Autori su majorana

Autori su Majorana

 

 

Uno sconosciuto a bordo della nave “Giovanna C.” in rotta per Buenos Aires nel luglio del 1950

AGLI AUTORI

CHE HANNO GIA’ SCRITTO SULLA SCOMPARSA

DI ETTORE MAJORANA

PREAMBOLO

Secondo il Prof. Francesco Guerra de La Sapienza di Roma (2011) questo viso sconosciuto apparterrebbe a Gustav Wagner (che era un gigante biondo) oppure ad Alois Brunner (ambedue presero altra strada: qualsiasi curioso può facilmente documentarsi su Internet).

Secondo il Prof. Umberto Bartocci dell’Università di Perugia si tratterrebbe – comunque – di un ex membro ‘sine nomine’ delle SS, preferendo però ignorarne i capelli corvini e la statura di 168 cm.

I due docenti, infatti, così hanno scritto, quando il quotidiano La Repubblica riferì, nell’ottobre del 2010, che un “enteufficialmente preposto ai riconoscimenti di persone” aveva ritenuto potersi trattare di Ettore Majorana – il fisico misteriosamente scomparso nel 1938, “conun elevatissimo grado di probabilità”.

Evidentemente non è una semplice questione di opinioni, per cui neanche i tecnici informatici di Italia 1, trasmissione Mistero, hanno potuto negare, con il conduttore Marco Berry, che non sussistesse una certa rassomiglianza con lo scomparso.

Invece i due citati professori non lo trovano per nulla rassomigliante (sarebbe un gigante biondo oppure avrebbe la faccia affatto diversa di un altro, o sarebbe uno sconosciuto capitano delle SS, alto un metro e sessantotto e di razza non ariana).

Rivolgendomi ad Autori che la pensano in questo modo ed anche ad altri (a chi ha scritto libri importanti sul caso Majorana), qui in particolare rivolgendomi a Stefano Roncoroni (autore di un corposo saggio di oltre 400 pagine pubblicato a Roma nel marzo del 2013 dagli Editori Internazionali Riuniti, e di altri tre articoli precedenti), non posso esimermi dal ricordare, a costoro, che la pertinenza delle osservazioni critiche, quale sia la verità nessuno lo sa, è un requisito sostanziale imprescindibile. E che, dunque, possono essere respinte al mittente le valutazioni palesemente fuor luogo, come difatti tutti possono intendere.

Non esiste un monopolio della dialettica, ma vanno ossequiate e rispettate le regole minime della precisione e della coerenza, cui è d’obbligo attenersi.

La mia esposizione sul caso Majorana sarebbe veramente incompleta se non accennassi anche ai numerosi ‘segnali’ contenuti nel testo delle 9 lettere napoletane del 1938, quante appunto sarebbero rimaste.

L’impressione che si tratti di un unico blocco, e non di due momenti distinti, per cui la “scomparsa” sarebbe avvenuta all’improvviso, maturata negli ultimi giorni, è certamente seria e giustificabile. Di più, può essere chiaramente dimostrata (vedi pezzo lungo sulla Scomparsa, di prossima pubblicazione: oltre 150 pagine).

BREVE ESPOSIZIONE DELLA SPARIZIONE

La decisione di Ettore “era ormai inevitabile“, per quanto sprovvista anche di “un sologranello di egoismo“. Nonostante sfugga come e perché una dichiarata volontà di suicidio, poiché caratterizzata dal “lutto“, possa essere definita ‘non egoistica’; e perché mai, inoltre, si possa rimanere a lungo in sospeso (“ormai“), con idee di morte, che tuttavia non furono immediatamente realizzate, almeno secondo il progetto iniziale, che peraltro era già fortemente contraddittorio, e di cui si avrà – paradossalmente – piena cognizione soltanto ex post, quando il presunto suicida avrà avuto un repentino ripensamento, dichiarando che sarebbe subito ritornato a Napoli, domani, e che era “disposizione” per “ulteriori dettagli“.

Le anomalie sono palmari. Fatto è che il presunto aspirante suicida, il giorno dopo è vivo. Scrive che tornerà a Napoli, e ci sarebbe pure un serio testimone di viaggio, ma la “scomparsa” avviene proprio in queste circostanze, o subito prima, o subito dopo (come afferma Erasmo Recami, professore universitario pure).

Quanto azzeccano i nostri Professori, ognuno in contraddizione con l’altro?

