! La città natale di Assisi non gli fu estranea, tuttavia Properzio non poteva parlarne. Ed è per questa ragione che esiste un Propezio segreto. Anche se nessuno prima di me se n’era accorto, non significa che sia falso. Cifre particolari, ripetute nelle Elegie, ne provano l’esistenza aldilà di ogni dubbio.
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La domus Musae è orientata astronomicamente sul punto del sorgere del sole il giorno del solstizio d’inverno, 22 dicembre. Non c’era alcun bisogno di citare tessuti e forme geometriche dell’antica Mongolia… e quei i “cuoricini rossi”, senza distinguere e riconoscere le “drupe della Kaffa” come diceva Caldari, col Prefetto d’Egitto Elio Gallo e l’Arabia Felix esplorata dai romani al tempo di Properzio. Il trompe d’oeil del viridarium della domus musae alludeva alle Elegie con 96 specie di passeracei. Le elegie oggi distinte e legibili in quattro libri sono in tutto 92. Il secondo libro – 34 elegie – ci è pervenuto corrotto da diverse lacune.
Le cifre di “Propezio segreto” tendono a concentrarsi soprattutto nel “sigillo” del Monobiblos e in Propertius – Horos [IV, 1], che ne contengono il profilo autobiografico. Le cifre sono assolutamente autentiche.
IL THEATRUM DI ASSISI
Già questa riproduzione fotografica ordinaria permette di cogliere una leggera rotazione delle arcate a conci rastremati, qui in doppio ordine, della cavea del theatrum, che si incuneano nelle abitazioni attuali, a partire dal vecchio mulino a olio, posto a destra e qui non visibile.
I materiali lapidei in abbandono, non utilizzati o non inglobati in strutture alto-medievali come la scena, di cui rimangono tracce nella seconda fila di abitazioni, furono saccheggiati per la costruzione della c.d. “basilica” di S. Rufino, in seguito nuovo duomo romanico.
Il teatro romano di Assisi era piuttosto piccolo, potremmo dire delle stesse dimensioni del c.d. anfiteatro del Pincio [il Brizi vi s’ispirò].
A fine ’800 il Brizi – di professione architetto – aveva ben presenti i luoghi, con rilevanti reperti sepolti negli orti circostanti e sapeva che lo spazio sgombro antistante alla facciata in fotografia si poteva giustificare solo e soltanto con la presenza di un nuovo theatrum, e non più di un antico “circus” richiamato dall’epigrafe monumentale in caratteri latini del II-I sec. a.C., insieme alla “cisterna” [cultuale oltre che idrica] e ai “fornici” [due], rispetto a un grande muro di sostruzione.
La scritta monumentale in latino di età pre-sillana – parlando dei marones che in un certo arco temporale avevano provveduto alle opere pubbliche, citava i seguenti elementi: murum ab fornice ad circum et fornicem cisternamque faciundum coiravere.
Il grande muro di contenimento è visibile all’interno della chiesa, lato sinistro, sul sagrato antistante[precedente basilica].
Mancano all’appello di due fornici, ma si può immaginare di doverli collocare all’inizio e alla fine del grande muro, per cui uno dei due fornici, quello più in alto, si collegava alle difese murarie. La cisterna cultuale è perfettamente conservata alla base del vecchio campanile precedente, mentre il circo non poté che diventare il luogo sul quale sorse un paio di secoli dopo il teatro della gens Propertia. Il teatro e l’anfiteatro erano pressoché coevi. Il nuovo circo si spostò in avanti, nella ampia zona a lato dell’anfiteatro, e il teatro sorse entro il perimetro murario, sul luogo del vecchio circo, conservandone ancora i cunei della cavea. Questo adattamento spiega la fronte del teatro rappresentata nella fotografia. Qui si trovavano la lapide pubblica dei Propertii e la trabeazione in calcare con la scritta Theatrum che furono riportati nella zona bassa della città dove abitava la gens. Questo avvenne dopo il 367, sotto i Teodosi, quando furono proibite per editto le rappresentazioni teatrali pagane e ludi circensi sanguinari tra gladiatori. Quando sorse la prima hiesa cristiana episcopale nel V secolo, i materiali giacenti abbandonati nella domus musae, furono trascurati e inglobati nel nuovo edificio religioso che si collocava in un sito pagano a doppio corridoio, riutilizzato e recuperato ad hoc per le nuove esigenze ufficiali di culto.
L’orientamento del theatrum rispetto alla radiazione solare corrispondeva alle necessità degli spettacoli e degli spettatori. Il teatro romano di Assisi aveva un diametro di circa 30 metri. Gli ordini della cavea erano tre: il primo ordine è ancora sepolto.