Il morto del 1938 non è quello morto nel 1939. I morti, comunque, non vanno in Argentina: nemmeno in convento, e così pure neanche in Germania o in Russia.

Ettore sarebbe stato avvistato a Napoli nei giorni seguenti, quando ormai lo stavano cercando ovunque.

Anzi, prima di scomparire, potrebbe essersi presentato presso il “Gesù Nuovo”, chiedendo – a quanto pare – una (assurda?) ospitalità, per ‘effettuare’ esercizi spirituali, che ovviamente gli fu rifiutata. La traccia conventuale non ha mai fornito altri riscontri. Sciascia si sbagliò oppure intese confondere le acque. Se fosse andato a stare in un convento effettivo, oggi non parleremmo del caso Majorana. Quella di Sciascia era una metafora. E neppure si buttò dalla nave durante il viaggio di ritorno: mancava il cappello, e non mancò anche la restituzione del biglietto. E nemmeno fu eliminato da un qualche servizio segreto per un oscuro affare di Stato: poche ore dopo Ettore aveva revocato l’idea apparente di farla finita. Hanno tutti torto. Non poteva scappare in Argentina, per quale ragione?, senza un valido passaporto. No, Ettore Majorana, che era un genio sommo, preferì ‘giocare a nascondino’: questa l’ultima trovata; per morire sul serio nel 1939, ben inteso, prima dello scoppio della guerra in Europa (3 settembre 1939).

ANALSI CRITICA DELLA LA SCOMPARSA

Regnano incertezze e contraddizioni, ancor più chiare col senno del “poi”. E’ tutto – o quasi tutto – incerto e assurdo. Ritornare a Napoli, ma non farsi più vedere, è in palese contraddizione con il dichiarato ultimo, che sarebbe ritornato e avrebbe spiegato. Ecco, l’affare di Stato è questo, lo hanno ammazzato, e hanno eliminato il cadavere. Ettore era stato uno sciocco a non trovare più facile e sicuro riparo. Lui a fornire un alibi perfetto ai presunti e impalpabili assassini. Sempre lui a scrivere che sarebbe “scomparso” e a parlare di “lutto”.

In ogni caso, escluso già a priori ogni evento involontario che abbia potuto interferire in una vicenda esclusiva (ipotesi del complotto, alias del rapimento e/o l’omicidio per un oscuro “affare di Stato”), giacché è inconciliabile con la dinamica o regia della “scomparsa” (la “mia improvvisa decisione”: autonoma, indipendente, consapevole), è assai dubbio che Majorana abbia potuto agire in modo così sciocco sconsiderato. Ma una sua lettera del 22 gennaio già da sola taglia la testa al toro circa simili fantasie fondate sul nulla.

Imbarcarsi per Palermo (con una somma di denaro e il passaporto, per di più sapendo nuotare), scrivere – la mattina dopo – che “il mare” lo aveva “rifiutato“, facendo così sapere dell’immediato ritorno, e farsi poi vedere in giro a Napoli, ma non voler più ricomparire: lasciando, perciò, un incolmabile ed enigmatico vuoto affettivo, per i suoi cari?

Le vere vittime della “scomparsa” sono i suoi stessi familiari, se appunto siamo costretti a escludere a priori ogni altra possibilità, che non sia stata una libera scelta, del tutto autonoma e svincolata da ogni altro condizionamento. Così come esattamente accadde.

Perché tutte e ipotesi che pretendono di fare a meno dei fatti certi e accertati come tali non sono nemmeno delle ipotesi, bensì assurde elucubrazioni fantasiose, frutto d’incapacità critica o d’insofferenza a rimanere aderenti al tema.

Non si può dunque negare che il “caso“, che sarebbe “differente“, cioè diverso da quello di una tentennante “ragazza ibseniana“, si presenti apparentemente in una sorta di stato di sovrapposizione quantistica, tranne un corretto atto d’osservazione che possa risolverlo (ma quale?), facendo collassare la funzione d’onda: ovvero, in parole più semplici, che lo schema logico della “scomparsa” (ambiguamente definita tale, così anticipandone l’esito ultimo possibile), rimanesse in una condizione di totale incertezza, come la profezia della Pizia: “ibis – redibis – morieris – non“. Dove va messa la virgola?

Ciò è del tutto anomalo rispetto ai comuni casi di suicidio, e l’incertezza degli esiti (in assenza di cadavere) fu certamente ancor più dolorosa ed inquietante per i familiari che non se l’attendevano, e che oscilleranno continuamente tra la speranza e la disperazione, impegnati in faticose ricerche, non sapendo neppure da dove iniziare, se appunto da Napoli (dove sarebbe tornato), o da Palermo (dove sarebbe potuto restare).

Il presunto suicida ha scritto tre lettere in due giorni ed ha inviato due telegrammi.

I fatti sono questi, e non c’è alcun dubbio. Ettore ha adombrato una volontà di morte, poi l’ha immediatamente revocata: ma non è ricomparso. Il giorno 25 marzo ha proferito un “poi” verbale (la consegna della cartelletta alla Senatore sembrerebbe contraddittoria rispetto a una scomparsa definitiva), scrivendo due lettere con due “dopo“.

Le parole hanno il loro peso, anche se inserite in un contesto di sfumature sottili o evanescenti. Non ha però alcun senso il rinvio temporale di un evento luttuoso, rispetto a certe modalità esecutive, sebbene dichiarate ex post. Tali modalità, teoricamente idonee, ma contraddittorie, e rimaste non attuate, si ripropongono – ancora una volta – nello speculare viaggio di ritorno (sic) via mare.

Questa volta, però, con un testimone di viaggio rintracciabile ed effettivamente rintracciato, sebbene per l’analogo viaggio d’andata non esistano simili testimonianze, il che non sorprenderebbe troppo, se si accetta l’idea che il viaggio di ritorno rendeva inutile l’indagine su quello di andata.

Ettore ha scritto e telegrafato da Palermo, ma il suo nominativo non è stato registrato come cliente dell’Albergo Sole, già “Grand HotelSole – Palermo“. Avrebbe dovuto telefonare, ma non l’ha fatto. Ma segnalava quel suo stesso foglio di carta intestata dell’Hotel Sole su cui stava scrivendo: con due numeri di telefono, e un sole all’alba.

Sorprende, infine, la coincidenza delle iniziali del testimone durante il viaggio di ritorno, Vittorio Strazzeri, con quelle del proprietario dell’albergo di Palermo, Vincenzo Sole. Sembra fatto apposta, ma non è facile distinguere tra il caso e la necessità.

Non c’era alcuna necessità di andare a Palermo, a meno che, lì, non si sia voluta indicare la presenza di Segrè, che dal 1936 insegnava nell’università del capoluogo siciliano. A stretto rigore anche Ettore sarebbe dovuto andare a insegnare a Palermo, solo che gli fu data una cattedra a Napoli, fuori concorso. E appunto a Napoli lui andò. Evidentemente, Palermo non lo interessava: non vi pare?

Comunque si voglia analizzare la fattispecie, ogni volta ci s’imbatte in contraddizioni e stonature. Per uscire dal gioco di specchi di queste sfasature, il quadro contraddittorio di elementi che non convincono nessuno, che non tornano mai chiari o naturali, si possono formulare due ipotesi generali: 1) che Majorana abbia cercato invano di evitare un grave pericolo imminente, di cui però sarebbe ugualmente rimasto vittima; 2) che l’illogicità della “scomparsa” nasconda in sé la soluzione, col problema di rintracciarla in quelle stesse lettere, per una scomparsa avvenuta per lettera.

La prima ipotesi (teoria del complotto), non sta in piedi. A escluderla in concreto è l’operato stesso di Majorana.

La seconda ipotesi, in qualche modo intuita da Sciascia, ma non coltivata, indica invece che lo scomparso ha inserito nelle sue lettere la soluzione autentica nascosta. I “dettagli” dell’enigma sono sempre rimasti “a disposizione“. Infatti la “scomparsa” avvenne ‘per lettera’.

La logica formale della scomparsa comporta coppie di opposti che si neutralizzano a vicenda.

Lo stato di sovrapposizione quantistica è questo: vivo e morto allo stesso tempo. Un corretto atto d’osservazione sperimentale farebbe crollare all’improvviso l’insostenibile doppiezza di un evento che non può non essersi consumato in un certo modo e con un dato esito.

A ciò potrebbe corrispondere l’immagine analogica di una busta chiusa, rispetto a quella di una busta aperta. La teoria elementare dei nodi stabilisce l’impossibilità di percorrere con tratto continuo di penna tutte le linee che formano un quadrato o un rettangolo: una busta, diagonali comprese, senza staccare la penna dal foglio.