Il terreno è stato spianato, l’attuale situazione è dovuta al substrato edilizio, che giustifica la presenza degli orti di Palazzo Sermattei e lo spazio adiacente del marmista Orfei.
Il teatro, che sorgeva nella parte alta della città vecchia, era stato reso possibile dal precedente muro di sostruzione. Gli spazi privati [orto interno Sermattei eccetera] impediscono di cogliere bene la situazione topografica, che è un ampio balcone, mentre i cunei della cavea s’inoltrano a raggiera nella abitazione che vi si è innestata e, per così dire, adattata.
Alcune parti edilizie dell’opus sono state portate un paio di secoli fa nella villa Sermattei di Gabbiano, e qui ancora si trovano.
Eccone una testimonianza:
I reperti lapidei conservati alla rinfusa nel giardinetto attuale della primitiva chiesa episcopale di Santa Maria Maggiore hanno altra natura e origine.
Eccoli qui riprodotti:
Nulla a che vedere con un “theatrum“, la cui collocazione in questa parte inferiore, ristretta e in discesa della città romana, è assolutamente impossibile [anche a considerarlo come uno spazio privato a ridosso della cinta muraria del II- I secolo a.C., preceduto dall'impianto della "domus Musae".
Viceversa i reperti della villa di Gabbiano, danno testimonianza di un teatro romano sorto su quello che poteva essere il circo di età umbra antica, menzionato dalla iscrizione monumentale di san Rufino.
Tra il corridoio della domus Musae e una delle sue stanze, addirittura a contatto diretto con le mura, c'è un dislivello molto rapido, di almeno 7 metri.
La chiesa del V secolo – prima sede episcopale – è sorta sulla preesistente opera, la cui natura è derivabile sia dal toponimo Moiano – come “monte della porta” o “monte di Giano” –, che dall'impianto stesso prima del suo riuso in età romana. L'opus è orientata astronomicamente, come anche il divergere esterno della cinta muraria, caratterizzata in sommità, non alla base muraria come invece sembra, da una portella sacrale o iter precationis connesso al culto di Giano delle porte. Questa la ragione per cui la domus Musae è orientata – come la portella sulle mura antiche – sul punto del sorgere del sole al solstizio invernale, e perché subito da lì le mura riprendano a risalire in direzione est esatta, punto degli equinozi.
Ciò che era stato un antico luogo cultuale umbro, e che probabilmente restò tale, divenne in seguito appannaggio privato o pertinenza della vera domus o “casa di abitazione” della gensPropertia, collocata più a monte.
Non esiste spazio per vedervi nelle adiacenze o vicinanze un theatrum sorto per iniziativa privata nella sua piccolezza che non avrebbe lasciato tracce, a differenza della domus Musae che aveva un corridoio parallelo a nord, del tutto simile a quello guardante a sud, munito di piccole finestre a incasso. Sui due fianchi sorse la chiesa primitiva.
Per risolvere un enigma che non si come sapeva sciogliere, quello della domus Musae, ne è stato aggiunto un altro. L'anonimo visitatore del 22 febbraio dell'anno 367 finì dunque per baciare uno spazio teatrale, la pertinenza di un theatrum che lì però non c'era, confondendolo con una domus. Siamo a questo.
La "Musa" sarebbe stata quella di un teatro lì vicino: Melpomene, Polimnia e Talia, la “festiva”… - Properzio era dunque un autore di teatro?
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Il teatro nel 367 era ancora in piedi ed erano funzionanti tutti i teatri dell’Italia italiani in questo torno di tempo. L'anonimo visitatore si sarebbe confuso? Lesse la lapide “properziana” che ornava l'ingresso del teatro e rese il suo commosso omaggio con un graffito svolazzante, apportato con un chiodo sugli intonaci preziosi, chiamandola "casa da baciare della Musa"?
E' questo il succo implicito dell'articolo del 2012 pubblicato dall'Accademia nel 2014. Ed è quanto capita se si scrivono articoli in astratto.
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Quando, e poi da chi e perché furono collocate, nel corridoio sud della domus Musae, l'epigrafe pubblica del teatro e la grossa lastra di calcare con analoga iscrizione? E' il problema – mal inquadrato fin dall'inizio – dei c.d. "materiali di riporto". Risolvendo illusoriamente questo problema si non si può non andare contro ragione o ignorare il quadro sopra tracciato in linea di massima.
I materiali recuperati in diversi periodi durante gli scavi, possono essere spiegati differentemente. In primo luogo è necessario uscire dall'equivoco che il corridoio proseguisse a lungo dopo il viridarium. L'anonimo stava uscendo da quel sito. Pertanto, lì terminava il percorso.