L’impossibilità formale di risolvere lo stato quantistico sovrapposto dipenderebbe da questa proibizione.

Ma aprendo o sollevando il lembo della busta, cioè penetrando e forzando l’enigma con un “escamotage” – qui corrispondente, in tal senso, al corretto atto osservativo richiesto dall’esperimento – la penna non incontra più ostacoli a percorrere interamente tutte le linee. Il caso è così risolto, oltre le apparenze volutamente ingannevoli, leggendo ciò che prima appariva inintelligibile.

* Come, dove, quando e perché E.M. è “scomparso“?

Sappiamo soltanto che lasciò l’albergo Bologna (‘globo’ e ‘alba’), all’incirca verso le ore 17 di venerdì 25 marzo. Tutte le sue cose erano rimaste in camera. Con sé non aveva un bagaglio. Eppure era munito di denaro e di passaporto (risulta ufficialmente dagli atti).

Indossava un soprabito grigio ferro e un cappello marrone. La sua infermiera lo avrebbe riconosciuto, a Napoli nei giorni successivi, indovinando o individuando i vestiti. E come mai a Napoli aveva un’infermiera, nominata una volta soltanto, il 22 gennaio, pochi giorni prima di recarsi a Roma, se a Roma non ne aveva mai avuto bisogno?  

  • Ha lasciato nella sua camera d’albergo una lettera d’addio per la sua Famiglia.

Chi negasse questa circostanza, non solo direbbe il falso, ma cadrebbe in contraddizione: la lettera è assolutamente autentica, com’è facilissimo dimostrare in più modi. [Se poi è stato detto così: cfr. Stefano Roncoroni 2013, è altrettanto facile comprenderne i motivo: certe assurdità, come quella della morte precoce del 1939, ma senza il cadavere, senza il certificato di morte ecc., avevano forse bisogno di appoggiarsi a fantasiose trovate, altrettanto assurde].

La lettera Alla mia Famiglia lasciata in camera è un brevissimo messaggio di appena 3 frasi, ripartite in 9 periodi. Qui si parla di lutto, “qualche segno di lutto”, “ma per non più di tre giorni“. “Dopo” il “ricordo“, e, a seguire, il “perdono“.

La spiegazione del gesto (ambigua e contraddittoria) è stata affidata alla prima lettera per Carrelli. Con l’annullamento della decisione che sarebbe stata presa all’inizio, trascorsa la notte, tramite due telegrammi e una secondalettera espresso per Carrelli da Palermo.

E si torna dunque d’accapo. E’ ricominciato il giro. Rimane la “scomparsa”, mentre non c’è il cadavere.

Le ultime tre lettere del 25 e 26 marzo (ed è indubitabile la presenza della lettera d’addio alla famiglia, effettivamente lasciata in camera), fanno blocco l’una sulle altre, in una sequenza sicuramente unitaria. Ci troviamo davanti a una rappresentazione unilaterale, dove le mosse sembrano premeditate. All’apparenza, sarebbe una trama spezzata in due parti, le intenzioni iniziali e quelle del “dopo”, ma l’esito effettivo è comunque una “scomparsa” misteriosa. La sparizione del vivo. Come Ettore già aveva annunciato e anticipato.

ELEMENTI RIVELATORI

Non si può dare alla propria famiglia, verso la quale il forte attaccamento è assolutamente, l’impressione di un drammatico e incolmabile vuoto, senza alcuna spiegazione. Anzi, aumentando il dolore e l’incertezza. Nella sua corrispondenza da Napoli egli aveva nominato tutti i suoi congiunti, tranne la sorella Rosina, sposata a un tedesco. In qualche modo così li ha salutati. Né si può negare che la lettera d’addio ai suoi cari non faccia parte integrante dello schema, allegando il pretesto (non dimostrato) che tale messaggio abbia in realtà un’altra storia, separata da quella delle due lettere per Carrelli. Martedì 28 marzo la famiglia trovò ad attenderla quella breve lettera lasciata nella stanza dell’albergo Bologna. Nessun preavviso di alcun genere. Soltanto dei sottili segnali, di cui non si può non registrare la presenza. Il lutto dei tre giorni non ha una data certa di decorrenza. Il fatto è evidente. Dovendo necessariamente escludere la teoria del complotto, che interpreta come puramente dilatoria la lettera di un falso suicida, non resta altro che l’ennesimo segnale logico di una vicenda volontaria e preordinata, d’altra natura. Un “caso” veramente “differente“.

Contrariamente all’ipotesi, però assurda, che la famiglia conoscesse già da venerdì 25 il contenuto di quella lettera d’addio, viceversa tutto testimonia che effettivamente EM lasciò quella lettera in stanza.

Stranamente, tutte le lettere del 1938, recano l’annotazione dell’era fascista (anno XVI), comprese le ultime tre, mentre l’unica eccezione è fornita dalla prima lettera da Napoli in data 11 gennaio, quando prese servizio. Questi elementi rappresentano dei segnali. L’affezionatissimo Ettore mai e poi mai avrebbe potuto giocare a nascondino. Cade ogni altra possibilità. Non può trattarsi di omicidio per un oscuro complotto. Non era un caso di suicidio, i propositi di farla finita erano illusori, ingannevoli. Servivano a creare incertezza. Può trattarsi soltanto di una fuga, dolosa e preordinata. Ma per dove, e per quale ragione? Distinguendo tra la posizione di Carrelli, che fu utilizzato allo scopo come destinatario di due lettere e un telegramma che le precedeva, e quella dei famigliari, abbiamo un doppio canale d’informazione, che escludendo Antonio Carrelli dalla possibilità di comprendere, si rivolge invece esclusivamente alla famiglia, che stava subendo quella dolora perdita contornata da tanta ambiguità e apparente follia. Il caso non era personale ed era un caso di forza maggiore.  

Quella breve e dolorosa lettera d’addio, lasciata in attesa nella stanza dell’albergo Bologna, si connetteva strettamente con la prima lettera per Carrelli. A loro volta, i due telegrammi da Palermo collegano tali lettere con l’ultima lettera di sabato 26 marzo, l’espresso che perverrà da Palermo a Carrelli ‘domenica’ mattina, ‘giorno del sole’, rispetto alla seguirà il definitivo silenzio. La sequenza è indubitabile.

Certe parole, ripetendosi, lo indicano: ad esempio, lunedì e lunedì, e telegramma.

In definitiva, l’esito materiale di “scomparsa” era stato preannunciato, sebbene lo si possa comprendere soltanto ex post. Non è possibile sceverare la lettera d’addio dalle altre due. Il termine stretto dei “tre giorni di lutto” in assenza di un cadavere evidenzia il vero messaggio: il termine non può decorrere senza il cadavere, Ettore giocò sull’ambiguità della parola scomparsa che vista ex post, indica una fuga programmata. Soltanto i suoi cari potevano capirlo. Il 25 marzo non aveva detto nulla circa le sue intenzioni. Soltanto il 26, scrivendo a Carrelli, farà presente che il mare lo avrebbe rifiutato. Questa espressione diventa decisiva. Che cosa voleva significare? Il significato è doppio: rimanendo l’enigma per Carrelli, intanto per i famigliari è uno scomparsa volontaria; Ettore è vivo, e pur avendo detto che sarebbe tornato, a questo punto è invece scappato via. Ma perché avrebbe agito così? Il mare mi ha rifiutato contiene racchiusa in sé anche la spiegazione completa ed esauriente delle vere ragioni della misteriosa scomparsa dolosa: Ma a Hitler mai rifiuto (ecco perché Ettore il 23 febbraio aveva preso quella stanza all’albergo Bologna, in via Depretis 72, dove si stabilizzerà fino al 25 marzo, senza più cambiare albergo).

Il teorema logico dei tre giorni e il teorema della stanza sono la chiave razionale del giallo, insieme ai tanti segnali testuali. Al terzo livello di dispongono i dettagli ulteriori (secondo le sue ultime parole nella lettera del 26 marzo da Palermo).

Unica risposta possibile: nessun lutto. Il “poi” e i due “dopo” di venerdì 25 hanno adesso il loro pieno significato: Ettore è sparito in modo preordinato. Lo dimostra anche la stessa calligrafia, calma e misurata, delle sue lettere. E mentre le due prime lettere del 25 marzo sono state scritte con la stessa penna, non è così per quella da Palermo, vergata con un pennino, e di apparenza più ‘nervosa’.