Altro problema è da dove fosse entrato. Queste banalità non sarebbero mai passate per la testa a nessuno, ma a quanto pare l'Accademia farebbe scienza.
I reperti simbolici del theatrum di Assisi – certamente voluto da Sesto Properzio: chi se non lui? – furono ritirati e preservati in epoca successiva, quando gli editti vietarono i giochi circensi e l'attività teatrale pagana.
Ciò avvenne sotto i due Teodosi, non prima. In tali circostanze furono incise delle croci sulle pietre di alcuni templi pagani. E' falso ed erroneo ritenere che nel 367 d.C. ad Assisi il teatro, l'anfiteatro e il culto del tempio di Minerva fossero cessati. Bisogna arrivare almeno ad Alarico perché si possano spiegare le rovine improvvise del foro, con atti di devastazione e di sfregio su statue e simulacri. Il togato è un esempio parlante, insieme alla statua mutilata di Minerva poliade, 'assisa in trono'. Nel 367 ad Assisi era ancora tutto in ordine.
I Propertii – la loro discendenza diretta o indiretta – si presero cura di riportare a ‘casa’, quando il teatro cessò la sua attività pagana, sia la lapide dedicatoria, che l'iscrizione in memoriam. Collocarono i reperti in quella che era una pertinenza in abbandono, addirittura nel corridoio. Qui sono riaffiorati con gli scavi moderni, prima col Presidente Caldari e poi con la Soprintendenza, che a lungo ‘imboscò’ i vari frammenti rintracciati. La chiesa cristiana del V secolo risparmiò il substrato, lo inglobò e lo fece proprio, e i due corridoi – a nord e a sud – furono interrati.
La chiesa, sede episcopale certa già con Avenzio, si accrebbe, si modificò in età alto-medievale, e soltanto nel secolo XII fu rifatta in stile romanico [1162]. Ciò che noi vediamo oggi è una stratificazione su due quote diverse: a sud e a nord. Le mura difensive esterne hanno conservato le loro creste, mentre del terriccio è stato addossato a un bastione laterale, al muro di cinta dal lato orientato dell’abside romanica. Il livello attuale della pavimentazione della chiesa romanica segue l’orlo originario della cresta muraria, mentre l’abside o cripta in età longobardo-carolingia ha impiegato pregiati materiali eterogenei di riciclo, appoggiandosi a propria volta al substrato antico. La portella coeva alle antichissime mura immetteva nelle viscere, fino al livello inferiore di circa 5-6 metri. Si vedono ancora oggi le tracce nette di questo percorso, cui la chiesa attuale si è andata adattando.
Vorrei infine ricordare un passo di Tito Livio [22, 5, 7-8] in cui si parla di un terribile terremoto che fece enormi danni in Italia centrale nel 217 a.C., anno in cui il console Flaminio fu sconfitto al Trasimeno da Annibale. Il progetto unitario della sistemazione urbanistica di Assisi umbro-romana si rese appunto necessaria a seguito di questo evento catastrofico.
Il “teatro” romano di Assisi sorgeva a fianco della chiesa di s. Rufino, là dove lo aveva già individuato il Brizi, in una epoca ancora vergine dal punto di vista conservativo. I resti dell’antico teatro giacciono sparpagliati all’intorno, sepolti negli orti di palazzo Sermattei e inglobati in varie abitazioni. Il circo fu trasformato in teatro, e lì accanto, appena fuori le mura, dotate di “fornice”, fu eretto il grande sacello funebre del c.d. “torrione”.
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Properzio ritornò da Roma ad Assisi [la congettura risaliva allo Hertzberg]. Ne è prova certa la lapide ricomposta da L. Sensi. Sono sicuro che anche i restanti frammenti giacciano ancora da qualche parte in quello stesso luogo, scavato per primo dal Dott. Fioravante Caldari, a proprie spese, qui rinnovandone la Bella e Simpatica Figura di Assisiate schietto e alla mano, pieno di interessi scientifici di ogni genere, e la stessa Memoria di Presidente dell’Accademia Properziana del Subasio, di cui è certa la notizia della fondazione risalente al 1516.
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Ed è giusto ricordare la figura del Presidente Fioravanti Caldari per il Quinto Centenario, insieme a quelle del Dott. Sergiacomi e dell’Avvocato Arnaldo Fortini, anch’essi Presidenti. Potremmo dire “Non venite a farci ripetizioni”, sappiamo del nostro per puro amore cittadino.
Avv. Arcangelo Papi – Assisi, Marzo 2016