La carta intestata della lettera ‘espresso’ da Palermo, era diventata fuori legge con le nuove disposizioni del regime fascista contro i termini stranieri come “hotel”, ufficialmente sostituito da “albergo”, anche nelle guide turistiche dell’epoca. Ettore ha usato un foglio ormai obsoleto. E’ probabile l’intenzionalità. Comunque, non può nemmeno essere esclusa. Il dato potrebbe diventare certo e sicuro se quel foglio di carta intestata del “Grand Hotel Sole – Palermo“, recante in bella vista anche due numeri di telefono, contenesse un messaggio cifrato.

La risposta è positiva. Anche l’intestazione o insegna di quel “foglio“, che Ettore chiaramente segnala con le sue ultime parole prima di scomparire nel nulla, contiene un messaggio. L’insegna dell Gran Hotel Sole indica due parole chiave: “sole” e “Hitler”. Utilizzando soltanto queste due parole è possibile aprire i messaggi inseriti in tutte le lettere del 1938, che del resto contenevano già diversi segnali o avvisi testuali in misteriosa e ambigua sparizione per lettera di cui uniche vittime erano i suoi cari. Pertanto, al livello delle fallaci apparenze, di ciò che fu fatto sembrare, si sostituisce adesso la verità d’Autore.

La decisione di scomparire non fu improvvisa, ma presente da mesi e accuratamente preparata. Quando Ettore giunse a Napoli, ai primi di gennaio del 1938, già sapeva quale doveva essere la sua sorte. In tale periodo non si registra alcuna controindicazione. Il 18 gennaio anticiperà gli eventi parlando con Occhialini. Carrelli lo vedrà totalmente assorbito in qualcosa di cui non voleva parlare. C’è un’inspiegabile “infermiera“, ma Ettore cambierà soltanto degli alberghi, senza mai andare in una pensione. Da una delle finestre dell’albergo Bologna, che continuerà a nominare fino all’ultimo, dice che vedrà sfilare, a maggio, il corteo di Hitler, venuto ad assistere a una grande parata navale nelle acque del golfo (decine e decine di sommergibili che s’immergono ed emergono all’unisono).

Hitler è menzionato due volte, prima e dopo le vacanze di carnevale, gioiosa festa in maschera. Dal 1933 Ettore non ne aveva più parlato. L’occasione gli è stata fornita dal già annunciato viaggio in Italia del dittatore tedesco. Tra i preparativi d’accoglienza a Roma e poi a Napoli, e la scomparsa di Majorana avvenuta nell’ultimo fine di settimana a marzo, s’interponeva l’annessione dell’Austria, un passo politico cruciale, che darà avvio alla dottrina nazista dello “spazio vitale”, fino a provocare la crisi polacca, dopo l’episodio dei Sudeti, e, con ciò, lo scoppio della seconda guerra mondiale, il 3 settembre 1939.

Il 9 marzo 1938 Ettore scherzava per lettera con sua madre e con la sorella Maria. Nessuna crisi. E neanche un raffreddore. Qui c’è un tempo bellissimo, ideale per navigare nel golfo. Il corteo di Hitler non sfilerà mai per via Depretis, sotto la finestra di quella stanza, dove Ettore – così scriveva il 26 marzo – sarebbe ritornato.

Fu una “scomparsa” dolosa, del resto “inevitabile“, concepita e programmata da tempo, e poi realizzata con una messinscena atta a confondere gli osservatori esterni, ma non i familiari, dopo il forte trauma iniziale.

Gli elementi definitori di questa “scomparsa” – indicata come tale – sono i seguenti:

- è “improvvisa“;

- “era ormai inevitabile“;

- è senza “un solo granello di egoismo“;

- procurerà delle “noie“;

- comporterà qualche segno di “lutto“, “ma per non più di tre giorni“;

- non si tratterà di un suicidio (“il mare mi ha rifiutato” – “il caso èdifferente“);

- lo scomparso ritornerà “domani” all’albergo Bologna (lettera per Carrelli) / ritornerà “lunedì”(telegramma per l’albergo Bologna);

- rimane “a disposizione” “per ulteriori dettagli”.

Chi pretende di formulare qualsiasi ipotesi sulla scomparsa non può sottrarsi a tali vincoli.

Avrà risolto il caso differente da quello di una ragazza ibseniana solo e soltanto chi avrà saputo fornire una spiegazione razionale per ciascuno di questi punti e per tutti insieme.

Ci siamo effettivamente riusciti. Invece hanno sbagliato approccio tutti indistintamente gli Autori che finora si sono occupati del caso Majorana.

AUTORI SU MAJOARANA

  • Edoardo Amaldi (1966), ha commesso errori grossolani (e del tutto inspiegabili), nel paragrafo conclusivo del noto saggio biografico su Majorana. La cosa è di tutta evidenza.

  • Leonardo Sciascia (1975), ha suggerito al lettore avveduto una trama completamente differente da quella dell’ipotesi del ritiro in convento, che se poteva aver senso – almeno in astratto – al momento della fuga o sottrazione, in concreto non poteva più averlo in seguito. Ettore avrebbe agito all’insaputa dei suoi cari, inscenando un falso suicidio, per realizzare un ritiro dal mondo facilmente conseguibile. L’insensatezza di questa trama è evidente di per sé.

  • Erasmo Recami (1987-2011) ha spedito Majorana in Argentina nel 1938, all’insaputa dei suoi cari, senza un passaporto valido e senza alcuna ragione. Poi lo identificherebbe a Buenos Aires, negli anni ’50. La trama è impossibile ed è irrazionale nella sua parte iniziale.

  • Umberto Bartocci (1999), ha inventato di sana pianta l’assurda ipotesi di un oscuro “affare di Stato”, facendo violenza ai fatti e alle lettere di Majorana. A far cadere questa congettura destituita di ogni riferimento concreto basta da sola la lettera del 22 gennaio, con la quale Ettore chiedeva la parte liquida dell’eredità paterna. Majorana revocò gli apparenti propositi di suicidio, appena 12 ore dopo.

  • Sono completamente fuori strada tutti quanti gli Autori che hanno fantasticato su un Majorana girovago o mendicante. Costoro eludono costantemente il thema decidendum posto dalle ultime lettere.

  • Francesco Guerra e Stefano Roncoroni (2012-2013), con la lork rispettiva ipotesi della morte di Majorana che sarebbe avvenuta nel 1939, hanno sovvertito il principio fondamentale della prova e hanno formulato il caso di un assurdo gioco a nascondino. Seguitano a mancare il passaporto di Ettore, il certificato di morte, il cadavere e la tomba.

  • Bruno Russo (1998) ha preteso di dimostrare che Majorana scomparve da bordo, durante il presunto viaggio di ritorno in traghetto da Palermo a Napoli, buttandosi in mare con tutto il cappello marrone, per aumentare il carico di sofferenze dei suoi cari.

  • Per i parenti stretti di Majorana (2012), scomparve tragicamente.

  • La mancanza di razionalità di tali ipotesi o congetture da parte degli Autori ufficiali sulla “scomparsa” è del tutto evidente. Ciò nonostante si continua a parlarne come di cose serie e plausibili, per quanto tra loro inconciliabili. Nessuno che abbia affrontato il problema del “caso differente”, della trama unitaria o spezzata in due tronconi come fu fatta sembrare, tranne Luisa Bonolis (2002), che individuando la scomparsa o fuga dolosa, tuttavia non ne spiegava il “perché” e come mai in quel modo “clamoroso” (le due principali ‘domande’ poste nel 2002 dallo storico Roberto Finzi).

  • A queste domande si può invece conferire risposta nel rispetto dei limiti prefissati dal thema decidendum entro il 26 marzo 1938.

  • L’ipotesi attenente al “poi”, al “dopo”, e cioè che fosse stato invitato, indotto o costretto dai tedeschi a fuggire segretamente in Germania, qui rimanendo per diversi anni, conserva il suo legittimo presupposto per le chiare simpatie politiche verso la rivoluzione hitleriana manifestate da Majorana nel 1933 durante il suo soggiorno a Lipsia e nelle rivelazioni fatte nel 1965 dalla signorina Fiorenza Tebalducci, confermate anche dalla nipote, che appunto lo avrebbe frequentato a Firenze, nel 1935. Una possibile traccia della presenza segreta in Germania di Majorana emerge da un documento riservatissimo dell’ambasciatore a Berlino della Rsi, Filippo Anfuso, che era catanese come Ettore, dalle affannose ricerche fatte a Napoli nell’ottobre del 1943 dalla missione segreta americana Alsos, infine da due messaggi radio trasmessi in codice Enigma dalla centrale Odessadi Bercellona, in Spagna, captati nel febbraio del 1947 dai servizi segreti inglesi e poi trasmessi ai servizi segreti americani.

(avv. Arcangelo Papi, 11 febbraio 2014)

 

 

 

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